geronimo

martedì 31 gennaio 2012

La Storia e la Follia della razza Ariana

MITOLOGIA DELLA RAZZA ARIANA: LA STORIA E LA FOLLIA
Dopo cento anni di follia e ignoranza e, soprattutto, dopo gli orrori che ha provocato, non dovrebbe essere più necessario scriverne… Eppure, come ogni navigatore della Rete sa perfettamente e come ogni appassionato di antropologia è costretto a leggere anche su testi di recentissima pubblicazione, il termine “razza ariana” non esiste solo come reperto linguistico alla sezione “buio della cultura” del museo degli orrori storici. Blog, siti, testi che si auto-definiscono scientifici continuano a parlare o sproloquiare di questa presunta razza “eletta”, in assunti che ondeggiano tragicamente tra l’incitamento all’odio xenofobo e razziale e lo sviluppo di teorie capaci di far rabbrividire chiunque abbia la pur minima affezione per la verità storica.
Ecco, dunque, la necessità di ritornare su argomenti che dovrebbero essere morti e sepolti e tentare, ancora una volta, di fare un po’ di chiarezza.
La parola “ariano” è di origine sanscrita (“Arya”) e, sostanzialmente, ha un significato molto prossimo a quello del termine occidentale “nobile”. Già questo basterebbe: essere ariano potrebbe essere, al più, una questione di stirpe, di casta o di ordine sociale ma non una questione di razza. Ma proseguiamo. Alcuni nuclei indo-iranici, come è chiaramente attestato sia nei RigVeda che in alcuni testi zorohastriani, utilizzarono questo termine per auto-definirsi, in una esaltazione nazionale tipica di aree e periodi in cui, nella pianure dell’Asia centrale, il contatto tra clan etno-antropologicamente dissimili era all’ordine del giorno e la possibilità di inglobamento reciproco tra questi clan faceva nascere la necessità di una chiusura auto-identificativa verso l’altro, semplicemente come metro di paragone e di identità interna (non diversamente rispetto all’uso, in questo caso etero-identificativo, del temine “BarBar” da parte degli antichi greci). Paradossalmente e solo a mo’ di provocazione, questo dato di origine ci induce a pensare che se mai dovessimo trovare (e sarebbe comunque una forzatura estrema del termine) una popolazione a cui attribuire oggi, in occidente, il titolo di “razza ariana”, questa sarebbe probabilmente quella, indo-iranica e nomadica, dei “Roma” (cioè di quelli che, comunemente e genericamente, chiamiamo “zingari”), che, in una tragica ironia storica, venne decimata proprio in nome della “purezza razziale ariana” da chi, al contrario, riteneva “ariani” i portatori di caratteristiche somatiche di origine slavo-sarmatica (e perseguitava anche gli “slavi di altri ceppi”…).
Ma, ci si può chiedere oggi, come si è giunti ad un errore tanto marchiano? Come è possibile che storici e antropologi siano arrivati ad una così incredibile deformazione della realtà? La risposta a questa domanda sta in una serie impressionante di incredibili coincidenze, approssimazioni e fraintendimenti culturali.
Nel XIX secolo, dal momento che le più antiche lingue indo-europee conosciute erano di derivazione indo-iranica, si iniziò ad utilizzare il termine “ariano” in forma estensiva, per riferirsi a tutto il ceppo etno-linguistico che includeva Greci, Romani e Germani e, poco più tardi, riconoscendo le chiare affinità radicali dei rispettivi idiomi, anche Baltici, Celti, Slavi e Armeni. Tutti questi popoli, che in effetti derivano da un macro gruppo linguistico oggi chiamato “proto-indo-europeo”, di cui fa parte anche l’iranico, dunque, semplicemente per brevità vennero definiti “ariani”.
Probabilmente il primo ad usare il termine “razza ariana” nel senso oggi ad esso attribuito fu, nel 1861, Max Müller nel suo Lectures on the Science of Language, in cui, compiendo un grave errore, si riferiva agli Ariani non come ad un gruppo linguistico ma come ad una razza, anche se, in numerosi scritti successivi, si corresse, arrivando persino ad affermare: “Devo ripetere ancora una volta che sarebbe erroneo parlare di un sangue ariano esattamente come lo sarebbe parlare di una grammatica dolicocefala…”.
Queste specificazioni erano diventate una necessità a causa dell’insorgere e dello svilupparsi, verso la fine del secolo, della cosiddetta “antropologia razziale”, influenzata dal pensiero di Arthur de Gobineau, che riteneva che gli Indo-Europei rappresentassero un ramo superiore dell’umanità, ma, purtroppo, rimasero inascoltate.
Numerosi scrittori successivi, infatti, cominciarono a sviluppare l’assurda idea dell’esistenza di una razza superiore identificabile in termini biologici. Paradigmatico in questo senso è lo studio dell’antropologo francese Vacher de Lapouge che, nel suo L’Ariano, sosteneva che l’indice cefalico potesse ritenersi un metro valido per la tassonomizzazione delle razze e che, di conseguenza, la tipologia fisica “dolicocefalico-bionda”, tipica del nord Europa, fosse da ritenere superiore e destinata a dominare sulle popolazioni “brachicefale”.
Ben presto la politica si impadronì di queste argomentazioni pseudo-scientifiche e cominciò a costruire un intero castello di congetture tra le quali spiccano per assurdità quelle riguardanti le razze nordiche (che, in realtà, lo si ripete, hanno radici slavo-sarmatiche) come rappresentanti della purezza ariana e quelle, al limite del risibile (non fosse per le conseguenze che portarono), su una presunta origine degli Ariani nell’area germanica e scandinava, portate avanti con particolare convinzione dall’archeologo Gustaf Kossinna, certo che i Proto-Indo-Europei fossero da identificare con le popolazioni del neolitico germanico.
Ovviamente, studiosi di ben maggior spessore contestarono immediatamente queste astruse elucubrazioni: già nel 1885 Rudolf Vierchow e Josef Kollmann dimostrarono, al Congresso della Società Antropologica di Karlsruhe, come ogni europeo fosse necessariamente il prodotto dell’unione di più razze e come l’indice cefalico non avesse nessuna relazione con le capacità psico-fisiche di una popolazione, ma le loro parole caddero largamente inascoltate.
Sia negli ambienti scientifici che, forse ancora più pericolosamente, nell’immaginario popolare, si stava, infatti, sempre più diffondendo l’idea, promossa dal best seller di fine ’800 I fondamenti del diciannovesimo secolo di Houston Stewart Chamberlain, di una superiorità germanica, a dispetto del fatto che personaggi del calibro di Otto Schrader, Rudolph von Jhering e Robert Hartmann proponessero addirittura di bandire la parola “ariano” dall’antropologia.
Certamente l’imperialismo colonialista diede un forte impulso alla diffusione delle idee razziste. Non è un caso, infatti, che proprio nell’Impero Britannico si cominciassero ad elaborare teorie in grado di penetrare nell’immaginario socio-religioso delle caste indiane: in particolare, si tentò di far passare come scientifica l’ipotesi che gli inglesi fossero discendenti di quegli Arii bianchi che avevano invaso e sottomesso le popolazioni Dravidiche di pelle scura, spingendole verso il sud dell’India ed instaurando il sistema delle caste superiori. Sfortunatamente, persino alcuni nazionalisti indiani (forse per mostrare un loro possibile “apparentamento” con i dominatori) accettarono e diffusero queste assurdità.
Probabilmente proprio da questa diffusione di teorie razziste in India attinse il movimento forse più direttamente responsabile delle terrificanti conseguenze che le ideologie pseudo-scientifiche sulla razza ebbero nel XX secolo: il Movimento Teosofico di Helena Blavatsky e Henry Olcott, che, per sua espressa ammissione, traeva ispirazione dalla “cultura della riforma Hindu” (“Arya Samaj”) di Swami Dayananda.
Madame Blavatsky, una sensitiva (o, più probabilmente, una ciarlatana) di origine ucraina (ma operante tra Londra e New York) che ebbe un impressionante seguito tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, era convinta che l’umanità fosse discesa da una serie di sette “razze primigenie”: la quinta razza era, appunto quella degli Ariani, che ella riteneva essere derivata direttamente dagli Atlantidei.
Fin qui potremmo tranquillamente parlare della follia (o della furbizia) di una mente malata (o di un’abile truffatrice). Purtroppo, però, la Blavatsky costruì su questo assunto di base alcuni corollari a dir poco raccapriccianti: ogni razza non-ariana era inferiore alla razza ariana e, soprattutto, le popolazioni semite erano solo una escrescenza spiritualmente corrotta e materializzata degli ariani, prodotta dal mescolamento di questi con popoli sub-umani o beluini. In futuro, ogni razza corrotta sarebbe stata annientata dalla razza superiore, per il ritorno dell’umanità all’età dell’oro… Sebbene molti ammiratori della “sensitiva” abbiano sempre affermato che la Blavatsky non intendesse sviluppare una teoria realmente razzista, purtroppo almeno un suo grande ammiratore e avido lettore dei suoi testi non la pensava così: un giovane austriaco dotato di grandi capacità oratorie di nome Adolf Hitler.
E non era il solo. Guido von List e molti suoi seguaci, come, ad esempio, Lanz von Liebenfels attinsero, poco più tardi, a piene mani alla fonte di Madame Blavatsky, mescolando concetti già al limite del delirio con la crescente ondata ideologica ultra-nazionalista e proto-fascista. Il risultato di questo inedito miscuglio di elucubrazioni prese il nome di Ariosofia e, sebbene poi sconfessato da parte della gerarchia hitleriana, fu certamente uno dei semi da cui germogliò il nazismo.
D’altra parte, la teoria della origine nordica degli Ariani aveva avuto, come ovvio, una grandissima influenza in Germania. Anche a livello popolare l’idea che gli “Ariani Vedici” fossero assimilabili a Goti, Vandali ed altre tribù germaniche era comunissima, così come lo era quella di una popolazione semita ben distinta da quella ariana e causa della distruzione dell’ordine sociale e dei valori culturali germanici. E’ da questo humus culturale che presero spunto le ricerche ariosofiche di Alfred Rosenberg (paradossalmente, a detta di molti, probabilmente etnicamente di origine semita, anche se ciò non è mai stato provato a causa dell’accurata opera di distruzione di documenti personali a cui l’interessato provvide dopo il 1933).
Secondo gli ariosofi come lui, quella ariana era la “razza padrona” che aveva costruito una civiltà che aveva dominato il mondo fin dai tempi di Atlantide. Il declino di tale civiltà aveva avuto inizio dopo l’8000 a.C. con la distruzione di Atlantide e la colonizzazione da parte di razze inferiori che erano riuscite a mescolarsi con gli ariani puri, dei quali, però, rimanevano tracce nel buddhismo tibetano, in Cento e Sud America e in Egitto. Tutte queste idee trovarono sistematizzazione e pseudo-scientifizzazione proprio con Rosemberg, che, nel suo Il Mito del Ventesimo Secolo, tracciò una storia dell’umanità sviluppata a partire da queste deliranti posizioni, ottenendo un notevolissimo successo nella Germania del primo dopoguerra.
Giungiamo così all’uso nazista del termine: “razza ariana”, secondo i futuri teorizzatori ed esecutori della “soluzione finale”, stava ad indicare la razza superiore nord-europea, che doveva essere mantenuta pura attraverso un programma di “eugenetica” (affidato a Rosenberg) che includesse il divieto di matrimoni “misti”, la sterilizzazione (e poi uccisione) dei malati di mente e la ghettizzazione, evacuazione e, dopo la conferenza di Wansee, eliminazione di tutte le razze “inferiori”. Che tutto ciò derivasse, in ultima analisi, dalle idee balvatskiane e ariosofiche è innegabile e provato, tra l’altro, sia dal culto di Himmler, il pianificatore della Shoà, per il Bhagavad Gita vedico che dalle assolutamente inutili ricerche della “Ahnenerbe” sulla cultura tibetana, sulle tracce di prove, ovviamente mai trovate, di un legame tra popoli germanici e una razza che, storicamente, non esistette mai.
Purtroppo, però, come sempre accade quando la cultura cede il passo alla ideologizzazione, i risultati di teorie folli e senza il minimo briciolo di scientificità non potevano che essere le mostruosità dei Vernichtungslager, mostruosità che non dovrebbero più permettere a nessuno l’ignoranza che le generò.


