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venerdì 7 novembre 2014

L'ALLEANZA CON DIO

Il cuore del messaggio Biblico

Oltre ad essere una  delle parole più frequenti della Bibbia (vi compare 287 volte), l'alleanza è il cuore del messaggio biblico. Con il termine berìt- come è chiamato in ebraico l'alleanza- si vuole esprimere lo stretto legame che unisce l'uomo a Dio. Più in particolare il rapporto che lega Dio al popolo di Israele, che egli ha liberato dalla schiavitù egiziana e ha scelto come "suo popolo".
L'Alleanza ritma le tappe più significative della storia biblica. Quella che Dio stringe con Abramo ha come segno la circoncisione (che diventa il segno dell'appartenenza al popolo di Israele.
Quella stretta con Noè dopo il diluvio universale avviene sotto il segno dell'arcobaleno (simbolo della pace e dell'armonia ritrovate dal creato).
L'Alleanza con Mosè sul monte Sinai si estende a tutto il popolo di Israele e ha come segno il dono della Legge (sintetizzata nel Decalogo) e il dono del Sabato, che Israele si impegna ad osservare con assoluta fedeltà.
Sotto il profilo storico, l'Alleanza biblica sembra rispecchiare i tratti di alleanza che si stipulavano, presso gli antichi popoli orientali. In questi trattati il re presenta se stesso e i benefici concessi (o che concederà) al suo alleato. Elenca poi le clausole da osservare e le benedizioni o maledizioni che seguiranno alla fedeltà o alla violazione dell'Alleanza. Infine dispone che il trattato sia collocato nel tempio e letto periodicamente.
E' quanto avviene nell'alleanza biblica. Dio si presente ad Israele come il vero Dio che lo ha liberato dalla schiavitù egiziana e lo invita a osservare la legge che gli ha dato al monte Sinai, come sorgente di libertà e di benedizione. Se il popolo trasgredisce questa legge, verrà sradicato dalla sua terra e condotto in esilio.
Sotto il profilo spirituale, l'alleanza esprime il cammino interiore di Israele che viene condotto, tramite i profeti , a una alleanza nuova, che culminerà in quella definitiva ed eterna operata dalla Croce, e dalla Pasqua di Gesù.


DESERTO

Luogo dell'elezione e della tentazione


Descritta nei libri della Bibbia come "la terra in cui scorrono latte e miele", la Palestina è in realtà una regione arida, che la rende simile al deserto. Non si tratta certo, del deserto come lo intendiamo noi oggi (una estensione sabbiosa, ondulata da dune) , ma come terreno pietroso, dove però possono spuntare radici erbose, possono vivere animali ed è possibile fissare gli accampamenti dei nomadi.
A motivo di questa varietà di terreno , la lingua ebraica conosce una serie di termini per indicare il deserto: "midbar" è il terreno sassoso, "siak" è il terreno roccioso, "arabah" è il terreno incolto e senza vita (come la regione del Mar Morto, chiamata proprio Araba).
Nella Bibbia , tuttavia, affiora più frequentemente il valore simbolico del deserto. Questo luogo geografico si trasforma in luogo dello spirito.
Il deserto diventa così, il luogo della prova e della tentazione (come per il popolo di Israele, che vi dimora per 40 anni, per essere messo alla prova e per Gesù che vi rimane per 40 giorni, tentato da Satana, il luogo della ribellione e della sfiducia nei confronti di Dio (come nelle vicende presso le località di Massa).
Ma è anche luogo dell'elezione di Israele a popolo di Dio e il luogo dove questo popolo sperimenta la tenerezza di Dio, simile a quella dello sposo per la sposa: "Ecco, io la sedurrò , la condurrò nel deserto, le parlerò al cuore".
L'uomo della Bibbia sa che il deserto è il luogo della sete, dell'abbandono, della solitudine e della morte. Sa anche che è il luogo del castigo per le sue infedeltà a Dio, che provocheranno l'esilio a Babilonia, come leggiamo nei libri dei profeti. Solo l'intervento di Dio può ridare vita al deserto, vincendo l'aridità del suo suolo, fino a renderlo simile alle regioni più fertili della Palestina, come la pianura di Izreèl (Dio ha seminato), come il monte Carmelo (Il frutteto) e come il Libano, ricco di sorgenti e di splendidi cedri. Ecco come Dio trasformerà il deserto per il suo popolo che lo attraverserà ritornando dal'esilio e per il suo fedele che sperimenterà il deserto del peccato.

