geronimo

venerdì 29 ottobre 2010

I GRECI


I  GRECI

Che un popolo forte e bene addestrato possa vincere un popolo pacifico e indifeso è abbastanza comprensibile; che per esempio i Cretesi fossero stati sopraffatti dalla violenta irruzione dei Micenei non desta meraviglia. Più difficile da comprendere sono i motivi della sconfitta di un popolo bellicoso e abilissimo  come quello acheo. Probabilmente esso fu attaccato in un momento di particolare difficoltà: i nuovi invasori trovarono un nemico logorato  dalla lunghissima guerra di Troia. Era stata infatti questa una prova che aveva messo  a duro cimento la tenacia di tanti valorosi , aveva decimato le loro schiere , aveva compromesso le loro risorse , aveva invelenito l’animo dei più, aveva disperso molti giovani attirate da avventure lontano dalla patria, aveva insomma dissanguato in ogni senso un popolo guerriero per eccellenza.
Ma la guerra di Troia aveva soprattutto accentuato quei motivi di attrito tra i vari principi che gia esistevano, più o meno evidenti, anche prima del conflitto.. La discordia era sempre stata una caratteristica dell’organizzazione politica greca, fondata su una base federativa per sua natura eternamente instabile. Ogni principe, ogni entità politica per quanto piccola avevano spesso una pretesa tale di autonomia , anche militare da compromettere l’equilibrio di tutta la coalizione greca. Questo male cronico, sempre pericoloso, diventava addirittura mortale in tempo di guerra, specie se essa era combattuta contro avversari accanitamente decisi alla vittoria. Fu quello appunto che capitò agli Achei quando vennero a confronto con i bellicosi Dori . Ma non va dimenticato un altro motivo dal quale può essere dipesa la sconfitta degli Achei, anche se  alla mentalità moderna può sembrare irrilevante : i Dori avevano armi migliori . Nella storia dei popoli, del resto, è tutt’altro che raro l’esempio di vittorie conseguite in gran parte grazie all’uso di armi più perfezionate. I Dori avevano armi di ferro; specie le loro lance  erano per quel tempo micidiali strumenti di guerra. Le armi di bronzo degli Achei, per quanto usate con estremo ardore  e perizia, non potevano resistere al confronto. A tutto ciò si aggiunga  che i nuovi invasori avevano le medesime origini degli Achei, appartenevano alla stessa stirpe indoeuropea , provenivano come loro dal nord , parlavano una lingua molto simile , ma soprattutto erano parimenti bellicosi e tenaci, avevano insomma anch’essi la stoffa dei conquistatori . Facendo riferimento alla prima occupazione della Grecia, si è soliti parlare di invasione dorica, ma è necessario precisare che sebbene i Dori  fossero superiori per numero e in valore, la massa degli invasori comprendeva rappresentanti di almeno altri due popoli, gli Eoli e gli Ioni.
Quando gli Achei sentirono su di se l’inevitabilità della sconfitta, quando videro crollare, distrutte dal nemico, le rocche delle loro gloriose città, quando piansero spenta la superba potenza di Micene, di Tirino e delle altre città dal fulgido passato, quando capirono che il loro mondo era per sempre finito, distrutto, scomparso cercarono in ogni modo di sfuggire alla schiavitù. Molti riuscirono a imbarcarsi sulle veloci navi, testimoni di tanta gloria passata, e si dispersero per le vie del mare. Alcuni di essi approdarono sulle coste asiatiche, altri ancora più lontano, in paesi sconosciuti e qualche volta ostili. Quelli che rimasero attaccati alla loro terra subirono ogni sorta di oppressione, ma poco a poco si fusero con il popolo conquistatore. La storia tornava a ripetersi: spettava ora agli Achei, civilizzati un tempo dai Cretesi, farsi strumento di evoluzione a vantaggio dei nuovi vincitori. L’impresa di civilizzazione si presentò subito ardua, quasi disperata. Talmente disastroso era stato lo sconvolgimento della conquista dorica, che sarebbero stati necessari ben quattro secoli, dal 1200 all’800 a.C., perché il cosiddetto “ Medioevo ellenico” potesse venire superato. Alla fine, i Dori, sulle rovine di una gloriosa civiltà che essi stessi avevano distrutto, con l’aiuto dei vinti seppero costruirne un’altra ancora più grande.
La nuova civiltà si chiamò “ Ellenica” dal nome che i Greci davano a tuti i popoli legati alla loro medesima stirpe, gli Elleni, anche se stanziati  nelle diverse regioni. Elleni erano i Dori del Peloponneso, della Focile, della Locride; Elleni erano gli Achei dell’Argolide; Elleni gli Eoli della Boezia e dell’Arcadia ; Elleni gli Ioni dell’Attica e dell’Eubea.
Elleni erano anche tutti coloro che, partiti dalla loro grande patria “ Ellas”, erano andati a stabilirsi in altre terre bagnate  dal mediterraneo  e dal Mar Nero. Alle prime migrazioni degli Achei, conseguenti all’invasione dorica, altre infatti ne erano seguite da parte di tutti i popoli ellenici.
Migrazioni ora più intense , ora più rade, ma quasi ininterrotte per secoli.
I motivi di una così vasta dispersione furono molteplici: la prepotenza delle classi dominanti, la scarsità di terre da coltivare in confronto alla popolazione in continuo aumento, le avversità climatiche, i raccolti scarsi e anche la necessità di cercare altre basi commerciali  per ampliare i traffici marittimi. A tutto ciò si aggiunga quello spirito di avventura  che era una spiccata caratteristica  dei popoli greci.
Le “ colonie” , cosi si chiamavano quegli innumerevoli centri di migrazione ellenica, pur essendo completamente autonome erano tuttavia gelose  della loro origine  e a essa tenacemente vollero rimaner legate , non solo per motivi di interesse , ma soprattutto per amor della patria d’origine , che essi chiamavano “ metropoli” .
Ogni partenza dalla terra natale  era caratterizzata dalla cerimonia  del fuoco sacro: il corteo dei coloni partenti si recava ad accendere una fiamma al fuoco che sempre ardeva  sull’ara di ogni città ; trasportava nella nuova colonia  e conservata perennemente accesa, quella fiamma sarebbe stata il simbolo di un legame imperituro  verso la città di origine , segno di una complessità di tradizioni sociali e religiose che non sarebbero mai state tradite  o dimenticate..
Colo passare dei secoli , la diffusione delle colonie  divenne un fenomeno politico  e sociale di vastissime proporzioni . Si pensi che le sole colonie elleniche  in Italia, diffuse soprattutto in Calabria , Sicilia e Campania , presero il nome di “ Magna Grecia”, cioè Grande Grecia: Agrigento, Siracusa, Messina, Taranto, Reggio, Crotone, Sibari, Cuma, per ricordare solo le più importanti in Italia, non erano che isole culturali della grande patria ellenica; in esse rivivevano le medesime tradizioni, si respirava la stessa civiltà.
<tutta la Grecia non era che una federazione di tante città-stato, le “polis” , completamente libere e autonome in se stesse. Erano si legate da una comune, forte coscienza nazionale, sempre alimentata del ricordo delle stesse origini etniche, dal fatto di parlare la stessa lingua, di avere le stesse usanze, di credere nelle stesse divinità, tuttavia ciò non impediva il contemporaneo sussistere  di un geloso senso di indipendenza politica, un attaccamento alla propria “polis” profondamente radicato e convinto. Lo spirito separatista dei greci aveva si la sua principale ragione d’essere  nello spiccatissimo senso di libertà di questo popolo, ma era inevitabilmente legato anche alla configurazione stessa del territorio, tutto diviso da catene montuose che rendevano difficili  le comunicazioni tra una regione e l’altra della Grecia e favoriva invece i traffici per mare.
Ciascuna città, e il limitato territorio che la circondava, era dunque una città e uno stato nello stesso tempo, tutte le poleis formavano l’Ellade; gli altri erano semplicemente degli stranieri, dei “barbari”. I traffici tra le varie città greche e tra queste e il resto del mondo allora conosciuto, che avevano avuto periodi di crisi profonda nei secoli successivi all’invasione dorica, tornarono a svilupparsi enormemente, specie verso l’Asia Minore, in modo particolare a partire dalla metà dell’VIII secolo a.C. Tutte le città costiere erano dotate di ampi porti nei quali le navi mercantili potevano trovare sicuri ormeggi e i loro proprietari le migliori occasioni per scambi di ogni genere. I Greci importavano oro e altri metalli preziosi, ferro, lana, legno, cuoio ed esportavano vino, olio e molti manufatti di grande valore artistico. Tra essi bellissimi erano i  vasi decorati, di cui i Greci erano insuperabili creatori; la creta finemente modellata in forme varie e armoniose veniva poi arricchita di pitture raffiguranti personaggi e avvenimenti dell’affascinante mitologia greca o scene della vita di ogni giorno. Si deve anche a queste opere stupende infatti se noi oggi possiamo conoscere meglio  la vita di quel tempo , le attività di quei popoli. Sappiamo per esempio, che attraverso le pitture decorative, quanta parte avesse nella vita greca lo scambio commerciale, quanta animazione regnasse nei porti greci, sempre pieni di traffici. Uno dei porti più famosi era il Pireo, il porto di Atene. E si deve certo anche al vitale commercio che in esso si sviluppò se questa città greca  divenne quel centro di cultura  immortale che ancor oggi noi ammiriamo.
La polis non sempre ebbe la medesima forma di governo . All’inizio della dominazione dorica  essa era comandata da un re da cui tutto dipendeva ; era pertanto una monarchia , cioè governo di uno solo (monos=uno) . Nel periodo più intenso dei ricchi traffici commerciali e col sorgere di una classe economica  potente , il governo della città  passo nelle mani di un gruppo di aristocratici  (aristoi=migliori) ; la monarchia lasciava in tal modo il posto all’aristocrazia, che quando era rappresentata da pochi  era detta anche oligarchia (oligio=pochi) . Ma la storia greca è la prima che ci presenta anche un tipo di governo nuovo , sconosciuto agli altri popoli del tempo, la democrazia, cioè il governo del popolo (demos=popolo). Ciò avvenne in Grecia quando, aumentato il generale benessere, il popolo prese consapevolezza di se stesso, della proprio dignità, della propria capacità di governarsi senza bisogno di intermediari. La democrazia non fu una conquista facile per i Greci, come non lo sarà mai per nessun popolo, ma proprio per questo fu sicuramente una tappa di alta civiltà, un preciso punto di riferimento per la storia dei millenni futuri di tutti i popoli.
Gli avvenimenti storici della Grecia non sono che un complesso intreccio di vicende riguardanti ciascuna polis. Ognuna di esse ebbe una sua storia, propri personaggi, particolari vicende. Tuttavia le lotte intestine che spesso le dilaniarono, le accanite guerre combattute per  conquistare la supremazia sulle altre , in una parola le loro miserie e le loro grandezze possono essere conosciute attraverso le vicende di due città più delle altre  e potenti  e famose., Sparta e Atene . La loro storia è, in definitiva, l’immagine della storia di tutte.
Sparta e Atene rappresentano ancora oggi due modi diversi di concepire la vita: aristocratica e statica nei suoi ordinamenti la prima: democratica e sempre pronta ad adeguare le strutture politico sociali alle mutevoli situazioni storiche la seconda.
SPARTA:
Prima dell’invasione dorica, Sparta era un modesto villaggio di pastori e contadini. I Dori li vinsero, nonostante il loro valore nel difendersi , li assoggettarono e crearono subito un ferreo sistema di divisione sociale del quale coloro che appartenevano al ceppo originario costituivano il gradino più basso, la casta degli iloti , veri e propri schiavi senza alcun diritto e oppressi da ogni sorta di doveri. Al sommo dominava la casta degli spartiati  , costituita da Dori vincitori, e poi dai loro discendenti . A essi solamente erano concessi tutti i diritti; erano perciò i soli veri cittadini di Sparta cui spettasse per diritto di governare, cioè eleggere e essere eletti alle varie cariche dello stato. Solo a essi inoltre era concesso l’uso delle armi : in tal modo i vinti mai avrebbero potuto ribellarsi e minacciare la loro supremazia. Casta intermedia era quella dei perieci; erano questi in genere gli abitanti dei dintorni della città che subito si erano assoggettati ai Dori, ottenendo in cambio una forma di libertà, priva però di qualsiasi diritto di governo dello stato. I perieci rappresentavano la classe produttrice: artigiani, commercianti, lavoratori liberi, agricoltori.
