geronimo

domenica 28 dicembre 2014

" IMMACOLATA CONCEZIONE" CONCEPITA SENZA PECCATO

Cosa significa Immacolata Concezione?


L'espressione Immacolata Concezione riferita alla Vergine Santa ci indica una condizione spirituale di Maria che nel suo nascere su questa terra fu esente dal peccato originale. Nel linguaggio biblico, il termine "Concezione" indica la totalità dell'esistenza. Maria è stata sempre sotto il sigillo di Dio è non è stata mai sotto il sigillo del peccato, perchè è stata preservata da ogni macchia di peccato . La dottrina sull'Immacolata Concezione di maria è frutto di un millenario processo di maturazione nella storia teologica della Chiesa cattolica.
Il popolo cristiano fin dai primi secoli manifesta la sua fede intorno alla Vergine Santa che, come afferma Sant'Ireneo, l'ha considerata sempre la "nuova Eva". Nel Concilio di Efeso del 431 fu dichiarata Madre di Dio. Sant'Agostino sosteneva che la Madre del Signore "va riconosciuta senza peccato dal nostro senso religioso".
I teologi armonizzarono l'Immacolata Concezione con cristo Salvatore di tutti elaborando il concetto di redenzione preservativa. E' stato soprattutto Duns Scoto a elaborare il concetto di Gesù come perfettissimo mediatore secondi cui per suo merito fu preservata da ogni peccato. Il magistero della chiesa approva, nel secolo XV, la liturgia in onore dell'Immacolata Concezione. Nel secolo XIX, precisamente l'8 dicembre 1854  , Beato Pio IX, dopo avere avuto il parere positivo dell'insieme dei Vescovi, con la bolla Ineffabilis  Deus definisce come dogma  di fede l'Immacolata Concezione di Maria.
Nella colletta della Messa della festa dell'Immacolata, la Chiesa sintetizza tutto il suo ricco insegnamento teologico con queste parole: " O Dio , che nell'Immacolata Concezione della Vergine hai preparato una degna dimora per tuo figlio, e in previsione della morte di Lui, l'hai preservata da ogni macchia di peccato, concedi anche a noi, per sua intercessione, di venire incontro a te in santità e purezza di spirito".

" AVVENTO" INCONTRO AL SIGNORE

Cosa significa Avvento? Che cosa dice a noi credenti?


E' opportuno ricordare prima di tutto che il tempo di Avvento ha una doppia caratteristica: è tempo di preparazione alla solennità del Natale, in cui si ricorda la prima venuta del Figlio di Dio fra gli uomini, e contemporaneamente è il tempo in cui, attraverso tale ricordo, lo spirito viene guidato all'attesa della seconda venuta di Cristo, alla fine dei tempi.
L'Avvento è un periodo di quattro settimane che apre ogni anno il ciclo delle celebrazioni del mistero di Cristo. Come gli altri tempi, ha una festa come puntoi di riferimento e dalla quale trae il suo preciso significato: il Natale di Gesù Cristo. Anche nella struttura atuale l'Avvento conserva intatte le due caratteristiche.
Le prime settimane sono orientate alla gloriosa venuta di Cristo. Dal 17 dicembre tutto poi è concentrato nella nascita storica del Figlio di Dio. Perciò l'Avvento non è la commemorazione della lunga attesa del popolo ebraico, proteso verso il Messia, ne una semplice preparazione al Natale.
E' un tempo che deve essere vissuto sotto il segno della venuta del Signore: della prima" venuta storica" che inaugura il tempo di salvezza e della seconda "venuta escatologica" che sarà il compimento. La prima è fondamento della seconda e la seconda è il suo coronamento.
Tra le due venute si colloca la nostra vita e la vita di tutta la Chiesa. E' bene ricordare l'attesa non è atteggiamento passivo, ma è un invito costante a camminare per andare incontro al Signore che viene. Questo cammino deve essere guidato dalle grandi figure che si incontrano nella liturgia: il profeta Isaia che annuncia, Giovanni il Battista che indica il Cristo, Maria che accoglie la parola Divina.
E' un tempo di attesa e di speranza ma è soprattutto tempo di ascolto e di accoglienza per raddrizzare gli itinerari del nostro cammino di conversione a Cristo e alla Chiesa.

