geronimo

domenica 21 novembre 2010

L' AVVENTO

                                              IL SIGNIFICATO DELL'AVVENTO

Il Dio dell'Amore s'incarna nella storia rivelandoci nel Figlio il suo volto di tenerezza. Il periodo forte  dell'avvento è il tempo del dinamismo della fede, al seguito di Giovanni Battista.. Il " Verbo Eterno" che dimora nel mondo illumina ancora oggi i credenti disposti a credere nella luce. L'atto di fede impegna nel presente  in un attesa vigilante attraverso l'ascolto interiorizzato della Parola.
E' di Sant'Ambrogio una splendida espressione: "Ogni anima che crede concepisce e genera il Verbo di Dio e riconosce le sue opere".
La fede diviene nell'Avvento lo slancio verso l'accoglienza del Verbo, di Gesù. Nella vitalità del cammino si va incontro al Signore con gioia, sapendo che l'Emanuele abiterà anche nella nostra storia, rischiarerà i nostri sentieri, donerà trasparenza al mistero del Dio che gratuitamente  salva, solo per amore.
Il Gesù si realizzano le profezie messianiche, per cui possiamo affermare  con sant'Agostino " Fu atteso con speranza perché già contemplato nella fede" L'attesa del Salvatore esige la nostra cooperazione operosa per dare ala speranza che è in noiil giusto orientamento cristiano.
Vedremo spuntare la sua stella, andremo ad adorarlo assieme ai pastori e ai magi con il desiderio di accogliere Cristo ed essere annunciatori di una lieta notizia che apre l'umanità alla salvezza.

L.G.
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"Gesù ricordati di me quando entrerai nel tuo regno" : Con questa affermazione oggi io chiedo a Gesù il suo perdono per i peccati commessi e chiedo nel contempo di ricordarsi di me quando verrà il suo giudizio.
Metto completamente la mia anima nelle sue mani. Fai di me o Signore , ciò che tu ritieni più giusto fare.
Ti amo e ti amerò in eterno, Signore Gesù.
Evy