Ogni membro della società spartana era strettamente legato alla propria condizione, che mai avrebbe potuto cambiare; per questo erano tra l’altro proibiti i matrimoni tra persone appartenenti a caste diverse: i trasgressori di questa legge, se scoperti venivano puniti con estrema crudeltà.
Crudele e dura, del resto, era tutta la vita di Sparta. Crudele per gli Iloti, gli infimi, contro i quali tutto era permesso; crudele per i perieci , duramente tassati dai dominatori, che non di rado giungevano a depredarli di ogni cosa, specie in occasione di guerre che richiedessero molto denaro; crudele infine per gli stessi spartiati che si assoggettavano a un regime di vita durissima  pur di diventare soldati capaci di sopportare  ogni prova più difficile. Triste e crudele fu insomma  tutta la vita di questa città, eternamente tesa alla conquista  di una supremazia che mai  riuscì a raggiungere , eternamente chiusa in se stessa  nel timore di venir meno a quel suo ideale di forza che si dimostrò alla fine la sua più fatale debolezza. Per dare un idea della forza oppressiva dei dominatori saranno eloquenti alcuni dati:  su 10 mila spartiati vi erano circa 100 mila perieci e 200 mila iloti. E per capire fino a che punto gli spartiati  fossero duri anche con i propri figli basterà ricordare che essi uccidevano tutti i neonati deformi o che presentassero qualche difetto fisico che impedisse loro di diventare ottimi soldati. Inoltre toglievano fin dai sette anni i figli alla famiglia e li educavano all’uso delle armi. Giustamente fu detto che Sparta non era che una grande caserma. I giovanetti venivano sottoposti ad ogni genere di prova: fame e sete, gelo o canicola, esercizi fisici e con le armi fino allo stremo delle forze; e per ogni minima infrazione il principale castigo era costituito da una buona bastonatura. Solo così essi pensavano, il corpo si sarebbe irrobustito e l’animo si sarebbe preparato ai duri cimenti della guerra..
Dai venti ai sessanta anni il cittadino spartano era soldato in ogni momento della sua vita: comune era il cibo, identici erano i vestiti, uguali gli orari della sveglia, delle esercitazioni militari e del riposo. La cultura che veniva impartita ai giovani soldati spartani era assai modesta: un po’ di lettura e di scrittura, qualche canzone di guerra; i più fortunati potevano avere il permesso di suonare qualche semplicissimo strumento musicale. Ideale supremo per Sparta infatti non era la cultura, non le arti o le scienze, ma unicamente la potenza e la gloria della patria; unica ambizione combattere e morire per essa.
In verità, gloria militare alla loro patria gli Spartani non mancarono di darne: sottomisero la Messenia, conquistarono  parte dell’Argolide , tennero testa per un lunghissimo periodo all’Arcadia, furono riconosciuti come la più importante potenza di tutti i membri della lega che comprendeva gli stati del Peloponneso ( lega peloponnesica) .
L’organizzazione politica di Sparta viene attribuita dalla tradizione allo spartiata Licurgo , vissuto intorno al IX secolo avanti Cristo. Lo stato era governato da due re, i quali avevano così modo di controllarsi a vicenda. Le loro mansioni erano prevalentemente militari. Per le questioni civili erano affiancati da un consiglio speciale, al quale essi stessi dovevano sottostare. Era questo la “ gerusia), una assemblea di 28 membri, i “gerenti” tutti con più di 61 anni di età (geros=anziano) , e tutti capifamiglia. Era la gerusia che proponeva le leggi a un assemblea di popolo detta “apella”, cui potevano ovviamente partecipare esclusivamente gli spartiati. L’assemblea popolare poteva approvare o respingere le leggi, ma non discuterle. In compenso poteva eleggere ogni anno cinque ispettori, gli “efori”, dotati di ampi poteri di vigilanza su tutto l’operato del governo e sulla organizzazione della città.
ATENE:
Il popolo invasore stanziatosi nell’Attica, e quindi anche in Atene, era quello degli Ioni. Le origini di Atene non differivano molto da quelle di tutte le altre città greche: sorta non lontano dal mare sulle falde del monte Imetto, essa viveva prevalentemente di agricoltura  e pastorizia . All’origine, più che una vera città essa non era che un insieme di piccoli villaggi , circa una dozzina , prossimi l’uno all’altro. La svolta decisiva fu segnata per Atene dall’intensificarsi dei commerci. Situato in una posizione assai favorevole, il porto del Pireo divenne in pochi decenni uno dei più attivi centri di traffico  di tutto il mediterraneo.
La ricchezza in tal modo aumentò rapidamente . Atene andò via via perdendo il suo aspetto contadino e pastorale per assumere quello di grande città cosmopolita. Questa maggiore agiatezza ebbe, tra l’altro, due conseguenze molto importanti. Prima di tutto Atene divenne il centro egemone di tutta l’Attica , la quale si configurò come un unico stato unitario. In secondo luogo, la ricchezza più diffusa non solo trasformò le condizioni sociali di tutto il popolo, aumentando il generale benessere, ma finì anche per mutare inevitabilmente  l’organizzazione politica: i re vennero sostituiti da un governo oligarchico costituito da pochi grandi proprietari che avevano nelle proprie mani la potenza economica della città. Gli “eupatridi”, così venivano chiamati questi nobili personaggi , si servivano, per amministrare lo Stato , di nove “arconti” , scelti tra i personaggi  più potenti e abili della loro stessa classe politica. Le funzioni di governo degli arconti sono grosso modo paragonabili a quelle dei ministri di uno stato moderno: la guerra e le alleanze, il culto, i problemi di organizzazione interna e cosi via . In più essi avevano anche il compito  di emanare le leggi. Rimanevano in carica un anno e passavano quindi a far parte, per tutto il resto della loro vita, dell’”areopago” cioè l’assemblea degli eupatridi.
Era questo il massimo organismo dello stato . A esso spettava nominare gli arconti, controllare il loro operato, far sentire il proprio peso nelle circostanze politiche e civili più delicate. Un’organizzazione di tal genere divenne alla lunga insopportabile al popolo, che sentiva di essere l’elemento produttivo più importante, senza avere in cambio un corrispettivo di potere nelle decisioni politiche. Senza contare che gli arconti si erano sempre tenacemente rifiutati di scrivere ben chiare e di rendere a tutti note le leggi da essi stessi create. Ciò provocava nel cittadino il giustificato sospetto che i detentori del potere  non volessero concedere agli altri sufficienti garanzie di giustizia; i governati intuivano che non poteva essere disinteressato il comportamento dei governanti, i quali maneggiavano le leggi a proprio insindacabile piacimento .
Il progresso economico e civile  si dimostrò anche in questa circostanza  decisivo . Il numero di ateniesi che andavano acquistando peso e influenza nell’economia della città diventava sempre più massiccio; più determinante si dimostrava  la presenza di nuovi ricchi nella vita pubblica. A tal punto che gli eupatridi capirono di non poter perpetuare un sistema egemonico privo di un minimo di controllo da parte del popolo. La stesura delle leggi e la loro pubblicazione fu opera, nel 620 a.C. dell’arconte Dracone : era il primo significativo  passo verso una giustizia più sicura e rappresentò una conquista incoraggiante per chi con fatica e impegno aveva contribuito alla grandezza della medesima patria, alla sua ricchezza materiale e al suo prestigio.
Dovettero tuttavia trascorrere ancora trent’anni prima che venissero riconosciuti a tutti gli Atenesi, indistintamente, i fondamentali diritti politici, prima che tutto il popolo fosse considerato partecipe della vita pubblica. Contrariamente a quanto si potrebbe supporre la nuova conquista fu opera di un eupatride , Solone ; uomo accorto e saggio che vedeva lontano nell’avvenire della sua patria. Egli infatti capì che una partecipazione più ampia al governo della ricchezza e del benessere comune, anziché indebolire avrebbe rafforzato la potenza ateniese. Solone vide giusto; l’avvenire gli dette ragione, a riprova di quanto fosse più proiettata nel futuro la classe dirigente ateniese in confronto a quella spartana e quanto fosse più di essa attenta al mutare degli eventi.
Secondo il nuovo ordinamento, tutta la cittadinanza era divisa in quattro classi, che si differenziavano fra loro unicamente per il censo, cioè le diverse condizioni economiche; la prima era la classe dei ricchi proprietari, la seconda e la terza erano le classi dei proprietari medi, la quarta quella dei piccoli proprietari e dei salariati. Le classi atenesi non erano chiuse come le caste spartane; i membri delle classi inferiori infatti potevano , arricchendo, entrare a far parte di quelle superiori . Per tutti quelli che raggiungevano un censo elevato esisteva la possibilità di accedere alle alte cariche dello Stato, qualunque fosse la loro origine.
Unico privilegio rigidamente mantenuto dalla classe più elevata era quello di poter nominare gli arconti. Ma a questa supremazia si contrapponeva un correttivo di notevole peso: era tolta ai nove arconti la facoltà di emanare leggi. Il compito legislativo passava definitivamente ad altri organismi: le assemblee delle classi. La prima, detta “bulé” era composta da 400 cittadini scelti tra le prime classi ; compito di questa specie di senato era quello di proporre leggi. L’approvazione di esse spettava alla seconda e più vasta assemblea, la “ ecclesia” , formata da tutto il popolo . Non era ancora uno stato democratico  vero e proprio, ma certo l’esperienza rappresentava una tappa decisiva verso ulteriori traguardi di libertà. Non sarà utile ricordare che da tutta questa organizzazione restavano esclusi gli schiavi, che, sebbene non conducessero una vita miserrima come quelli di Sparta, anche in Atene erano ai margini della società, senza diritti di alcun genere e gravati da tutti i doveri imposti lordai prepotenti padroni. Li illuminava tuttavia la speranza di poter conquistare  un giorno la libertà; regolamenti precisi infatti consentivano a uno schiavo di potersi riscattare e di godere così degli stessi diritti di tutti gli altri cittadini. Questa concessione sarebbe stata inconcepibile a Sparta.
Il governo democratico di Atene fu qualche volta interrotto dai cosi detti “tiranni” . Esempio famoso resta quello di Pisistrato, che dal 561 al 527 a.C. governò senza tenere conto delle leggi esistenti . Il suo potere politico fu tuttavia privo di eccessi e caratterizzato dalla saggezza e dall’equilibriuo. Pisistrato favorì le opere di pace, incoraggiò i commerci dando vita ad una potente flotta mercantile, rese ancora più ricca e ammirata la sua città, favorì le classi più povere. Perfino le opere d’arte ebbero modo di ricevere un grandioso impulso durante i 34 anni del suo potere assoluto.
Fedele all’idea che a situazioni nuove dovevano essere offerti nuovi e più adatti  ordinamenti politici, la classe dirigente ateniese, per opera dell’arconte Clistere , varò nel 509 a.C. un ordinamento democratico vero e proprio: le classi furono abolite e vennero sostituiteda dieci tribù, da ciascuna delle quali erano estratti a sorte 50 cittadini che formavano la nuova bulé; il governo passò dagli arconti a questa assemblea di 500 membri che governava per mezzo di gruppi costituiti da dieci persone per turni di 36 giorni. L’ecclesia manteneva il suo diritto di approvare le leggi. Chi avesse tentato di sovvertire l’ordine democratico  per impadronirsi del potere  sarebbe stato mandato in esilio per dieci anni.
Fu quella di Clistere la riforma politica definitiva: alle lotte intestine tra le varie classi si sostituì ben presto una gara di civile competizione che favorì tutte le attività, da quelle commerciali a quelle artistiche.
Atene, rifulse in ogni campo, ma soprattutto divenne centro di altissima cultura. Alla civiltà ateniese tutto l’occidente guarda ancora oggi come alla culla delle proprie origini. Perché questa fiamma non si spegnesse ma continuasse a risplendere più vivida, gli ateniesi favorirono in ogni modo l’educazione dei giovani. Un’educazione completa, che unisse all’allenamento fisico l’arricchimento dello spirito.
Fino a 17 anni il giovane restava presso la propria famiglia, e allo stesso tempo frequentava la scuola, diretta da educatori  saggi e sensibili ai problemi dei giovani. Gli insegnamenti principali e ai quali veniva dedicato più a tempo erano la lingua greca , la poesia, la musica, la danza, la ginnastica. Il servizio militare durava tre anni, dai 17 ai 20. Sebbene non raggiungesse la durezza di quello spartano, serviva ottimamente a irrobustire il corpo, per prepararlo ai cimenti della guerra. Quando tornava a casa dal servizio militare il giovane entrava con pieno diritto nel mondo civile e politico. Anche per Atene, come per moltissime altre città greche, venne il momento della grande prova, quello in cui fu necessario difendere con l’indipendenza politica la stessa civiltà ellenica. Tanta fortuna commerciale, tanto fulgore di cultura non poteva infatti non provocare le invidie della più grande potenza prossima alla Grecia, cioè quella dell’impero persiano.