domenica 22 gennaio 2012

Tutti trasformati dalla vittoria di CRISTO

Quando i discepoli di Gesù disputarono su " chi fosse il più grande" era evidente erano molto coinvolti. Ma la reazione di Gesù fu molto semplice: " Se uno vuole essere il primo deve essere l'ultimo di tutti e il servitore di tutti" Queste parole parlano di vittoria, mediante il servizio reciproco, l'aiuto l'incoraggiare l'autostima degli ultimi, dei dimenticati, degli esclusi.
Per tutti i cristiani, la migliore espressione di questo umile servizio è Gesù Cristo, la sua vittoria attraverso la sua morte e resurrezione. E' nella sua vità, nei suoi atti, nei suoi insegnamenti, nella sua sofferenza, morte e resurrezione che vogliamo trovare ispirazione oggi, per una vittoriosa vita di fede, che si esprima nell'impegno sociale, nello spirito di umiltà, nel servizio e nella fedeltà del Vangelo.
E, mentre attendeva la sofferenza e la morte che si avvicinavano, Gesù pregò per i suoi discepoli, perché fossero  " Una cosa sola, così il mondo crederà".
Questa vittoria è possibile soltanto attraverso una trasformazione  spirituale, una conversione. Tale consapevolezza ha motivato la scelta delle parole  dell'Apostolo Paolo alle nazioni quale tema per la settimana di preghiera per quest'anno: " Tutti saranno trasformati dalla vittoria di Gesù Cristo, nostro Signore".
Il traguardo da raggiungere è una vittoria che unisca tutti i cristiani nel servizio a Dio e al prossimo.

=========================================================

SANT'ALFONSO MARIA DE' LIGUORI
Nacque a Marianella (Napoli) il 27 settembre 1696. Ancor giovane fu brillante avvocato. Lasciata la toga si consacrò al servizio di Dio. Fu ordinato sacerdote nel 1726. Fondatore della congregazione del Santissimo Redentore nel 1732. Fu nominato Vescovo  di Sant'Agata dei Goti (1762-1775) . Morì nel 1787. Proclamato santo nel 1839.
Significativa la creazione  delle "Cappelle serotine" , fonte di educazione morale, di risanamento sociale e di aiuto reciproco tra i poveri, attraverso la preghiera e la meditazione della parola di Dio. Le sue opere di morale gli valsero il titolo di dottore della Chiesa . Utilizzò il canto popolare per far conoscere la verità della fede; scrisse e diffuse dei libretti come le Massime Eterne, Le Glorie di Maria, il Gran mezzo della Preghiera, validi ancora oggi. La liturgia lo ricorda il 1 agosto.