mercoledì 17 novembre 2010

GLI ASSIRI I BABILONESI


GLI ASSIRI  --    I   BABILONESI

Mentre nella parte meridionale più fertile della Mesopotamia si sviluppava la civiltà dei Sumeri, nella parte centrale e settentrionale, un altro popolo di origine semitica si affacciava alla storia. Si trattava di gente nomade, abituata a vagare sugli altipiani e nelle steppe della pianura, che a poco a poco era diventata sedentaria. Insediatasi a nord del territorio dei Sumeri, era venuta a contatto con questo popolo, ne aveva appreso i modi di vita civili e a un certo punto, guidata dal grande Sargon ne aveva invaso tutti i possedimenti. Per ben 150 anni erano riusciti a farla da padroni, ma infine erano stati ricacciati dai Sumeri verso nord. Tuttavia in un secolo e mezzo di permanenza a sud, le popolazioni semitiche  erano riuscite a fondersi abbastanza bene  con i Sumeri, sicché la loro cacciata riguardò non tanto la massa  della popolazione, quanto la classe dirigente . Nel 2000 a.C., anzi troviamo che la popolazione semitica ha di nuovo preso il sopravvento presso i Sumeri. Nel 1900 a.C. , infine, un’ultima invasione di semiti provenienti dalla Mesopotamia settentrionale, fa cadere a una a una  le principali città che ancora mantengono almeno esteriormente  il carattere sumero. Mari, Isin, Larsa, Ur capitolano e la civiltà dei Sumeri scomparve definitivamente . la presa di possesso da parte dei nuovi padroni non avviene però in modo violento, proprio perché la fusione dei due popoli era in atto da più secoli. Si può anzi dire che la civiltà degli Assiro-Babilonesi, nata da queste invasioni, non è altro che la continuazione di quella dei Sumeri.
Il dominio Babilonese:
Verso il 2500 gli Accadi prevalgono sui Sumeri. Il loro re Sargon fonda un nuovo impero. Ai vari popoli che si succedono da questo momento nella Babilonia si da il nome di Babilonesi.
Fra il 2285 e il 2016 la popolazione nomade dei Gutei fa cadere l’impero accadico. Le città Su mere riprendono la loro indipendenza, e in alcune fiorisce una nuova civiltà, specialmente a Ur e a Lagash: è il periodo neosumero.
Fra il 2016 e il 1595 il popolo degli Amorriti occupa  la Babilonia e fonda un impero con capitale Babele, al quale il re Hammurabi da il primo codice scritto.
Verso il 1595 a.C. gli Ittiti fanno cadere l’impero amorrita .
Verso il 1590 i Cassiti occupano il paese e lo tengono fino al 1100. In questo periodo si succedono anche varie incursioni di Elamiti.
Nei 612 a.C. i Caldei, che avevano tenuto per molto tempo la babilonia, sottomessi agli Assiri, si alleano con i Medi e fanno cadere il dominio assiro reggendo poi il paese fino al 539.
E’ questo il cosiddetto periodo neo babilonese. L’impero Caldeo raggiunse la sua massima potenza sotto il re Nabucodonosor (604-562 prima di Cristo) il quale occupa e distrugge Gerusalemme portandone via la popolazione in schiavitù.
Nel 539 a.C. il re persiano Ciro fa cadere l’impero caldeo, entra vincitore in Babele e la Mesopotamia viene conquistata.
Impero di Assurbanipal (669-626 prima di Cristo) sotto il quale il dominio assiro.babilonese raggiunse la sua massima estensione.
Conquistata definitivamente la sovranità sui Sumeri, dopo l’invasione del 1900 a:C. capeggiata dagli Amenorrei , le popolazioni semitiche del nord provvidero a spartirsi il territorio: le regioni a nord ebbero per capitale Assur, quelle a ovest ebbero Mari, quelle al centro Eshnunna e quelle del sud Larsa. Poco dopo, nel 1850, Sumu Abum fonda una nuova dinastia a Babilonia , un centro fino a quel momento poco noto, posto sul medio corso dell’Eufrate. La fortuna di questa dinastia, che s’imporrà a poco a poco su tutte le altre, sarà anche la fortuna di Babilonia. Infatti questa città diventerà centro di un impero potente , e oscurerà anche la fama  della grande Ur dei Sumeri. Il merito maggiore della fortuna di Babilonia va al sesto re della dinastia . Hammurabi  grande legislatore e grande guerriero. I documenti del tempo ci rivelano che in babilonia la popolazione era nettamente divisa in tre classi patrizi, plebei e schiavi , e che tutti gli abitanti partecipavano alla grande ricchezza  della città, la cui economia era essenzialmente basata sul commercio. E’ di quest’epoca l’uso dei primi cavalli per il trasporto, e l’uso di una prima moneta: infatti gli scambi, oltre che in natura, venivano effettuati anche con un controvalore in verghe d’oro o d’argento, il cui peso veniva controllato di volta in volta. Un grande aiuto al commercio veniva anche dall’uso della prima forma scritta ereditata dai Sumeri: sulle tavolette d’argilla era possibile registrare qualsiasi movimento di merci e qualsiasi atto di compravendita.
- A Babilonia la religione, che era alla base stessa della vita della città, era più o meno quella degli antichi Sumeri. Il nuovo popolo semitico che si era sovrapposto alla loro civiltà l’aveva rispettata al punto da conservare per le pratiche religiose la stessa lingua dei Sumeri, mentre per gli atti pubblici si usava ormai soltanto l’accadico. Tuttavia a capo dei moltissimi dei locali i Babilonesi avevano posto Marduk, il loro dio nazionale..
Presso i babilonesi si sviluppò un concetto nuovo nel rapporto tra dio e gli uomini: si credeva cioè che il dolore fisico o morale fosse provocato dagli dei, attraverso potenze malefiche , per punire l’uomo delle sue colpe. Si faceva strada quindi l’idea dell’esistenza di demoni, di forze del male, che potevano anche essere evocati da uomini dotati di poteri sovrumani: i maghi e le streghe. Da questa credenza si svilupparono pratiche di esorcismo, per allontanare le forze malefiche, e si cercò di assecondare il volere degli dei tentando di interpretare la volontà in ogni occasione. Nasceva così la pratica della divinazione, esercitata da una categoria di sacerdoti specializzati. Questi sacerdoti-indovini esprimevano i loro giudizi dopo avere interrogato le forze della natura, e soprattutto dopo un’attenta osservazione degli astri, poiché proprio la loro posizione nel cielo poteva rappresentare un messaggio degli dei.
Assidui osservatori del cielo, i Babilonesi già duemila anni prima di Cristo riuscivano a preparare una carta molto precisa della volta stellata. Essi erano stati i primi a capire la differenza tra le stelle ed i pianeti, e avevano segnato con precisione  nelle loro mappe le orbite di ogni pianeta conosciuto del sistema solare, le congiunzioni e le eclissi. Furono pure i primi a precisare le date degli equinozi e dei solstizi, quindi a stabilire con esattezza la durate delle stagioni. Individuarono nelle costellazioni i vari gruppi dello zodiaco e predisposero insomma le basi per le ulteriori più approfondite conoscenze astronomiche. A loro va pure il merito di avere adottato il sistema di numerazione sessagesimale, ancor oggi in uso in geometria e in astronomia, perché una tale numerazione è facilmente divisibile sia per due sia per tre sia per quattro. In base alla numerazione sessagesimale divisero il cerchio in 360 gradi , e l’anno in 360 giorni: l’ora in sessanta minuti e m il minuto in sessanta secondi. L’anno fu inoltre diviso  dai Babilonesi in 12 mesi, di quattro settimane  ciascuno, secondo le quattro fasi lunari. I loro calcoli sul tempo erano così avanzati che introdussero anche l’uso di aggiungere qualche giorno  supplementare, alla fine di ogni anno , per colmare il divario tra l’anno solare e quello di 360 giorni.
I Babilonesi avevano ereditato dai Sumeri la scrittura cuneiforme, sillabica e abbastanza semplice in quanto composto di soli 300 segni . I testi e le registrazioni delle operazioni commerciali si scrivevano incidendo i caratteri cuneiformi con uno stilo appuntito su tavolette di argilla tenera, Se si trattava di testi importanti, che dovevano essere conservati le tavolette in un secondo tempo venivano cotte. Negli scavi archeologici sono state ritrovate  intere biblioteche  formate da migliaia e migliaia  di tavolette, che ci hanno permesso di conoscere a fondo la storia di questo popolo.
In Mesopotamia, al tempo degli Assiro-Babilonesi, esistevano palazzi e templi grandiosi, vere città nelle città. Le case private invece si allineavano lungo le strade e avevano più o meno tutte la stessa pianta: alla base di un alto muro si apriva l’unica porta sulla strada, che dava accesso ad un ampio cortile interno, tutto attorno al quale si aprivano le camere e le stanze di soggiorno, che erano dotate di mobili e di utensili assai confortevoli.
Nel 1600 avanti Cristo, in Mesopotamia si verificò un’altra invasione di popoli provenienti da nord. Si trattava dei Cassiti, che occuparono Babilonia , ma non la distrussero; assimilarono anzi rapidamente usi e costumi del popolo soggetto, continuandone praticamente la civiltà. Il dominio dei Cassiti durò circa 500 anni, durante i quali i nuovi venuti posero un grande impegno a restaurare la città e i monumenti in rovina. Nel frattempo un altro popolo si faceva sempre più forte e minaccioso ai confini settentrionali dell’impero. Nell’alta valle del Tigri, fin dal 3000 a.C., si erano infatti insediate varie tribù che avevano scelto come capitale Assur, lungo il fiume, e Ninive, nell’alto Irak. Da Assur questo popolo si chiamò Assiro. Dal 1200 al 1000 gli Assiri si fecero sempre più minacciosi, si lanciarono verso la bassa Mesopotamia , e infine giunsero ad invadere anche Babilonia, la capitale. Dal quel momento cominciò l’impero assiro vero e proprio, che rapidamente estese il proprio dominio su tutti i territori circostanti. Il rapido successo degli Assiri fu dovuto alla loro ferrea  disciplina militare e alla modernità delle armi, quasi tutte in ferro. I loro guerrieri seminavano ovunque terrore.
Incominciata intorno al 1000 a.C., l’espansione degli Assiri non si limitò alle terre della Mesopotamia. Consolidato il potere su Babilonia, il re Assurnazirpal II si dedicò a nuove guerre di conquista, sottomettendo ben dodici stati confinanti. Egli si compiacque di dominare con il terrore, tanto che arrivava a strappare gli occhi ai principi prigionieri.
Un altro sovrano , Salmanassar III , si spinse fino a Damasco, sconfiggendo l’esercito sirianoin feroci battaglie e facendo ecatombe dei soldati prigionieri. La grande capitale siriana famosa per il suo splendore, fu rasa al suolo, e la stessa fine fecero molte altre città nemiche. Guai a chi osava contrastare l’avanzata degli eserciti assiri.. Gli Egizi, che aiutarono la Siria nella sua sfortunata difesa, furono puniti: gli Assiri si spinsero fino alla loro capitale, sul Nilo, e la distrussero.
