geronimo

venerdì 14 dicembre 2012

Etica e Morale

Ci sono due termini, etica e morale, che spesso vengono utilizzati come sinonimi, ma che tali non sono. Il terminemorale riguarda il comportamento umano e tradizionalmente è stato applicato per denotare le azioni associate al bene o al male. La morale di una società e' l'insieme delle consuetudini che sono state elevate a livello di norme per fornire un quadro di riferimento per la collettività. Il concetto di moralità varia nel tempo e nello spazio. Per esempio, in tempi antichi, l'omosessualità', la poligamia e il maschilismo erano fenomeni non solo abituali, ma gli individui che li praticavano godevano di stima e venivano ritenuti soggetti di buona moralità. Alcune etnie eliminavano i bambini malformati e questo faceva parte della loro quotidianità, così come la schiavitù. La Chiesa Cattolica non battezzava i bambini che nascevano morti, perché non li riteneva degni. La morale, insomma, nasce per l'imposizione di un determinato gruppo rispetto ad un altro. Quello che ha maggiore forza politica, religiosa o ideologica impone i suoi valori e la sua maniera di concepire la vita, il bene e il male, il giusto e lo sbagliato, agli altri. Così la “brava persona” seguirà le direttrici stabilite senza discuterle. L'individuo "morale" ha una identità indottrinata che reprime la sua capacità di elaborazione critica e di libera scelta, permettendo che la sua mente venga sequestrata da indicazioni esterne. Ad esempio da norme imposte come assolute da Governi, da religioni o da altre istituzioni. L'etica (dal greco θος,"èthos") e' definita in genere quella parte della filosofia che studia la morale da una prospettiva umana, tenendo in conto i concetti di autonomia, bontà, equità, solidarietà e uguaglianza di genere. L'etica si realizza quando l'individuo esercita la capacità di pensare, di fermarsi prima di agire e di chiedersi il perché deve seguire una determinata regola (ETICA da e-teos, dove teos non sta ad indicare il DIO, di qualunque religione si parli, ma il DIO INTERIORE di ciascuno di noi, il DAIMON o meglio l’EU-DAIMON = IL BUON DEMONE, di Socrate). Questa mediazione riflessiva tra l'individuo e la norma, in cui si fa uso del pensiero critico, dà origine all'etica. Se l'etica comporta la riflessione e l'interiorizzazione perché sia autentica, la morale esige solo il rispetto di una norma. Se si vuole essere etici e' necessario essere disponibili, occasionalmente, a divenire immorali. La morale non può essere portata avanti da uomini liberi, necessita di semplici esecutori, seguaci. Al contrario dell'etica che ha bisogno solo di uomini liberi. La LIBERTA’ e' allora il discrimino tra etica e morale: la libertà e' l'essenza dell'etica, la sottomissione è l’essenza della morale. L’essere etico è allora più difficile che essere morale, visto che comporta l'uso del raziocinio per dirimere qualsiasi tipo di situazione conflittuale. E' anche molto difficile che un individuo etico si discosti dalla sua etica, vorrebbe dire andar contro i suoi stessi principi razionali. E' invece molto più facile trovare individui morali che falliscono rispetto alla loro morale, che mostrino una doppiezza di vita e che agiscano nell'ipocrisia. Un esempio tipico del"predicare bene e razzolare male" e' quello della Chiesa cattolica e quello dei suoi servi e nostri acerrimi nemici dell’opus dei. E' a favore dei metodi democratici, ma i propri gerarchi sono selezionati con metodi dittatoriali; e' a favore della trasparenza nell'amministrazione delle risorse pubbliche, ma le sue finanze non sono sottoposte a controlli statali; promuove campagne contro la pena di morte, ma nelle sue norme e nel Catechismo non la esclude; e' contraria alla discriminazione, ma emargina le donne nelle gerarchie e nella gestione del potere; si dichiara contraria alle tecniche di fecondazione assistita, ma la Cei e' pronta a battersi per il mantenimento della legge italiana che la regolamenta per timore che ne arrivi una più liberale. Se su argomenti tanto complessi come quelli della bioetica, dall'eutanasia all'aborto, dalla clonazione alla ricerca scientifica con gli embrioni, si vogliono avere risposte sincere, c'è bisogno di cercare persone etiche. Per sentirsi ripetere un sermone imparato a memoria basta una persona morale. « Il primo passo nell'evoluzione dell'etica è un senso di solidarietà con altri esseri umani »

Razzismo


razzismo Concezione fondata sul presupposto che esistano razze umane biologicamente e storicamente superiori ad altre razze. È alla base di una prassi politica volta, con discriminazioni e persecuzioni, a garantire la 'purezza' e il predominio della 'razza superiore'.
RAZZISMO - APPROFONDIMENTOdi Sergio Parmentola
In senso stretto, il razzismo, come teoria della divisione biologica dell'umanità in razze superiori e inferiori, è un fenomeno relativamente recente. È antichissima, invece, la tendenza a discriminare i 'diversi' (nazioni, culture, classi sociali inferiori), e la principale funzione del razzismo, in tutte le varianti, fu sempre di giustificare qualche forma di discriminazione o oppressione.Xenofobia ed etnocentrismo in età antica e modernaFin dall'antichità molti popoli o gruppi sociali tesero a chiudersi agli altri, escludendo o discriminando i diversi, con un atteggiamento che si può definire xenofobo o etnocentrico più che razzista in senso proprio, per la mancanza di un esplicito riferimento a una superiorità biologica: i fondamenti della propria presunta superiorità erano linguistici, culturali, religiosi. Greci e romani definivano 'barbari' i popoli che non parlavano la loro lingua (bar-bar indicava onomatopeicamente il loro balbettio incomprensibile); l'Europa cristiana perseguitò e ghettizzò per secoli gli ebrei, accusati dell'uccisione di Cristo. Una prima forma di razzismo biologico si presentò dopo la scoperta dell'America, per giustificare lo sfruttamento schiavistico di indios e africani deportati: nel 16° sec. J. Ginés de Sepúlveda distingueva gli uomini (spagnoli) dagli homunculi (indios), simili all'uomo, ma in realtà inferiori e bestiali.Il razzismo nell'età contemporaneaLa prima teoria 'scientifica' della differenziazione biologica dell'umanità in razze fu la classificazione in base al colore della pelle operata da C. Linneo nel 1735. Il testo che diede un impulso decisivo alla diffusione delle idee razziste fu il Saggio sull'ineguaglianza delle razze umane (1853-55) di J.-A. de Gobineau, che sostenne la superiorità biologica e spirituale della razza ariana germanica. Per H.S. Chamberlain (I fondamenti del 19° secolo, 1900) la storia era un'eterna lotta tra ariani, razza spiritualmente nobile, ed ebrei, ignobili e meschini. L'antiebraismo religioso si era trasformato in antisemitismo razzista, diffuso in gran parte d'Europa, dalla Russia dei pogrom alla Francia dell'affaire Dreyfus. Anche l'evoluzionismo di C. Darwin fu strumentalizzato per cercare di avvalorare le tesi razziste sostenendo che il dominio imperialistico sul mondo dimostrerebbe la superiorità biologica della razza bianca, più adatta ad affrontare la lotta per la vita e la selezione naturale. Inoltre, furono condotte misurazioni antropometriche che avrebbero dovuto rivelare la maggior intelligenza, vitalità e moralità della razza bianca e furono avanzate teorie eugenetiche che invitavano a preservare i caratteri migliori della razza impedendo il meticciato e la riproduzione degli individui peggiori. C. Lombroso, infine, sostenne che gli italiani meridionali sono biologicamente più predisposti alla delinquenza dei settentrionali.