Una Rosa al posto dei Becchi

Via della Rosa è il tratto di strada che situato tra via Ghibellina e via dell'Agnolo; è la prosecuzione naturale di via da Verrazzano ed ha rappresentato per la città  un raro e singolare caso di protesta popolare.
Sembra che i primi sintomi di malcontento si siano avuti già nel quattordicesimo secolo: una parte degli abitanti della strada chiese di modificarne il nome, troppo offensivo, ma senza ottenere risposta.
Altri casi di richiesta di variazione del nome della via, sempre per motivi disdicevoli, si registrarono in pieno rinascimento, a cavallo del 500, ma anche in questo caso  le richieste risultarono vane.
Fu solo agli inizi del diciottesimo secolo  che gli abitanti della via presentarono a Palazzo Vecchio una petizione ufficiale e motivata con l'ennesima richiesta di modifica del nome che ritenevano per loro infamante.
Questa volta la richiesta venne finalmente accolta e per solennizzare l'avvenimento fu affissa una targa nella quale si può ancora leggere: "via Rosa, per decreto dei Signori Capitani di Parte, 7 7embre 1730".
Tanta fu la soddisfazione degli abitanti della via e non solo per se stessi ma forse anche per tutti coloro che nei secoli precedenti avevano speravano in quella modifica; tant'é che dal quel giorno il nome della strada fu definitivamente ingentilito in via della Rosa.
Per la cronaca l'antico nome della strada era " Via Dei Becchi".

domenica 8 gennaio 2012

FIRENZE i grandi Nomi del Sedicesimo Secolo

I GRANDI NOMI DEL SEDICESIMO SECOLO
Leonardo, anche se divenne famoso alla corte dei Medici, dove la famiglia gli aveva commissionato dei lavori per portare gloria al loro nome, effettuò le sue prime esperienze artistiche a Firenze, dove rimase fino al 1482, quando lasciò Firenze per Milano, non soddisfatto di rimanere presso i Medici, incapace di conformarsi alla filosofia della corte. Al suo ritorno nel 1500 la città era ancora Repubblicana, ma non per molto tempo (1512). La neo-platonica ideologia vaga ed evasiva era ora stata sostituita dalla concezione empirica del Machiavelli dello Stato moderno. Michelangelo e Raffaello avevano già creato una differente atmosfera artistica a Firenze e, mentre Leonardo fu accolto da Milano, Michelangelo si mosse alla volta del centro artistico di Roma nel 1504.
I grandi Mecenate di questo periodo furono i Papa Clemente VII, Giulio II e Leone X. Raffaello arrivò a Firenze da Urbino lo stesso anno della partenza di Michelangelo da Roma. Vi rimase quattro anni, abbastanza a lungo per lasciare una traccia della sua diversa concezione dell'arte: mezzo che giustifica le sue finalità e adempia alla ricerca della perfezione tecnica e della forma ideale. Questa concezione dell'arte, insieme alla complessa e drammatica eredità lasciata da Michelangelo e all'agitata e raffinata sensibilità di Leonardo, costituiscono la base del Manierismo.
Michelangelo tornò da Roma nel 1516 per progettare la facciata della chiesa di San Lorenzo su richiesta del papa Leone X, della famiglia de' Medici. Questo progetto fu successivamente annullato e rivolto alla Sagrestia della Chiesa per le tombe di Giuliano e Lorenzo de' Medici. Nella stanza principale e nel corridoio della biblioteca Laurenziana, con la dominante scala centrale, che dà l'impressione di un'onda che segue una cascata, sostenuta da un lato dalla balaustra e dall'altro dalla spessa linea degli alti gradini, Michelangelo anticipò le caratteristiche dello stile Barocco, con lo spazio forzato verso l'interno.
A seguito dell'assedio di Firenze da parte degli Spagnoli nel 1529 e la caduta della Repubblica, nel frattempo ristabilita dal Duca Alessandro de' Medici, Michelangelo fu costretto nuovamente a lasciare Firenze. Nel 1534 fu richiamato a Roma per iniziare gli affreschi della Cappella Sistina. Nel frattempo l'aspetto della città di Firenze, fino ad allora composto da vie e palazzi del quindicesimo e sedicesimo secolo, con cortili e giardini interni, cominciò a tendere verso piazze spaziose, dove iniziarono incontri e rappresentazioni teatrali. Giorgio Vasari, pittore, architetto, storico d' arte, trasformò il Palazzo degli Uffizi in un grande corridoio che attraversa la città. Bartolomeo Ammannati, scultore ed architetto, trasformò Palazzo Pitti in un'edificio dalla grande facciata. Bernardo Buontalenti che succedette l'Ammannati come architetto alla Corte della famiglia de'Medici, è un esempio vivace della versatilità della cultura di quel periodo. Questo carattere straordinario fu capace di riconvertire la progettazione urbanistica della città di Livorno, come di progettare i gioielli per la Duchessa o preparare i progetti per il Forte Belvedere.

FIRENZE Capitale e del 900

FIRENZE CAPITALE
Nel 1859 i Lorena lasciarono Firenze. Con la seconda guerra di indipendenza,la Toscana si unì al Regno dei Savoia nell'Italia unificata, e Firenze divenne capitale per 5 anni, dal 1865 al 1870. Il centro storico urbano subì un complesso rinnovamento, che distrusse completamente il mercato vecchio ed il quartiere ebreo, vicino a Piazza della Repubblica. La Piazza rappresenta la distruzione di mille anni di stratificazione urbanistica, sostituiti da una disposizione geometrica anonima delle costruzioni, con alcuni monumenti lasciati intatti che emergono senza il collegamento con le costruzioni intorno loro.
FIRENZE NEL '900
Durante questo secolo, Firenze ha sofferto un processo di degradazione. La vecchia struttura non riusciva più a far fronte alle richieste della moderna vita urbana e la causa stava principalmente nel fatto che il nuovo contesto non era mai riuscito a raggiungere un equilibrio organico.
Con il progetto di Giuseppe Poggi per Firenze capitale d'Italia (1864-1870) - che provocò la demolizione delle Mura della città per la costruzione dei Viali di circonvallazione, la creazione del Viale dei Colli e Piazzale Michelangelo e lo sviluppo iniziale di nuovi quartieri residenziali sia all'interno dei Viali (il distretto della Mattonaia intorno a Piazza Indipendenza, il distretto di Maglio intorno a Piazza d'Azeglio) che all'esterno (Savonarola, San Jacopino, Piagentina) - e con la demolizione del centro urbano intorno al vecchio mercato (1885-1889) per la creazione della grande Piazza Vittorio Emanuele II (ora Piazza della Repubblica) e le costruzioni di edifici adibiti pricipalmente ad uso ufficio, cominciò la terziarizzazione del centro urbano, nei primi decenni del ventesimo secolo. In conformità con lo schema urbano di pianificazione di Poggi, la città si espanse velocemente fino ai colli vicini - via Vittorio Emanuele II all'ovest, Viale Volta all'est e Oltrarno lungo via Pisana oltre il Pignone, dove la fonderia ha rappresentato il primo nucleo industriale insieme agli alloggi degli operai.
Fino alla prima guerra mondiale, i problemi della città si accumularono senza un sostanziale intervento da parte dell'Autorità pubblica. Ad un livello sociale, il movimento operaio si sviluppò a difesa di una classe che viveva grandi difficoltà.
Fra il 1890 e il 1915, la popolazione crebbe fino a cinquanta mila. Fra il 1905 e il 1913, furono costruite 36.652 stanze e circa 2.000 dimore di basso-affitto. Le file di case a due piani delle Classi Medie erano conosciute come "trenini" e andavano da Ricorboli a San Gervasio, dalla valle del Mugnone a San Jacopino e Rifredi, provocando una versione in qualche modo provinciale della moderna architettura europea che, tuttavia, ora compare come non priva di qualità per bellezza e dignità soprattutto rispetto alle costruzioni di oggi.
Il carattere delle nuove zone residenziali della Classe Media emerge da questo passaggio da Aldo Palazzeschi: "Due mesi dopo, mi trovai nella parte opposta della città dove erano - ed ancora sono - i nuovi quartieri di Firenze alla Barriera delle Cure, conosciuto ai Fiorentini semplicemente come alle Cure. Qui il terreno coltivabile solo recentemente ha cominciato ad essere battuto, violato, sparso ed invaso dalle nuove costruzioni. Addio ai grandi e austeri palazzi signorili, all'architettura severa e magnifica, ai tetti a mensola, capitelli e cornici. Un'altra vita, un'altra luce, un'aria differente.