DIRE DIO NELLA BIBBIA

Dalla vita alla fede, alla preghiera


L'uomo della Bibbia si rivolge a Dio attingendo il linguaggio dall'ambiente in cui vive. La terra, il gregge, la città, il tribunale, la guerra, la famiglia, il matrimonio gli offrono le parole per esprimere la sua fede e la sua preghiera. Nei libri biblici troviamo, di conseguenza, diversi linguaggi per parlare di Dio.
Il linguaggio del pastore e della terra: l'immagine di Dio pastore è fissata nel salmo 23 (il signore è il mio pastore). Dio è colui che guida e introduce sempre il suo popolo/gregge (e l'uomo di ogni tempo) a una meta: la terra promessa per Israele, la salvezza per noi. Come il ritmare del bastone del pastore sul terreno rassicurava il cammino del popolo di Israele nel deserto, così la parola di Dio ritma e custodisce il nostro cammino quotidiano.
Il linguaggio della guerra: le espressioni "Dio degli eserciti o Dio addestra le dita dell'uomo alla guerra (sal. 18 Cfr) e molte altre simili, si rifanno ai modi in cui gli antichi popoli parlavano delle divinità. La Bibbia li accetta per esprimere il nostro concetto di onnipotenza, ma vede nelle guerre di Dio la lotta contro il vero nemico dell'uomo, il peccato.
Nel Nuovo Testamento Gesù supera questo linguaggio, non utilizzando più simboli e le immagine della guerra nel parlare di Dio, ma ce lo rivela come "Padre" e come "Amore".
Il linguaggio giuridico: l'immagine di Dio "giusto giudice", che siede in tribunale e pronuncia rette sentenze, vuole affermare che Dio solo ha la capacità di ristabilire la giustizia in un mondo dove (ieri come oggi) essa viene violata dal peccato dell'uomo e della società.
Il linguaggio sponsale: è il linguaggio caratteristico di alcuni libri biblici (come il Cantico dei Cantici, i Salmi, i profeti Osea e Isaia), con il quale i rapporti fra Dio e il popolo di Israele sono presenti come il simbolismo sponsale (Dio è lo sposo di Israele e Israele la sua sposa o fidanzata) e con il simbolismo  dei colori, dei vestiti, dei gioielli dei profumi.
In questo contesto, il peccato viene descritto con gli stessi termini che indicano l'infedeltà sponslae (adulterio, prostituzione) e la violazione dell'alleanza (tradimento, seguire altri dei).

sabato 27 dicembre 2014

LA LEGGE DI DIO " LA TORA'H

Luce nella vita dell'uomo.

Nella Bibbia il termine legge è senza dubbio uno dei più ricorrenti. E' anche un termine ricco di significati che dalla raccolta di norme e prescrizioni si estende ai comandi e agli insegnamenti, ai precetti e ai comandamenti, ai decreti e alle sentenze (tutti termini sinonimi di legge).
Le tre raccolte di leggi che troviamo nella Bibbia regolano i diversi ambiti della vita del popolo di Israele. Il codice dell'Alleanza è racchiuso in Es 20,22-23,19 e contiene le norme da osservare per mantenersi fedeli all'alleanza stretta con Dio.
Il codice deuteronomico (chiamato così dal libro del Deteuronomio, si propone esso pure di mantenere Israele nella fedeltà all'Alleanza. Entrambe queste raccolte risentono della legislazione dei popoli orientali antichi (come attesta il codice di Hammurabi, risalente al XVIII a.C.) .
La legge di santità racchiude invece le norme riguardanti il culto, comprese nei capitoli 17-26 del libro del Levitico, con lo scopo di dichiarare l'assoluta santità di Dio e la purificazione dell'uomo che a lui si vuole accostare.
nelle lettere di san Paolo queste tre raccolte (che egli chiama "la Legge") vengono superate dalla Parola e dalla Pasqua di Gesù.
Ma per gli Ebrei la legge è soprattutto l'insieme dei primi cinque libri della Bibbia, che essi chiamano Toràh (cioè la Legge) e da noi conosciuti come Pentateuco (dal greco pente, cinque e teuchos, astuccio per conservare i libri) . La tradizione religiosa ebraica li attribuisce a Mosé, perché in essi si trova tutto ciò che regola la vita e fonda la fede di Israele.
Nel Salmo 119, conosciuto come "il canto della Legge", la legge è cantata come luce, lampada e splendore per l'uomo. Nella interpretazione cristiana del Salmo, al termine legge si può sostituire il nome stesso di Cristo, "la luce vera", come proclama: "la legge fu data per mezzo di mosé, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.
Mentre gli ebrei codificarono le leggi in 613 comandamenti  (365 proibitivi e 248 positivi) Gesù li riconduce ad un unico comandamento: l'amore di Dio e del prossimo.