Negli Stati Uniti, nonostante l'abolizione della schiavitù (1865), i neri continuarono a essere discriminati, nonché perseguitati dal terrorismo del Ku-Klux-Klan, fino al 1964, quando un'ondata di manifestazioni antirazziste ottenne il divieto di ogni legge discriminatoria. Ciononostante l'emarginazione sociale, dei neri come degli ispanici, non è ancora del tutto scomparsa.
L'espressione più tragica del razzismo si ebbe nella Germania nazista (1933-45). A. Hitler, che con A. Rosenberg (Il mito del 20° secolo, 1930) riprese le idee di Chamberlain, cercò di realizzare la supremazia della razza ariana riducendo in schiavitù gli slavi ed eliminando gli ebrei, considerati "subumani". La "soluzione finale", decisa durante la Seconda guerra mondiale, portò allo sterminio nei Lager di 6 milioni di ebrei. Anche l'Italia fascista adottò leggi razziali (1938) e contribuì alla deportazione nei Lager degli ebrei italiani. Il nazismo praticò anche l'eugenetica, sterilizzando o eliminando i malati di mente. Nel dopoguerra, la decolonizzazione liberò molti popoli dall'oppressione coloniale, ma non impedì l'affermazione di regimi segregazionisti, come l'apartheid in Sudafrica, dove la minoranza bianca costrinse la maggioranza nera a vivere segregata nei bantustan. La condanna dell'onu e dell'opinione pubblica mondiale e le battaglie dell'African national congress di N. Mandela portarono all'abolizione dell'apartheid (1990), ma nel mondo continuano a verificarsi situazioni di discriminazione o emarginazione, come quelle degli aborigeni in Oceania o degli indios nel Chiapas messicano. In Europa e in Italia rigurgiti di razzismo si sono ripresentati a fine secolo con le massicce immigrazioni dai paesi più poveri, nonostante gli immigrati costituiscano una risorsa preziosa per il Vecchio Continente. Ha provocato orrore la ripresa negli anni Novanta di pratiche di pulizia etnica, che si speravano scomparse con la fine del nazismo, nella ex Iugoslavia che hanno coinvolto serbi, croati e albanesi del Kosovo. Massacri provocati da conflitti etnici si sono verificati anche in altri continenti, come tra gli hutu e i tutsi in Ruanda (1994).L'infondatezza del razzismoI più recenti studi di genetica (L. Cavalli Sforza) dimostrano che le differenze tra le razze sono minime, inferiori a quelle tra gli individui di una stessa razza, e soprattutto che l'intelligenza è uguale in tutte le razze. L'umanità deriva da un unico ceppo che dall'Africa si diffuse nei vari continenti, rafforzando in ogni ambiente i caratteri più adatti e dividendosi pertanto in tipi differenti. L'ONU condannò il razzismo con la Dichiarazione sulla razza dell'UNESCO (1950) e con una Convenzione del 1965 che definì discriminazione razziale ogni differenza, esclusione e restrizione dalla parità dei diritti in base a razza, colore della pelle e origini nazionali ed etniche. Nel 2000 il 21 marzo fu proclamato giornata mondiale contro il razzismo, in memoria dell'eccidio di 69 neri nel 1960 a Sharpeville (Sudafrica). Organizzazioni umanitarie non governative, come SOS Razzismo, nata in Francia ma operante in tutto il mondo, anche in Italia (dal 1989), si battono per sconfiggere il razzismo e ogni forma di discriminazione. Da anni l'Unione Europea invita con direttive gli Stati membri a dotarsi di leggi antidiscriminazione.

Sicilia


SICILIA
Preistoria:
Manufatti tipologicamente simili a quelli dei complessi su ciottolo del Paleolitico inferiore sono stati rinvenuti fin dagli anni sessanta in diverse località dell’isola: in provincia di Agrigento (Torre di Monterosso, Capo Rossello) e tra Menfi e Sciacca (Bertolino di mare, Contrada cavar retto). Più recentemente, complessi su scheggia, sempre riferiti al Paleolitico inferiore, sono stati rinvenuti  in provincia di Catania lungo il Dittaino e il Simeto e vicino a Ragusa. Per molti di questi rinvenimenti si tratta di complessi numericamente  limitati e in situazioni crono stratigrafiche non chiaramente definibili. Se la presenza di facies su ciottolo e su scheggia del paleolitico inferiore in Sicilia appare finora indiziata più dal ripetersi di ritrovamenti che da un loro sicuro inquadramento geologico, non sembra potersi affermare altrettanto per quanto riguarda il Paleolitico medio, finora non documentato, mentre più numerosi sono i complessi riferiti al Paleolitico superiore  e al Mesolitico. Alle fasi antiche del Paleolitico  superiore (Aurignaziano)  è attribuita l’industria di Fontana Nuova (Ragusa9; all’Epigravettiano antico sono riferiti i siti di Canicattini Bagni (Siracusa) e di Grotta Niscemi (Palermo); all’Epigravettiano evoluto il riparo San Corrado (Siracusa) e la grotta Mangiapane
(Trapani) Più rappresentato appare  l’Epigravettiano finale con numerosi siti: il riparo San basilio e la grotta di San Teodoro (Messina) dove sono state scavate quattro importanti sepolture  con ocra, la grotta Corruggi e la grotta Giovanna (Siracusa) , quest’ultima con molte manifestazioni d’arte mobiliare  su blocchi e lastre di calcare  con motivi incisi a carattere prevalentemente geometrico e più raramente naturalistico, la grotta dell’Acqua Fitusa (Agrigento), la grotta di Cala dei genovesi a Lavanzo e i livelli basali della grotta dell’Uzzo (Trapani). A questa fase sono attribuite le raffigurazioni di animali incise nella grotta di Cala dei Genovesi mentre la scena complessa con personaggi umani e alcuni animali incisa su un masso della grotta dell’Addaura (Palermo) può essere di diverse età, e secondo alcuni va attribuita al mesolitico. Altre raffigurazioni di animali (cervidi, equidi e bovidi), pressappoco coave a quelle citate, sono note in diverse altre grotte (Niscemi, Za Minica, Puntali,Racchio) . Il Mesolitico è infine soprattutto attestato alla grotta dell’Uzzo, dove sono state rinvenute, tra l’altro, una decina di sepolture doppie e singole, di neonati, bambini e adulti, datate con metodi radiometrici a un periodo compreso tra l’8000 e il 7300 a.C. circa. Copiosissimi sono i resti appartenenti al Neolitico, che dimostrano l’importante ruolo avuto in tale periodo dalla Sicilia per la sua posizione al centro del Mediterraneo. Da ricordare, fra le altre, le colture neolitiche di Stentinello e di Diana. A partire dal terzo millennio a.C. si diversificano gli aspetti culturali delle Eolie e della Sicilia Nord-orientale, della Sicilia sud-orientale e di quella occidentale. Un fenomeno particolarmente importante è costituito dal manifestarsi di influenze della facies del bicchiere campaniforme, soprattutto nella zona della Conca d’Oro la facies eoliana di capo Graziano iniziano a essere attestati contatti stabili con il mondo egeo, particolarmente ricchi anche nelle facies isolana di Castelluccio. Molto importanti sono i villaggi con architettura evoluta del successivo periodo di Thapsos e, nel Bronzo tardo, l’imponente “megaron” di Pantalica. Con l’età del Ferro lo sviluppo dell’isola verso forme complesse di organizzazione socio-politica viene interrotto dalla fondazione di colonie greche nella parte orientale e fenicie in quella occidentale.