Quando, stanca di sopportare le angherie dei Persiani, minacciata seriamente nei suoi traffici commerciali, la colonia di Mileto, situata sulle coste dell’Asia Minore, si ribellò e con lei si rivoltarono le altre colonie vicine. Atene accolse l’invocazione di aiuto delle città sorelle e inviò la sua flotta. Dopo un iniziale successo greco, però, Dario, imperatore dei Persiani, riuscì a occupare e distruggere Mileto. La partita sembrava conclusa, fu invece solo l’inizio della vera guerra. Prendendo a pretesto il diritto di castigare Atene ed Eretria  che avevano aiutato Mileto, Dario decise di distruggere la loro potenza. Due anni durarono i preparativi per inviare un forte esercito sullo stesso suolo greco allo scopo di prendere Atene alla spalle. La Tracia e la Macedonia furono occupate, ma l’ambizioso progetto fu fatto naufragare da una tempesta che danneggiò gravemente la flotta persiana. Dario non si diede per vinto; ricostruì la sua potenza navale e decise di attaccare Atene sbarcando direttamente dall’Attica.
La guerra era alle porte di Atene, il pericolo incombeva mortale. Milziade, il più accorto dei dieci Ateniesi preposti all’organizzazione militare, gli “ strateghi”, quando ebbe conoscenza che i Persiani , dopo avere distrutto Eritrea, stavano sbarcando nella pianura di Maratona, decise di agire senza indugi. Con 10 mila uomini, mille dei quali della città di Platea, marciò contro il nemico, che stava ancora sbarcando le truppe, si schierò in posizione dominante davanti a esso e accennò ad attaccare. Non appena il nemico si mosse, potente di circa 40 mila soldati, Milziade diede ordine al centro del suo schieramento di ripiegare lentamente e alle ali di compiere una manovra aggirante, a tenaglia. La lotta si accese subito accanita, ma i Greci moltiplicarono le loro forze spinti dalla disperazione, ben sapendo infatti che cosa sarebbe successo alle loro famiglie se il nemico avesse avuto il sopravvento. I Persiani, costretti in un luogo troppo angusto, finirono con l’essere danneggiati dal loro stesso numero, e si lasciarono cogliere dal terrore quando la battaglia era ancora aperta a ogni soluzione. Dapprima indietreggiarono con lentezza, poi volsero precipitosamente in fuga fino alle navi. I Greci li incalzarono e ne fecero strage senza pietà. Questo avvenne nell’anno 490 a.C. Ma se anche la battaglia di Maratona si era conclusa vittoriosamente, la guerra non era finita..
Dopo 10 anni , Serse, figlio di Dario  poteva contare sul più numeroso esercito mai visto, 400 mila soldati  e sulla più grande flotta, mille navi. Il pericolo che si presentava era talmente grave  che tutte le città greche, senza eccezioni,  si impegnarono a compiere ogni sforzo per battere insieme il comune nemico.
Serse pensò, come aveva fatto suo padre, di prendere Atene dal nord; e fu più fortunato di lui. Al passo delle Termopili, nonostante l’eroico sacrificio di Leonida e dei suoi 300 spartani , il suo esercito con manovra aggirante riuscì a passare e a dilagare nell’Attica, fino ad Atene, che venne saccheggiata. Ma l’ateniese Temistocle aveva piena fiducia nella flotta ancora intatta. Era più modesta di quella Persiana , contava infatti solo 370 navi, ma era di quella più agile alla manovra. Si trattava di indurre il nemico alla battaglia nel luogo più favorevole. Con abile tattica Temistocle riuscì nell’intento: attirò la flotta persiana nello stretto braccio di mare compreso tra l’isola di Salamina e le coste dell’Attica. Qui giunto il momento propizio, con assalti rapidi e mortali, le navi greche riuscirono a distruggere le mastodontiche e lenti navi persiane. Mentre Serse assisteva costernato allo spettacolo, la sua flotta veniva letteralmente fatta a pezzi. La Grecia aveva vinto ancora, e questa volta in modo definitivo. Le guerre che furono vittoriosamente combattute dai Greci l’anno seguente, infatti , non furono che la logica  conclusione della grande vittoria di Salamina. Sebbene tutte le città greche avessero contribuito alla vittoria, Atene venne, e a ragione, giudicata la potenza decisiva del conflitto. E come potenza guida essa venne considerata dalla prima lega stabile delle città greche , la lega di Delo.
Nel mezzo secolo che seguì la vittoria sui Persiani, Atene raggiunse il massimo vertice del suo splendore. Riedificata più bella di prima, dotata di nuove e più sicure difese, accresciuta nel numero dei suoi abitanti, rifiorì a nuova vita in tutti i campi dell’umana attività. Ciò grazie anche al fatto che, come guerra aveva avuto la fortuna di avere saggi condottieri, così in pace godette di una guida sicura e illuminata, Pericle . Il suo governo segnò il periodo d’oro non solo della città, ma della Grecia stessa. La pace ch’egli perseguì tenacemente con tutti i nemici vecchi e recenti garantì a tutta la Grecia un’espansione commerciale mai prima conosciuta.
La ricchezza favorì l’arte in ogni sua espressione: vennero eretti templi immortali, come il Partendone, furono incoraggiati pittori, scultori, architetti, venne favorito ogni genere di studio e di ricerca. Rinacque e si esaltò il gusto e l’amore per ogni cosa bella.
I grandi artisti e pensatori di quest’epoca sono ancora oggi considerati come i massimi ingegni di tutti i tempi, e ciò soprattutto perché seppero per primi esaltare l’uomo: l’uomo diventò per essi il più importante soggetto di analisi e di studio. Ma i Greci ebbero anche il gusto della vita raffinata e sfarzosa: le ricchezze, del resto, favorivano una vita più comoda. Ricche vesti erano portate da uomini e donne, specie di queste ultime con dovizia di lussuosi ornamenti. Abitazioni ricche di pitture, di sculture, di vasi dalla linea elegante e dalla decorazione perfetta sorgevano nei luoghi più ameni. Gli innumerevoli dei dell’Olimpo greco venivano onorati con splendidi templi, nella costruzione e nell’abbellimento dei quali si cimentavano gli ingegni più alti e gli artisti più raffinati. Sulla piazza principale, “ l’agorà”, si affacciavano splendidi palazzi, degna corona all’intensa animazione che regnava attorno.
In gran conto venivano tenute le “ sibille”, donne che predicevano il futuro, ma quasi sempre con parole che si prestavano a una duplice interpretazione. Erano molti coloro che evitavano  di intraprendere qualsiasi impresa prima di avere consultato la sibilla più famosa del momento. Il popolo invece si divertiva con la lotta dei galli. I più raffinati apprezzavano il teatro, in cui si recitavano tragedie e commedie rimaste immortali.
Ma il popolo di attrazione che godeva forse più di ogni altro l’incondizionata ammirazione dei più, erano i giochi nazionali. Si trattava di incontri aperti  a tutti i giovani delle città Greche e che si svolgevano in diversi periodi e in diverse località. I più famosi sono rimasti quelli olimpici, così detti dal nome della città di Olimpia, dove si svolgevano a intervalli di quattro anni. Durante i giochi cessavano perfino le immancabili guerre tra le varie città greche rivali..
Le guerre purtroppo non cessarono del tutto. La lunghissima guerra nel Peloponneso finì col prostrare a tal punto le eterne rivali Sparta e Atene che non si risollevarono più, anzi finirono preda del conquistatore di turno: Filippo II di Macedonia, che nella battaglia di Cheronea (338 a.C.) pose fine all’indipendenza greca.. E proprio a Cheronea comincia a splendere l’estro di Alessandro, figlio di Filippo, che appena diciottenne mise in rotta il battaglione dei Tebani.
Nel 336 a.C. , alla morte del padre, superando difficoltà dinastiche Alessandro iniziò il consolidamento del regno di Macedonia che sotto la sua guida conobbe maestosità e vittorie inimmaginabili. Questo giovane sovrano, di fulgida intelligenza accoppiata a instancabile vitalità e a sicuro talento militare, ebbe maestri d’eccezione: Leonida lo istruì sui fondamenti delle discipline militari; Lisimaco lo educò alle lettere; Aristotele gli trasmise parte della sua immensa cultura scientifica, storica e geografica e gli insegnò anche rudimenti di morale, retorica e politica..
Sbarazzatosi dei parenti che gli insidiavano il trono, si fece nominare stratega al congresso panellenico  di Corinto (335 a.C.), poi sottomise popoli ribelli nel nord della Macedonia e sconfisse gli Illiri, spingendosi sino al Danubio. Indi represse l’insurrezione dei Greci radendo al suolo Tebe, ma risparmiando Atene.
Trionfando sulla Grecia preparò la spedizione in Asia, progettata da suo padre. Nel 334 a.C., affidata la Macedonia a una reggenza, attraversò l’Ellesponto con quarantamila fanti e cinquemila cavalieri, di cui solo una metà Macedoni e il resto fornito dalle città greche, ad eccezione di Sparta.
Sulle sponde del fiume Granico affrontò e sconfisse il terribile esercito persiano, imponendo così la propria egemonia in tutta l’Asia Minore, e liberando le città greche della Ionia , dove instaurò regimi democratici in luogo delle oligarchie filo persiane. Riprese la marcia verso l’interno e a Gordio  risolse l’enigma del nodo gordiano: un oracolo aveva predetto il domino nell’Asia Minore a chi avesse sciolto il nodo complicatissimo che congiungeva il giogo al timone di un carro reale custodito nel tempio di Zeus.
Alessandro lo recise di netto con la spada, mostrando comunque una certa aderenza nella veridicità della profezia. Valicò il Tauro  e ad Isso  (333 a.C.) affrontò l’esercito di Dario III sconfiggendolo; Dario si rifugiò a babilonia ma Alessandro ne catturò i familiari (madre, moglie e tre figli), che secondo una tradizione persiana seguivano il monarca in battaglia.. Rifiutando le offerte di pace dello sconfitto, che comprendevano anche la mano di sua figlia, Alessandro si trovò aperta la porta dell’Oriente ma temendo un azione alle spalle volle prima occupare le coste del Mediterraneo orientale; sottomise perciò in successione Siria, Palestina ed Egitto penetrando nel deserto libico sino al tempio di Ammone. I sacerdoti egizi lo nominarono “figlio di Dio”, titolo riservato ai faraoni. In Egitto fondò la città di Alessandria (332 a.C.) che sarebbe divenuta il fulcro della cultura ellenistica. Nel 331 a.C. riprese la via dell’Oriente inoltrandosi in Persia: varcati il Tigre e l’Eufrate  a Gaugamela sconfisse definitivamente l’esercito approntato da Dario e fece occupare Babilonia e Susa, entrando di persona a Persepoli , che venne poi data alle fiamme. Liberatosi da una congiura di nobili macedoni, fece giustiziare Besso, un generale persiano che aveva detronizzato ed ucciso Dario. La campagna contro la Persia  può dirsi conclusa e dal quel momento la storia gli dispensa il titolo con il quale è arrivato fino a noi: Alessandro Magno. 
Intorno alla sua persona si cominciò a creare il mito dell’invincibilità, del re supremo, espressione vivente della divinità; ma questo instancabile condottiero non sembrava accontentarsi di quanto si li ottenuto. Preparò una nuova spedizione e con essa si mosse ancora una volta verso Oriente.. Penetrando in India sottomise le provincie periferiche dell’impero persiano e conquistò la Pertia, l’Incarnia e la Battana, dove fondò la città di Bucefala, dedicata al suo cavallo preferito.
Nella sua avanzata nella valle dell’Indo attivò una politica di equilibrio tra il suo alleato Tassila e Poro, da lui sconfitto; sempre combattendo arrivò al fiume Infasi manifestando la volontà di proseguire ma i soldati, stremati, minacciando un ammutinamento lo costrinseroa desistere ed a invertire la marcia. Riprese così la via del ritorno attraverso l’interno , mentre Nearco con la flotta si incaricò di esplorare le coste.