PROFETA

I libri biblici presentano il profeta non come colui che predice il futuro, ma come l'inviato da Dio che, in suo nome, parla al presente, esortando i destinatari della sua predicazione alla fedeltà e all'obbedienza alla Parola del Signore.
Gli antichi popoli orientali avevano un'organizzazione profetica dasata  sulle capacità umane (conoscenza degli astri e della natura) e su particolari doti (che si manifestavano con visioni ed estasi) di quanti ne facevano parte. La loro azione e la loro parola erano però a servizio della corte e del tempio: qui essi trovavano protezione e sostentamento.
In Israele prevale invece un diverso modo di concepire e di esercitare la profezia: questa deriva direttamente da Dio e non è al servizio di alcun potere (politico o religioso) . Il Profeta biblico ha la consapevolezza di esistere e di parlare unicamente in nome di Dio (prophétes, in greco indica colui che parla in nome di "  o al posto di", come pure "colui che parla davanti" al popolo).
Nella Bibbia leggiamo diversi racconti di chiamata che contengono l'investitura del profeta da parte di Dio. In essi si nota da un lato, l'iniziativa di Dio, che si prende cura del suo popolo suscitando il profeta. Dall'altro, appare la piena disponibilità del chiamato alla missione del profeta (come avviene per Isaia: "Eccomi, manda me", oppure fa capolino il dubbio (come nella chiamata di Geremia: " Ecco, io non so parlare, perché sono giovane, dubbio che però è vinto dalla forza dello Spirito del Signore.
Per il contenuto della loro predicazione e per l'epoca in cui sono vissuti, i profeti biblici, oltre a distinguersi in "maggiori" (Isaia,Geremia,Ezechiele e Daniele) e "minori" (i dodici profeti minori), si distinguono anche in profeti prima dell'esilio, profeti dell'epoca dell'esilio, profeti del dopo esilio. I primi esortano il popolo alla fedeltà a Dio per non incorrere nella punizione dell'esilio. I secondi tengono viva, nel popolo in esilio (dal 586 al 538 a. C.) la speranza del ritorno, che avverà come un secondo esodo.

LA PACE NELLA BIBBIA

Dono di Dio e impegno dell'uomo

Ancora oggi il termine ebraico shalòm (pace) è il primo ad affiorare sulle labbra degli ebrei quando si incontrano e si salutano. E' un termine nel quale si concentra ogni aspetto della vita e della persona, chiamata a percorrere questo nostro mondo nell'intreccio armonioso di incontri, dialoghi, relazioni, legami.
In questo suo primo significato la pace è l'orizzonte entro il quale l'uomo è chiamato a coltivare e custodire il creato e a intessere la rete ininterrotta della comunione fraterna, Chi opera in questo modo contribuisce a costruire la grande famiglia di Dio, il cui primogenito è il Cristo, primo costruttore di pace: " Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio".
Nel suo aspetto verticale shalòm è invece in stretto rapporto con Dio e con il suo Inviato, il Messia chiamato "Principe della pace".
Per questo la Bibbia considera la pace non solamente come assenza di guerra, ma soprattutto come dono di Dio e come pienezza di tutte le sue benedizioni: la vita e la famiglia, la terra e i suoi prodotti, il lavoro e il benessere, la longevità e l'abbondanza.
La pace è il messaggio centrale della speranza messianica annunciata dai profeti, che la vedono realizzarsi nella ritrovata armonia delle origini fra l'uomo e il creato: " il lupo dimorerà insieme con l'agnello.... il vitello ed  il leoncello pascoleranno insieme e un piccolo fanciullo li guiderà".
Ma anche nella trasformazione degli strumenti di guerra in strumenti di progresso e di convivenza pacifica e fraterna: "Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci....non impareranno più l'arte della guerra"
Tutto ciò si compirà con la venuta di gesù di Nazaret, la cui nascita segna anche la nascita ed il trionfo della pace. "Sulla terra pace agli uomini, che Dio ama"
Nel simbolismo biblico Gerusalemme è la città della pace: suo sovrano storico è Salomone (il pacifico) ma suo sovrano ideale è la pace. Nelle lettere di paolo, i destinatari del vangelo ricevono come primo annuncio la pace donata da Gesù risorto il giorno di Pasqua: " Grazia a voi e pace"