Storia:
Abitata anticamente da Siculi, Sicani ed Elimi (rispettivamente nelle zone orientali, occidentali e nord occidentali) , la Sicilia si aprì presto a insediamenti di coloni fenici e, più tardi, dal 734 a C. in poi secondo Tucidide, anche greci, attratti dai suoi porti, dalle sue miniere e dalla fertilità del suo territorio.
I Fenici, soprattutto cartaginesi, si stabilirono nella parte occidentale dove fondarono Panormo, Solunto e Mozia che, in un primo momento, furono soltanto empori commerciali: ciò permise una stretta alleanza tra i Cartaginesi e gli indigeni Elimi , i cui centri principali erano invece Segesta, Erice ed Entella. Vere città,, e subito molto popolose, divennero invece gli insediamenti coloniali dei Greci nella parte orientale, tra cui notevoli furono Nasso, Lentini e Catana fondate dai Calcidesi, Siracusa fondata dai Corinzi (circa 734 a.C.), Magara Iblea fondata dai Magaresi e Gela fondata da Rodiesi e Cretesi (circa 690 a.C.).
Megara Ibrea e gela a loro volta crearono poi, rispettivamente , Selinunte e (circa 582) Agrigento. Le colonie greche non costituirono mai un’unità politica e anzi furono spesso in guerra tra loro: tuttavia divennero subito molto prospere (ne sono testimonianza i grandi monumenti dell’epoca) e stabilirono intense relazioni commerciali con le città dell’Italia meridionale, con Cartagine e, dal secolo VI a.C. anche con Roma.
La struttura sociale di ciascuna città che favoriva la classe dei proprietari terrieri, discendenti degli antichi colonizzatori, a danno del proletariato, composto invece da gruppi indigeni e dagli immigrati recenti, fu però causa di lunghe lotte intestine risolte, all’inizio del secolo VI a.C. con l’avvento dei regimi tirannici, il primo dei quali fu quello di Panezio a Lentini (circa608). Importanti  furono la tirannide di Falaride ad Agrigento, e soprattutto, quella di Ippocrate (498-491) a gela, che costituì un forte stato nella zona occidentale dell’isola in cui il suo successore , Geleone, incluse anche Siracusa, città che, da questo momento, divenne la più importante dell’Occidente greco. Nel 480 Gelone, anche con forze navali di Agrigento , bloccò a Imera un’offensiva dei cartaginesi escludendoli così per lungo tempo dall’isola. Nel 474 Gerone, suo fratello e successore, sconfisse gli Etruschi nelle acque di Cuma ed estese poi la sua influenza anche sul mondo greco dell’Italia meridionale: questo espansionismo siracusano fu però fermato da un moto insurrezionale dei Siculi guidato da Ducezio (450) e, più tardi (415-413), dalla famosa spedizione di Sicilia promossa da Atene che vedeva minacciati i suoi commerci con gli Etruschi dal rapido sviluppo della potenza siracusana.  L’impresa si risolse per Atene con un disastro, ma anche Siracusa ne uscì indebolita: ne approfittò Cartagine che riprese i tentativi di penetrazione in Sicilia investendo, tra il 408 e il 405, citta fiorenti come Selinunte, Imera, Agrigento, Gela che vennero in parte distrutte.
L’avvento di Dionigi  il tiranno a Siracusa  (405) valse però a salvare l’ellenismo della Sicilia dai cartaginesi che si ridussero gradualmente al possesso della sola parte occidentale dopo una lotta durata, con varie vicende (tra cui la spedizione in Africa di Agatocle, tiranno di Siracusa, nel 310 e l’intervento di Pirro nel 278)quasi due secoli. Dopo la I guerra punica (241) la zona cartaginese della Sicilia divenne provincia romana; in essa, nel 212, Roma, sconfitta Siracusa che, per combattere la potenza romana si era alleata a Cartagine, incorporò anche lo stato Siracusano estendendo così il suo dominio su tutta l’isola.
Le città siciliane, a esclusione della fedele Messina, furono sottoposte al pagamento di un tributo, ma mantennero una notevole autonomia interna. Roma favorì e sfruttò la produzione del grano che importava in conto tributo per le proprie necessità alimentari. Sulle estese tenute lavoravano masse di schiavi che si ribellarono in due occasioni, nel 136-132 e nel 1°4-100 a.C.. La Sicilia dovette subire le ruberie e le malversazioni del pro pretore Verre; Cesare le concesse il diritto latino, mentre Augusto, che la annoverò tra le provincie senatoriali, vi rafforzò il dominio romano e ne risollevò le condizioni economiche gravemente compromesse durante la guerra civile quando Sesto Pompeo l’aveva occupata e staccata da Roma. In età imperiale la Sicilia continuò nelle condizioni di vita tradizionali, con le sue città aventi differenti rapporti con Roma, ancora attive nell’artigianato e nei commerci: esse però non recuperarono più lo splendore di un tempo. Con la Constitutio Antoniniana del 212, anche i siciliani ottennero la cittadinanza romana al pari di tutti gli abitanti dell’impero romano. Nella suddivisione in diocesi e province operata da Diocleziano, la Sicilia fu attribuita alla diocesi italiciana e costituì provincia a sé Col tempo la Cerialicoltura fu meno redditizia e l’isola ne sofferse anche nei commerci.