FIRENZE il periodo dei Lorena

IL PERIODO DEI LORENA
Dopo la morte del Grandduca Gian Gastone, l'ultimo Medici, i paesi europei più importanti riuniti a Vienna decisero di dare la Toscana al duca Francesco I di Lorena, dinastia Francese-Austriaco. Fu succeduto da Pietro Leopoldo I, Ferdinando II, Ferdinando III ed infine da Leopoldo II.
Mentre l'arrivo della famiglia dei Lorena a Firenze fece rivivere l'economia della città, purtroppo accentuò la mentalità provinciale che ha impedito a Firenze di partecipare all'espansione culturale internazionale e le conseguenze per la città si sono viste per lungo tempo. Nonostante questo le tecniche dell'Ammannati e del Buontalenti influenzarono notevolmente l'architettura ed i segni si vedono negli impianti di Pierfrancesco Silvani, Foggini e, alla fine del diciottesimo secolo, Ruggieri. Alla metà del secolo 18°, quando la cultura internazionale era di nuovo più aperta alla discussione, i Lorena chiesero al francese Jadot di venire a Firenze per imprimere un tocco neoclassico. Il Neo-classicismo a Firenze ha un forte sapore storico, di buon gusto ed eleganza, che si ritrovano nel piccolo palazzo della Meridiana a Boboli o nella stanza bianca di Palazzo Pitti, tra gli altri.
Nel frattempo si ebbe una ripresa dell'economia, testimoniata dalla lunghezza della via Larga, due nuovi ponti furono costruiti e le strade lungo l'Arno furono estese oltre le Mura della città, mentre i quartieri poveri aumentarono le costruzioni. Quando Leopoldo II di Lorena riguadagnò il controllo della città, aiutato dalle truppe austriache, in un atmosfera di crisi sociale imminente e di scoppio di guerra di classe, gli ideali della bellezza e dell'eleganza del period neoclassico furono sostituiti dalla teoria dell'Illuminismo, che tornava alla natura ed alla libertà della specie umana. Il crescente contrasto fra l'espansione dei nuovi quartieri residenziali vicino alle Mura della città ed l'inquietante aumento continuo del numero di persone che abitavano i quartieri più poveri, fu la causa principale della guerra sociale, mentre la nascita dell'economia industriale dava risalto al problema delle condizioni delle classi lavoratrici

FIRENZE il declino dei Medici

IL DECLINO DEI MEDICI
Ferdinando I (1587-1609) continuò la politica del padre, riuscendo a rinforzare il Granducato grazie al raggiungimento di un difficile equilibrio fra Francia e Spagna. I segni del decadimento diventatono più evidenti sotto il governo dei due figli di Ferdinando I e accelerarono nel diciassettesimo secolo. Firenze era ancora una grande città, ma il suo territorio era piccolo e non poteva competere con gli Stati potenti e centralizzati. Anche la situazione economica era cambiato profondamente. Il commercio e la manifattura erano in declino e, almeno fino alla fine del sedicesimo secolo, solo le operazioni bancarie venivano effettuate a livello europeo, e dopo neanche quelle.
Ferdinando I fu succeduto da Ferdinando II (1609-1621) che morì lasciando il Governo nella mani della moglie Maria Maddalena d'Austria e della madre Cristina di Lorena. Nel 1628, quando terminò il periodo della reggenza, Ferdinando II salì sul trono e regnò fino al 1670. Anche se era reputato essere fra i migliori della Dinastia dei Medici, no potè fare niente per arrestare il declino inesorabile di Firenze e della Toscana dei Granduca. Né poterono niente i suoi successori, Cosimo III (1670-1723) e l'ultimo della dinastia dei Medici, GianGastone, che morì senza eredi nel 1737. Nondimeno, per quanto la cultura, la città, ormai condannata ad un ruolo provinciale, ancora vivesse una certa vitalità, espressa nel campo della musica e nel fenomeno delle Accademie. Dagli ultimi anni del sedicesimo secolo e durante il diciassettesimo secolo nacquero molte Accademie dedicate alla letteratura pura. L'Accademia della Crusca, il cui principale lavoro era la compilazione del dizionario, del quale uscì una prima edizione nel 1612, fu fondata nel 1582. Di grande importanza per le scienze fu l'attività dell'Accademia del Cimento, fondata da Leopoldo il de'Medici nel 1657 e continuata dal fratello, il regnante Ferdinando II. Entrambi ebbero come pupillo Galileo, l'unico uomo geniale che il Granducato produsse nel diciassettesimo secolo.