Nel 324 a.C. giunse trionfalmente a Susa e pose mano alla riorganizzazione dell’impero. L’anno dopo, metre stava progettando una spedizione in Arabia , morì di febbre malarica . E’ il 13 giugno del 323 a.C..
Così a soli 33 anni , si spense il più grande conquistatore  della storia antica ; l’uomo, che , da solo, era partito incarnando la lotta e la riscossa dell’Occidente e che aveva cercato di unire insieme, sotto una stessa corona, tutto il mondo conosciuto.
Lui morto, il suo impero non gli sopravvisse; i suoi generali se ne divisero le terre  e le provincie, fondando regni diversi e vanificando il suo sogno di unire Oriente e Occidente.

LE OLIMPIADI

Iniziate nel 776 a.C., le olimpiadi si arricchirono via via di discipline sportive nuove:
776 a.C. : una sola competizione di corsa, detta “ stadio”
720 a.C. : doppio stadio o “ diàulo” (380 m.)
712 a.C.  : lotta a pentathlon (salto in lungo, lotta, corsa veloce, lancio del disco e del giavellotto)
704 a.C. : pugilato
680  a.C. : corsa delle bighe, delle quadriglie e corsa a cavallo su una distanza di m. 4600
520  a:C. : “oplitodromo” (corsa di 384 metri su percorso di guerra da effettuarsi con equipaggiamento bellico.



martedì 26 ottobre 2010

I ROMANI


I    ROMANI
Verso l’anno 750 prima di Cristo, sulle colline che si elevano ai lati del Tevere a circa 20 chilometri dal mare, sorgevano alcuni villaggi di pastori latini, gente forte e rude, scesa molti anni prima dai Colli Albani dove si trova Albalonga, il loro nucleo abitativo più importante.
La vita dei Latini era molto semplice, le loro attività si limitarono alla pastorizia e all’agricoltura. Vivevano in villaggi formati da semplici capanne costruite per lo più con canne palustri. La loro indole era pacifica, anche se dimostravano accanita e coraggiosa resistenza quando i popoli vicini tentavano di razziare il loro bestiame.
Le ragioni che indussero alcuni di loro a sceglier una nuova dimora sulle rive del Tevere, vicino alla foce, vanno tra l’altro ricercate nella configurazione del terreno facilmente difendibile e al riparo dagli straripamenti del fiume, nella relativa vicinanza al mare, che consentiva scambi e commerci con i popoli marittimi e nella fertilità della terra, che favoriva tanto le attività agricole quanto quelle della pastorizia. Dallo sviluppo dei loro villaggi doveva nascere il primo nucleo  di Roma antica.
Romolo, fondatore di Roma, secondo la leggenda, era discendente dei re di Albalonga e figlio addirittura di marte. Non desta meraviglia quindi che,come tale, dovesse compiere imprese non comuni. Oltre alla fondazione di Roma gli sono infatti attribuite le più importanti realizzazioni conseguite dalla nascente città. Sempre secondo la leggenda, due sarebbero comunque i suoi meriti principali: l’incremento dato alla popolazione e l’alleanza con i popoli vicini. Il primo fu ottenuto con l’invito rivolto a tutti di diventare membri della nuova città: si vide in tal modo Roma popolata da gente d’ogni risma, compresi uomini dal passato equivoco, fuggiti dalle loro terre di origine per trovare qui asilo.
Romolo viene comunemente ricordato anche per il famosissimo ratto delle Sabine. I fatti tra il vero e il leggendario, andarono più o meno così: l’eccessiva prevalenza di uomini preoccupava Romolo, che pensò di procurarsi le donne di cui scarseggiava la città sottraendole con un colpo di mano ai popoli vicini. Bandì pertanto una grande festa alla quale invitò i Sabini e le loro donne; al momento in cui i Romani tentarono di rapirle, alcune Sabine, piuttosto di veder scorrere il sangue, preferirono accettare di rimanere con i romani, facendosi, in tal modo intermediarie di pace e di alleanza.
La verità, anche in questo caso, sarà stata meno eroica: i Romani si saranno probabilmente visti costretti, per necessità, ad allearsi con i Sabini, come del resto con molti altri popoli, laziali o meno.
Secondo la leggenda, Romolo non morì ma venne assunto in cielo, e i suoi fedeli da allora lo venerarono come il dio Quirino . Non meravigli questo fatto: divinizzare persone ritenute eccezionali era usanza comune presso gli antichi.
Le prime divinità laziali del resto avevano prevalentemente una fisionomia familiare; più che sommi dei erano divinità alla buona, alla portata di questa gente semplice che amava invocarli, in ogni momento della vita; divinità casalinghe, insomma, cui era demandato il compito di vigilare la casa, proteggere le greggi, far fruttificare la terra, preservare il bestiame dalla pestilenza, difendere la popolazione dallo scatenarsi degli elementi naturali.
La vita degli altri sei re di Roma, anche se non priva di imprese leggendarie, è tuttavia nota nella sua realtà storica. Numa Pompilio, re pacifico, riformò il calendario. Come lo spingeva a fare la sua indole religiosa, diede nuovo impulso al culto del tempio di Giano, costituì i primi collegi di sacerdoti. Tullo Ostilio, re bellicoso, distrusse Albalonga, obbligando gran parte della popolazione a emigrare in Roma, la quale divenne in tal modo il centro più numeroso e importante di tutto il Lazio. Anco Marzio, che come Numa Pompilio era Sabino, diede incremento alle opere di pace: tra storia e leggenda sono le costruzione del porto di Ostia e del ponte Subblicio avvenuto durante il suo regno. Primo re di stirpe Etrusca fu Tarquinio Prisco, che si dedicò all’abbellimento di Roma, come lo spingeva a fare l’appartenenza a un popolo più colto e civile di quello latino: opere sue sono il Circo, detto poi Massimo, il primo tempio dedicato a Giove, il primo sistema di canali ideato per prosciugare la parte bassa della città; portò a termine in modo vittorioso anche alcune guerre contro popoli latini invidiosi della crescente potenza di Roma. Probabilmente romano fu il penultimo re, Servio Tullio, a lui è attribuita l’erezione di una cinta  di mura, le Mura Serviane, e la divisione della cittadinanza in cinque classi secondo il censo dei cittadini. Etrusco fu l’ultimo re di Roma  Tarquinio il Superbo, prepotente e tirannico; dopo avere ucciso il suo predecessore, governò Roma con mano di ferro e si fece odiare da tutti. Ma durante i quasi 250 anni di monarchia i Romani avevano progredito enormemente: si sentivano più forti, più civili, meglio preparati a produrre, commerciare e difendersi; soprattutto sentivano essere pronti a governare da se la loro città, senza intermediari interni o forestieri. Stanchi infine delle prepotenze di Tarquinio, misero in atto un proposito radicale. Abbattere per sempre il governo dei re. Cacciarono quindi l’ultimo sovrano e proclamarono la repubblica. Era l’anno 509 avanti Cristo.
Tanto grande era diventato l’odio dei romani verso la monarchia, specie per colpa dell’ultimo re, che stabilirono la pena di morte per chiunque avesse di nuovo tentato di impadronirsi del potere. Non più governo di uno solo, dunque, col pericolo di perpetuare l’opprimente presenza di un padrone, ma “ repubblicacioè cosa (res) di tutti (publica).
E’ logico che mutando la forma istituzionale, i Romani fossero indotti a cambiare anche l’organizzazione dello Stato. Durante il periodo dei re, la classe dominante era quella dei “ patrizi”, cioè discendenti degli antichi padri (patres). I “ plebei” , cioè gli appartenenti alla classe inferiore, non avevano alcun diritto, ne politico, ne civile, ne militare , non potevano nemmeno possedere terre e animali; naturalmente non potevano sposare gente patrizia; potevano solo lavorare e mantenere se e la propria famiglia in libertà. Privi di qualsiasi diritto erano gli schiavi, non considerati persone ma solo strumenti di lavoro. Gli appartenenti alla classe patrizia  erano divisi in gentes, cioè gruppi aventi il medesimo capostipite , e quindi tutti dello stesso sangue. Più gentes formavano una curia e più curie una tribù. Il capo di ogni gens faceva parte del senato, cioè di un assemblea di 300 anziani, tanti quanto erano le gentes . Tutti coloro poi che facevano parte delle gentes avevano diritto di partecipare a un’altra assemblea, i comizi curiati, organismo che confermava l’elezione del re, fatta dal senato, e prendeva altre importanti decisioni , come per esempio quella di dichiarare guerra.
L’ordinamento repubblicano del governo si differenziava da quello monarchico soprattutto perché rendeva le cariche pubbliche elettive e temporanee. Alla base vi era l’assemblea generale del popolo, non più diviso in curie e tribù ma in cinque classi., che comprendevano sia patrizi che i plebei . L’appartenenza all’una o all’altra classe era naturalmente determinata in base al potere economico dei vari individui: i più ricchi appartenevano alla prima, i più poveri alla quinta. Vi era quindi la classe dei proletari , cioè di quei cittadini che non possedevano nulla. Più sotto ancora gli schiavi. In tempo di guerra ogni classe doveva fornire un certo numero di centurie, cioè una forza di cento uomini completamente armati e dotati del necessario vettovagliamento. Poiché i comizi centuriati, cioè l’assemblea di tutto il popolo armato, eleggeva gli addetti alle più alte cariche dello stato, era evitato il pericolo di uno strapotere dei patrizi. Solo il senato era composto ancora dai capofamiglia delle gentes. I comizi centuriati eleggevano dunque due consoli, personaggi che avevano la maggiore responsabilità del governo. Soltanto in periodi eccezionali, e per la durata di soli sei mesi, il senato poteva eleggere un dittatore, il quale con assoluta autorità potesse più agevolmente risolvere questioni interne ed esterne particolarmente urgenti e difficili.
Per poter assolvere al loro compito i due consoli erano aiutati da altre persone: per l’amministrazione della giustizia dai pretori, per le questioni riguardanti l’edilizia, i mercati, gli spettacoli e la polizia dagli edili; per le questioni  di carattere amministrativo dai questori. La durata di tutte queste cariche era, come anche quella dei consoli di un solo anno. Di più lunga durata era invece la carica dei censori , cioè di quelle persone cui era demandato il compito di riscuotere le imposte, di fare il censimento, di vigilare sulla moralità.
Vista così, l’organizzazione dello Stato repubblicano romano sembrerebbe abbastanza equilibrata, mentre nella realtà erano ancora le classi più alte che facevano il bello e il cattivo tempo. Essendo infatti il voto dei comizi centuriati dato in base al numero delle centurie, ed avendo le classi più alte un maggior numero di centurie, le classi minori potevano essere in minoranza con estrema felicità. Da ciò nacquero lunghissime e spesso cruente lotte fra Patrizi e Plebei. Questi alla fine videro riconosciuti i propri diritti con la costituzione  di un nuovo organismo , i comizi tributi , in seno al quale ogni anno venivano eletti i tributi della plebe. Il peso che questi ebbero nella vita romana fu spesso determinante, costituendo un elemento equilibratore della vita pubblica romana. La plebe ebbe poi un’ulteriore decisiva vittoria quando nel 451 a.C. riuscì ad ottenere che una commissione di dieci membri, i “ decemviri” , desse forma concreta e scritta a un codice di leggi valevole per tutti.
Esso passò alla storia con il nome di “ Codice delle dodici tavole”, perché era stato fissato su dodici grandi piastre di bronzo, ben visibili a tutti nel Foro.
Nonostante le continue guerre interne ed esterne i Romani, sia nel periodo dei re sia in quello repubblicano, si erano dedicati a opere di pace che avevano trasformato la città. Essa si presentava ora ben diversa dell’antico villaggio di poveri agricoltori e pastori che era stata all’inizio. Templi sempre più grandi e suntuosi venivano dedicati agli dei; palazzi pubblici e privati si allineavano lungo le grandi arterie. Di notevole interesse era la “ domus romana” Era questa un edificio di forma quadrangolare con muri  esterni che chiudevano completamente  non solo l’abitazione vera e propria ma anche l’orto. Si entrava nell’atrio della casa percorrendo un corridoio. L’atrio era senza dubbio l’ambiente più caratteristico; come la casa anch’esso aveva forma quadrangolare e riceveva luce da un’apertura in alto. Le quattro parti del tetto che coprivano l’atrio spiovevano verso l’interno e venivano detti appunto “ compluvio “ : quando pioveva l’acqua andava a cadere nella vasca sottostante, detta “ Impluvio”. La luce che entrava dall’apertura dell’atrio illuminava le stanze che si aprivano su di esso. Erano camere da letto e di soggiorno in cui si svolgeva la vita degli appartenenti alla famiglia. Le case più sfarzose presentavano un’atrio a due colonne. Il “ peristilio”, o addirittura più atri in cui, oltre all’imluvio, si trovavano anche i giardini. Le pareti erano decorate da pitture. Abbondavano ovunque logge e terrazze.