Dai Bizantini agli Aragonesi:
La generale decadenza dell’Occidente romano colpì a fondo l’isola e la espose a una serie di rovinose incursioni e all’occupazione, dapprima parziale (Lilibeo 440), poi totale (468), da parte dei Vandali stanziati in Africa e, dopo la conquista di Cartagine, divenuti una grande potenza marinara. La dominazione vandalica, duramente vessatoria (anche in campo religioso, i Vandali ariani non diedero pace ai cattolici, provocando la rovina di una ormai antica élite culturale) , fu abbattuta da Odoacre tra il 476 e il 486; ma già nel 491 succedette la dominazione degli Ostrogoti di Teodorico, che tuttavia concesse al re dei Vandali Guntamondo, suo genero , la base di Lilibeo.
L’età Ostrogotica (491-535) riportò nell’isola una relativa tranquillità, effetto della politica conciliante di Teodorico; militarmente presidiata ma non colonizzata, la Sicilia riassunse il suo antico ruolo di grande riserva di grano e di chiave del commercio mediterraneo, da cui trassero beneficio soprattutto i latifondisti (laici e ecclesiastici). Dalla Sicilia ebbe inizio la riconquista imperiale dell’Italia promossa da Giustiniano (535) che già aveva abbattuto il regno dei Vandali in Africa; Belisario la occupò in sette mesi con poche forze e senza incontrare serie resistenze e di là, passato lo Stretto di Messina, proseguì l’avanzata lungo la penisola. Durante la guerra greco-gotica (535-553) l’isola divenne un valido baluardo militare (che Totila cercò invano di prendere verso il 550), e come tale fu governata durante i tre secoli e più del dominio Bizantino. Staccata dal resto dell’Italia, fu sottoposta direttamente all’imperatore, che nominava per essa dapprima un governatore civile e uno militare, poi, riuniti i poteri, un unico governatore militare, lo stratego del tema di Sicilia. La militarizzazione, sempre più accentuata da Bisanzio per esigenze di difesa in rapporto alla progressiva avanzata degli Arabi in Africa nel secolo VI, incise profondamente sulle condizioni generali dell’isola: mortificò l’economia cittadina e rurale, sconvolse la distribuzione demografica, aggravò la pressione dell’autorità bizantina col suo rigore fiscale e la sua intolleranza religiosa (l’eresia monotelica nel secolo VII, quella iconoclastica ne secolo VIII misero a dura prova i cattolici, raccolti intorno al vescovo di Siracusa), e lingua, cultura, costumi greci penetrarono largamente. A questa seconda ellenizzazione  della Sicilia si connette il progetto di Costante II di fare dell’isola il centro dell’impero, con il breve trasferimento della capitale  da Cpostantinopoli a Siracusa (663-668). I siciliani reagirono a più riprese a questa politica ora passivamente ora sostenendo vari tentativi  di governatori bizantini  di sottrarsi al potere imperiale , e fu appunto la secessione di un’ufficiale  bizantino, Eufemio, che provocò, richiesto, l’intervento degli arabi (827) e la loro progressiva occupazione . Già apparsi più volte sin dalla metà del secolo VII come corsari, gli Arabi intrapresero l’invasione  della Sicilia per iniziativa  dell’emiro aghlabita di Kairuan (Tunisi), Ziadet Allah, sollecitato dal ribelle Eufemio , dando all’impresa carattere di guerra santa. Aspramente contrastati, ne vennero a capo solo agli inizi del secolo X, conquistando via via Mazara (827), Palermo (832), Messina (842), Enna (859), Siracusa (878), Taormina (902). L’isola fu sottoposta  al governo di un emiro , rappresentante degli Aghlabiti di Kairuan poi (dal 910) dei Fatimiti del Cairo e infine dagli Ziriti loro vassalli in Tunisia; ma già verso la metà del secolo X l’emirato divenne  un principato ereditario e di fatto indipendente, e per circa un secolo, sotto i Kalbiti, la Sicilia risorse dalla sua lunga decadenza. La popolazione cristiana (come gli ebrei) ebbe il consueto statuto imposto dagli Arabi nei paesi conquistati: libertà religiosa, ma a prezzo di una speciale tassazione (non troppo gravosa), ma non sopportabile da gruppi economicamente più deboli, che passarono perciò all’islamismo). La colonizzazione, più attiva all’ovest (val di Mazara) che a sud est (val di Noto) e a nord est (Val Demone) , si stabilì con metodi e risultati diversi da luogo a luogo e gravò in misura diversa sugli isolani. Non mancarono, specie nella val Demone, rivolte ma, non appoggiate adeguatamente da interventi bizantini , furono tutte represse. Gli Arabi diedero uno straordinario impulso all’agricoltura (frazionamento di latifondi, introduzione di nuove colture, come il gelso, il cotone, l’arancio, il dattero e la canna da zucchero), all’artigianato (tessuti di seta e di cotone), al commercio ( con la sua maggiore base a Palermo), e la Sicilia, come la Spagna, divenne un centro d’irradiazione della civiltà intellettuale e artistica islamica, che diede tuttavia i suoi frutti più cospicui solo dopo la fine della dominazione.
A indebolirla e farla crollare contribuirono soprattutto le croniche rivalità tra i vari signori locali, delle quali seppero approfittare  nella prima metà del secolo XI i Bizantini (spedizione di Giorgio Maniace nella Sicilia orientale, 1038-40), nella seconda metà, con progressivi e definitivi successi, i Normanni già affermati nell’Italia meridionale e sorretti nella loro iniziativa antimusulmana dal patrocinio della Chiesa romana, rianimata dallo spirito della riforma e avviata all’apogeo gregoriano. L’intervento normanno fu agevolato dall’appello del signore di Catania Ibn ath-Thumna in contesa col signore di Agrigento e la riconquista cristiana dell’isola, a opera di Ruggero I d’Altavilla (con il concorso, discontinuo, del fratello Roberto il Guiscardo),, si iniziò con la presa di Messina (1061) e si concluse con quella di Noto (1091). Catania cadde nel 1071, Palermo nel 1072, Trapani nel 1077, Taormina nel 1079.
Una vigorosa controffensiva dell’emiro Ben Avert, contemporanea all’azione che impegnava i Normanni del Guiscardo contro i Bizantini, ritardò di alcuni anni la conclusione dell’impresa: Siracusa cadde solo nel 1085, seguita da Agrigento  e infine da Noto.
Ruggero, che aveva preso il titolo di gran conte di Sicilia , s’impadronì anche di Malta , mentre, dopo la morte  del Guiscardo , riusciva ad imporsi  anche su i domini normanni del continente.