giovedì 6 novembre 2014

CONVERSIONE

Ritornare a Dio Padre


I testi biblici esprimono il richiamo alla conversione attraverso due modalità. La prima è quella di ritornare a Dio, espressa con il verbo ebraico shuv (ritornare) e che ancora oggi gli ebrei chiamano teshuvah (conversione) . Si tratta di un mutamento radicale di tutta l'esistenza, quasi di una inversione di rotta, resa visibile dall'esortazione a raddrizzare i sentieri.
La seconda è quella del cambiamento di mentalità. Essa viene espressa con il verbo greco metanoèin (cambiare la mente) , che ha dato origine al termine metanoia ( con cui  anche oggi chiamiamo la conversione). si tratta di una trasformazione del modo di pensare, di valutare ed anche agire, che la filosofia greca,, cui si ispira questo verbo, colloca nel nous (la mente).
Nei testi dell'Antico Testamento il richiamo alla conversione (soprattutto nella predicazione dei profeti) è rivolto al popolo di Israele perché si corregga delle molte infedeltà all'alleanza stretta con il suo Dio. All'orizzonte di questo richiamo si intravede una drammatica minaccia: se Israele non ritorna al suo Dio, verrà sradicato dalla terra che gli è stata data in dono e subirà il castigo dell'esilio.
Nei testi del Nuovo Testamento (soprattutto nei vangeli) la conversione riguarda particolarmente il rinnovamento interiore dell'uomo, la purezza del suo cuore (inteso come fonte di bene o del male), l'adesione piena alle parole di Gesù, alla volontà di mettersi alla sua sequela, come attenti discepoli. Gesù non minaccia chi non si converte, ma constata con dolore la sua esclusione dal regno di Dio da lui annunciato (cioè dalla salvezza).
I segni della conversione nell'Antico Testamento sono gli stessi della penitenza:stracciarsi le vesti e vestirsi di sacco (un tessuto ruvido e fastidioso) , cospargersi di cenere ed astenersi dai profumi, pingere e digiunare.
E' tanto grande l'amore di Dio per l'uomo che egli stesso non esita a convertirsi per evitare alla sua creatura di correre il rischio del fallimento totale, cui conduce il peccato (è il significato del verbo "perdere" o "andare perduti", tanto frequente nei vangeli).


PURO E IMPURO

Puro e Impuro nella tradizione biblica

Gli ebrei,come gli antichi popoli orientali, consideravano "puro" tutto ciò che appartiene all'ambito del sacro e favorisce il culto a Dio. Ritenevano invece "  impuro" tutto ciò che si oppone al sacro ed è di ostacolo al culto.
Una simile distinzione non riguardava però riguardava la sfera morale di una persona , ma solo le condizioni necessarie per essere ritenuti idonei o no al culto e per essere inseriti nella vita della comunità (un lebbroso ne era escluso).
Nel libro del Levitico (il libro della bibbia che si interessa alla vita religiosa del popolo di Israele) troviamo un ampia sezione, racchiusa nei capitoli 11-15, interamente dedicata alla distinzione fra ciò che è puro e ciò che è impuro (noi diremmo, oggi, tra sacro e profano).
In questa sezione viene presentata la distinzione fra animali puri ( di cui ci si può cibare, come pecore, vitelli, agnelli) e animali impuri  (di cui è proibito cibarsi, come il cammello e il maiale) e viene considerata come fonte di contaminazione (o impurità) la sfera legata al parto, alla nascita, alla morte, alle relazioni sessuali e alla malattia (in particolare la lebbra) .
Chi era incorso nell'impurità originata da una di queste condizioni, prima di dedicarsi al culto, doveva sottoporsi a particolari riti di purificazione (come lavarsi in acqua corrente e offrire un sacrificio di espiazione).
Al tempo di Gesù era ancora in vigore la distinzione fra puro ed impuro, sostenuta dal gruppo dei farisei. Ma Gesù insegna a dare il primato alla purezza interiore, che ha il suo centro  nel cuore dell'uomo, da dove può uscire ciò che veramente contamina la sua esistenza.
Anche la prima comunità cristiana, sull'esempio di Gesù, ha privilegiato la purezza interiore e morale.