Per quanto riguarda la difesa dai nemici esterni, Roma repubblicana non fu meno grande di quella dei re. In un primo tempo le guerre esterne furono prevalentemente difensive; i popoli vicini infatti, gelosi della potenza romana e desiderosi di debellarla, premevano di continuo ai confini . Le truppe romane però respinsero con strenuo valore tutti i popoli aggressori: Volsci, Equi, Etruschi. Ma la lotta più dura che i romani dovettero sostenere fu quella contro i Galli, che guidati con abilità dal loro capo Brenno, riuscirono ad invadere Roma e a distruggerla: Marco Furio Cammillo riuscì tuttavia a ricomporre l’esercito e a sbaragliare in modo definitivo il nemico. Roma per la prima volta aveva conosciuto l’onta dell’occupazione.
Si riprese tuttavia rapidamente, ricostruì la sua potenza e fu in grado di far fronte ai Sanniti e altri popoli dell’Italia centrale e meridionale. Fu  questa una guerra molto lunga, che ebbe però termine con la vittoria romana di Sentino, nel 295 a.C., e che diede modo a Roma di estendere il proprio dominio territoriale su gran parte dell’Italia centrale.
Più tremendo si dimostrò lo scontro con la città di Taranto, che in quel periodo possedeva un’ottima flotta. In aiuto a questa nuova nemica di Roma venne Pirro, re dell’Epiro, regione al di là del canale d’Otranto. La guerra ebbe alterne vicende e i romani conobbero dolorose sconfitte, finché l’esercito romano, deciso a tutto, nel 274  a.C., sbaragliò definitivamente il nemico presso Maleventum, che da allora venne chiamata Beneventum.
La città intraprese una serie di guerre di conquista che la portarono a diventare, nel corso dei secoli successivi, la maggior potenza militare di tutto il mondo allora conosciuto.
Certo, la più terribile, lunga e sanguinosa di queste guerre fu quella che Roma combatté contro Cartagine, in quel momento potenza marittima e commerciale di prim’ordine in tutto il bacino del mediterraneo. Il pretesto per attaccare battaglia venne offerto dai Mamertini , i quali, assediati in Messina dal Siracusano Gerone II, alleato dei Cartaginesi  chiesero l’aiuto dei Romani. Passarono lo stretto di Messina nel 264 a.C., i Romani davano inizio alla prima delle guerre puniche ( i cartaginesi erano detti anche Poeni) che dovevano durare ben 118 anni.
I Cartaginesi mal sopportarono  l’aiuto dato ai Mamertini e si prepararono a punirli  . Fu in questa occasione che si rivelò la saggezza e l’abilità del console romano Caio Duilio : ben sapendo che i suoi soldati non erano preparati a combattere per mare, egli fece costruire una flotta di 120 navi dotate dei cosiddetti “ corci”, cioè grandi ponti levatoi uncinati che calando sulle tolde delle navi nemiche creavano una specie di piano di combattimento sul quale i fanti romani potevano mettere in atto tutta la loro potenza. Tre anni dopo , presso Milazzo i romani sbaragliavano i Cartaginesi. Imbaldanziti , i vincitori vollero sbarcare anche sulle coste dell’Africa, ma qui vennero sconfitti sanguinosamente. I romani di conseguenza si trovarono  a dover combattere di nuovo  in Sicilia, dove i Cartaginesi erano ritornati all’attacco. Guidati dall’accordo generale Amilcare Barca, i soldati cartaginesi diedero del filo da torcere ai Romani per ben 14 anni. Fu ancora per mare che Roma ebbe la sua rivincita: il console Lutezio Catulo distrusse la flotta cartaginese alle isole Egadi , nel 241 a.C.
La pace che seguì a questa tremenda sconfitta cartaginese nasceva con tutte le caratteristiche della precarietà. Nel ventennio che seguì, le due potenze non fecero che prepararsi per un nuovo scontro, nonostante che avessero entrambe molti problemi interni a cui badare, specie Roma che era ancora impegnata contro i Galli.
Nel 218 a.C. Cartagine disponeva di un nuovo grande esercito, ma soprattutto di uno dei più grandi generali della storia, Annibale . Egli, lasciata in Spagna una parte dell’esercito al comando del fratello Asdrubale, con 50 mila fanti, 9 mila cavalieri e trenta elefanti passò i Pirenei, valicò le Alpi e affrontò i romani sul loro stesso terreno. In poca tempo sbaragliò ben tre eserciti: il primo sul Ticino, il secondo sulla Trebbia e il terzo al lago Trasimeno, come dire alle porte di Roma. Ma inspiegabilmente, anziché lanciarsi sulla città nemica, egli piegò verso la Puglia. Il dittatore Quinto Fabio Massimo, con un piccolo esercito, lo attaccò in continue scaramuccie di logoramento. Quando i Romani, preferendo uno scontro in campo aperto, decisero di attaccare il nemico a Canne, subirono una delle più sanguinose sconfitte della loro storia: era il 216 a.C.
Ma Roma si riarmò, e dopo avere distrutto al Metauro un esercito guidato da Asdrubale, portò la guerra direttamente in Africa. Comandava l’esercito romano Publio Cornelio Scipione, deciso a riscattare tutte le sconfitte subite dai romani. Nella pianura di Zama, nel 202, avvenne il poderoso scontro: i Cartaginesi, comandati dallo stesso Annibale accorso in difesa della patria, vennero sconfitti.
Le condizioni di pace furono tremende per Cartagine, che fu completamente cancellata come potenza navale. Ma nonostante tutto essa restava sempre una spina nel fianco della potenza romana. Circa cinquant’anni dopo, con un pretesto, Roma riprese la guerra contro l’antica rivale e la rase al suolo per sempre. Roma era ora l’incontrastata dominatrice del Mediterraneo: nel periodo in cui Cartagine stava tentando di riprendersi, essa infatti aveva completamente occupato anche i territori del Mediterraneo orientale.
Le ricchezze che giungevano a Roma in conseguenza delle conquiste militari erano immense. Innumerevoli schiavi, cioè gran parte dei popoli vinti in battaglia, fornivano manodopera a bassissimo costo e rendevano fortune colossali. Le strade, per esempio, indispensabili arterie di traffico, venivano in gran parte costruite dagli schiavi. Le strade furono sempre uno dei vanti di Roma: diritte, solidamente selciate, con pietre miliari perfettamente disposte a indicare le varie tappe del cammino, ricche di arditi ponti, di terrapieno che superavano vaste paludi, di gallerie che perforavano le montagne, assicuravano spostamenti rapidi e sicuri.
Ma le ricchezze che affluivano a Roma da ogni parte venivano divise in pessimo modo; la parte da leone era fatta ancora una volta dai patrizi e da una nuova classe di arricchiti, i cavalieri. La plebe pagava il peso maggiore  della situazione. Come poter vivere infatti  quando il lavoro artigianale era dato quasi completamente agli schiavi  e tutte le terre coltivabili facevano parte di immensi latifondi?
A difesa della plebe si schierarono i fratelli Gracchi , Tiberio e Caio . Essi proposero di creare delle piccole proprietà terriere , di dare la cittadinanza romana a tutti i popoli dell’Italia. Odiati per queste iniziative , furono entrambi uccisi dalle classi patrizie , che si opponevano ferocemente ad una più ecqua distribuzione della ricchezza.
Il contrasto fra la vita politica della città e la vita culturale e artistica diventava ogni giorno più stridente . L’ingegno romano , che alla civiltà greca si era largamente ispirato ma che aveva anche saputo esprimere forme d’arte originalissime , aveva dato vita a opere meravigliose in ogni campo. Non solo erano sorti edifici grandiosi, abbelliti da sculture e dipinti di ottimo gusto, ma erano nati anche una letteratura romana, un teatro romano, una filosofia romana. Il gusto romano, insomma, si esprimeva in un fiorire di opere che, se non raggiungevano per raffinatezza quelle greche, erano tuttavia degne continuatrici di quella insuperabile civiltà.
Anche la vita pubblica di ogni giorno , del resto, imitava in gran parte le usanze greche, con grande sofferenza di chi temeva che esse avrebbero corrotto l’animo semplice  dei Romani: gli dei dell’olimpo greco per esempio finirono con lo scalzare le divinità romane; le raffinatezze nel vestire, nell’acconciarsi, nell’arredare le abitazioni erano chiaramente ispirati a modelli greci; gli stessi divertimenti trovarono la loro matrice in Grecia.
Uno spettacolo, che ebbe però in Roma una sua storia originale, fu quella dei combattimenti nel circo. I gladiatori , così chiamati perché portavano una spada larga e corta a doppio tagli e punta detta gladium , si cimentavano in combattimenti furibondi tra di loro o contro bestie feroci.
La corruzione intanto dilagava; ogni carica pubblica poteva venir comprata e venduta a piacimento dai potenti.. Fu questo in clima  che si scatenò una serie di lunghe guerre fratricide . I consoli Mario, di parte popolare, e Silla di parte aristocratica, entrambi valorosi condottieri di eserciti contro i nemici di Roma , vennero a conflitto : era la guerra civile.Anzi una serie di sanguinosissime guerre civili.
I feroci contrasti fra Mario e Silla , che a ogni alterna vicenda erano finisti nel sangue , avevano portato Roma sull’orlo del collasso.  I generali più temerari e più abili avevano intanto capito che chi possedeva la forza dell’esercito poteva avere in mano tutto lo stato. Più di uno si cementò nell’impresa, ma solo uno fu alla fine il vincitore: Giulio Cesare .
Egli non arrivò al potere subito, con la prepotenza, ma seguendo un’accorta politica che avrebbe dato i suoi frutti a tempo opportuno. Iniziò con un alleanza a tre, il primo “ Triunvirato “ (59 a.C.) .
Con lui erano altri due consoli: Pompeo, più volte vittorioso contro alcuni potenti nemici di Roma e contro pirati che infestavano i mari, e Crasso, lo sterminatore degli schiavi che si erano ribellati sotto la guida di Spartaco. Cesare era giovane, ma ambizioso e capace, godeva  di parecchie simpatie  da parte popolare , aveva già al suo attivo  una saggia amministrazione della Spagna . Ulteriori e vari incarichi pubblici; era stato infatti pontefice massimo, cioè custode delle tradizioni politiche e religiose, e pretore.
I triunviri si divisero il potere  in questo modo : Pompeo ebbe il governo della Spagna, Crasso dell’oriente  e Cesare della Gallia. L’anno dopo (58 a.C.)  Cesare iniziò contro i Galli una guerra che lo vedrà impegnato per sette anni. Combatté e sconfisse successivamente gli Elvezi, gli Svevi, i Germani. Si spinse quindi in Bretagna . Ma mentre era impegnato a stipulare  accordi con le popolazioni di quest’isola ,Vercingetorige , un principe gallo coraggioso e capace , riuscì a colonizzare contro di lui tutte le genti della Gallia.
Cesare era lontano dalla patria ma aveva piena fiducia nel valore dei suoi soldati . Impegnò più volte battaglia contro Vercingetoringe con alterna fortuna . Poi, per la prima volta egli rilevò in pieno il suo grande ingegno strategico : con manovre accorte riuscì a battere e poi a costringere in Alesia , la capitale , il rimanente esercito dei Galli. L’assedio durò a lungo ; ma finalmente , nel 51 a.C. , i Romani riuscirono ad avere il sopravvento sui nemici e distrussero la città .
Intanto a Roma , Pompeo , rimasto solo dopo la morte di Crasso , tramava contro Cesare, con l’appoggio del senato. Cesare sapeva che se fosse tornato a Roma per discolparsi dalle false accuse mossegli da Pompeo , avrebbe corso un pericolo mortale. Decise quindi di entrare in Roma alla testa delle sue truppe  acclamato da tutti come conquistatore. Due anni dopo , a Farsalo in Tessaglia , battè definitivamente Pompeo  che fuggì in Egitto per trovare protezione presso Tolomeo.
Questi, invece lo uccise credendo di fare piacere a Cesare. Ma non fu così : Cesare indignato di tanta malvagità , cacciò Tolomeo e mise sul trono la sorella di lui, Cleopatra .