Le ribellioni dei popoli sottomessi in questo periodo furono moltissime, ma sempre represse dagli Assiri con feroce.
Al tempo di Sennacherib, figlio di Sargon II , insorse per l’ennesima volta anche Babilonia, ma fu rioccupata ben presto e distrutta: tutti i suoi millenari e splendidi monumenti furono rasi al suolo, e gran parte degli abitanti fu passata per le armi. Ma prima di far radere al suolo Babilonia, Sennacherib aveva operato il saccheggio completo dei palazzi e dei templi, accumulando così un’immensa ricchezza. Questo tesoro gli servì per ricostruire Ninive, l’antica città d’origine degli Assiri, che dal quel momento sarebbe diventata la capitale più splendida del mondo. Gli archeologi che hanno studiato le rovine attuali della città sono concordi nel riconoscere che Ninive, per merito di Sennacherib e dei suoi successori, ebbe i palazzi più grandiosi di tutti i tempi. Ma questo sovrano non si limitò a ricostruire la città: poiché nella regione persisteva  il pericolo di alluvioni , fece addirittura murare il corso dei fiumi , e con opportune canalizzazioni riuscì a rendere fertili molte terre desertiche, potenziando in tal modo anche l’agricoltura.
Uno dei più grandi sovrani assiri fu Assurbanipal. Egli dopo aver sedato varie rivolte interne, condusse i suoi eserciti lungo il corso del Nilo fino a Tebe. Qui pose l’assedio alla città, servendosi anche di enormi macchine da guerra simili alle torri d’assedio usate molto più tardi dai Romani, e la espugnò nel 663 a.C.. Tebe fu saccheggiata e distrutta dalle fondamenta. Ormai il nome degli Assiri era associato all’idea del terrore e della morte.
Chiunque tentava di ribellarsi agli Assiri era annientato. Per se dediti in continuazione alla guerra, alle invasioni, alle repressioni, gli Assiri non trascuravano l’arte; nella grandiosità delle loro costruzioni anzi superarono perfino i famosi architetti babilonesi. Le loro sculture si ergevano imponenti e i bassorilievi, che ornavano le pareti dei palazzi erano incisi con finezza e con grande ricchezza di particolare. I vari sovrani assiri amavano eternare nel marmo le loro imprese e facevano scolpire su grandi bassorilievi le storie più importanti del loro regno: è per questo che i bassorilievi  assiri scolpiti con intenti descrittivi, ci permettono di ricostruire con precisione i costumi e i modi di vivere dell’epoca.
Quando anche gli Elamiti si ribellarono, Assurbanipal ordinò che il loro re venisse decapitato e che la sua testa fosse esposta a Ninive sopra un palo, come monito per tutti. I generali elamiti furono scorticati e fatti a pezzi. Una simile condotta feroce non poteva che suscitare odio. Non molto più tardi infatti vari popoli sottomessi agli Assiri stringeranno segretamente un patto per rovesciare i tiranni. Ma intanto, per tutto il tempo che visse Assurbanipal  fu un sovrano temuto e rispettato, e il suo regno fu splendido.
I pochi abitanti salvati dalla distruzione di Babilonia non si erano dati per vinti. L’odio per gli oppressori era sempre forte, e del resto mai i Babilonesi avevano accettato di sottomettersi passivamente ai loro vincitori. Ora poi che gli Assiri avevano compiuto l’estremo affronto di distruggere  dalle fondamenta la loro gloriosa capitale , l’odio per questi sanguinari  oppressori era quanto mai vivo . Così, pochi anni dopo che Babilonia era stata rasa al suolo , i Babilonesi già tramavano  in segreto  per allearsi con altri popoli  e vendicare i loro morti.
E quando la potenza assira mostrò chiari segni d’indebolimento, furono pronti ad approfittare. Stretto un patto d’alleanza con i Medi e gli Sciti , sotto la guida di Nabopolassar, condussero una guerra contro gli Assiri che durò ben tredici anni . Alla fine riuscirono a raggiungere  Ninive, la espugnarono e le riservarono la stessa sorte che prima aveva dovuto subire Babilonia: la rasero al suolo , distruggendone ogni pietra . Palazzi, templi, abitazioni private, tutto fu messo a ferro e fuoco. La popolazione fu massacrata e i pochi superstiti  vennero ridotti in schiavitù. Della potenza assira  non rimase che il ricordo : un ricordo sinistro , che evocava terrore e odio, scene di pianto e di sangue.
Mentre le sabbie del deserto coprivano le rovine di Ninive, distrutta dai Babilonesi, e anche il ricordo  dello splendore della capitale  assira si perdeva nel tempo, Babilonia cercava di rinascere  e di riconquistare il glorioso passato. Sul trono del nuovo regno babilonese  si succedettero sei re , prima che un invasione di Persiani ponesse fine definitivamente  alla potenza di Babilonia.
Il primo fu Nabopolassarm a cui succedette il figlio Nabucodonosor II. Questifu un grande guerriero e un grande costruttore: estese il dominio di babilonia sui territori occidentali, fino all’Egitto e ricostruì la capitale  restituendole l’antico splendore. Nella sua espansione verso l’Egitto, Nabucodonosor II incontrò la resistenza del popolo ebraico . Nel 586 a.C: , cinta d’assedio, Gerusalemme , la espugnò e la distrusse completamente . Anche il famoso tempio di Salomone, gloria e vanto degli Ebrei, fu raso al suolo. Gli Ebrei furono tutti deportati a babilonia, dove sopportarono un lungo esilio, ridotti in schiavitù.
La mitica torre di babele, più volte ricordata nella Bibbia, sorse a Babilonia proprio nel periodo della ricostruzione della città, al tempo di Nabucodonosor II.. Si tratta di una altissima ziggurat a sette piani , tutta costruita in mattoni  secondo il sistema tradizionale . Alla sua sommità sorgeva  il tempio  dedicato al dio Marduk, meravigliosamente decorato  con piastrelle di malto azzurro. Oggi dell’antica torre  rimangono solo ammassi di rovine , succicienti però a darci  un’idea della sua grandiosità . La torre di Babele era infatti una meraviglia architettonica di cui si parlava con stupore  in tutto il mondo antico..
Della rinata Babilonia, gli antichi documenti, sono ricordati con ammirazioni i grandiosi palazzi, le alte torri, le bianche terrazze, ma soprattutto i famosi giardini pensili. Questi giardini sopraelevati dovevano essere davvero stupendi , perché gli storici dell’epoca li consideravano una delle meraviglie del mondo.
Nabucodonosor II , il ricostruttore di Babilonia, li aveva fatti erigere per la sua sposa Amiti, che veniva dalle montagne della Media e sentiva molto la nostalgia  per il suo paese ricco di alberi, di folti boschi  e di dolci acque. I giardini pensili di babilonia erano disposti  su terrazze a vari livelli, ed erano ricchi di piante esotiche, di viali, di zone d’ombra.
Sotto la guida di Nabocodonosor II, Babilonia ritornò all’antico splendore ed estese il suo dominio sui territori confinanti. Proprio al tempo di nabucodonosor  , l’Egitto, che era ormai in decadenza, si fece nemico dei Babilonesi, poiché aveva cospirato con la Siria per un egemonia sui territori della Mesopotamia. Il sovrano babilonese prese lo spunto da questa cospirazione per invadere l’Egitto e annetterlo al suo impero. Nella sua avanzata verso le terre del Nilo travolse anche la resistenza degli Ebrei. Nabucodonosor si preoccupò poi di sviluppare i commerci, e promosse una rete di scambi che andava dal Golfo Persico al Mediterraneo. Le sue navi solcavano i mari lunghissimi viaggi, per procurare materie prime nei paesi lontani  e scambiarle con i prodotti medio-orientali. La pace riconquistata  portava al rinascere dei commerci e delle attività artigianali . Gli uomini riacquistarono fiducia nel futuro, non erano più oppressi dalla minaccia dei sanguinosi capovolgimenti politici, come era avvenuto per molto tempo. Babilonia, centro di questi traffici, era diventata di nuovo ricchissima: giudicata la più bella capitale dell’Oriente, grazie all’opera saggia di Nabucodonosor. Questi tuttavia negli ultimi anni del regno fu colpito da una strana pazzia, per cui camminava a quattro zampe, e mangiava erba , credendosi una bestia..
Il suo nome perciò scomparve, dai documenti ufficiali prima della morte, avvenuta nel 562 a.C.
A Nabucodonosor II erano successi altri sovrani a Babilonia . Uno di questi merita di essere ricordato perché volle seguire  l’esempio del grande predecessore. E’ Nabonide, che regno dal 555 al 539 a.C.. Anche questo re volle essere ricordato come grande costruttore. Egli non si limitò ad abbellire di nuovi palazzi la capitale , volle anche far rivivere tutte le gloriose  antiche città mesopotamiche  e si dedicò alla loro ricostruzione , facendo risorgere  perfino Ur dei Caldei, l’antica capitale dei Sumeri.
L’impero Babilonese era veramente ricchissimo , ma proprio questa ricchezza contribuì a provocare una rilassatezza  nel campo militare che doveva riuscirgli fatale. Quando infatti l’esercito di Ciro , re dei Persiani , si profila alle frontiere, i Babilonesi non sono preparati per affrontarlo . Nabonide si ritira nella capitale , e qui apprende la sconfitta del suo esercito . Ma non basta: viene anche abbandonato e tradito dai sacerdoti ; il generale Gobria apre le porte della città al nemico , e Ciro il Grande entra in Babilonia come un trionfatore e un liberatore , accolto da ali di folla plaudente e ossequiato dalla maggiori autorità religiose. Con questo atto di sottomissione , tutto il mondo orientale passa senza combattere ai nuovi padroni Persiani.
Ciro il Grande , re dei Persiani , dimostrò grande saggezza nella sua campagna di conquista del territorio babilonese: nella sua avanzata non distrusse alcuna città , ma si fece anzi accettare dalla popolazione come un liberatore . Liberò anche moltissimi prigionieri , permettendo loro di ritornare a casa . Di questo provvedimento beneficiarono soprattutto gli Ebrei , che poterono finalmente ritornare  alla sospirata terra di Canaan , e ricostruire le case e il tempio distrutti da Nabucodonosor II . Con Ciro le città della Mesopotamia conobbero per la prima volta un invasore che non le piagava con la forza brutale non le distruggeva con ferocia sanguinaria , come era consuetudine degli eserciti Assiri . E forse a causa di questo fatto nuovo esse cominciarono a decadere definitivamente.
I Persiani erano padrona abbastanza comodi , non si facevano odiare e quindi non si sentiva nemmeno il bisogno di scacciarli. Così i nuovi invasori furono accettati senza nulla chiedere , se non di vivere in pace. Lo spirito combattivo che aveva portato  i popoli mesopotamici alla conquista di un vasto impero era morto. Ma non morirà mai lo spirito che portò questi popoli ad essere maestri all’intera umanità nel campo delle scienze , delle arti, delle lettere . Gran parte della nostra civiltà affonda infatti le proprie radici nella saggezza nata tra le rive del Tigri e dell’Eufrate.