FIRENZE il sedicesimo secolo

IL SEDICESIMO SECOLO
Lorenzo il magnifico seppe imporre il suo potere personale, senza rovesciare le istituzioni repubblicane. Ma alla sua morte nel 1492, passarono solo alcuni anni che il figlio che lo succedette, Pietro lo sfortunato, riuscì a demolire la meravigliosa struttura di potere dei Medici. La politica codarda di Pietro, in merito all'invasione di Carlo VIII, costrinse la città ad eliminare la Signoria e ristabilire in pieno il regime repubblicano. Ma la gente si divise fra coloro che parteggiavano i Medici e la massa dei cittadini, infiammati dai sermoni di Girolamo Savonarola, che volevano riformare il governo, imponendo un nuovo regime dove ruolo importante fosse assunto da un "Gran Consiglio" che riunisse i membri delle famiglie principali. Ma non passò molto tempo che i Medici ed i loro sostenitori fecero ritorno, grazie al fatto che Savonarola fu stato giudicato un eretico e bruciato al palo nella Piazza della Signoria, il 23 maggio 1498, per ordine di Papa Alessandro VI. Fu il periodo in cui Michelangelo creò la sua famosa statua del David, messa di fronte al Palazzo della Signoria come guardiano della libertà dei Fiorentini. In seguito la città si trovò di nuovo sotto la Signoria dei Medici, col benestare del Papa, alleato del re di Aragona, la cui parola era legge in Italia, dopo la partenza del re di Francia. L'elezione al Trono papal, prima di Giovanni de' Medici, nel 1512, e poi di Giulio (Clemente VII) rinforzarono ancora di più la Signoria dei Medici. Ma quando arrivarono le notizie del sacco di Roma nel 1527, i fiorentini si ribellarono e cacciarono ancora una volta i Medici, affermando la loro libertà. Fu l'ultimo tentativo disperato di reintegrare il governo repubblicano. Il 12 agosto 1530, dopo un assedio di undici mesi, gli eserciti dell'imperatore e del papa insieme entrarono a Firenze, e l'anno seguente, per concessione imperiale, Alessandro de' Medici fu dichiarato "capo del Governo e dello Stato". Il nuovo signore, che dopo una successiva risoluzione fu chiamato "Duca della Repubblica fiorentina", installò una tirannia, con nuove istituzioni tutte sotto il suo controllo, e iniziò una politica di alleanze straniere con le famiglie reali più importanti d'Europa, sposando una figlia naturale dell'Imperatore Carlo V e dando sua sorella Caterina in sposa al secondo figlio di Francesco I.
Gli avversari dei Medici, comandati da Filippo Strozzi, provarono inutilmente a capovolgere il governo del duca Alessandro. Rimase infruttuoso anche il gesto di Lorenzino de' Medici che assassinò Alessandro nel 1537. L'unico successore possibile era Cosimo il Giovane, figlio di Giovanni delle Bande Nere, un ramo più giovane della famiglia, poiché il ramo di Cosimo il Vecchio era estinto. A diciassette anni il nuovo Duca riuscì a guadagnarsi il rispetto e gradualmente installò un regime autocratico. Nel corso della sua vita riuscì a schiacciare le fazioni avversarie ed a rinforzare lo Stato, sottomettendo Siena alla dominio fiorentino nel 1555. Ottenne un titolo sovrano dal Papa e dal 5 marzo 1570 fu incoronato Granduca della Toscana da Pio V. Quando morì nel 1574, lasciò il Governo nelle mani del figlio Francesco che regnò fino al 1587, quando fu succeduto dal fratello Ferdinando I (1587-1609).

FIRENZE il Rinascimento

IL RINASCIMENTO
Quando il potere tornò al popolo grasso alla fine del quattordicesimo secolo, un regime oligarchici fu stabilito a Firenze e un piccolo numero della classe media mercantile governò la città per circa 40 anni. Seguì comunque una forte opposizione all'oligarchia, essa fu capace di sfruttare abilmente il malcontento popolare. Quella parte della Classe Media che era stata esclusa dalla spartizione del potere, si unì alla popolazione e trovò un leader in Giovanni de' Medici, direttore dell'azienda più ricca e più potente di Calimala. Dopo la morte di Giovanni (1429) si accentuò il contrasto fra le fazioni, mentre continuò a crescere la corrente dell'opinione favorevole ai Medici. Il primogenito di Giovanni, era signore della città, anche se cercava di non mostrarlo palesemente, con un ruolo intatto nelle vecchie istituzioni repubblicane, ma svuotato di tutto il potere reale. Morì nel 1464, e fu seguito dal mediocre Piero il Gottoso (1464-1469), il cui figlio, Lorenzo il magnifico, doveva continuare la politica di dissimulazione dell'antenato fin quasi alla conclusione del secolo: effettuava gli uffici tradizionali, ma era in realtà, e senza dubbi o, il Signore di Firenze, a tutti gli effetti.
Durante gli anni in cui l'oligarchia mercantile governò Firenze, e nel periodo antecedente la Signoria dei Medici, i contatti sempre più frequenti con gli esempi dell'antichità greca e romana provocarono un nuovo spirito e la città si transformò nel centro in cui l'Umanesimo è stato fondato. L'uomo ha iniziato a considersi l'ultimo fine, impaziente di imporre conoscenza razionale e affermazione del dominio sopra la natura che lo circonda e la storia che lo precede. La cultura letteraria, le scienze, le arti e le attività umane vengono messi in primo piano. Questo è il periodo dorato dell'intelletto e della cultura in Europa. Per esempio Filippo Brunelleschi; fra il 1420 e il 1446 creò un gruppo di lavoro che rappresentò uno dei più importanti momenti della storia dell'architettura fiorentina e dell'urbanistica. È grazie prima di tutto a Brunelleschi e poi agli altri esponenti della cultura architettonica dei primi del 15° secolo che Firenze diventò la "città del Rinascimento", idealizzata dagli Umanisti. Un numero incredibile di personaggi artistici parteciparono alla vita artistica di Firenze e contribuirono a costruire l'immagine della città rinascimentale, fra questi: Donatello, Masaccio, Filippo Lippi, Domenico Ghirlandaio, Sandro Botticelli, Beato Angelico, Michelozzo, Giuliano da Sangallo e Benedetto da Maiano, e sono solo alcuni nomi.....

FIRENZE dal quarto secolo al rinascimento

DAL QUARTO SECOLO AL RINASCIMENTO
Verso la fine del tredicesimo secolo e nel quattordicesimo secolo si accentuarono i contrasti fra il popolo minuto e le classi più basse e la Classe dei ricchi commercianti. Gli ultimi riuscirono in una presa costante del potere, ma nel quattordicesimo secolo il popolo minuto provò diverse volte ad estendere la base democratica del governo, aumentando la partecipazione delle Arti minori al governo. Nel 1378, sotto l'impulso di un movimento mosso dal proletariato, il popolo grasso popolo fu obbligato ad accettare una riforma istituzionale che prevedeva la costituzione di nuove cooperative; Tintori, Farsettai, Corsettieri e Ciompi, corrispondenti alle attività più umili ed ai lavoratori. Per via dei divergenti interessi interni e all'incapacità di governare, queste cooperative non potevano sostenere la reazione delle Classi Medie mercantili, che presto riassunsero per l'ennesima volta il potere.
La rivalità fra due famiglie nobili provocarono molto dissenso e condussero alla formazione di due gruppi antagonisti, conosciute come Neri e Bianchi. I primi erano generalmente esponenti dei nuovi venuti, che avevano realizzato facili profitti ed erano raggruppati assieme ai rappresentanti delle vecchie Classi dei nobili e dei Guelfi più intransigenti. I due partiti si alternarono al Priorato, nell'ultima decade del tredicesimo secolo, ma il conflitto si intensificò. I Priori forzarono all'esilio le teste delle due fazioni e la situazione precipitò. I Neri invocarono l'intervento del Papa che mandò come mediatore Carlo di Valona, fratello di Filippo il Bello, re di Francia. Egli favorì apertamente i Neri e chiese perfino i capi dei Bianchi, che furono arrestati e forzati all'esilio, fra questi c'era Dante Alighieri.
Oltre queste lotte interne, la città dovette sostenere la difficoltà onerosa delle guerre contro le potenti Signorias Ghibelline dei Visconti e degli Scaligeri, uniti da Pisani e Lucchesi. Due sconfitte serie, una nel 1315 e l'altra nei dieci anni successivi, indussero Firenze a chiedere, in primo luogo, la protezione delle truppe di Angioline e a disporsi sotto il dominio diretto di Carlo, duca di Calabria, della casa dell'Angiò. La morte del duca nel 1327 ristabilì un'inattesa libertà al comune fiorentino. Ma non finì qui. Un nuovo tentativo di conquistare Pisa e Lucca fallì miseramente. I Fiorentini, sconfitti dalle forze dei Ghibellini, sotto la direzione del signore di Verona, Martino della Scala, nel 1339, furono costretto di nuovo a chiedere aiuto al re Roberto. Questo provocò una breve tirannia fino a che la gente, stanca della violenza e degli abusi di potere, buttarono fuori i tiranni e ristabilirono le libertà civiche.
Durante il quattordicesimo secolo, la disputa e le guerre interne si aggravarono per le carestie e le epidemie, specialmente la peste nera del 1348, che aggravarono una situazione che era già rischiosa. Ulteriori danni furono causati dalla disastrosa alluvione, del 1333, che spazzò via tutti i ponticelli sopra l'Arno tranne il Rubaconte. Il quattordicesimo secolo fu quindi un secolo di crisi politica ed economica, un periodo decisivo comune a tutte le economie occidentali. La crisi inoltre si riflesse nell'attività architettonica della città che proseguì ad un passo molto più lento rispetto a prima. L'attività di costruzione fu diretta, in primo luogo, alla rifinitura delle grandi costruzioni iniziate alla fine del tredicesimo secolo (le Mura, la cattedrale, il Palazzo della Signoria, i grandi complessi monastici) e nella ricostruzione dei ponti che erano stati distrutti. Il primo, fra il 1334 e il 1337, fu il Ponte alla Carraia, sembra su disegno da Giotto. Le ricostruzioni degli altri ponti, a partire dal Ponte Vecchio, si basarono su questo progetto. Il Ponte Vecchio fu costruito da Taddeo Gaddi, con tre archi draganti, con una strada molto più ampia. Dopo l'impressionante espansione del tredicesimo secolo, la città cominciò a definirsi e ad avere una politica reale di urbanistica, per fornire alle costruzioni un certo grado di ordine e di regolarità. Durante il quattordicesimo secolo fu fatto uno sforzo dietro l'altro per estendere le vie o modificare i loro itinerari e buttare giù le costruzioni traballanti o quelle con le strutture che impedivano il traffico. I primi obblighi del comune furono naturalmente la riorganizzazione delle Piazze della città, Piazza della Signoria e Piazza del Duomo e delle vie principali. Le costruzioni di quel periodo hanno un facciata con i blocchi di pietraforte, almeno nella parte inferiore e una serie di archi regolari al piano terra. Il tipico arco "fiorentino" è un arco alto, rotondo, con piani entranti e strati lievemente accentuati.