GUERRA e STERMINIO

Dalla guerra Santa alla ricerca di pace

Sono frequenti nella Bibbia le pagine che racchiudono episodi di guerra e di violenza, segni vivi della incarnazione della parola di Dio nel nostro mondo percorso dal peccato. Il loro racconto riguarda le guerre di conquista della terra di Canaan all'epoca di Giosuè e quelle del periodo della monarchia in Israele.
Queste guerre si svolgono sotto la protezione di Dio, alla luce di un usanza caratteristica degli antichi popoli, che la Bibbia sintetizza nel termine chérem (in ebraico "sterminio) . Nella vittoria riportata, il popolo di Israele vedeva l'opera di Dio, che combatteva al suo fianco. A lui andava perciò consacrato o riservato (è questo il significato originario del termine cherém) quanto era stato conquistato, senza riservare nulla per se. Chi avesse infranto questa norma veniva punito. Così la guerra era intesa come "guerra santa", in cui Dio era  il protagonista e Israele lo strumento per punire i popoli idolatri.
La guerra, certo, non va mai giustificata. Il Nuovo Testamento al riguardo è esplicito. Ma non essendoci nell'antichità la tutela di un diritto internazionale, la guerra con le sue conseguenze era intesa come atto di sopravvivenza.
Se a volte emergono nella Bibbia episodi di ferocia e violenza bisogna anche dire che Dio stesso si impegna in un'opera educatrice paziente e progressiva nei confronti dei limiti dell'umanità ferita dal peccato.
La Bibbia conosce anche norme di particolare mitezza. Nell'assedio di una città bisogna evitare di danneggiare gli alberi da frutto. Dalla guerra era esonerato chi si era appena sposato, per rimanere nel primo anno di matrimonio accanto alla sposa.


L'Arca dell'alleanza era il segno visibile della protezione di Dio per il popolo di Israele in guerra. (L'Arca dell'Alleanza incisa nella roccia. Rilievo trovato a Cafarnao, IV secolo d.C.)

EBREI, ISRAELITI, GIUDEI

Nella Bibbia, il popolo di cui veniva narrata la storia viene indicato con diverse denominazioni: ebrei, israeliti, giudei. Ecco come vanno compresi.
EBREO: è il nome che appare con molta frequenza nei primi cinque libri della Bibbia, dove indica un gruppo ben differenziato  nell'insieme dei popoli semiti (da Sem, figlio di Noé): Abramo è chiamato l'Ebreo e da questo termine ha origine l'ebraismo (da non confondere con il Giudaismo).
ISRAELITA: deriva dal nome dato a Giacobbe. In generale con il nome "Israele" si intende tutto il popolo ebraico nella sua unità di fede, di tradizioni e di religione (la Bibbia usa l'espressione  "figli di Israele").
Ma quando il regno unitario di Davide venne diviso si formarono due regni nella terra degli ebrei: il regno del Nord (con 10 tribù) chiamato anche il regno di Israele o di Samaria (la capitale) e il regno del Sud o regno di Giuda (la tribù più grande delle due che lo componevano) .
E' in questo periodo che con il termine "Israelita" si indicano gli abitanti del regno del Nord o di Israele, mentre il termine Giudeo designa gli appartenenti al regno del Sud o di Giuda. Come pure da qui ha origine la diversa denominazione di re di Israele e re di Giuda.
GIUDEO:  indica inoltre, a partire dal periodo del dopo esilio (538 a. C.) , chi abita nella Giudea, divenuta provincia Persiana. E' da questo periodo che ha inizio il Giudaismo e prevale il termine "giudeo", mentre l'uso dei termini "ebreo" e "israelita" tende a diminuire.
Si può quindi dire che Abramo era ebreo ma non giudeo (che è denominazione posteriore). Di Gesù, invece si può dire che era ebreo e giudeo. Come pure si può dire che la religione di Abramo era l'ebraismo, ma non il giudaismo. Quella di Gesù e degli ebrei di oggi si può invece chiamare sia ebraismo sia giudaismo.