giovedì 11 novembre 2010

I SUMERI


I   SUMERI

La Mesopotamia è un ampia vallata racchiusa fra i corsi dei fiumi Tigri ed Eufrate, che insieme sfociano nel Golfo Persico. La pianura che i due fiumi attraversano è assai feconda, grazie anche alle frequenti piene che stendono sui campi uno strato di limo fertile.. In questa pianura i cereali crescevano spontaneamente, nei tempi lontani in cui l’uomo non aveva ancora imparato a coltivare la terra. Per questo i primitivi che vagavano alla ricerca  di cibo si fermarono a lungo in Mesopotamia. Nacquero i primi villaggi, l’uomo imparò a coltivare i campi ed ad allevare gli animali , e da quella terra feconda  non si allontanò più. Si sono trovate, risalenti a oltre 30.000 anni fa, tracce della sua presenza che ci parlano di un lento, ma continuo progresso dell’uomo verso la civiltà. Tuttavia è solo 5500 anni fa che l’uomo entra veramente nella civiltà, ed è proprio nella terra tra i fiumi che nasce il primo centro civile. La parte meridionale di quella terra si chiama Sumer, e dal quel nome i suoi abitanti si chiamarono Sumeri .
Il popolo dei Sumeri è il primo a lasciarci una testimonianza scritta della sua civiltà, in quanto ideatore di una rudimentale forma di scrittura. Le prime notizie sicure ci dicono che già 5000 anni fa, nella pianura della Mesopotamia, gli antichi villaggi si andavano ingrandendo per trasformarsi poco a poco in città stato. Si stava diffondendo la lavorazione dei metalli, scoperti da poco, ma accanto alle prime armi e ai primi strumenti di rame e di bronzo coesistevano molti utensili di pietra levigata. Siamo nel periodo di transizione tra l’età della pietra e l’età dei metalli: dal 3600 al 3000 a.C. In seguito i Sumeri perfezionarono la loro organizzazione sociale. Nacquero le città-stato e si svilupparono gli scambi, il commercio e i lavori agricoli. Gli anni che vanno dal 3000 al 2440 a.C. sono noti come il periodo delle grandi dinastie. Esso vede il sorgere e l’affermarsi di grandi città come Ur, Nippur, Uruk, Umma, Lagash, Eshnunna, Kish, ciascuna organizzata come un piccolo stato.
I Sumeri popolo di grande impegno, diedero un apporto decisivo alla civiltà del loro tempo. Circa 4000 anni prima di Cristo il popolo dei Sumeri, proveniente forse dalle regioni del Caspio, si impone nella Babilonia e le sue città predominano sulle città già esistenti, in particolare quella degli Accadi, nella Babilonia Settentrionale . La civiltà sumera è la prima civiltà della Babilonia e rimarrà a fondamento di quelle successive.
Circa nel 2600 prima di Cristo, il re sumero della città di Uruk, forma un impero sumero riunendo tutte le città della Babilonia e giungendo fino al mare..
Nei primi tempi della sua esistenza il popolo dei Sumeri non formava una vera e propria nazione, nel senso che si da oggi a questo termine. Ogni città, autonoma e indipendente da quelle vicine, formava uno stato a se, che spesso entrava in conflitto con i vicini per motivi di interesse . Per questo si parla di città-stato, ciascuna con un proprio territorio, i cui confini erano spesso motivi di lite con le città più vicine.
I Sumeri era un popolo molto religioso e facevano a gara nell’innalzare costruzioni sempre più alte  agli dei. Le divinità abitavano in cielo, e adorarle in luoghi  elevati significava essere loro più vicini; naturale, conseguenza fu che i templi diventarono così sempre più alti, a mano a mano che i Sumeri perfezionavano le loro tecniche costruttive. Poco distante sorgeva la dimora del grande sacerdote, che interpretava la  volontà degli dei, e che per un certo periodo fu il capo indiscusso della comunità. Al tempo delle città stato, cioè del periodo più antico della storia dei Sumeri, ogni città era autonoma e veniva governata da un piccolo monarca, che quasi sempre era insieme re e sacerdote. Questi amministrava il tempio e lo stato, entrambi di proprietà degli Dei. Aveva il compito di conservare e ampliare la rete di canalizzazione, che permetteva di ottenere abbondanti prodotti dai campi e di evitare le piene disastrose dei fiumi. Custodiva i beni della comunità, distribuiva la giusta mercede ai lavoratori del tempio e in caso di guerra guidava i guerrieri in battaglia. Era insomma un sovrano saggio e prudente, quasi il capo di una grande famiglia, che si prendeva a cuore tutti i problemi dei suoi cittadini.
Dapprima la sua abitazione era tutt’uno con il tempio, poi se ne andò a amano a amano distaccando, e diventò un vero e proprio palazzo reale, ricco di scalinate, di sale, di portici. In segno di distinzione nel palazzo del re, oltre ai mattoni, veniva impiegata anche la pietra, proveniente dalle lontane montagne del nord, ma era questo l’unico vero lusso, perché la ricchezza dello Stato veniva sempre equamente distribuita fra tutti i cittadini. Oltre ad amministrare la giustizia, il re, continuava a essere il Capo dei Sacerdoti, e come tale offriva i sacrifici agli dei  durante le feste solenni sull’altare del tempio. Una delle più antiche città-stato dei Sumeri fu Uruk .le sue mura avevano le fondamenta in blocchi di calcare provenienti dalle lontane montagne, mentre tutto il resto delle costruzioni era formato da grossi mattoni d’argilla.
I Sumeri abitavano in una pianura, senza alcuna montagna nel raggio di centinaia di chilometri. Le pietre perciò, erano una rarità nel loro territorio. Anche gli alberi di alto fusto non erano abbondanti, perciò mancavano ai Sumeri le due materie prime indispensabili per ogni tipo di costruzione. I mattoni nacquero proprio qui , nella terra fra i fiumi, per assoluta mancanza di pietre da costruzione.
Essi venivano usati cotti solo per i rivestimenti esterni e per gli archi, mentre per ogni altra parte delle costruzioni si usavano mattoni seccati al sole. Più tardi, nel periodo di massimo splendore, le città dei Sumeri ebbero anche monumenti rivestiti  di lastre di marmo, trasportato faticosamente dai lontani monti del settentrione, ma il mattone rimase sempre alla base di ogni costruzione. I sovrani usavano fare apporre su ogni mattone il loro marchio, perché i posteri sapessero a chi dovevano attribuire la gloria dei vari monumenti.
I Sumeri era un popolo molto religioso, e immaginavano il cosmo organizzato a somiglianza delle loro città-stato, con gli dei che si riunivano a consiglio, eleggevano i capi e prendevano a maggioranza le varie decisioni. La loro era cioè una religione antropomorfa.. Le divinità erano numerosissime, ma quattro erano quelle maggiormente venerate: Anu, dio del cielo, Enlil, dio delle tempeste, Ki (o Nintu), dea della terra  che dona la vita e la fecondità, Enki, signore delle acque e delle forze creative del mondo.
I Sumeri , che dalle piene dei fiumi potevano vedere benedetti o compromessi irrimediabilmente  i loro raccolti, attribuivano un’enorme importanza al fato. Pensavano che il destino dell’uomo fosse decretato dal potere terribile e inesorabile degli dei, che governavano dall’alto con poteri immani. All’uomo, debole e impotente, non restava che sopportare con pazienza le avversità della vita. Erano però convinti che si potessero propiziare gli dei con le costruzioni di templi e col dono di generose offerte.
Oltre che accudire all’immagine del dio, e a portare le offerte sacrificali, i sacerdoti erano addetti anche agli oracoli. Interpretavano il futuro esaminando il fegato degli animali sacrificati, oppure le linee dell’olio sacro versato nell’acqua.
I Sumeri erano guerrieri valorosi, ma non crudeli. Essi affidavano il successo in battaglia alla superiorità delle loro armi: i popoli vicini combattevano ancora con frecce dalle punte di selce e con armi di pietra, mentre essi conoscevano già i metalli , e impiegavano temibili armi di bronzo. Avevano inoltre inventato la ruota e possedevano robusti carri da guerra che, tirati da coppie di onagri ( specie e robusti asini), gettavano lo scompiglio tra le schiere nemiche. Probabilmente proteggevano alcune parti del corpo con armature di cuoio o di rame, e più tardi ebbero elmi metallici finemente cesellati.
Prima che sorgesse l’impero di Sargon , i Sumeri avevano una organizzazione politica molto semplice. In pace le città-stato si governavano attraverso una assemblea di cittadini e un consiglio di anziani, ma in caso di guerra si eleggeva un capo con poteri assoluti. Questo capo era dapprima il grande sacerdote, poi fu uno dei guerrieri più valorosi. Con l’andare del tempo il capo conservò i suoi poteri anche nel periodo di pace, e fu questa l’origine dei primi re.
Il generale benessere della popolazione aveva favorito presso i Sumeri lo sviluppo di una cucina raffinata, con cibi molto vari. Nelle ricorrenze importanti si faceva largo uso di salse piccanti e di antipasti a base di aglio. Il Tigri e l’Eufrate offrivano in abbondanza molte varietà di pesce, fra cui ottimi salmoni, che venivano cotti di preferenza ai ferri. Si faceva grande uso di arrosti di maiale e di agnello. In giorni normali si mangiava spesso una specie di zuppa di latte e orzo. Si consumava molto formaggio fatto con latte di capra. I frutti più diffusi erano i fichi, i datteri, le melagrane e l’uva. I Sumeri sapevano anche fare il pane, ma non facevano fermentare la pasta prima della cottura. Il vasellame era generalmente in terracotta, ma nelle famiglie più agiate si usavano vasi e coppe di squisita fattura, in argento e in oro. Anche se nelle terra dei Sumeri il commercio e l’artigianato erano molto sviluppati, il lavoro dei campi restava sempre alla base della ricchezza delle città. La campagna era fertile e donava generosamente frumento, orzo, ortaggi e frutta. Al tempo della semina e del raccolto dei cereali tutta la popolazione era mobilitata: artigiani, mercanti, guerrieri, sacerdoti si recavano tutti nei campi. Durante il resto dell’anno invece alle coltivazioni si dedicavano i contadini. Gran parte dei campi era proprietà del tempio e veniva amministrata dal sommo sacerdote . Bastava recarsi da lui per ottenere in concessione un pezzo di terra da lavorare. Il raccolto veniva portato tutto al tempio, ma i contadini ricevevano un giusto compenso in viveri per il loro lavoro. Chi non coltivava direttamente la terra si dedicava alla manutenzione dei canali, consentendo cos’ di evitare le disastrose conseguenze delle piene incontrollate dei fiumi e assicurando acqua ai campi anche nei periodi di siccità. Spesso nei campi lavoravano anche gli schiavi, che, pur essendo prigionieri di guerra, venivano trattati umanamente.
La mancanza di molte materie prime nel loro territorio, aveva costretto fin dai tempi più antichi i Sumeri a viaggiare alla ricerca di quanto occorreva alle loro città. Una volta trovata la merce, essi la barattavano con i prodotti dei campi e la trasportavano alle loro case. Era nata così la prima forma di commercio, e ben presto i Sumeri organizzarono vere e proprie carovane per il trasporto dei prodotti. Da alcune iscrizione su tavolette d’argilla, trovate tra le rovine di Uruk, sappiamo che questa città aveva rapporti commerciali perfino con il lontano Egitto. I Sumeri importavano greggi, legno, pietre dure ed esportavano prodotti agricoli, tessuti, gioielli, armi, oggetti in metallo lavorato. Al tempo delle grandi dinastie essi spinsero i loro commerci anche sulle vie del mare, raggiungendo Cipro e costeggiando a sud i paesi dell’Arabia. L’artigianato presso il popolo dei Sumeri raggiunse un enorme sviluppo e un alto grado di perfezione. Gli artigiani lavoravano quasi sempre al servizio dei sacerdoti, e le loro botteghe si aprivano dentro il recinto del tempio. Presso questo popolo, profondamente religioso, ogni lavoro doveva essere posto sotto la protezione degli dei, e del resto il tempio funzionava come centro di raccolta e di ridistribuzione di tutti i beni della comunità..
Erano bravissimi anche nel costruire strumenti musicali, specialmente arpe finemente decorate. Il loro vasellame era splendido, e anche nel costruire il mobilio, spesso con vimini intrecciati, ponevano un gusto estetico eccezionale. Ai Sumeri si devono molte delle fondamentali invenzioni che sono alla base della civiltà. Scopersero il rame e impararono a modellare i primi metalli teneri. Trovarono il modo di produrre il bronzo, fondendolo insieme al rame e piombo. Col bronzo, un metallo molto duro, fabbricarono le prime armi, chiudendo così per sempre l’età della pietra. Dopo le armi, infatti, col bronzo fabbricarono utensili di ogni tipo, da impiegare sia nel lavoro dei campi, sia nelle varie attività artigianali. Ai Sumeri si deve anche l’invenzione della prima macchina, la ruota del vasaio, molto utile per il largo uso che facevano dell’argilla come materia prima. Sempre ai Sumeri si deve l’invenzione del sistema di numerazione decimale e sessagesimale, la prima forma di scrittura e un eccellente sviluppo delle arti figurative. La loro invenzione più importante resta comunque la ruota, e con essa il carro, che rendeva agevoli i commerci con regioni lontane.
Probabilmente altri popoli, all’epoca dei Sumeri, avevano raggiunto lo stesso grado di civiltà, ma solo i Sumeri sono ricordati nella storia: perché hanno spauto tramandarci in documenti scritti il ricordo dei propri antichi usi e consumi; la scrittura è nata proprio qui, nella terra in mezzo ai fiumi. I primi documenti della scrittura umana sono stati trovati negli scavi di Uruk, l’antica città sumera: si tratta di tavolette di argilla contenenti varie note contabili del tempo. I sacerdoti del tempio registravano  con molta cura ogni operazione contabile e commerciale: sulle tavolette segnavano  con appositi simboli le merci ricevute e quelle vendute; ne segnavano la quantità, il nome del venditore e quello del compratore. Si trattava ancora di una scrittura a base di simboli, ma dal 3500 al 2500 questa scrittura si perfezionò fino a diventare  fonetica. I simboli si trasformarono in segni a forma di cuneo, a ciascuno dei quali corrispondeva un suono . Era nata la scrittura cuneiforme, che sarà più tardi adottata dagli Assiri, dai Babilonesi e dai Persiani.
La mitica torre di Babele di cui parla la Bibbia rappresenta il massimo sviluppo di un tipo di monumento religioso ideato dai Sumeri, l’aspetto era di tanti tronchi di piramide sovrapposti l’uno all’altro. Erano le famose ziggurat, vere scale tra la terra e il cielo, che i Sumeri costruivano altissime per poter compiere sacrifici il più vicino possibile agli dei. Alla sommità di queste torri di mattoni si trova infatti la cella del dio, con l’altare per i sacrifici. Ogni città, nel periodo delle grandi dinastie, possedeva almeno una ziggurat, ed è rimasta famosa quella di Ur, costruita al tempo di Ur-Nammu, circa 2000 anni prima di Cristo. Era dedicata  a Imanna, il dio della luna , e si sviluppava su tre piani, per un totale di 24 metri di altezza. Oggi simili dimensioni ci dicono poco, ma se pensiamo che l’edificio era costruito tutto con i piccoli mattoni, e se pensiamo all’epoca in cui sorse, dobbiamo renderci conto che rappresentava un’impresa colossale.
I Sumeri seppellivano con molta cura i loro morti. Nel cimitero reale di Ur, scoperto dall’archeologo Leonard Woolley, sono state trovate grandi tombe di principi sepolti con un fastoso cerimoniale. I corpi erano agghindati con ornamenti d’oro e di pietre dure, come se i morti dovessero andare a una festa, e tutto attorno si trovavano sparse piccole suppellettili, che erano appartenute in vita al defunto.
Gia dal tempo del suo primo grande splendore la civiltà dei Sumeri aveva rischiato di soccombere alla calata dei barbari. Dalle montagne dello Zagros, la catena ai confini dell’attuale Persia, erano scesi infatti i nomadi Gutei, gente barbara e rozza, che profanava i templi e saccheggiava le città. Si ebbero grandi distruzioni, specie nel nord del paese, e qualche città fu cancellata per sempre. I nuovi venuti assorbirono poi la civiltà dei Sumeri, si integrarono con la popolazione e alla fine formarono un popolo unico con i Sumeri. Fu a questo punto che sorse l’astro di Ur-Nammu , il sovrano di Ur che riportò il paese al primitivo splendore. Ma con i suoi successori Ur cominciò una nuova lenta decadenza, e quando dal settentrione si profilò la minaccia di nuove invasioni di genti semitiche, i Sumeri si trovarono impreparati a opporre una valida resistenza. Sono state trovate tavolette con lettere del re Ibbisin indirizzate ai vicini Elamiti, per invitarli a stringere un patto difensivo contro gli invasori, ma dopo di esse nessun altro documento ci parla della vita di Ur. Sulla città scende il silenzio. Probabilmente i barbari travolsero ogni resistenza, conquistarono la città e deportarono lo stesso re Ibbisin. Nel cimitero reale, infatti, non esiste traccia della sua tomba. “ Gli dei ci hanno abbandonato”, cantarono i poeti, ed era vero, perché l’invasione segnò la fine della grande civiltà sumerica.

mercoledì 10 novembre 2010

GLI EGIZIANI


GLI   EGIZIANI

“ Egitto dono del Nilo” : questa antichissima definizione è ricca di un profondo significato . Non è possibile infatti parlare dell’Egitto e trascurare questo straordinario fiume, sulle cui rive nacque una delle più alte civiltà di tutti i tempi, in un epoca in cui tutta l’ Europa era ancora ferma all’età della pietra. L’enorme quantità d’acqua, le piene colossali, l’irruenza delle alluvioni, che presso altri popoli sarebbero state motivo di terrore, erano viste dagli Egiziani con il cuore colmo di riconoscenza e di fiducia nella vita. “ I campi ridono, le rive sono inondate . I dono degli dei scendono dal cielo. Il volto degli uomini si illumina, il cuore degli dei si rallegra”. In queste parole, che cinquemila anni fa un poeta aveva scritto su una piramide, sono perfettamente riassunti i sentimenti di stupore e di riconoscenza del popolo egizio verso il padre Nilo. Uscendo periodicamente dagli argini, le acque coprivano l’immensa pianura e vi depositavano il limo prezioso, ricco di quelle sostanze  che avrebbero reso le messi rigogliose . Il sole , eternamente splendente, completava il miracolo: in un anno erano possibili anche due raccolti.