Con Cesare la repubblica era già morta , egli infatti era in realtà un re. Ma tale parola era ancora così odiata dai Romani  che il dittatore veniva chiamato col nome del suo comando militare, cioè Iperator  Cesare tuttavia non solo continuò a combattere contro i nemici interni ed esterni di Roma, ma si dimostrò anche un saggio amministratore.
I fedelissimi della repubblica però, alcuni in buona fede altri solo per opportunismo , tramarono contro di lui, considerato un usurpatore e un tiranno. Nel giorno delle idi di marzo del 44 a.C. i congiurati aspettarono in senato il loro nemico e lo crivellarono di pugnalate sotto la statua di Pompeo , da lui stesso fatta erigere in onore di un grande rivale.
Alla morte di Cesare incominciò per Roma un periodo di grave turbamento e di crisi. Ottaviano, già designato da Cesare come proprio successore , si alleò con i generali Marco Antonio ed Emilio Lepido per sgominare i congiurati e affermare i propri diritti come erede di Cesare.
La battaglia decisiva ebbe per teatro la Macedonia, nella Grecia nord orientale, zona in cui Bruto e Cassio avevano preparato un potente esercito e difese militari di prim’ordine.
Nell’inverno del 43 a.C. avvenne il primo violento scontro fra l’esercito dei congiurati e quello dei triunviri . In tale battaglia Cassio perse la vita e l’esercito rimase privo del suo capo. In seguito per circa un anno, la guerra si prolungò incerta. Nell’ottobre successivo , 42 a.C. quando nella pian dei Filippi i due eserciti si cimentarono nella definitiva battaglia, Bruto non riuscì a dominare gli eventi e, vista perduta la battaglia , si tolse la vita.
Nonostante i triunviri si fossero divisi le zone di influenza in modo che a Ottaviano spettasse il controllo dell’Occidente ed ad Antonio quello dell’Oriente , i contrasti fra l’effettivo vincitore  di Filippi e il successore di Cesare nacquero immediatamente. La politica di Antonio in oriente doveva consistere nel mettere pace , e così favorire lo sfruttamento di quelle provincie i soldati e tributi .
Quando però Antonio sposò Cleopatra, regina d’Egitto la situazione precipitò : Roma ritenne dannosa la politica filo-orientale di Antonio , e visti inutili i richiami al suo amor di patria, decise di correre ai ripari . Antonio venne dichiarato traditore di Roma. Fu ancora la Grecia l campo di battaglia decisivo , ed esattamente la costa occidentale dell’Acarnania, presso la città di Anzio. Le due flotte in lizza erano potenti, ma la mole delle navi di Antonio sembrava una promessa di vittoria. Così avvenne nelle prime ore del 2 settembre del 31 a.C. . Improvvisamente però i 60 vascelli di Cleopatra presero decisamente il largo verso il Peloponneso: Antonio li seguì con una quinquereme abbandonando la battaglia.
Dopo la battaglia di Anzio, Ottaviano rimase arbitro della politica romana. Di ciò che era stata la gloriosa repubblica sopravviveva ben poco , ma Ottaviano non si sentì  di affossare in modo definitivo ciò che rimaneva: rifiutò i poteri dittatoriali e rispettò le istituzioni tradizionali, senato e comizi. Assunse per se il titolo di princeps , cioè “di primo” fra i cittadini.
Nel giro di pochi anni, però, sia per volontà propria, sia per la spinta del senato, Ottaviano assunse su di se tutte le cariche più importanti: capo supremo dell’esercito, cioè imperator , governatore di quasi tutte le provincie, console, tribuno, censore, pontefice massimo. Nonostante Ottaviano fosse messo così nella possibilità di disporre a suo piacimento di ogni cosa, dalla nomina di un senatore alla riscossione dei tributi nelle provincie, in ogni sua azione si sforzò mantenere le forme tradizionali repubblicane di cui pretese di essere soltanto il supervisore e non il dittatore. Il 6 gennaio del 27 a.C. popolo e senato conferirono a Ottaviano il titolo di Augusto (sacro) . Tale avvenimento determinò una svolta politica e storica di enorme importanza. Nacque l’impero Romano, il più grande di tutta la storia d’Occidente.
Cesare Ottaviano Augusto governò per ben 45 anni: un periodo di splendore e di relativa pace che ancor oggi è considerato uno dei più felici di tutta la storia romana. Le opere alle quali Augusto dedicò le proprie energie furono principalmente rivolte a pacificare gli animi, a rinvigorire le tradizioni e a realizzare un maggior benessere per tutti. La prima impresa fu certamente la più difficile: dopo decenni di acerrime lotte intestine molti erano coloro che ancora sognavano rivincite e covavano rancori. Augusto riuscì in questo intento, dimostrandosi un politico accorto.
L’opera moralizzatrice , volta a ridare prestigio alle tradizioni religiose e familiari , si manifestò come valorizzazione delle opere culturali romane , contrapposte a quelle greche, e orientali, ritenute corruttrici della gioventù.
Augusto diventò un  grande protettore di artisti e letterati, tra cui spiccava Virgilio. Nel quasi mezzo secolo di governo augusteo , le città dell’impero si abbellirono di opere d’arte che allo splendore delle forme univano l’utilità pratica .
L’impero di Augusto rimase alla storia per un fatto di capitale importanza; in una remota provincia del superbo impero di Roma, la Palestina, nasceva un ebreo di nome Gesù .
Anche nelle case romane di maggior sfarzo i mobili, paragonati all’architettura, erano assai modesti , come numero e come varietà. Presso l’impluvio vi era di solito l’altare dei “ lari” le divinità domestiche , qualche statua completava l’arredamento dell’atrio. Nella stanza in cui solitamente si prendeva il cibo , il triclinio , era collocata la mensa qualche volta ricavata  da legni pregiati . Intorno alla mensa  erano disposti i letti , dal momento che i romani , fatta eccezione per le donne , consumavano il cibo restando sdraiati . Indispensabili erano i treppiedi , adatti a sostenere stoviglie e lampade . I letti erano spesso ricavati  in nicchie del muro, quelli in legno erano molto alti tanto da richiedere uno sgabello  per salire e discendere . Gli armadi, a muro o di legno, erano rari. Vi era invece abbondanza di sedili  di ogni genere : panchine, seggiole, poltrone, divani. Sedili potevano essere anche le casse in cui erano riposti con molta cura i vestiti. D’inverno venivano collocati un pò d’ovunque dei grandi braceri , continuamente alimentati . Le lampade spandevano intorno un pessimo odore e fumigavano di continuo , in quanto ancora non era stato inventato  il tubo di vetro.
Augusto morì nel 14 d.C. il suo successore naturale fu il figlio adottivo Tiberio , discendente della famiglia Claudia. Tiberio era un generale anziano, aveva 56 anni, e non godeva di molte simpatie. Il motivo di tale malevolenza generale risaliva agli anni (4-14 d.C.) di cui Augusto gli aveva assegnato compiti  assai sgradevoli, quali l’applicazione delle leggi sociali e finanziarie che avevano danneggiato tutti i ceti. La sua impopolarità aumentò quando, per accentuare l’autorità del senato , abolì i comizi . Il suo governo diventò così semidittatoriale . Ma nel 26 , dopo dieci anni di co-reggenza  e dodici di impero  stanco di tanti contrasti  e desideroso di una vita tranquilla , cedette parte delle proprie responsabilità a Seiano , il prefetto del pretorio. Tiberio aveva ereditato il grave problema del consolidamento delle frontiere  a nord dell’impero . Aveva quindi incaricato il nipote Germanico di organizzare una spedizione che ristabilisse l’autorità romana compromessa dall’indomabile Arminio. Germanico si impegnò con accanimento , anche perché desideroso di vendicare la morte del padre Druso , perito in conseguenza di una spedizione contro i Germani 23 anni prima , ancora vivo Augusto. Nel 14 d.C.  si presentò a Germanico  un ottimo pretesto  per intervenire contro i Germani e più precisamente contro Arminio. Costui era in guerra con Segeste , suo suocero, che rappresentava in Germania  il partito favorevole a Roma . Dal 14 al 16 d.C.  la guerra si diluì in una serie di scontri nei quali praticamente non ci furono ne vincitori ne vinti. Finalmente nella tarda estate del 16, Arminio fu definitivamente sconfitto nella pianura di Idistaviso (il prato degli elfi) presso il fiume Weser .
Nel 26 d.C. Tiberio lasciò Roma per ritirarsi a Capri, “ selvaggia e divina” alla ricerca di un po di pace , dopo che la sua vita era stata sconvolta  dalla prematura morte del figlio Druso e del nipote Germanico, suoi probabili successori. Lascò roma praticamente nelle mani di Seiano, il quale avendo accentrato a sè il potere del corpo dei Pretoriani , la guardia scelta dall’imperatore  creata da Augusto , non tardò a considerarsi il più probabile successore di Tiberio. In questo senso agì , con inesorabile coerenza, non indietreggiando davanti a nessun ostacolo : informò l’imperatore di ciò che succedeva a Roma , falsando a proprio vantaggio le notizie , sfruttò a suo favore le beghe e le ambizioni locali , eliminò più o meno apertamente i suoi diretti avversari. Sei anni durò questa situazione  (26-31 d.C.) finché qualche cosa arrivò a conoscenza dell’imperatore. Tiberio, in un primo tempo titubante e incredulo sul tradimento del più fedele amico , una volta resosi conto della verità  agì rapidamente e inesorabilmente. Il 18 ottobre sostituì Seiano con Macrone e quindi lo mandò a morte assieme ad alcuni dei suoi più stretti collaboratori . Tiberio morì il 16 marzo del 37 d.C. . Il secondo imperatore romano non aveva designato eredi . Questo fatto rappresentò  un pericolo per la fazione  di coloro che non desideravano venissero restaurate le istituzioni repubblicane . Non lasciarono tempo quindi alla fazione avversaria, e dopo due soli giorni dalla morte di Tiberio, fecero eleggere dal Senato il nuovo imperatore nella persona di Caio Cesare , figlio di Germanico e di Agrippina . Caio, detto Caligola per la sua abitudine di portare fin da fanciullo le caligulae ,  un tipo di calzatura militare, era giovane (aveva 24 anni) possedeva qualità eccezionali d’intelligenza, eloquenza , amore dell’arte e desiderio di emergere . La tempestosa adolescenza vissuta al seguito delle truppe , il forzato isolamento a Capri presso il prozio Tiberio e anche forse l’improvvisa fortuna sembrarono però accentuare  nel giovane lo squilibrio mentale che già in lui era da tempo manifesto. Nei quasi 4 anni di regno tale difetto si aggravò fino a diventare una vera sciagura per tutti . Fra i pretoriani nacque una congiura che ebbe il suo epilogo  il 24 gennaio del 41 d.C. con l’uccisione del tiranno.
Il primo imperatore non eletto dal Senato , ma imposto dai pretoriani fu Claudio , della famiglia Claudia , zio di Caligola. Quando, dopo pochi giorni dall’uccisione del nipote , egli diventò imperatore , trovò le casse dello stato completamente esauste: mancavano perfino le indispensabili scorte di frumento per la città . La situazione era aggravata dal fatto che le basi di rifornimento erano lontane da Roma . L’imperatore Claudio che si dimostrò un saggio amministratore, decise pertanto di dare inizio alla costruzione di una flotta mercantile capace di sopportare il peso  di traffici intensi e di lungo percorso. Il porto di Ostia diventò ben presto per l’imperatore una delle ragioni fondamentali del suo governo : ne affidò i lavori al fedelissimo Narciso e si recò spesso in visita di persona nella vicina città , destinata a diventare il porto della capitale. Un uomo sostanzialmente pacifico , Claudio dovette suo malgrado sostituire una politica estera conciliante con una più bellicosa. Ciò gli fu indispensabile per accattivarsi le simpatie della classe militare che considerava utili sopra ogni altra cosa  le conquiste di guerra. Claudio cominciò quasi all’improvviso la conquista della Britannia nel 43 d.C. . L’impresa in cui aveva fallito Cesare  e che Augusto e Tiberio avevano considerato inutile , trovò in Claudio un deciso sostenitore.
Il legato Aulo Plauzio venne incaricato di sbarcare in Britannia con 40 mila uomini e di iniziare le ostilità . L’imperatore steso volle partecipare alle operazioni militari e si recò sul posto con un viaggio rapidissimo . I Romani sconfissero i Britanni in pochi giorni di aspri combattimenti.