Vassallo del papa e legato apostolico (1098), Ruggero andava predisponendo la riorganizzazione della Sicilia, quando morì (1101) e la sua opera fu continuata  dalla vedova Adelaide prima per il primogenito Simone (morto fanciullo nel 1105), poi per il cadetto Ruggero II finché ebbe l’età per governare personalmente (1113). Questo principe orientalizzante , tra il basileus bizantino e il sultano, animato da sconfinate  ambizioni e dotato di insigni qualità politiche e militari, riuscì a realizzare con ogni mezzo l’unità dei domini normanni insulari e continentali, a fondare uno stato fortemente accentrato e ad ottenere dall’anti papa Anacleto II il titolo di re di Sicilia (1130). Ruggero II introdusse in Sicilia il regime feudale, ma istituzionalizzò, e seppe imporre, sui signori feudali e sulle comunità autonome  il superiore potere del re , esercitato da una gerarchia  di funzionari (iusticiarii, e camerarii)  e temperato dal consiglio della Magna  curia. Analogamente, garantì la libertà religiosa e le consuetudini proprie dei gruppi latini, arabi, bizantini, ebraici esistenti nel regno, tenendo però ben fermo il principio che sovrasta su tutti l’assoluta sovranità del re . La tolleranza religiosa consentì al re ed ai suoi successori di scegliere collaboratori qualificati d’ogni nazione e religione. L’isola conobbe allora una vigorosa ripresa economica, agricola artigianale  e commerciale, frutto del concorso di esperienze diverse, e correlativamente , lo Stato normanno di Sicilia e la sua capitale Palermo, divennero il centro di un vero e proprio impero che si estendeva dalla Campania e dall’Abruzzo all’Africa settentrionale  e aveva un ruolo primario nel Mediterraneo. Ruolo anche culturale , poiché nel regno fiorivano  tra l’altro la scuola  medica di Salerno, il monastero benedettino latino di Montecassino e i monasteri basiliani greci, sorgevano monumenti espressivi di un originale sintesi stilistica , e per Ruggero II lavorava uno dei maggiori geografi medievali, al-Idrisì (Edrisi) .
Sotto il figlio e successore di Ruggero II, Guglielmo I (1154-66, molto inferiore sotto ogni aspetto al padre, il regno attraverso periodi di crisi, scontrandosi con il papato, con l’imperatore Bizantino Manuele I Commeno, con Federico Barbarossa e subendo rivolte baronali. Ne uscì salvo, ma meno per le inconsulte severità del re (soprannominato il Malo) che per la solidità delle sue strutture e la leale opera di governo di ministri quali Maione di bari, Matteo d’Aiello e l’inglese Riccardo Palmer, vescovo di Siracusa. Ma i nuovi e più gravi torbidi sconvolsero la Sicilia alla morte di Guglielmo I, durante il quinquennio di reggenza della vedova margherita di Navarra per il figlio Guglielmo II (1166-1189), che parve abbandonare la politica  di equanimità nei confronti dei diversi elementi etnici e religiosi per imporre la supremazia di nuovi elementi francesi. Con l’avvento del governo personale di Guglielmo II tuttavia, e grazie alla collaborazione di Matteo d’Aiello e di Gualtiero Ophtamil , un inglese, arcivescovo di Palermo, ritornò la pace  e la Sicilia rifiorì anche se il re, mosso da inattuabili ambizioni, vide fallire le sue temerarie iniziative di conquista in Egitto contro il Saladino e nella Grecia bizantina contro Andronico I Comneno e Alessio II Angelo ( 1185).
Guglielmo II, il buono, la cui personalità aveva affascinato indistintamente tutti i sudditi, morì mentre la sua flotta partecipava brillantemente alla III Crociata. Privo di figli, gli succedette la zia Costanza, figlia di Ruggero II, dal 1186 moglie di Enrico VI di Svevia figlio ed erede di Federico Barbarossa. Ciò significava consegnare il regno  all’impero germanico e rompere il tradizionale vincolo col papato, irriducibile avversario degli svevi e intollerante della loro egemonia in Italia. La successione venne contrastata da una forte frazione  della popolazione , che portò al trono un cugino  di Guglielmo, Tancredi conte di Lecce (1189-94) ; ma dopo che Enrico VI succedette al Barbarossa (1190) e intraprese la conquista del regno della moglie. Tancredi nonostante alcuni successi, andò perdendo terreno  e alla sua morte l’imperatore , sostenuto dai genovesi e dai Pisani e da alcuni baroni siciliani, stroncò la resistenza , raccolta intorno alla vedova e al figlio di Tancredi, Guglielmo III, e fu incoronato re a Palermo (Natale 1194); seguì poco dopo un’altra insurrezione, che Enrico VI represse ferocemente, poco prima della sua prematura morte  (Messina, 1197) .
Nell’età normanna era maturata in Sicilia  una cultura composita, eppure originale, alla quale avevano portato i propri contributi, stimolate dalla monarchia , le diverse comunità, romana, araba e bizantina, ciascuna secondo il suo genio;allora come non mai l’isola apparve il luogo ideale d’incontro e di intesa tra le grandi tradizioni civili del Mediterraneo; il duomo di Monreale rappresenta forse con maggiore e più immediata evidenza questa sintesi di valori. L’età degli Svevi, iniziata con Enrico VI sotto il segno della violenza , proseguì nell’incertezza con vistosi episodi di anarchia, durante l’infanzia e l’adolescenza dell’erede  di Enrico VI e di Costanza, Federico II (1194-1250); l’aspirazione di papa Innocenzo III, che il giovane svevo dovesse avere, come i re normanni, soltanto il regno di Sicilia e non l’impero, apparve presto irrealizzabile  e Federico II riunì sul suo capo le corone di Sicilia, di Germania, d’Italia e dell’impero ( e,con la sua crociata, di Gerusalemme). Malgrado la molteplicità e la complessità dei problemi che la sua posizione gli imponeva, Federico II dedicò la massima cura al regno di Sicilia, che considerava il cardine dell’impero. Piegate le resistenze baronali e cittadine, domata una ribellione di Arabi (che cessarono da allora di essere una comunità influente), con le costituzioni di Melfi (1231) portò a compimento l’ordinamento assolutistico, centralizzato e burocratico del regno instaurato dai re normanni . Se Palermo divenne un’ancor più splendida capitale, residenza prediletta dell’imperatore e centro culturale eminente, l’isola, nonostante l’intensa attività economica, in particolare quella mercantile e marinara, fu sottoposta a vessazioni fiscali (tributi, monopoli ecc.)  per sostenere le spese di magnificenza e soprattutto quella per la guerra logorante di Federico II contro il papato e i Comuni.
Scomparso Federico II, la continuazione della dinastia sveva nel regno, impersonata da Manfredi, figlio naturale dell’imperatore, reggente prima per l’erede legittimo Corrado IV, poi per il figlio di questo Corradino e infine egli stesso re (1258), incontrò l’implacabile opposizione del papato, finché Urbano IV investì nel regno Carlo d’Angiò, fratello di Luigi IX di Francia e conte di Provenza (1265), che con l’appoggio di tutta l’Italia guelfa conquistò con le armi il regno, auspice Clemente IV. Manfredi cadde nella decisiva battaglia di Benevento (1266); Corradino, sconfitto a Tagliacozzo, fu giustiziato (1268).