Circa nel 3400 prima di cristo i due regni dell’alto e del basso Egitto si uniscono in un unico impero. Inizia l’Antico Impero  che dura all’incirca dal 3400 al 2100 a.C. e durante il quale si succedono quattro dinastie di faraoni. La capitale è Menfi.
Dal 2100 al 1580 a.C. si svolge il così detto Medio Impero. Vi succedono otto dinastie, dalla VII° alla XIV°. Le capitali sono prima Menfi, poi Tebe.
Circa nel 1660, popoli di oscura provenienza, gli Hyksos, occuparono l’Egitto e lo dominano per circa 120 anni.
Nel 1580 il faraone Ahmose I scaccia gli Hyksos e da inizio al cosiddetto  Nuovo Impero, che durerà dal 1580 al 332 a.C. Si succedono in questo periodo quattordici dinastie, dalla XVII° alla XXX° . Le capitali sono dapprima Tebe , poi Sais.
Fra il 1475 e il 1442, con Thutmes III, forse il più grande dei faraoni, l’Egitto ha massima estensione, giungendo all’Eufrate.
Fra il 670 e il 667 a.C. il re Assiro Asarhaddon e suo figlio Assurbanipal conquistano l’Egitto, che rimane sotto il dominio Assiro fino al 6123.
Nel 525 a.C.  il re Persiano Cambise occupa l’Egitto che rimane sotto la Persia fino al 332.
Nel 332 l’Egitto è occupato da Alessandro magno.