La rapida conquista si rivelò subito irrisoria : occorsero ben 10 ani di durissime repressioni per domare una piccola parte dell’isola , quella sud occidentale . Nel 54 d.C. , vittima di un ennesima congiura , Claudio morì avvelenato dalla seconda moglie Agrippina, chein tal modo assicurò la successione al proprio figlio Nerone .
In Roma la scuola pubblica, cioè aperta a tutti e a carico dello Stato , fece la sua prima comparsa nel periodo imperiale , e precisamente nella seconda metà del I secolo d.C. In epoca repubblicana ciascuna famiglia patrizia stipendiava un precettore che curasse l’istruzione dei figli . La severità e la durezza della scuola romana sono rimaste famose : i ragazzi si recavano alla scuola spesso prima dell’alba e comunque sempre nelle prime ore del mattino; verso mezzogiorno rientravano per il pranzo e per un breve riposo ; tornavano quindi a scuola per rimanervi fino a sera . Il primo grado di scuola era quello detto del ludi magister, corrispondente più o meno alle nostre elementari; in essa infatti si apprendevano i primi rudimenti della cultura ; leggere, scrivere e contare. Verso i dodici anni i ragazzi passavano alla scuola del grammaticus , in essa imparavano a parlare correttamente il greco e a leggere i classici greci e latini. Dai 17 anni in avanti , i giovani potevano frequentare la scuola del retor, in cui si esibivano in esercitazioni orali molto forbite e in discussioni di cause appositamente studiate. A questa scuola accedevano coloro che erano intenzionati a seguire la vita politica e quella giuridica.
Come i bimbi di tutti i tempi hanno sentito prepotente il bisogno di giocare , così i fanciulli romani, particolarmente vivaci , erano portati ad occupare gran tempo nel gioco. I divertimenti che più li attiravano non erano molto diversi da quelli praticati dai bambini di tutti i tempi : la trottola , la palla, il cerchio soprattutto per i maschietti; le bambole di pezza per le bambine . Un gioco tipico del tempo , una specie di antenato dell’attuali biglie, era il gioco delle noci. Esclusi i pochissimi privilegiati figli di patrizi che potevano permettersi di giocare nei loro giardini privati , la maggioranza dei ragazzi romani frequentava per il gioco le strade , le piazze, i giardini della città , come avviene ancora oggi un po’ dovunque . I ragazzi, comunque, avevano mille occasioni  per potersi dvertire: feste religiose, spettacoli nel circo, parate militari e trionfi dei vari condottieri erano ottimi pretesti per organizzare giochi di gruppo. Il gioco delle armi finte era anche allora assai diffuso : spade, archi, daghe di legno venivano copiate e usate , in finti duelli , dai piccoli Romani i quali purtroppo fin dai 17 anni erano chiamati a usare quelle vere.
Nerone , il nuovo imperatore, era poco più che un ragazzo, aveva 17 anni ed era stato eletto per volontà dei pretoriani cui la madre Agrippina aveva chiesto aiuto. In un primo tempo egli riscosse  generali simpatie : il Senato apprezzava il suo equilibrio e il popolo la sua mitezza di carattere . Ben presto però, diventò estremamente diffidente e crudele. Nella sua smania di potere e di successo personale finì col ricorrere all’assassinio, eliminando perfino la madre e il maestro Seneca che gli erano sempre stati vicini.
Diventò così un vero tiranno , privo di scrupoli e incapace di esprimere quelle virtù di cui non era originariamente privo. Forse nessun imperatore fu mai tanto universalmente odiato e mai nessuno arrivò a provocare tante congiure . Nessuna però riuscì ad avere buon esito. Nel 68 finalmente il senato e il popolo romano non poterono più ignorare le pressioni che contro Nerone venivano ormai da ogni parte dell’impero: furono le milizie che li costrinsero a condannare a morte Nerone. Egli riuscì a sottrarsi momentaneamente all’esecuzione , ma si vide perduto quando capì che anche i suoi fedeli pretoriani erano contro di lui . Solo allora si diede la morte : aveva 31 anni , di cui 14 di regno. Si aprì allora un biennio di totale anarchia. Finalmente le truppe dislocate nell’oriente asiatico , ed esattamente in Giudea , fecero eleggere , sul finire del 69 il comandante Flavio Vespasiano che le aveva guidate saggiamente .
Vespasiano non era ambizioso e avrebbe rifiutato volentieri il nuovo incarico, anche a causa della sua età avanzata , ma cedette alla fine per le insistenze del figlio Tito e venne a Roma. Il suo saggio governo riuscì in un decennio a riportare un pò di pace  e di giustizia . Tito fu a fianco del padre e con lui sopportò il peso del governo , ma godette della generale benevolenza. Vespasiano, nonostante fosse un soldato, credeva alle opere di pace e avrebbe desiderato far tornare i tempi d’oro del periodo augusteo. Fu in questo clima che nacque l’idea di un grande anfiteatro , capace di 50 mila posti , dove si sarebbero celebrati gli spettacoli più imponenti . Cominciò così la costruzione dell’anfiteatro Flavio, più comunemente noto col nome di Colosseo . L’ideatore di tanta opera non era però destinato a vederla . Il 23 giugno del 79 , Vespasiano spirò nel pieno della sua attività , quasi settantenne . Gli succedette il figlio Tito , che gia da otto anni era suo collaboratore nel governo dell’impero. Egli fu tanto amato da essere definito dal popolo “delizia del genere umano” . Purtroppo dopo due soli anni di regno , Tito morì . Gli succedette il fratello Domiziano , nell’anno 81.
Tanto furono saggi e ben voluti Vespasiano e Tito , quanto venne preso in odio Domiziano . La sua presunzione arrivò al punto di farsi proclamare “ Dio” . I cristiani però non potevano accettare un’imposizione di questo genere , e da ciò nacque un contrasto che scatenò una delle più tremende persecuzioni contro i seguaci di Cristo. I 15 anni di regno di Domiziano terminarono in una congiura e con l’uccisione del tiranno (96).
Il Senato, con un intervento insolitamente deciso e rapido nominò imperatore un membro dello stesso Senato : M .Coceio Nerva . Era dal tempo di Caligola che il Senato non eleggeva autonomamente un imperatore. Nerva era anziano e pensò giusto di designarsi un successore nella persona di M.Ulpio Traiano, che a tal fine adottò . Quando, dopo due anni ed esattamente nel 98, Nerva morì, Traiano gli Succedette automaticamente. Trovandosi però Governatore a Colonia pensò opportuno di non ritornare immediatamente a Roma : Egli era infatti convinto che il mantenimento della pace dipendesse dalla sicurezza dei confini. Fu proprio per questo che nel 101  egli iniziò la sua prima campagna contro i Daci . Lo scontro con l’arrogante Decebalo , loro re, avvenne a Tapae e si rivolse con la vittoria di Traiano. La Dacia divenne così stato vassallo di Roma. Nonostante la strepitosa vittoria conseguita da Traiano , la Dacia non poté definitivamente considerarsi sottomessa fino al 105. Traiano ebbe la netta sensazione che Decebalo stese riorganizzando l’esercito in modo poderoso; temette ancora una volta per i confini dell’impero e decise di debellare una volta per tutte il nemico . Partì quindi con il suo esercito  nel’inverno del 104 . Con manovre rapide e decise Traiano pose l’assedio alla città di Sarmizegetusa  . La resistenza del nemico fu eroica , ma la vittoria ancora una volta arrise all’esercito romano. La Dacia passo così da stato vassallo a provincia romana.
Preso com’era dai problemi militari delle zone danubiane , Traiano non poté direttamente occuparsi dei confini in Asia . Inviò pertanto in Siria , nel 105, il suo fedele generale Cornelio Palma , che alla fine della campagna vittoriosa  annetté il regno arabo dei Nabatei (da Damasco al Mar Rosso) . Seguì un periodo di pace assai lungo : le previsioni di Traiano sembravano avverarsi. Nel 114 però l’imperatore decise di rendere sicuri i confini dell’Oriente asiatico con la conquista dell’Armenia . Questa gli si arrese subito e gli permise così di invadere anche la Mesopotamia. Nel viaggio di ritorno da tali imprese Traiano morì.
Vi fu un lungo periodo durante l’impero romano in cui i seguaci della religione cristiana vennero ferocemente perseguitati. Il motivo era chiaro : la fede professata impediva lro di tributare agli imperatori quel culto divino che essi spesso pretendevano. Si aggiunga inoltre che molti pagani politeisti erano spinti a perseguitare i cristiani per quel senso istintivo di difesa che li portava a essere nemici di tutti coloro che credevano in un solo Dio.
Quando i credenti nella nuova religione trovarono impossibile celebrare i loro misteri alla luce del sole furono costretti a nascondersi nelle catacombe . Erano questi dei veri e propri cimiteri in cui i cristiani avevano dato sepoltura ai loro morti per preservarli dalle ingiurie dei pagani . Le catacombe diventarono così luoghi di culto. Per secoli esse accolsero, in gallerie scavate sotto terra , i cristiani perseguitati . Lo scavo di tali gallerie era favorito dalla natura del terreno , una specie di tufo di origine vulcanica facilmente perforabile e allo stesso tempo molto resistente. Alcune catacombe erano costituite da più piani , uno sotto l’altro.
Fare il bagno alle terme pubbliche era per i Romani non solo una necessità ma un divertimento . Lo spazio infatti occupato nell’edificio delle terme era per due terzi destinato ai passatempi e solo il rimanente ai bagni . I Romani di ceto agiato vi si recavano anche quotidianamente , certi di trovarvi conoscenti e amici . Il gioco più comune era quello della palla , ma non mancavano altri svaghi come per esempio le bocce. L’ingresso era a pagamento . Le porte delle terme aprivano verso le due pomeridiane e chiudevano al tramonto. La prima stanza era adibita a spogliatoio ; da essa si passava al tepidarium, saturo di vapori che serviva a preparare al bagno successivo. Questo avveniva al calidarium , ampia sala in cui era collocata una vasca di forma rotonda e di notevoli proporzioni. In essa tutti si precipitavano per spruzzarsi a vicenda  con l’acqua tiepida. Dalla vasca calda si passava quindi al frigidarium , una vasca di acqua fresca . Al termine del bagno , schiavi appositamente addetti asciugavano i bagnanti , li strofinavano , li massaggiavano e li ungevano . A Roma le prime terme furono costruite da Agrippa , nel 25 a.C. , cui seguirono quelle di Nerone e di Traiano . Le più splendide però furono senza dubbio quelle di Caracalla 216 d.C. , di cui rimangono resti imponenti.
Certo dell’imminenza della morte , Traiano aveva nominato suo successore Adriano , uno dei migliori ufficiali ai suoi ordini. La scelta si dimostrò saggia , anche se Traiano probabilmente non sospettava nel successore uno spirito pacifico. Adriano infatti intraprese una serie di viaggi che lo portarono in ogni zona dell’impero non per combattere ma unicamente per rendersi conto di persona sulla reale situazione in cui si trovavano le popolazioni sottomesse.
Il suo intento fu quello dichiaratamente di avviare un’epoca non solo di pace ma anche di benessere per tutti. La vita di Adriano diventò così un’interminabile viaggio di lavoro che lo condusse dalla Britannia all’Africa e dalla Spagna all’Asia. Ciò non gli impedì di occuparsi anche dell’amministrazione della giustizia e del risanamento della finanza pubblica; approvò tra l’altro un codice di regole alle quali dovettero attenersi i giudici e nominò amministratori direttamente dipendenti da lui in tutte le provincie.
Dopo 21 anni di regno , caratterizzato da opere che resteranno imperiture, Adriano morì (138) nella sua villa di Tivoli , dove aveva raccolto i cimeli dei suoi innumerevoli viaggi. Gli succedette Antonio detto il Pio per il suo carattere mite che lo portò a prodigarsi per la pace e a prendere le difese delle classi più umili. Antonino Pio regnò per ben 23 anni e durante questo periodo, fatto singolare dovuto proprio alla sua bontà e alla sua saggezza, alcuni popoli stanziati ai confini dell’impero chiesero di essere governati da lui .