FIRENZE Guelfi e Ghibellini

GUELFI E GHIBELLINI
Il periodo di pace che seguì l'installazione del governo sotto un podestà non durò a lungo. Il 1216 segna l'inizio degli scontri che afflissero la società fiorentina per l'intero secolo, dividendo i cittadini fra Guelfi e Ghibellini. Nel 1244 i nobili Ghibellini, che erano al potere, decisero di estendere la base sociale del governo, in modo da ottenere il favore del Classe media mercantile. Fu il preludio del periodo che doveva essere conosciuto come "Primo Popolo". Solo alcuni anni più tardi, nel 1250, commercianti e artigiani riuscirono a usurpare il potere dei nobili Ghibellini e ad iniziare una nuova Era politica.
Il militum Societas fu abolito, nelle speranze di calmare l'arroganza dei nobili ed impedire il loro ritorno al potere. Così tutte le torrette dovettero essere ridotte ad un'altezza di 29 metri. Era l'inizio di un altro periodo di pace e prosperità, dove si affermò il potere economico e finanziario della città. La prova di questa eccezionale espansione economica fu la coniatura, nel 1252, del Fiorino d'oro, che si aggiunse al Fiorino d'argento, coniato fin dal 1235. Durante il periodo "del Primo Popolo" crebbe la popolazione della città e si svilupparono nuove costruzioni pubbliche. Nel 1255 iniziò la costruzione di quello che doveva essere il Palazzo del Popolo, oggi Bargello, eretto per alloggiare i Consigli del comune. Con la sua forma imponente e la merlatura di torrette superò tutte le altre torrette della città. Era l'espressione dell'architettura della nuova Era politica.
Alla battaglia di Montaperti, però, nel 1260, i Fiorentini furono sconfitti dai Senesi, e questi iniziarono a cancellare tutto quello che la Classe media mercantile aveva costruito politicamente. Quando i Ghibellini ripresero il potere e ristabilirono le vecchie istituzioni, decretarono la distruzione dei palazzi e delle torrette e delle case di proprietà degli esponenti principali del partito dei Guelfi nella città e nei dintorni. La città fu coperta di pietriccio, e 103 palazzi, 580 case e 85 torrette furono completamente demoliti, altrettanti edifici furono danneggiati. Per sei anni Firenze fu costretta a subire gli oltraggi dei Ghibellini e sarebbe stata distrutta se non fosse stato per la difesa impavida di Farinata degli Uberti alla convenzione di Empoli. I Ghibellini, che temevano il potere della gente furono costretti ad accettare che il Papa Clemente IV facesse da mediatore di pace fra le opposte fazioni. Il Papa favorì apertamente la fazione dei Guelfi, che riuscirono così a riconquistare il potere e a reintrodurre le istituzioni politiche abrogate dai Ghibellini.
Nel frattempo, due nuovi partiti cominciarono a ricevere consenso fra la gente: i "Magnati" o imprenditori (persone i cui gli obiettivi furono ritenuti pericolosi per la popolazione nel suo insieme, in altre parole per i nobili Guelfi e i rimpatriati Ghibellini, principalmente grandi proprietari di case e terre) e i "Popolani" o operai (commercianti ed artigiani organizzati nelle cooperative ed alternativamente divisi nei "grassi" e nei "minuti", secondo l'ampiezza dei loro interessi economici). Nel 1293, il processo storico cominciato nel dodicesimo secolo doveva raggiungere la relativa conclusione naturale - ai Magnati fu proibito di partecipare alla vita politica della città. Nell'ultima parte del tredicesimo secolo Firenze raggiunse lo zenith del suo sviluppo economico e demografico. In questo periodo furono fatte grandi opere nei campi dell'architettura e dell'urbanistica, e questo fu reso possibile dalla formidabile accumulazione di capitale derivata dall'espansione delle attività commerciali e finanziarie. La popolazione continuava ad aumentare, e nuove Mura erano necessarie. Così, nel 1282, fu progettata una cinghia lunga 8.500 metri, che includeva una superficie di 430 ettari, cinque volte quella dell'area urbana precedente. Questo sesto ed ultimo cerchio di Mura, furono l'impegno finanziario più grande mai intrapreso dal Comune fiorentino. Per questo motivo il lavoro procedette molto lentamente, fu interrotto più di una volta a causa della guerra e non finito fino al 1333. Gran parte delle Mura furono demolite nel diciannovesimo secolo e soltanto alcuni tratti, Oltrarno e le Porte principali ancora esistono.
Alla fine del tredicesimo secolo Firenze poteva giustamente considerarsi la città principale dell'Occidente. Gli imprenditori allora al potere, decisero di costruire due edifici che simboleggiassero la ricchezza e il potere della città: la nuova cattedrale ed il Palazzo della Signoria. Arnolfo di Cambio fu l'eccezionale figura che progettò entrambe le costruzioni, come pure tutti gli altri lavori importanti promossi dal governo delle cooperative, compreso le nuove Mura. Nel 1296 cominciò la ricostruzione della vecchia cattedrale di Santa Reparata. La nuova costruzione, non più dedicata al Santo palestinese, ma alla Madonna, subì diversi cambiamenti nella grandezza e nella forma, nel corso della costruzione che durò quasi un secolo. Il progetto dell'Arnolfo fu mantenuto basicamente. La costruzione della grande chiesa franciscana di Santa Croce è, anch'essa, attribuita all'Arnolfo di Cambio e rappresenta uno dei monumenti più prestigiosi eretti alla fine del tredicesimo secolo.
Quando la città e la campagna furono organizzate in distretti, nel 1292 e la costruzione di nuove Mura della città cominciarono, una nuova serie di misure urbane fu intrapresa. Le numerose torrette furono fiancheggiate da palazzi che i commercianti della Classe Media dei Mercanti costruirono come simbolo e segno visibile della loro ricchezza e del loro potere.