Quando l’Egitto cominciò ad avere una sua religione ufficiale, le divinità riconosciute dallo stato erano nove , raggruppate nella famiglia divina, detta appunto Ennead, che significa nove: Atum il creatore, Shu dio dell’aria, Tefnut dea dell’acqua , Geb dio della terra, Nut dea del cielo, Osiride, Iside, Seth, e Nephtys. Di un culto particolare furono adorati, col passare del tempo, Osiride e Iside. Ricche di suggestione sono le storie che fiorirono intorno a queste due figure divine, marito e moglie. Solo per esse il sentimento religioso degli Egizi, abitualmente così distaccato e severo, si caricò di accenti umani, addirittura patetici. Osiride viene raffigurato spesso col volto dipinto di verde perché in origine  era il dio della vegetazione e di ogni cosa vivente sulla terra; e proprio questo fu la causa di tutti i suoi guai: succedendo nell’alto incarico a Geb, dio della terra, aveva involontariamente mosso l’ira e la gelosia del fratello seth, che lo aveva ucciso e gettato nel Nilo. La fedele Iside però si era buttata nelle acque vorticose e aveva recuperato il corpo  del marito. Cieco di odio, Seth aveva poi tagliato il corpo del fratello in quattordici parti, ma Iside lo aveva ancora una volta trovato e ricomposto. Osiride era diventato così il Dio dei morti, e suo figlio Horo il dio dei viventi . I faraoni stessi erano adorati come Horo in vita e come Osiride in morte.
Ma la divinità che presso gli Egizi godette di un vero culto universale fu senza dubbio Ra, il sole . Le innumerevoli testimonianze del suo potere erano talmente vive e così vicine all’esperienza di ogni giorno che tutti si sentivano in qualche modo legati a lui. Il beneficio calore, la luce vitale e quindi la rigogliosità delle messi e le possibilità della sopravvivenza umana dipendevano dal sole, da Ra. In suo nome erano sorti diversi culti, era stata costruita una città, Elaiopoli (città del sole) , a lui vennero perfino sacrificate vite umane. Nulla sembrava troppo degno per un dio tanto potente.
Una delle caratteristiche di Ra era quella di assumere vari aspetti: a seconda delle particolari preferenze di una città o di singole persone , egli veniva accoppiato con l’immagine di qualche divinità locale. Diventava così, di volta in volta,  falco, ariete, uomo, scarabeo e perfino piramide. Aton-Ra, cioè Ra disco del sole, fu l’incarnazione  che trovò forse il maggior numero di seguaci, per merito anche del faraone  Amenophi IV. “ Tu splendi di bellezza, signore degli dei. Belle sono le cose che hai creato sulla terra “, è inciso su una piramide. Furono molti, del resto, i faraoni che si proclamarono figli di Ra e instaurarono per questo Dio un culto particolare.
Il fanatismo di Amenophi IV per il dio Aton-Ra non era ingiustificato: in un periodo di sfrenato politeismo (adorazione di molti dei) , il giovane faraone si era impegnato in una tremenda lotta nell’affermazione di un monoteismo (adorazione di un solo dio) che avesse appunto in Aton il suo rappresentante. Per questo aveva anche cambiato nome aveva voluto chiamarsi Eknaton  , colui che piace ad Aton. In questa sua coraggiosa opera lo assisteva la bellissima regina  Nefertiti che con lui, alla fine, condivise il dolore della sconfitta. Mentre il sogno di una unità religiosa si andava spegnendo, l’Egitto si avviava alla conclusione della sua esistenza. Mancava circa 1300 anni alla nascita di Cristo.
La commovente leggenda di Osiride e di Iside ebbe influenze notevoli nella politica dell’Egitto. Le ingiustizie e le sofferenze patite da lui, l’eroica fedeltà di lei, la simpatia e la tenerezza che emanavano dalle loro tragiche vicende, così umane, tanto simili a quelle di ciascun mortale, portarono a una rapidissima diffusione del loro culto.
Già simboli di vita, protettori degli esseri viventi  sulla terra e passati contro la loro volontà a governare il misterioso e oscuro mondo dei morti, Osiride e Iside ebbero in sorte di potere avere un figlio. Nelle silenziose paludi di Kemmis, lontani da occhi indiscreti, gli eroici e sventurati consorti diedero alla luce Horo. Lo allevarono segretamente perché sfuggisse alle ire del terribile Seth. Divenuto grande Horo vendicò il padre e divenne re dei viventi: i genitori poterono così avere la consolazione di veder trionfare di nuovo la loro divina progenie.
La dottrina religiosa che si fondava sul divino Ra, faceva discendere i faraoni dal sole. L’alba e il tramonto dell’astro dio simboleggiavano l’eterna vita del faraone divino. In ogni circostanza civile e religiosa nessun Egizio poteva dimenticare che al vertice di ogni potere sulla terra stava il dio-re. E come c’erano le colossali piramidi  composte di enormi blocchi sovrapposti l’uno a l’altro, così nella società egizia  esisteva una massiccia piramide di funzionari, ministri e sacerdoti al sommo della quale il dio-re dominava  con potere assoluto. L’intangibilità del vertice massimo di questa piramide , cioè il faraone , garantiva la stabilità e la sicurezza di tutta l’organizzazione gerarchica.
Innumerevoli erano i compiti che spettavano al faraone per diritto divino, ma alcuni venivano affidati ai suoi funzionari. Tra questi, uno dei più importanti era l’amministrazione della giustizia.
Gli Egizi, per potere ospitare degnamente il dio-re mentre era in vita, costruirono regge incomparabili , le cui rovine ancor oggi, dopo millenni, lasciano sbalorditi e ammirati i visitatori. La loro imponenza  e la loro armonia sono miracoli di perfezione e di bellezza.
Gli Egizi tuttavia credevano anche nell’immortalità, e perciò costruirono per i faraoni defunti tombe altrettanto stupende  quanto le regge , ma ancora più massicce e potenti, adatte a sfidare i secoli e i millenni.
Una di queste tombe, meglio sarebbe dire “templi funerari “ viene comunemente chiamata “ Casa dei milioni di anni”, tale è la sua possente struttura. Si trova a Medinet Habu, prossima a Tebe, ed è ancora pressoché intatta dopo tremila anni. Fu costruita infatti 1180 anni prima della nascita di Cristo. Questo magnifico e grandioso tempio dalle mura spesse otto metri fu costruito dal faraone Ramsete III. Il culto a questi tributato però, com’era consuetudine in Editto, veniva esteso contemporaneamente  anche a tutti gli dei raffigurati sulle mura del tempio: una interminabile schiera di solenni  divinità protettrici.
Nella parte più segreta della costruzione era collocata la tomba, l’urna che doveva conservare per l’eternità il corpo del faraone. I faraoni, i re-dei, che governarono per millenni il civilissimo popolo egizio, furono assai numerosi. Di alcuni si è perduta perfino la memoria, ma di altri non solo sono conosciuti i fatti più importanti della loro vita, ma anche il carattere, i gusti, le tendenze. Di molti sono note le esatte sembianze in quanto vennero effigiati in sculture graffiti e dipinti giunti fino a noi; molte di queste sculture sono addirittura colossali. In tutte le raffigurazioni dei re sono riportati i segni del loro grado e della loro potenza: vesti e paramenti indicano infatti a noi, come indicavano del resto al popolo egizio millenni or sono, i segni dell’autorità. La barba diritta era ornamento rituale dei faraoni , che così si distinguevano dagli dei, raffigurati con la barba ricurva . La corona era simbolo di sovranità: del Basso Egitto se era rossa, dell’Alto Egitto se era bianca. Amenhotep III porta due corone riunite  perche sotto il suo regno avvenne l’unificazione dell’Egitto. Il bastone  ricurvo era segno di potere. Il serpente sacro raffigurava la potenza di Ra, che contrastava i nemici del faraone.
Per capire quanto fosse importante per gli Egizi l’immortalità, basta  considerare la parola “ankh!, vita, che per essi significava  nello stesso tempo la vita terrena e quella dell’oltre tomba . Morte e vita quindi erano due aspetti della medesima realtà. Il richiamo della vita terrena esercitava una così forte suggestione sull’animo degli egizi da indurli a credere possibile il godimento delle medesime  gioie anche nel regno dei morti. Più che di una morte si trattava del mutamento della vita stessa: bisognava perciò preparare il corpo a sostenere  un così lungo cammino. Era infatti credenza degli Egizi che per godere dell’immortalità fosse necessario che il corpo restasse il più possibile intatto: un corpo dissolto non meritava il premio eterno. Nacque così una vera e propria arte dell’imbalsamazione , vale a dire della conservazione dei cadaveri. “ Mummie” erano appunto chiamati i corpi imbalsamati e il dio tutelare di quest’arte era Anubi , guardiano dei sepolcri, raffigurato con la testa di sciacallo.
La delicata operazione di imbalsamazione poteva richiedere fino a due mesi di lavoro. Nella casa perfetta, così veniva chiamato l’apposito laboratorio, prima di tutto si procedeva a togliere le viscere del cadavere e poi, per mezzo di un procedimento di cui si è perduto conoscenza, si ungeva il cadavere con le “ lacrime versate dai celesti per Osiride e Iside. Al di fuori del linguaggio immaginoso degli Egizi queste “ lacrime “ non erano altro che speciali unguenti: mirra, miele, Sali e una specie di bitume che in egizio prendeva il nome di “mum”, da cui appunto derivò il termine mummia. Alla fine il corpo veniva completamente avvolto in candide bende e chiuso in casse lavorate e dipinte, i sarcofaghi. Ancora oggi, dopo quattromila anni, alcune mummie conservano la stessa espressione che avevano quando furono imbalsamate. L’oltretomba immaginato  dagli Egizi raccoglieva tutti i giusti in un luogo di pace: nella frescura delle palme e dei sicomori, tra i filari di viti, in mezzo ai canali dei fiumi ricchi di pesce e di selvaggina..
Una delle qualità più straordinarie degli Egizi era la loro intelligenza pratica. Le enormi difficoltà tecniche che i costruttori, quasi sempre sacerdoti, incontravano nell’edificazione dei colossali templi, dovevano prima essere risolte da studi matematici difficilissimi, a quel tempo praticamente sconosciuti ad altri popoli. Nello studio della geometria, intesa come misurazione del terreno, gli Egizi dovettero farsi una notevole esperienza fin dai tempi più antichi, per assoluta necessità. Ogni anno infatti il Nilo, straripando e coprendo enormi estensioni di terreno con uno strato  di limo fertilissimo, cancellava tutti i confini preesistenti. Gli agrimensori, cioè i misuratori del terreno, dovevano pertanto ogni anno rifare i calcoli e le misurazioni, in modo da restituire a ciascuno la quantità di territorio coltivabile di sua proprietà. Non era compito facile, e in più lo stato aveva tutto l’interesse a controllare che i calcoli fossero eseguiti in modo perfetto, dal momento che le tasse erano strettamente legate alla quantità di terreno che ciascuno coltivava. Gli agrimensori avevano così due controllori severissimi: i proprietari e lo Stato. La loro abilità nel misurare si basava sul concetto elementare, ma geniale, che qualsiasi figura piana, per quanto irregolare, purché limitata da linee rette, è scomponibile in tanti triangoli: era perciò la scoperta della “ triangolazione”, usata ancora oggi. Altre scoperte nel campo della matematica e della geometria permisero agli Egizi di essere i primi veri architetti dell’antichità. I numeri, per loro erano quasi un rito magico.
Più che nei rotoli di Papiro, i sapienti Egizi lasciarono testimonianza delle loro progredite conoscenze matematiche nelle costruzioni.. Parecchie di queste infatti venivano orientate  esattamente verso i punti cardinali, o verso la posizione del sole in determinati giorni dell’anno , o venivano edificate  in base a calcoli perfetti in cui ricorrevano certi numeri magici combinati con l’astronomia. La conoscenza degli astri era un’altra specialità degli Egizi, che riuscivano a calcolare esattamente non solo i punti cardinali ma anche molti complicati fenomeni celesti e strutturavano un calendario quasi perfetto. Come gia accennato, si può affermare senz’altro che i primi veri Architetti furono proprio gli egizi, soprattutto perché scoprirono l’enorme valore della pietra come materia prima da costruzione. Questa innovazione fu determinante per la civiltà antica: in seguito, i popoli ebbero un formidabile esempio cui ispirarsi.