La catastrofe degli svevi commosse i siciliani e provocò anche una sollevazione antifrancese e un’effimera resistenza all’occupazione di Carlo d’Angiò, per cui questi mantenne nei confronti dei siciliani un atteggiamento di severa diffidenza. Stabilì il governo a Napoli, anteponendola a Palermo, distribuì un gran numero di feudi  a signori francesi, favorì nei confronti dei siciliani, mercanti e banchieri stranieri  (molti fiorentini, i grandi sostenitori del guelfismo) . A questi motivi di risentimento si accompagnava l’azione segreta di una fazione filosveva (o ghibellina) che faceva capo a Pietro III re d’Aragona il quale, avendo sposato Costanza, figlia di Manfredi rivendicava i diritti  di questa al regno . In questo quadro il 31 marzo  1282 a Palermo scoppiò l’insurrezione  dei Vespri, che divampò in breve in tutta l’isola, e poco dopo Pietro III, sbarcato con forze aragonesi  a Trapani, portò a termine la liberazione della Sicilia dai francesi. Ma prima che il distacco della Sicilia , dominio aragonese, dal mezzogiorno della penisola , dominio angioino , fosse definitivamente compiuto  e riconosciuto, si combatté la ventennale  guerra detta dei Vespri (1282-1302), conclusa con una pace  di compromesso (Caltabellotta, 1302: Carlo II d’Angiò riconobbe a Federico II, fratello di Giacomo II re d’Aragona, la sovranità sulla Sicilia , ma a titolo vitalizio e con il nome di re di Trinacria); poi, rotto il compromesso, le ostilità si riaprirono e continuarono ad intermittenza  fino al 1372, quando Giovanna I d’Angiò, regina di Napoli, rinunciò ad ogni rivendicazione  sull’isola a favore di Federico III d’Aragona (1355-77) .
La questione della Sicilia  trascendeva gli interessi italiani : il suo possesso, nel mezzo del Mediterraneo, costituiva la base  di una egemonia mercantile  ed economico politica , ambita, disputata e parzialmente ottenuta da Bizantini, Arabi, Normanni, Svevi, Angioini (o Francesi) e infine Aragonesi, e il papato, a sua volta avverso a ogni egemonia che potesse compromettere  la sua libertà, non poteva non vigilare sulla sorte dell’isola (per di più formalmente sotto la sua alta sovranità). Perciò la guerra dei Vespri e i suoi strascichi ebbero riflessi in oriente , in tutta l’Italia, in Francia, nella Penisola Iberica. Sotto la dinastia aragonese sopravvissero le istituzioni  di Federico II di Svevia, ma venne dato un ruolo più rilevante al Parlamento ( diviso in tre bracci: ecclesiastico, militare o feudale, demaniale o rappresentante delle città libere, direttamente dipendenti dal re) . Dal punto di vista economico sociale  e culturale vi fu una graduale recessione: ricostituzione di latifondi a beneficio di grandi signori, decadimento dei ceti rurali più modesti e della borghesia delle città, insicurezza per continue guerre , deterioramento dell’ordine pubblico. A ciò si aggiunse come aggravante una progressiva perdita dell’indipendenza: le corone d’Aragona e di Sicilia, tradizionalmente separate anche se talvolta cinte dalla stessa persona, furono definitivamente unite a partire dal regno di Martino II (1409-10), malgrado l’unanime opposizione  dei due partiti nobiliari (i Latini e i Catalani), che dagli scorci del secolo XIV tenevano l’isola sotto  l’incubo delle loro lotte e i sovrani, Maria e martino il Giovane, sotto una ricattatoria tutela. L’unione delle corone instaurò in Sicilia il governo dei viceré, il primo dei quali fu l’infante Giovanni di Panafiel (1415-16), figlio di Giovanni re di castiglia, d’Aragona e di Sardegna, che fu inviato, invano, alla successione ed al trono.
La Sicilia costituì una valida base per Alfonso V il Magnanimo nella sua conquista del regno di Napoli contro Renato, l’ultimo degli Angioini (1435-42) e sotto quel re, che fino alla sua morte (1458) ricompose l’antica unità del Mezzogiorno insulare e continentale d’Italia, l’isola ebbe qualche beneficio economico e culturale (come l’università di Catania) . Fu trascurata affatto dai suoi successori Giovanni II (1458-79) e Ferdinando il Cattolico (1479-1516), che col compimento dell’unità spagnola  e con la conquista del  Napoletano realizzava un grande impero mediterraneo. Ma ormai l’importanza del Mediterraneo  stesso era alla vigilia del suo declino.
Da Vicereame all’unione allo Stato Italiano:
Scaduta a vicereame la Sicilia reagì. Nel 1516 Palermo insorse contro il viceré Ugo di Moncada, nel 1517 fu scoperta la congiura di Gian Luca Squarcialupo e nel 1523 si ebbe la cospirazione  capeggiata dai fratelli Imperatore. Ma dopo che con la vittoria di Pavia la potenza della Spagna dilagò in tutt’Italia , anche la nobiltà siciliana così fieramente gelosa della sua indipendenza  finì col piegarsi e assumere un atteggiamento filospagnolo . D’altra parte, se alla lunga il dominio spagnolo fu causa di conseguenze negative per l’isola (introduzione dell’inquisizione , diminuzione delle autonomie locali , eccessivo fiscalismo ), servì anche a frenare , almeno in parte , lo strapotere baronale  e a combattere il brigantaggio per cui fu inizialmente sopportato con relativa facilità anche dal popolo. Con l’aggravarsi delle condizioni interne  della Spagna peggiorarono  però anche le condizioni  della Sicilia. La decadenza economica  si accrebbe e scoppiarono  nuove rivolte: tra le molte, quella di Palermo (1647), capeggiata da Giuseppe d’Alessi che riuscì a far sollevare il popolo e a cacciare  per qualche tempo i viceré, e quella di Messina (1674), dove la cittadinanza costrinse alla fuga la guarnigione spagnola e resistette con l’aiuto della Francia sino al 1678 quando Luigi XIV, accordatosi con Carlo II nella Pace di Nimega, abbandonò la rivolta  alla dura repressione spagnola.  Con la pace di Utrecht (1713 , conclusione della guerra di successione spagnola) la Sicilia passò, con titolo regio, a Vittorio Amedeo II, duca di Savoia, ma poco dopo (1718), tolta al suo nuovo Signore, fu assegnata all’Austria e in tal modo riunita al Napoletano. Nel 1734, infine sempre unita al Mezzogiorno ebbe con Carlo III di Borbone un nuovo autonomo sovrano che ricostituì il Regno delle Due Sicilie  mantenendo però ordinamenti separati nelle due diverse regioni.  Iniziò allora un periodo di riforme che vide in Domenico Caracciolo, viceré dal 1781 al 1786, il suo più illuminato rappresentante. Ma il programma di unificazione politica e amministrativa , urtando contro i privilegi  del baronaggio e del Parlamento, fu considerato un attentato alle libertà dell’isola e fin’ col suscitare opposizione anche tra la gente comune. L’isola rimase comunque ai Borbone di Spagna anche nei periodi in cui essi perdettero il continente (1799 e 1806-15) per l’intervento delle armi francesi, e nel 1811, auspice l’inglese Bentinck, che la teneva praticamente sotto tutela ebbe una sua Costituzione liberale. Quando però Ferdinando I riprese l’antico disegno di dare effettiva unità al duplice regno abolendo (1815) la Costituzione appena concessa e le libertà e franchigie più antiche, l’ostilità verso la monarchia riprese più aperta e decisa. Da qui il moto separatista  del 1820, la sollevazione di Palermo del 1831 e l’insurrezione del 1848 che proclamò la decadenza dei Borbone , offrì la corona dell’isola a Ferdinando Maria di Savoia e fu domata solo nel maggio del 1849. Di qui, anche l’accoglienza che trovò Garibaldi nell’isola e la sua rapida liberazione conclusa con il plebiscito del 21 ottobre 1860 da cui venne proclamata l’unione alla monarchia costituzionale di Vittorio Emanuele II.