FIRENZE il tredicesimo secolo

IL TREDICESIMO SECOLO
La velocità con cui le nuove Mura furono costruite è un segno della prosperità che regnava a Firenze. La città si era transformata nel centro principale della Toscana, con una popolazione di circa 30.000 abitanti, in continua crescista grazie all'arrivo di migranti dalla campagna. Il Comune iniziò così un periodo di pace, durante il quale la situazione economica della città continuò a crescere. I commercianti avevano cominciato ad organizzarsi in associazioni corporative (dei Mercanti di Arte) dal 1182, sull'esempio della società dei cavalieri, che si moltiplicarono e si diffusero oltre i limiti della regione. Intorno alla fine del secolo Firenze era diventata un centro economico internazionale, con operatori nelle fiere principali dell'occidente. Lo sviluppo dell'economia arrivò ad un punto così alto in pochi anni che le associazioni si moltiplicarono fra le altre categorie di commercianti e di artigiani. La città ancora conserva alcune delle costruzioni che furono le sedi delle corporazioni. Generalmente sono costruzioni che risalgono al quattordicesimo secolo, come la sede della corporazione della lana, costruita nel 1308, ristrutturando una torretta esistente.
L'aumento urbanistico e demografico della città, quest'ultimo dovuto non ad un incremento naturale ma alla crescente migrazione dalla campagna, furono alla base di questa espansione economica. I migranti, membri di una classe media rurale, formata in conseguenza allo sviluppo economico generale, risiedevano nei distretti della città vicini alla campagna da cui erano venuti. Questo spiega perchè l'Oltrarno, su cui gli abitanti delle campagne a sud di Firenze, convertirono, aumentò enormemente e fu costruito un nuovo ponte in legno su pilastri di pietra nel 1128 e nel 1237 un terzo ponte fu costruito a monte. Questo ponte, completamente in pietra, fu costruito sul punto più largo dell'Arno e chiamato Ponte alle Grazie, dopo la costruzione della piccola chiesa su uno dei pilastri, a metà quattordicesimo secolo. I bisogni pressanti del commercio e dello scambio fra le città e l'espansione urbana vissuta, condussero alla costruzione nel 1952 di un altro ponte attraverso l'Arno: il Ponte Santa Trinita. I quattro ponti risposero alle esigenze della città fino al diciannovesimo secolo.
I nuovi ordini religiosi (francescano, domenicano, augustiniano, Carmelitano) svolsero un ruolo principale nell'ultima riorganizzazione della città medioevale. I Dominicani, che si erano stabiliti a Firenze nel 1221 nella piccola chiesa Santa Maria delle Vigne, ingrandirono per la prima volta il loro monastero nel 1246 e poi nel 1278 cominciarono a costruirne la struttura attuale. La prima chiesa dei Francescani, dedicata alla Santa Croce, da cui il nome della Chiesa, data il secondo quarto del tredicesimo secolo enel 1295 fu ricostruita come la vediamo oggi. E la stessa cosa è accaduto con gli Agostiniani di Santo Spirito, che si stabilirono nel cuore dell'Oltrarno nel 1259, e poi ingrandirono la Chiesa nel 1296. Oltre che la ristrutturazione delle chiese precedenti, i nuovi organi religiosi crearono grandi conventi, pieni dei chiostri e stanze di studio e lavoro; organizzarono la vita comunitaria della popolazione urbana, ebbero un ruolo politico e culturale, oltreché religioso.
Assieme alla nuova cattedrale di Santa Maria del Fiore, la cui costruzione cominciò nel 1294, le grandi chiese erette dagli ordini religiosi nelle ultime decadi del tredicesimo secolo hanno costituito gli esempi più importanti di architettura religiosa gotica a Firenze.

FIRENZE il periodo dei Comuni

IL PERIODO DEI "COMUNI"
Quando la Contessa Matilda morì nel 1115, il popolo fiorentino aveva già costituito, a tutti gli effetti un Comune. I numerosi privilegi da lei concessi e gli eventi nei quali la Comunità fiorentina aveva svolto un ruolo principale nella lotta contro l'imperatore, avevano indotto la gente ad organizzarsi autonomamente e intraprendere l'azione puntando ad indebolire il potere imperiale. Fu quindi inevitabile che nel 1125, alla morte dell'ultimo imperatore della dinastia franconiana, Enrico V, i Fiorentini decisero di attacare e distruggere Fiesole, la vicina città rivale. Alla fine le due contee furono unite e rimaste entità separate soltanto a livello ecclesiastico, con Fiesole che ha mantenuto la sua diocesi.
La prima menzione di un Comune ufficialmente costituito data 1138, quando ad una riunione delle città toscane fu deciso di costituire una lega, per timore che Enrico il fiero, che li aveva precedentemente oppressi, fosse eletto Imperatore. A quel tempo la Comunità aveva dei rappresentanti religiosi e secolari, con tre gruppi sociali dominanti: i nobili, raggruppati in consorterie, i commercianti ed i soldati a cavallo, la base dell'esercito. Anche se i nobili detenevano la maggior parte del potere, nel dodicesimo secolo, furono i commercianti i principali autori dello sviluppo della città. L'aumento dei commercianti nella seconda metà del secolo, così come il commercio con i paesi distanti si intensificò e si transformò in una nuova e molto più ricca fonte di accumulazione di capitale. L'esteso commercio ed l'inseparabile compagno, il credito, furono la base dell'espansione economica e demografica della città.
Questo processo di espansione subì uno stop provvisorio quando Federico Barbarossa avanzò verso il sud dell'Italia. Nel 1185 l'imperatore privò la città del contado e ristabilì il marchesato della Toscana, ma la misura ebbe vita breve. Nel 1197, approfittando della morte del successore del Barbarossa, Enrico VI, riguadagnò il controllo di Firenze.
La testimonianza dell'acquisizione di potere di Firenze, nel corso del dodicesimo secolo, si trova nell'espansione del territorio urbano. Intorno al cerchio di Mura costruite da Matilda si erano formati, in corrispondenza delle Porte, sobborghi popolati. Nel 1172 il Comune decise quindi di allargare le Mura della città ed incorporare i nuovi distretti. Il perimetro delle nuove Mura della città, sollevato a mala pena due anni prima, nel 1173-1175 era due volte quello "del vecchio cerchio" ed incluse una zona che era tre volte grande. I sobborghi "di là d'Arno" non furono compresi, se non in seguito, anche se una piccola parte dell'"Oltrarno" furono incluse nelle Mura fin dal 1173-1175. Per conseguenza l'Arno si transformò in un'infrastruttura all'interno della città: itinerario di comunicazioni, fonte di energia e rifornimento idrico per le industrie.
Nel dodicesimo secolo il tetto del cielo della città fu costellato da numerose torrette: nel 1180, secondo i documenti, erano trentacinque, ma ce n'erano certamente molte di più. Successivamente le torrette sono state usate come case, ma nel dodicesimo secolo ancora servivano per scopi militari. Sempre nel 12° secolo nacque "La società della torretta", associazione che riuniva i proprietari di varie torrette permettendo loro di controllare una parte della città. Un numero considerevole di piccole e grandi chiese inoltre furono edificate. In due secoli il numero di chiese a Firenze fu triplicato, di modo che all'inizio del tredicesimo secolo la città si aveva qualcosa come 48 chiese (12 priorati e 36 parrocchie).