Ciò che appunto sorprende di più è come gli Egizi non si siano accontentati semplicemente di usare la pietra per le necessità quotidiane, ma come ne abbiano fatto un uso così largo da riuscire a sfidare i millenni. Alcuni templi e alcune colossali statue furono addirittura scavate direttamente nella roccia. A rendere esteticamente perfette queste meraviglie  è l’equilibrio delle parti, una misurata armonia dei complessi e un gusto raffinato d’insieme. Questa modernità artistica fa dell’antico Egitto una perenne fonte di civiltà.
Le piramidi, pur non essendo i più perfetti esempi di architettura in senso strettamente artistico, furono però le costruzioni in cui più si cimentò l’abilità dei tecnici e degli organizzatori egizi. Per avere un’idea della complessità del lavoro basteranno alcuni dati. La piramide del faraone Cheope, cioè la sua tomba, detta anche grande piramide, copre una superficie di 52 mila metri quadrati, è alta poco meno di 150 metri (in origine; le intemperie l’hanno poi abbassata di qualche metro) ed è formata da circa due milioni e 250 mila blocchi di pietra dal peso medio di due tonnellate e mezzo ciascuno. Per la sua realizzazione fu necessario il lavoro trentennale di centomila uomini. Nonostante l’immensa mole, le poche stanze interne sono piccole e raggiungibili attraverso angusti corridoi: tutto è un immensa e massiccia sovrapposizione di blocchi perfettamente squadrati: una montagna di pietra levigata. E’ chiaro che in costruzioni di tali grandiosità era sufficiente un piccolo errore iniziale perché tutta l’opera risultasse compromessa, sia nelle sue linee architettoniche  sia nella sua staticità; ebbene, studi recenti provano che la differenza dei quattro lati uguali della base delle piramidi è di soli pochi centimetri.
Il lavoro di preparazione del terreno e dei blocchi era meticolosissimo: con una iniziale zappatura si preparava l’area necessaria e poi si procedeva nella sovrapposizione  dei blocchi. Tale lavoro veniva eseguito a forza di braccia, e per mezzo di due pratici sistemi: lo scorrimento dei blocchi su rulli di legno e l’uso di piani inclinati formati di sabbia . Gli arnesi più comuni per levigare i blocchi erano pezzi di silice, scalpelli di metallo e mazze di legno a forma di campana..
Gran parte delle vicende dell’antico Egitto sono giunte fino a noi stupendamente raffigurate in dipinti e sculture. Una prima analisi della pittura e della scultura egizia ci porta a distinguere l’arte ufficiale da quella popolare.. La prima aveva un valore magico-religioso, l’altra era l’espressione dell’animo popolare, naturalmente portato a cogliere l’aspetto piacevole della realtà.
Quando un personaggio importante si faceva ritrarre, era spinto dal desiderio di essere reso immortale: gli dei quindi erano costretti ad ascoltare i suoi desideri.
Se, per esempio, si faceva raffigurare assieme alla famiglia, in luoghi di deliziosa serenità sulle rive del Nilo, attorniato da centinaia di servi, era segno che in questo modo egli desiderava vivere anche nell’aldilà. Lo scopo dell’arte ufficiale  era quindi essenzialmente utilitaristico. Le invasioni dei popoli circostanti e le feroci lotte interne, che occuparono il millennio tra l’Antico Regno (2000 a.C) e il Nuovo (1000 a.C.), provocarono però un notevole cambiamento nell’arte ufficiale: la realtà così spesso tragica imponeva un diverso linguaggio, sia agli artisti, sia ai personaggi stessi che si facevano effigiare . I volti dei re, per esempio, presero l’aspetto di vere maschere tragiche; le raffigurazioni di battaglie cominciarono a esprimere non soltanto la gloria del trionfo, ma anche l’aspetto più drammatico dello scatenarsi delle passioni, dell’ira sterminatrice, della morte violenta. Erano le immagini del lento declino politico dell’Egitto. L’arte popolare si esprimeva in forme ingenue, poetiche e a volte perfino umoristiche. Numerosi erano i dipinti raffiguranti contadini intenti al lavoro: mentre tagliano le messi, in atto di raccogliere le spighe dorate; pescatori seminascosti nei canneti che si accingono a ritirare le reti colme di pesce; leggere imbarcazioni di giunco che a vele spiegate risalgono la corrente del Nilo. Erano le immagini di un mondo semplice e felice, fatto di lavoro e di svago, in una cornice naturale stupenda, nella serena pace di una terra benedetta dagli dei. Una forma d’arte che gli Egizi tenevano in gran conto era quella dell’abbigliamento. Eleganti e raffinati, vestivano abiti confezionati in modo estremamente semplice, ma di linea perfetta. Gli uomini nel camminare assumevano un’aria imponente e austera che le vesti contribuivano a sottolineare. Le donne portavano monili squisitamente lavorati. Per truccarsi si servivano di specchi di bronzo ricoperti di una lamina d’argento. Famosissimi sono i gioielli della moglie di Thutmose II : un collare composto da cinque giri di pezzi d’oro a forma di fiaschetta ( che in scrittura egizia significa “buono”)  e da un filo di foglie di o loto; una collana formata da 370 pietre preziose: lapislazzuli, turchesi, granata. Solo con l’avvento del Nuovo regno le donne cominciarono a mettere enormi parrucche e a vestire in modo decisamente più vistoso e sgargiante. Dipinte sui papiri o scolpite nella pietra non vi erano soltanto figure, ma anche tanti piccoli disegni di persone, animali, oggetti e molti altri segni strani assolutamente indecifrabili. Per un certo tempo si pensò che fossero formule magiche, poi si capì che si trattava  di scrittura: la scrittura degli antichi egizi. Il sapere che quei segni rappresentavano la loro scrittura non era ancora tutto , bisognava trovare anche la chiave per poterla interpretare. Per secoli gli studiosi di archeologia (scienza che studia le cose antiche) si cimentarono nella decifrazione dei “ geroglifici”, cioè incisioni sacre, cercando la chiave di questo mistero . Chiave che in questo caso doveva essere un papiro o una pietra in cui fossero riportati contemporaneamente dei geroglifici e la loro esatta traduzione in una lingua sconosciuta. Chissà per quanto ancora il mistero sarebbe rimasto insoluto, se un soldato dell’esercito napoleonico, il2 luglio 1798, non avesse trovato una pietra, un pezzo di nero e durissimo basalto, su cui era scolpito un brano trilingue: scritto cioè in geroglifico, in tardo egizio e in greco. Ci vollero parecchi studi prima di arrivare alla decifrazione esatta della stele di Rosetta, così chiamata dal nome della città presso cui la scoperta era stata fatta; ma finalmente un appassionato cultore di lingue morte, il francese Champollion, riuscì nell’intento. Da allora i geroglifici non ebbero più segreti.
La scrittura egiziana è definita “ideografica” : la quale significa che ad ogni idea  e concetto espressi nel discorso corrisponde una figura. A poco a poco le figure divennero sempre più stilizzate, e si semplificarono, per rendere la scrittura più rapida. Così nacquero le lettere dell’alfabeto moderno: che non corrispondono più a delle idee, ma a dei suoni, che disposti in un certo ordine formano le parole: è il sistema “ fonetico” .
La scrittura non avrebbe avuto in Egitto l’imponente sviluppo che ebbe, se non fosse stato scoperto il foglio di papiro. Incidere e scalpellare sulla pietra, infatti, non era ne semplice, ne pratico e richiedeva moltissimo tempo; scrivere su dei fogli invece era molto più semplice. Per preparare questi fogli gli Egizi si servivano di una pianta del Nilo, il “ papiro” . Ne aprivano il gambo, tagliavano dall’alto in basso, ottenendo così due nastri sottili. Questi venivano poi essiccati e uniti  l’uno e l’altro in modo da ricavarne fogli più larghi. Tali fogli erano resi più consistenti perché incollati a due a due e incrociati. La colla che gli univa era fatta con farina di frumento. Un lavoro di martellatura, essiccatura e lucidatura con olio di cedro completava l’opera. Spesso i papiri scritti venivano collocati in anfore di terracotta. Il clima secco, tipico dell’Egitto, favorì la conservazione di innumerevoli rotoli, altrimenti facile preda dell’umidità.
Dalle testimonianze scritte, dai dipinti, dagli oggetti giunti fino a noi possiamo sapere con certezza  che l’attività più diffusa dell’antico Egitto era la coltivazione dei campi . La fertilità della terra permetteva infatti agli agricoltori  un lavoro sereno, senza eccessive fatiche.
Ciò che maggiormente preoccupava gli egizi era il problema dell’irrigazione. In un clima caldo e secco, infatti, la cosa che più mancava era l’acqua; vennero così creati bacini  artificiali che potevano contenerne enormi quantità. L’acqua scorreva per mezzo dei canali fino a bonificare estese coltivazioni. Cereali e legumi erano le colture più diffuse: grano, orzo, saggina, lenticchie, fave. La vite era coltivata per lo più vicino alle abitazioni. Il lino era l’unica pianta tessile conosciuta: la sua coltura aveva notevole importanza anche per l’industria che da essa nasceva. L’olio di sesamo era utile per condire i cibi; serviva anche da medicamento.
Nell’alimentazione gli Egizi erano parchi; non disdegnavano naturalmente qualche banchetto speciale, ma di regola consumavano pasti frugali. Il pane era alla base della loro alimentazione: dal faraone all’ultimo schiavo tutti si cibavano di pane. Il contadino riceveva ogni giorno come paga tre pani e due brocche del liquido che noi oggi chiamiamo “birra”. Presso gli altri popoli gli egizi erano conosciuti appunto come i “ mangiatori di pane” . E ne avevano ben motivo dal momento che non solo producevano grano in grande quantità, ma avevano anche imparato a cuocerlo. I chicchi di frumento infatti, prima degli Egizi, non venivano macinati ma solo abbrustoliti e comparsi sugli altri cibi, specie sulla carne per accrescerne il sapore. L’uso di macinare il grano per ottenere farina con cui fare delle schiacciate era proprio nato in Egitto. Ma la scoperta più importante fu quella della fermentazione della pasta. Chissà quando e dove un Egizio si accorse un giorno che la pasta lasciata per qualche tempo inutilizzata si riempiva di bollicine che la rigonfiavano. La pasta “ fermentata” messa a cuocere dava un pane molto più soffice e buono. Con la scoperta della fermentazione della pasta, gli abili fornai egizi riuscirono ad ottenere ben cinquanta varietà di pane. Più o meno con lo stesso procedimento facevano fermentare la birra. Il pane veniva mangiato da solo o con erbe, carne tritata o pesce.
Tra i cibi in uso presso gli Egizi non mancava la carne: di bovini, di selvaggina, di pollame. Sembra addirittura  che fosse diffusa l’usanza , ancora attuale, di ingrassare forzatamente oche e anitre per ottenere una carne migliore. Alcuni cibi che noi oggi chiameremo col nome di “ torte” , o” pasticcini” , venivano dolcificati con il mile. Era costume dei ricchi intrattenere gli ospiti con feste  che terminavano in lauti pranzi e abbondanti libagioni a base di birra e di diverse qualità di vino. Perché i morti potessero compiere il loro lungo viaggio nell’aldilà, venivano collocati abbondanti cibi anche nelle tombe. Nelle tombe dei faraoni, parte del cibo veniva consumato dai sacerdoti.
Inesauribile fonte di svago era il Nilo, il quale costituiva, con la miriade dei suoi canali, un posto ideale per la villeggiatura. La frescura e la pace che si godeva sulle sue rive era un ottimo ristoro per i ricchi e per i poveri.
Alcuni bassorilievi egizi ci mostrano scene suggestive sulla caccia all’ippopotamo. Ricche di pesce, le acque del Nilo offrivano nello stesso tempo svago ai pescatori e una fonte notevole di alimentazione per tutti. Sul Nilo passavano anche, leggere e veloci, le navi di papiro. Molte appartenevano ai ricchi mercanti egizi che mantenevano  traffici intensi con tutti i popoli vicini e che spesso si spingevano anche lontano, lungo le coste del Mediterraneo e del Mar Rosso. Il padre del Nilo, la prima fonte di vita per gli egizi, elargiva così riposo e lavoro a tutti i suoi figli: questo suo popolo laborioso e straordinario.