La sua morte trovò un successore , già designato dal tempo di Adriano , nella persona di M. Annio Vero , il futuro Marco Aurelio . Costui, salito al trono  nel 161 , chiamò al suo fianco il fratello adottivo Lucio Vero , pure designato da Adriano come proprio successore . L’indole pacifica di Marco Aurelio  cozzò contro una realtà assai dura : ai confini , popoli barbari sempre più numerosi premevano insistentemente . Egli dovette lasciare quindi Roma ed inoltrarsi nelle fitte foreste del nord alla ricerca non tanto di vittorie militari quanto di accordi via via sempre più compromettenti per la vita dell’impero. Le pur concrete vittorie sui Quadi e sui Marcomanni non si poterono dire rassicuranti ; Marco Aurelio morì a Vienna nel 180, durante una campagna militare.
Roma era stata originariamente una città di contadini , e sull’agricoltura aveva basato la propria economia. Quando l’impero cominciò ad assumere proporzioni imponenti , i Romani furono spinti necessariamente ad aumentare inmodo eccezionale i loro commerci. Fu infatti durante la massima espansione dei territori che Roma sentì il bisogno di importare quelle derrate alimentari e merci di ogni genere che nel suo territorio non aveva possibilità di reperire. Ciò era frutto delle guerre stesse , le quali avevano portato innumerevoli legionari a conoscere modi di vita , usanze, gusti anche notevolmente diversi da quelli originari . Particolarmente nell’età imperiale è possibile riscontrare in Roma gusti orientali , iberici e perfino barbarici . Alle legioni che si avviavano ai confini dell’impero per mantenerli sicuri si univano sempre più frequentemente gli imprenditori che organizzavano servizi di rifornimenti  assai efficienti . Tali imprenditori costituivano la classe agiata  dei “ cavalieri”. Disponevano di apposite banche per il cambio delle monete romane con quelle degli stati confinanti. Oltre al pagamento in oro , i Romani usavano scambiare merci.
I Romani erano senza dubbio degli ottimi buongustai e, sebbene ignorassero verdure ed ingredienti come i pomodori , i fagioli, le patate , lo zucchero, il tè, il caffè e la cioccolata, sapevano comunque preparare delle vivande assai saporite . Particolarmente abili si dimostrarono nella cottura delle carni e nella scelta dei vini . Tra gli animali , quelli che più spesso facevano bella mostra di se sulle tavole romane erano il cervo , il maiale, il cinghiale, l’onagro, la cicogna, la gru, il ghiro e il pavone. Del fenicottero mangiavano solamente la lingua. La varietà dei pesci che rallegrava le mense romane era notevole , soprattutto gradita era la murena , che spesso veniva tenuta in apposite vasche nella stessa casa. I vini più correnti erano quelli dei colli romani ( il nomentano) e i vini dell’Umbria . Alle mense dei buongustai più raffinati era possibile trovare il falerno e i vini rinomatissimi della Mosella. Il pasto più importane era la cena . Essa si divideva in tre servizi principali : la pregustazione a base di uova , olive, frutta secca e insalata; la cena vera e propria in cui venivano servite le varie specialità di carne contornate da saporitissime salse, quindi il fine pasto in cui si gustavano dolci , confetture e pasticcini a base di miele e frutta fresca.
Decadenza dell’Impero:
Per ben 12 anni durò l’infausto regno di Commodo, figlio di Marco Aurelio , ma da lui tanto dissimile: Il nuovo imperatore sembrò accentrare in se tutti i difetti degli imperatori più scellerati, da Caligola a Nerone a Domiziano. Ma di questo tre imperatori fu costretto a seguire anche la sorte: una congiura mise fine alla sua tirannide il 31 dicembre 192 d.C..
Seguì un periodo (192-197) di anarchia. Il senato dapprima designò uno dei suoi membri più autorevoli, P. Elvio Pertinace , che fu anche un prode generale. Bastò tuttavia che egli tentasse di mettere un po’ d’ordine a corte perché i pretoriani lo togliessero di mezzo trucidandolo il 28 marzo 193. Alla morte di Pertinace i pretoriani offrirono la carica a Didio Giuliano. Ma fra gli eserciti dell’impero scoppiò una rivolta furiosa: le legioni dislocate nei vari settori proclamarono contemporaneamente fino a tre imperatori. Settimo Severo, proveniente dalla Pannonia, giunse per primo a Roma, tolse di mezzo Didio Giuliano, sciolse il corpo dei pretoriani e, dopo lunghe guerre civili, nel 197 rimase unico imperatore. Settimo Severo lasciò alla sua morte i due figli Caracolla e Geta. Caracalla inaugurò il suo regno uccidendo il fratello. Dopo sei anni però, durante una spedizione contro i Parti, egli pure venne ucciso da una congiura ordita da Macrino, prefetto del pretorio. Questi , a sua volta, regnò soltanto per alcuni mesi.
La dinastia dei Severi conta a questo punto altri due imperatori: Eliogabalo e Alessandro Severo . Il primo regnò per quattro anni, fino al 222, il secondo per tredici, fino al 235. A quest’ultimo si ribellarono i soldati guidati dal violento comandante Massimino. Tale fatto diede inizio a un periodo di anarchia militare che durò per alcuni decenni. In mezzo secolo si alternarono in successione vertiginosa ben 18 imperatori, le cui gesta non tornarono certo a gloria di Roma.
Una cosa era evidente: la crisi del grande impero romano era profonda, forse insanabile; ai confini i barbari premevano con sempre maggior tracotanza , non trovando più difensori convinti e truppe bene organizzate e guidate. Massimino, che con l’uccisione dell’ultimo dei Severi aveva dato inizio a questo caos politico, militare e sociale, ebbe in sorte una fine violenta.
Egli infatti venne trucidato nella sua tenda, presso Aquileia, per mano dei suoi stessi soldati nel 238.
Gli unici imperatori che fra tanti del periodo di anarchia val la pena di ricordare, furono Claudio II e Aureliano Entrambi generali valorosi e capaci di dominare le proprie truppe, si susseguirono l’uno all’altro e governarono complessivamente per un periodo di sette anni . Al primo spettò il compito di sconfiggere le orde gotiche sul Danubio , a Naisso. Aureliano, chiamato restitutor imperii per avere riconquistato alcune province che si erano rese indipendenti (le Gallie), non riuscì tuttavia a conservare all’impero la Dacia, che  venne occupata dai Goti.
Durante il lungo periodo di anarchia, capitò che molte province romane , non più controllate e difese, venissero occupate da usurpatori . In Oriente si formò , per esempio, lo Stato autonomo di Palmira, cui presidette una donna, Zenobia, novella Cleopatra. Aureliano organizzò una spedizione che egli stesso desiderò guidare e che partì alla volta dell’Asia Minore nel 272. Dopo diversi scontri sanguinosi, l’esercito di Zenobia e dei suoi alleati si trincerò nella grande fortezza di Palmira, città situata in pieno deserto fra l’Eufrate e la Celesiria . Nel tardo autunno del 272 Palmira capitolò e Aureliano poté tornare a Roma , portando con se Zenobia prigioniera. La grave crisi del terzo secolo ebbe la sua conclusione con l’avvento di Diocleziano (284). La catastrofe definitiva sembrò scongiurata con il governo del nuovo imperatore, ma l’impero era ormai troppo compromesso per potersi considerare del tutto salvo.
Diocleziano era un generale di origine illirica, conosceva  conosceva quindi i problemi più gravi di politica estera, era energico e deciso, considerava tutti non come cittadini, ma come sudditi. Riformò completamente la struttura dello stato, dando vita alla “ tetrarchia”. Questa prevedeva la divisione dell’impero in quattro parti ciascuna governata da un “ augusto” che a sua volta era coadiuvato da un “ cesare”.
Alla morte di ogni augusto gli succedeva un cesare. Tale sistema avrebbe dovuto garantire, secondo Diocleziano, una maggior tempestività e sicurezza nell’elezione dei capi supremi dello Stato.
In venti anni di regno tuttavia egli ebbe modo di constatare l’insufficienza della sua riforma: odi personali, rivalità, ambizioni, la difficoltà stessa di governare un impero cosi vasto finirono con amareggiare l’imperatore  a tal punto da spingerlo a ritirarsi nel suo palazzo, a nord di Spalato nel 305. Quanto fosse illusorio il sogno di risolvere i problemi di vertice per mezzo della tretarchia, Diocleziano ebbe modo di constatarlo ancora in vita. Il suo ritiro provocò infatti una prima serie di lotte per la successione che vide alla fine vincitore Costantino, figlio di quel Costanzo Cloro successo a lui come augusto . La battaglia definitiva che consacrò Costantino imperatore venne combattuta al Ponte Milvio, nei pressi di Roma, il 28 ottobre del 312. Il rivale era Massenzio, figlio di Massimiano, collega come “ augusto” di Diocleziano. Fino al 324 Costantino ebbe un collega in Oriente: Licinio Liciniano . Nel frattempo il vincitore di Massenzio venne preso da gravi preoccupazioni di governo che lo tennero molto occupato in Occidente. Una cosa soprattutto lo preoccupava: la questione religiosa. Considerava impossibile continuare a ignorare la presenza massiccia dei cristiani, i quali oltre tutto si dimostravano fedeli sudditi dell’impero. Decise quindi di emanare un editto che assicurasse libertà di culto a tutti. Tale editto venne emanato da Milano nel 313. Si dedicò poi all’opera di unificazione dell’impero. Sconfisse Licinio nel 324 a Bisanzio e qui decise di porre definitivamente la nuova capitale che da lui prese il nome Costantinopoli .
A Costantino, che morì nel 337, successero contemporaneamente tre figli suoi e a questi, dal 364 al 393, la dinastia Valentiniana . Fu uno di questi imperatori, Graziano, che nel 379 affidò il governo di Oriente a Teodosio, valoroso generale di origine africana. Teodosio può essere considerato l’ultimo grande imperatore romano. Egli si preoccupò di fermare l’avanzata dei barbari e di riorganizzare e riunificate l’impero su nuove basi. Pensò che a tal fine gli sarebbe stato di grande aiuto puntare sulla religione cristiana, ormai diffusa ovunque. La dichiarò quindi, nel 380, “ religione di stato”. Di conseguenza la situazione venne completamente capovolta: quelli che, in senso religioso, erano stati fino a pochi decenni prima favoriti politeisti e pagani) non solo furono messi alla pari degli altri ma addirittura perseguitati.
Teodosio stesso si rese complice in modo grave di tali soprusi e attirò su di se l’ira del potente vescovo di Milano, Ambrogio, che disapprovava tali eccessi. Quando, nel 390, si verificò la strage di Tessalonica , Ambrogio arrivò a rifiutare a Teodosio l’ingresso in chiesa e gli stessi sacramenti. All’imperatore non restò che inchinarsi al grande vescovo, convinto com’era che l’unificazione dell’impero anche in senso religioso fosse indispensabile.
A Teodosio si deve imputare l’ultima definitiva divisione dell’impero in quanto egli affidò al figlio Onorio il governo dell’Occidente e al figlio Arcadio quello dell’Oriente .
Le orde barbariche intanto erano in continuo movimento ai confini: la loro pressione si dimostrò  insostenibile, occorrevano quindi generali di capacità eccezionali per poterli in qualche modo contrastare. Silicone e Rufino, ottimi comandanti e valorosi soldati,, ottimi comandanti e valorosi soldati, frenarono l’inesorabile avanzata in modo però sempre precario. I barbari dilagarano nei territori occidentali dell’impero a partire dal 401. Visigoti, Burgundi, Alani, Vandali si susseguirono nell’invasione in modo incalzante senza concedere respiro ai difensori .
Solo Ezio, figlio di un generale di Silicone, riuscì nel 451 a scongiurare l’incombente pericolo degli Unni con la vittoria ai Campi Catalanici, in Gallia. Fu l’ultimo sprazzo di gloria, l’ultimo segno dell’antica grandezza. Lentamente l’impero moriva. L’atto definitivo venne compiuto dagli Eruli di Odoacre, che nel 476 deposero l’ultimo imperatore romano, Romolo, detto Augustolo.
Il Diritto Romano:
L’impero di Roma, nel suo massimo splendore, si estendeva dalla Britannia al’Africa, dalla Spagna alla Dacia; occupava praticamente tutte le nazioni che gravitavano intorno al Mediterraneo. Rappresentava quindi di gran lunga la maggior potenza del suo tempo. Tutto ciò Roma aveva conquistato con la forza delle armi, solo preoccupata della propria grandezza. Roma però fu grande anche nell’amministrazione della giustizia, tanto che il diritto romano ancor oggi rappresenta un punto di riferimento fondamentale nel campo del diritto. Fu Augusto che per primo riconobbe ad alcuni giureconsulti (studiosi del diritto) di alto livello la potestà di formulare delle leggi che per i giudici diventarono vincolanti.