FIRENZE il Primo Medioevo

PRIMO MEDIOEVO
Intorno alla metà dell'undicesimo secolo la posizione di Firenze in Toscana divennne ancora più importante perché Lucca non era più la sede del marchesato e perché Firenze partecipò attivamente e in modo decisivo al movimento per la riforma della chiesa. La lotta per eliminare l'interferenza secolare negli affari ecclesiastici e l'affermazione dell'indipendenza del papato dall'influenza imperiale aveva come rappresentante principale San Giovanni Gualberto, figlio di un cavaliere fiorentino, che fondò l'ordine di Vallombrosa.
Firenze ospitò persino un Concilio nel 1055, sotto il Papa Vittorio II, con la presenza dell'Imperatore Enrico III e la partecipazione di 120 Vescovi. Molte vecchie strutture sono state ricostruite durante la seconda metà dell'undicesimo secolo, tra questi la cattedrale di Santa Reparata, il Battistero e San Lorenzo. Il 6 novembre 1059, il Vescovo Gerardo, che divenne Papa con lo pseudonimo di Nicola II, reconsacrà l'antica chiesa battesimale della città che era stata ricostruita nell'odierna forma imponente. La costruzione, ottagonale nel piano, con un asse semicircolare su un lato e tre entrate, sembra essere coperta da una cupola ad arco puntato, divisa in otto settori e la parte esterna che non era ancora stata revestita del fine marmo.
Dopo la morte della madre e di suo marito (Goffredo il barbuto), Matilda, figlia della Contessa Beatrice, divenne la sola Contessa della Toscana. Aveva sempre aderito alle idee della riforma e della politica di San Giovanni Gualberto e durante la lotta per le investiture dette il suo supporto al più influente dei reformatori, Hildebrando di Sovana che successivamente divenne Papa Gregorio VII, trovandosi, così, a contrasto aperto con l'imperatore Enrico IV. Dopo l'episodio di Canossa, la vittoria di Enrico IV nel 1081 portò alla deposizione ufficiale della Contessa, abbandonata da tutte le città toscane tranne Firenze. Questo fedeltà alla deposta Contessa costò alla città un assedio imperiale nel luglio 1082, che fallì. Lo speciale attaccamento di Matilda a Firenze e la conseguente rottura con l'Imperatore condusse alla costruzione, nel 1078, di un sistema più efficiente di difesa e la città è stata fornita di nuove Mura - quelle che Dante chiama "la cerchia antica". Questo quarto cerchio di Mura, per la maggior parte seguì le linee delle pareti del Periodo Carolingio, ma incluse a nord il Battistero, la cattedrale di Santa Reparata e la residenza della Contessa. In questo periodo la città fu divisa nei quartiere che presero i nomi dalle quattro porte principali: Porta San Piero ad est, la cosiddetta "Porta del vescovo" a nord, Porta San Pancrazio ad ovest e Porta Santa Maria a sud.
Come tutte le prime città medioevali, il piano urbanistico dell'undicesimo secolo di Firenze fu caratterizzato non soltanto dal recupero dell'antica struttura urbana (Mura e vari resti delle strade) ma da un omogeneizzazione di base, espresso con una distribuzione casuale di diversi confini, fra cui importanti costruzioni religiose.

FIRENZE il periodo Carolingio

IL PERIODO CAROLINGIO

Nel periodo Carolingio, ottavo secolo, fu instaurato un sistema feudale e Firenze si transformò in una contea del Sacro Impero Romano. Le testimonianze parlano di una rinascita della città nel periodo Carolingio: nel nono secolo nacque una scuola pubblica ecclesiastica ed il ponte sopra l'Arno, che precedentemente era stato distrutto, venne ricostruito.
Alla fine del secolo nuove Mura per la città vennero costruite, probabilmente per timore delle invasioni ungheresi. Questo terzo cerchio seguì parzialmente la linea delle vecchie Mura romane, allargando a sud per includere i sobborghi che si erano sviluppati con prosperità, mentre a nord, per motivi politici, furono esclusi il Battistero, Santa Reparata, il Palazzo del vescovo, e l'adiacente Palazzo Regio dove il rappresentante dell'Imperatore teneva la sua Corte di Giustizia.
Verso la fine del decimo secolo, la Contessa Willa, vedova del Marchese della Toscana, che possedeva un intero distretto all'interno delle Mura, fondò un'abbazia benedettina, a cui donò anche molti soldi, alla memoria del marito. Questa fu chiamata "Badia Fiorentina". Il figlio della Contessa Willa, Hugo, contribuì notevolmente allo sviluppo di Firenze e alla decisione di lasciare Lucca. La scelta di Firenze come dimora ne rinforzò, infatti, il carattere amministrativo.

FIRENZE (i Bizantini e il periodo Lombardo)

I BIZANTINI E IL PERIODO LOMBARDO
Le invasioni barbariche hanno seriamente messo in difficoltà la città di Firenze. Nel 405, la città è riuscita a fermare le orde di Radagasio, ma successivamente non riuscì ad evitare di essere coinvolta nella disastrosa guerra fra Goti e Bizantini. La relativa posizione strategica come testa di ponte sull'Arno e nell'itinerario di comunicazione fra Roma e la Padania spiega perchè la città è stata contesa così acutamente fra i Goti e i Bizantini. Nel 541-44 furono costruite nuove Mura per la città, sulla struttura di diverse grandi costruzioni romane: il Campidoglio, il serbatoio per l'acqua dei Bagni ed il teatro. Le mura erano trapezoidali e la modesta grandezza testimonia il declino della città, notevolmente spopolata; c'erano meno di mille abitanti.
Intorno alla fine del sesto secolo, quando i Lombardi hanno conquistato l'Italia del Nord e centrale, Firenze è rientrata nei loro domini. Era l'inizio di quello che può essere considerato il periodo più scuro nella storia della città. Tagliata fuori dagli itinerari principali, era sparito il motivo principale della sua esistenza. Per le comunicazioni nord-sud, i Lombardi abbandonarono l'itinerario centrale Bologna-Pistoia-Firenze, perché troppo esposto alle incursioni dei Bizantini, che avevano ancora il controllo della parte orientale dell'Italia, e Lucca fu scelta come capitale del ducato della Toscana per la posizione, che era lungo le strade utilizzate per le comunicazioni interne.
Ad ogni modo, durante il periodo della dominazione Lombarda, particolarmente dopo che la regina Teodolinda si convertì alla Chiesa di Roma, furono fondate diverse costruzioni religiose, ivi compreso il Battistero di San Giovanni, anche se naturalmente non nella forma attuale, le cui fondamenta sono ancora visibili nei sotterranei della chiesa.