L’arretratezza delle condizioni economiche e sociali dell’isola, che fu all’origine  di gravi agitazioni come l’insurrezione di Palermo (1866) e i moti dei fasci siciliani repressi nel 1894 con lo stato d’assedio, fu esasperata dalla crisi dell’agricoltura  e dalla conseguente emigrazione  dei contadini . Dopo la I guerra mondiale  la situazione peggiorò e il malcontento portò la popolazione  ad accogliere il sistema autarchico  fascista rivelatosi tutt’altro che risolutivo .
Dallo sbarco Anglo Americano e con la ripresa della vita politica dell’intero paese la Sicilia, pur di sottrarsi alla prospettiva socialista, e fidando nella collocazione geografica che le avrebbe concesso privilegi  nei rapporti internazionali, scelse la via del separatismo. Il fenomeno mafioso trovò in tal modo ampia possibilità d’espressione , avvalendosi di una potente organizzazione terroristica che contrabbandava le azioni di brigantaggio per iniziative politiche.
Il 15 maggio 1946 veniva istituita la regione  e l’isola era così inserita  di fatto nella vita del paese  e metre il fenomeno separatista  subiva una seria battuta d’arresto  pur continuando a sussistere  sotto il non meno grave  aspetto clientelare , fortemente condizionante  dello sviluppo politico sociale  dell’isola, il problema della mafia si ramificava in gran parte della penisola.

Palermo


PALERMO
Il nucleo originario di Palermo fu fondato nel corso dei secoli VIII-VI a.C. dai Fenici ed ebbe il nome di Ziz (fiore) come appare da una antica moneta. Nel 480 a.C., durante la guerra fra Cartagine e Imera, e successivamente nel 406 e nel 391, nel porto di Panormus (tutto porto) trovò rifugio la flotta punica. Il siracusano Ermocrate tentò di conquistare Palermo nel 408, ma la città, tranne che per la breve occupazione  di Pirro (276), rimase nell’orbita cartaginese fino alla conquista romana del 254 a.C. Falliti i successivi tentativi  di Asdrubale , che marciò sulla città con gli elefanti e fu sconfitto da Cecilio Metello e di Amilcare Barca, che per quattro anni rimase accampato minacciosamente su un’altura sovrastante la città, Palermo divenne un fiorente municipio  e nel 20 a.C. Augusto vi istituì una colonia. Lo stesso fecero più tardi Vespasiano e Adriano. Caduta in possesso di  Genserico, di Odoacre (476) e quindi Teodorico (493), nel 535 fu conquistata e restituita all’impero Bizantino da Belisario. Occupata da Totila nel 549, ritornò Bizantina nel 552 per opera di Nersete e rimase tale fino all’831, quando gli Arabi la conquistarono dopo un lunghissimo assedio che ridusse la popolazione da 70ooo a 3000 abitanti.
Balarm (questo è il nome arabo) riprese floridezza solo intorno alla metà del secolo X. Nel 948, sotto la dinastia dei Banu Kalb, Palermo fu eletta capitale dell’emirato indipendente di Sicilia; la sua popolazione raggiunse in poco tempo i 300.000 abitanti . Al dominio Arabo succedette quello normanno, dopo la conquista della città fatta da Ruggero I d’Altavilla (1072); Ruggero II nel 1130 nel duomo di Palermo cinse la corona di re di Sicilia e dichiarò Palermo capitale del regno: la città toccò uno straordinario splendore e Federico II (1208) ne fece un grande centro culturale. Gli Angioini trasferirono a Napoli la capitale del regno (1266), ma al loro malgoverno pose fine la rivolta dei Vespri Siciliani (31 marzo 1282) a seguito della quale la città si eresse a libero comune  e chiese aiuto alla casa di Aragona. Le violente lotte civili scoppiate nel corso del secolo XVI finirono con il favorire il predominio di un’unica famiglia nobile, quella dei Chiaramonte, estintasi la quale Ferdinando I il Giusto nel 1412 annetté definitivamente Palermo e tutta la Sicilia alla corona di Aragona. Al dominio spagnolo il popolo Palermitano si ribellò violentemente nel 1647 (15-22 agosto), capeggiato da Giuseppe d’Alessi; due anni più tardi una congiura della borghesia, guidata da Giuseppe Pesce, cercò di eliminare il viceré Giovanni d’Austria. Dopo il breve regno di Vittorio Amedeo di Savoia  (1713-18), a cui la Sicilia pervenne con il trattato di Utrecht, a seguito del trattato dell’Aia  l’isola e il suo centro principale passarono a Carlo VI d’Austria; nel 1735 Carlo III di Borbone  giurò a Plermo la Copstituzione del Regno. Nel 1799 e nel 1806 il popolo palermitano accolse favorevolmente Ferdinando III che, cacciato da Napoli, trasferì la propria corte a Palermo e ridiede alla città l’antico ruolo di capitale . La soppressione della Costituzione nel 1815 accese però violenti sentimenti antiborbonici  che portarono ai moti del 1820: la giunta di governo che ne uscì, presieduta dal principe Paternò, fu abbattuta dalle truppe Napoleoniche di Pepe e di Colletta.
Dopo la sollevazione carbonara di Domenico Di Marco , scoppiò violenta la rivoluzione  del 1848; il 27 maggio 1860 finalmente Garibaldi con i Mille liberò la città. I Borbone capitolarono  il 6 giugno e il 21 ottobre il popolo palermitano votò l’annessione al regno d’Italia.
Nella seconda guerra mondiale la città subì alcuni bombardamenti; gli Alleati vi entrarono il 24 luglio 1943.