I FENICI


I   FENICI

L’antica Fenicia occupava gran parte la costa dell’attuale Libano, dal monte Carmelo al golfo di Iskenderun . A est la catena del Libano, che raggiunge i 3080 metri di altezza, taglia praticamente le comunicazioni con l’entroterra e, correndo quasi parallela e vicinissima alla costa, comprime fortemente la regione sul mare. Lunghe propaggini montuose isolano l’una dall’altra le brevi vallate, percorse da fiumi che assomigliano a torrenti. Gli antichi abitatori videro nel mare la loro condizione di vita; lo affrontarono dapprima in cerca di luoghi pescosi, poi ne fecero la via per qualsiasi scambio.
Fondarono la loro città su promontori rocciosi, in modo da poter disporre di due porti, uno rivolto a sud e l’altro a nord, a seconda dei venti e delle stagioni. Sfruttarono in modo analogo anche gli isolotti a breve distanza dalla costa, dove era più facile fortificarsi e rifugiarsi in caso di necessità.
Numerose scoperte archeologiche provano che la Fenicia fu abitata in tempi remotissimi . Ma chi furono i Fenici? Da dove provenivano?  Questa domanda appassionava gli studiosi già al tempo di Erodono, il famoso storico greco. Interrogati da lui in proposito, i sapienti di Tiro risposero che i loro antenati provenivano dal Golfo Persico . In passato qualcuno sostenne che erano un ramo della civiltà cretese. Secondo le più recenti ipotesi, fanno parte di una forte migrazione semitica che,partendo dalla Caldea, nel IV millennio a.C. venne a stanziarsi sulle coste siriache. Ma sulla data del definitivo stanziamento in Fenicia di questo popolo e sul paese di origine si possono fare soltanto congetture.
Grazie alla particolare posizione geografica, la Fenicia godeva anche nell’antichità di un clima abbastanza mite, rispetto a quello del vicino Oriente, ma occorreva affinare l’ingegno per sfruttare la scarsa fertilità del suolo. Ruderi giganteschi di silos sotterranei, primitivi torchi di pietra, colossali cisterne intagliate nella viva roccia provano l’ingegno di questo popolo nel serbare e trasformare i prodotti agricoli . Col rudimentale aratro di legno, in uso in tutto l’oriente, i Fenici spinsero le coltivazioni fin sui monti del Libano, intagliarono terrazze perfino sulle scogliere e vi trasportarono a spalle la terra necessaria.
Coltivarono soprattutto  grano e orzo che già in maggiorano maturi, legumi, lino e forse  anche cotone ; compirono progressi notevoli nella cultura della vite e dell’olivo, praticando l’innesto. Fra gli alberi da frutta erano diffusi i fichi, i sicomori e soprattutto la palma da dattero..
I Fenici avevano in tutto il Mediterraneo il monopolio della porpora, che forse inventarono e di cui certamente conoscevano l’uso gia fin dal 1600 a.C. Secondo una leggenda, fu il dio Melkart, a farne dono ai suoi fedeli; secondo un’altra, l’idea geniale di tingere la lana venne a un pastore, che aveva visto il suo cane imbrattarsi di rosso nel tentativo di addentare un murice. La porpora è una tintura ricavata dal murice, una piccola conchiglia divenuta rara per l’abbondante uso che se ne fece.
I Fenici furono famosissimi nel mondo antico per la lavorazione del vetro. Molto probabilmente il procedimento per fabbricarlo  fu scoperto dagli Egizi e poi adottato dai Fenici, che lo semplificarono usando la sabbia finissima e bianca di cui abbondavano le loro spiagge.Vasi di vetro trasparente  per cosmetici e profumi , in gran voga in tutto l’oriente  nel 1500 a.C. erano tra i prodotti più pregiati e richiesti dell’artigianato fenicio.
L’arte Fenicia non ebbe caratteri originali. Artisti e artigiani sapevano lavorare ugualmente bene l’avorio e la pietra, il legno e i metalli, ma cercavano soprattutto di compiacere i gusti dei clienti e perciò le loro opere, a secondo del periodo storico, s’ispirarono alla civiltà Egizia, assiro-babilonese e a quella greco-romana. Le spedizioni archeologiche dell’800 hanno riportato in luce il sistema estremamente efficace usato dagli ingegneri fenici, che nella costruzione di dighe e porti sapevano  sfruttare le pareti rocciose , integrando l’opera della natura con colossali blocchi di pietra. Le grandiose rovine di Ungarit ci mostrano un tempio a cielo aperto, un recinto sacro che al centro aveva un altare per i sacrifici e una piccola cappella , oppure una colonna di pietra o di legno, considerata la dimora del Dio. I palazzi, a detta di Stradone avevano eleganti finestre e balconi ed erano più alti di quelli romani, che non di rado superavano i 20 metri. Per questo i danni arrecati dai terremoti sono stati gravissimi. L’unica fonte di conoscenza è costituita dai bassorilievi assiri..
Spinti dall’esiguità del loro territorio, incuneato fra l’Egitto e Mesopotamia, i Fenici tentarono le vie del mare, e con i loro empori stabilirono una efficientissima rete di commercio in tutto il Mediterraneo. I mercanti scambiavano i prodotti della loro terra e dell’artigianato con le materie abbondanti in altri paesi: grano in Egitto, rame nell’isola di Cipro, argento in Spagna, zolfo e ferro in Sicilia; si rifornivano di oro e piombo perfino dal mar Nero. Stabilirono un servizio  ininterrotto con le carovane  che percorrevano l’Asia , portando così dall’India incenso e legni rari , mirra, tappeti pregiati e mussole trasparenti, dall’Africa avorio e ebano.
Come tutti i popoli antichi, i Fenici facevano ben poca distinzione fra commercio, inganno e furto. Usavano sistemi tanto simili alla pirateria, che si crearono ben presto una pessima reputazione: benché essi stessi non si comportassero in maniera migliore , i Greci finirono col chiamare “fenicio” chiunque si dedicasse a pratiche disoneste.
Pare che questi arditi navigatori, superato lo stretto di Gibilterra, abbiano raggiunto l’arcipelago britannico  per rifornirsi di stagno ; forse arrivarono anche al Mar Baltico, in cerca d’ambra . Fin dove giunsero con i loro viaggi? Secondo Erodoto  compirono il periplo dell’Africa, assoldati dal faraone Neco, nel VI secolo a.C., navigando per tre anni.
La prima scuola del marinaia Fenicia fu certamente la pesca, insieme alla necessità di aggirare per via mare i contrafforti che dividevano le pianure. La costa stessa, allungandosi sul mare, sembrava incoraggiare a viaggi sempre più lunghi . La necessità divenne abitudine, i Fenici impararono a sfruttare a loro favore le correnti e la regolarità dei venti, e a poco a poco  crearono una vera e propria scienza della navigazione. Le loro navi, di poco pescaggio e di piccola stazza , potevano navigare  soltanto a breve distanza dalla costa, ma con questo sistema seppero affrontare le mille incognite di viaggi in acque del tutto sconosciute. Non disponendo di alcun strumento di bordo, impararono a basarsi sul moto delle stelle, soprattutto sulla stella polare, che a lungo fu chiamata “stella fenicia” , e che si pensa scoperta proprio da loro.
I Fenici, che avevano a disposizione i cedri del Libano, poderosi, diritti e alti più di 40 metri, possono essere considerati i primi maestri di ingegneria navale. La presenza di un vero e proprio scheletro di legno differenzia la loro nave da quella più progredita degli Egiziani, che nel complesso ci appare ancora simile a una cassa. Il fondo è costituito dalla chiglia, una trave in legno robusto teso per tutta la lunghezza. Dalla chiglia, come dalla colonna vertebrale, si dipartono le costole, robusti pezzi di legno trasversali, collegati fra loro con una serie di travi parallele sul fondo della barca. I bordi sono notevolmente rialzati ed esiste il ponte, sostenuto solidamente dalle travature trasversali. Sullo scheletro è teso il fasciame, formato da tavole perfettamente congiunte  e rese impermeabili da una speciale mistura a base di bitume proveniente dalla Caldea. Sotto il pelo dell’acqua la chiglia è munita di un affilato sperone rivestito di metallo per sfondare la nave avversaria. La vela quadra, issata sull’unico albero, poteva venire usata solo con il vento in poppa, perciò la velocità e l’agilità di movimento erano quasi interamente affidate ai rematori.. Il carico, che poteva essere di parecchie tonnellate, era ammassato al centro, in modo da lasciare spazio ai rematori. Il timone era costituito da due larghi e lunghissimi remi. La Fenicia possedeva una marina militare e una mercantile. Conosciamo le caratteristiche delle sue navi dalle decorazioni di alcune tombe egizie, da poche pitture vascolari greche e da bassorilievi assiri. Il più noto, del 700 a.C., rinvenuto a Ninive, ci mostra una nave da guerra lunga circa 20 metri, a due ordini sovrapposti  di rematori. La colonizzazione fenicia dovette iniziare a opera di Sidone subito dopo l’invasione dei popoli del mare. Sulla data di fondazione delle colonie possediamo solo testimonianze greche, di epoca molto più tarda. Verso il 1000 però nell’Egeo dovevano esisterne già molte, poiché pressappoco in quell’epoca l’alfabeto fenicio fu adottato dai Greci.
Piu che vere e proprie colonie, i Fenici fondarono empori e magazzini; pagavano tributi ai principi locali per esercitare liberamente il commercio. Le colonie più famose furono quelle dell’Africa settentrionale e del Mediterraneo occidentale, soprattutto in Spagna, Sicilia , Sardegna. La più importante fu Cartagine , la “nuova città”, chiamata così dai Tirii, che la fondarono su un'unica base commerciale di Sidone. Le colonie mantennero sempre legami di lingua e religione con la madrepatria , pur avendo governo autonomo . Unica fra tutte Cartagine si rese completamente indipendente dalla Fenica, sottomise le popolazioni indigene e le altre città coloniali Africane e diventò una potenza commerciale e navale, temibile avversaria dei greci e dei Romani.
La religione era basata sulla personificazione delle forze naturali, ma ricostruirla non è facile perché la Fenicia pululava di piccole divinità adorate con nomi, attribuiti a culti diversi. In ogni città tuttavia si può rintracciare una triade divina, formata da Baal, il dio protettore  (chiamato Melkart a Tiro, Eshmun a Sidone, Ammon a Cartagine ), da Nalaat, la dea che personifica la terra feconda, e da un altro Dio, generalmente figlio di Balaat. A questo Dio più giovane era legato un mito di morte e di resurrezione che esprime il ciclo perenne della vegetazione . Una delle dee più note era Ashtart, identificata dai Greci con Afrodite; altre divinità particolari erano Reshef, padrone della luce e della folgore, e Dagon, dio del grano e del mare.
In tutta la Fenicia, il tempio costituiva un organismo a se, con amministratori e leggi proprie. Accanto alla costruzione destinata alle cerimonie religiose c’erano alloggi per tutti coloro che vi erano addetti: sacerdoti, servitori, guardiani e artigiani. Sugli altari venivano bruciati olii, vino, latte; le offerte più ricche erano rappresentate da buoi, vitelli e montoni. In caso di calamità però si immolavano anche vittime umane , soprattutto bambini in età tenerissima. I Fenici infatti, come molti popoli antichi, erano convinti così di placare la divinità. A Cartagine, durante l’assedio dei Romani, 200 vittime innocenti vennero sacrificate al dio Moloch.
A somiglianza degli Egizi, i Fenici credevano che dopo la morte l’anima continuasse a vivere , e che la sua esistenza fosse legata alle sorti del corpo che aveva abbandonato . Per questo il culto dei defunti  era in grandissimo onore presso questo popolo rozzo e crudele. Il cadavere veniva chiuso in una tomba detta “ Casa di riposo” o “ Casa dell’eternità”, consistente per lo più in una camera sotterranea, che s’apriva direttamente sulle pareti rocciose, o alla quale si accedeva attraverso una specie di pozzo profondo e una lunga galleria sotterranea.
La conformazione del suolo, che favoriva l’isolamento delle varie località, ostacolò il sorgere di un vero senso nazionale . La storia della Fenicia è più che altro la storia di tante città-stato , raramente unite di fronte ai nemici comuni e sempre in lotta fra loro. Le lettere di alcuni funzionari babilonesi ai faraoni ci provano che nel 1400 a.C. la fenicia era diventata un possedimento dell’Egitto. Le città-stato lottarono per liberarsi da questa scomoda tutela. Ci riuscirono verso il 1200 a:C. , quando l’Egitto era in piena guerra , e nella fenicia iniziò un periodo di prosperità e di aspre lotte fra le varie città per il predominio politico ed economico. Dapprima prevalse Sidone, poi Tiro. Ma era inevitabile che la Fenicia fosse una facile preda  nelle lotte fra varie potenze predominanti nella zona, tutte prive di sbocchi al mare. Malgrado le numerose rivolte , se ne impadronirono gli Assiri, e quando Babilonia cadde la Fenicia passò all’impero Persiano. Le città conservarono però una certa autonomia, pur pagando i pesanti tributi imposti; molte s’allearono  con i vincitori per sconfiggere la Grecia.. Con la disfatta dei Persiani finì praticamente anche l’indipendenza della Fenicia. Le città che i fenici fondarono nei punti più favorevoli al commercio ebbero una organizzazione politica e religiosa propria, estesa anche al territorio di espansione. Erano per la maggior parte governate da un re, scelto fra le famiglie che vantavano discendenza  divina; alcune erano rette a repubblica da due “suffeti”. I mercanti più ricchi formavano un importante consiglio di anziani. Il maggior centro religioso era Byblos , che si diceva fondata da El, il dio del Sole. Là il commercio del papiro era talmente attivo che il suo nome fu usato dai Greci per indicare il “libro”: dai fusti di papiro, infatti, venivano allora ottenuti i fogli su cui si scriveva.
Tutti gli antichi storici attribuiscono ai fenici l’invenzione dell’aritmetica, anche se elementare ed imperfetta. E’ logico pensare che i primi mercanti si servissero delle dita per fare calcoli, ma avendo bisogno di raggiungere somme maggiori, ricorsero a sassolini ( la parola greca calcolare deriva da “ calcolo” , che anche in latino vuol dire piccola pietra) , a granelli vari, a nocciolini. Geniali e pratici com’erano, si valsero dei mezzi sperimentati da altre popolazioni orientali e inventarono nove segni nuovi, le cifre, che combinate con le lettere semplificavano molto le operazioni. Occorreva attendere ancora 1500 anni per lo 0, introdotto da uno sconosciuto indù nel sistema che impropriamente chiamiamo arabo perché lo abbiamo conosciuto da questo popolo.
Le scoperte archeologiche ci provano che nel secondo millennio a.C. in tutto l’Oriente era avvertita l’esigenza di un nuovo sistema di scrittura meno complicato di quelli già in uso, che richiedevano grande precisione di segno e la conoscenza di parecchie centinaia di caratteri. . I Fenici impegnati in un traffico intenso, soprattutto di merci al minuto e di non grande valore, dovettero sentire più di ogni altro popolo la necessità di sveltire le loro registrazioni. Abbandonata la scrittura Egizia e babilonese, per le quali occorrevano persone specializzate, come gli scribi, ricorsero ben presto agli alfabeti trovati presso vari popoli: Assiri, egizi, micenei…Geniali e pratici com’erano, li modificarono e dalla mescolanza ricavarono  un nuovo alfabeto formato da ben 22 segni , a cui corrispondevano altrettante consonanti. Saltarono le vocali che nel fenicio, come in tutte le lingue semitiche , si possono intuire facilmente. Era ancora una scrittura primitiva, ma l’idea era geniale.
Il fenicio fu la prima fra le lingue “morte” a essere decifrata, quando nel 1750 furono trovate delle iscrizioni bilingue, fenicio-greco, a Cipro e a Malta.