Sardegna


SARDEGNA
Preistoria:
Fino a qualche anno fa la Sardegna era considerata priva di frequentazione umana prima del Neolitico, per il suo isolamento geografico dalla penisola nel corso del Pleistocene; in seguito alle prime ricerche di O. Cornaggia Castiglioni, che risalgono alla fine degli anni settanta, e a quelle tuttora in corso da parte di F. martini, sono stati segnalati numerosi complessi su scheggia e su ciottoli attribuiti al Paleolitico inferiore. Tali sono per esempio i siti di Sa Coa e de Sa Multa vicino a Laerru, tipologicamente collegato al Clactoniano prerissiano peninsulare, o i manufatti raccolti nella regione dell’Anglona, in Sicilia settentrionale, lungo il Riu Altana, e quelli nel bacino di Laerru-Perfugas attribuiti al Protocharentiano o Tayaziano rissiano come anche l’industria di Sa Pedrosa-Pantalinu. Al paleolitico superiore, e in particolare a un generico Epigravettiano, sono stati riferiti gli scarsi manufatti rinvenuti a Grotta Corbeddu vicino Nuoro. Durante il Neolitico  un ruolo importante devono avere avuto i giacimenti di ossidiana specialmente del Monte Arci, che alimentò certamente un vasto commercio verso le regioni circostanti. Recenti ricerche hanno consentito di ricostruire lo sviluppo delle facies neolitiche dell’isola; quella di Ozieri, della seconda metà del IV Millennio a C:, si caratterizza per una ricca cultura materiale e per la comparsa delle caratteristiche sepolture ipogeiche (domus de janas). Da ora in poi la Sardegna è stabilmente inserita in circuiti di scambio che coinvolgono sia il Mediterraneo occidentale (è forte l’influsso della facies del bicchiere campaniforme, nell’Eneolitico), sia quello orientale (come dimostrano i numerosi frammenti micenei trovati nell’Età del bronzo e i vasi sardi rinvenuti a Creta nello stesso periodo).
Agli inizi del II millennio a.C. si data la comparsa dei nuraghi, caratteristiche costruzioni a torre che punteggiano il paesaggio della campagna sarda; intorno a essi si sviluppano ampi villaggi, pozzi e fonti sacre e altri elmenti tipici  di una società complessa, fino ad arrivare  alle manifestazioni d’arte (bronzistica) della prima età del ferro.
Storia:
Verso il secolo VIII, gruppi di Fenici, soprattutto Cartaginesi, si insediarono  sulle zone costiere, in particolare quelle meridionali e orientali, dove fondarono Caralis (Cagliari), Nora, Tharros, ecc. mentre i Sardi si ritiravano all’interno. I Focesi, a loro volta, fondarono Olbia, ma la loro penetrazione in Sardegna si arrestò dopo la battaglia combattuta nelle acque di Alalia (c.a 535 a.C.)  contro Etruschi e Cartaginesi i quali, anche se sconfitti, riuscirono ad affermarsi nell’isola, specialmente i primi che estesero gradualmente  la loro penetrazione . La stessa Roma rinunciò a commerciare nell’isola in base ad un trattato stipulato con Cartagine nel 348 a.C.; tuttavia scoppiarono frequenti le rivolte degli indigeni sardi insofferenti della dominazione straniera.
Nel 238 a.C., indebolitasi Cartagine per la sconfitta subita nella I guerra punica, Roma approfittò di una rivolta dei mercenari cartaginesi in Sardegna e occupò l’isola strappandola agli avversari. Da questo momento la Sardegna  divenne una delle maggiori riserve di grano  dello stato romano. Nel 226 a.C. essa fu eretta a provincia insieme alla Corsica . I romani continuarono a lungo a trattarla come una terra di conquista senza concederle, per tutta l’età repubblicana nessuna città libera: numerose perciò furono le rivolte degli indigeni sardi e degli immigrati punici, tra cui particolarmente violente  quelle organizzate da latifondista cartaginese Amsicora (216 a.C.) e quella del 178 a.C. che fu domata da Sempronio Gracco con riduzione in schiavitù di decine di migliaia di uomini riversati nelle campagne  d’Italia. Alla fine del secolo II a.C. le sommosse ebbero fine, ma la resistenza a Roma continuò a manifestarsi nell’interno attraverso il brigantaggio. Cesare concesse a Cagliari i diritti civili romani mentre Turris Libissonis (Porto Torres), Sulci e Tharros divennero colonie. Durante l’impero la Sardegna fu separata dalla Corsica e amministrata come provincia imperiale: essa andò lentamente romanizzandosi, pur conservando caratteristiche sue proprie e più tardi, altrettanto lentamente si cristallizzò. Verso il 455 i Vandali, guidati da Genserico, iniziarono l’occupazione, che però, non avendo carattere stanziale, non lasciò tracce evidenti. Dopo meno di un secolo ritornò sotto l’amministrazione imperiale in seguito alla vittoriosa spedizione contro i Vandali (533-534) di Belisario, generale di Giustiniano. L’imperatore provvide a insediarvi un comando militare per la difesa e un giudice per l’amministrazione. Il dominio, fisicamente oppressivo ed incurante del benessere locale, aggravò la decadenza già in atto e lasciò l’isola esposta a scorrerie invasioni e distruzioni operate dai Goti, dai Longobardi e soprattutto dagli Arabi che infestarono per secoli le coste. Mentre il potere di Bisanzio diveniva un diritto privo di efficacia, la mancanza di difesa fece emergere altre forze: si formarono lentamente i giudicati, che di fatto agirono come Stati indipendenti e furono caratteristici dell’isola. La loro origine è piuttosto controversa. La gravità delle incursioni aveva indotto i Bizantini a riunire tutti i poteri nelle mani del giudice, ma la conformazione geografica ne intralciò gli interventi. Per ovviare all’inconveniente qualcuno suppone che abbia nominato dei delegati, i quali avrebbero usurpato le sue prerogative. Altri vogliono che il decentramento sia avvenuto per elezione popolare. I documenti più antichi risalgono al secolo XI. Allora l’isola era divisa in quattro giudicati: di Cagliari, di Arborea, di Gallura e di Torres. Essi assicurarono al Paese il periodo più prospero, favorendo il riordinamento amministrativo e istituzionale, la promulgazione delle leggi , il fiorire dell’agricoltura, dell’artigianato , dell’industria mineraria e degli scambi marittimi , incrementati con l’aiuto di Genova  e di Pisa, che svolsero un ruolo importante nello sviluppo dell’isola, pur contribuendo con la loro rivalità a rinfocolare le lotte  e il gioco degli interessi , complicati dalla pretesa di sovranità della Chiesa per una concessione di Carlo magno.  Fino ad allora i Papi si erano limitati a esigere un giuramento di fedeltà o a inviare un legato; ma ormai (secolo XIII) l’isola rischiava di essere travolta  dallo scatenarsi degli appetiti , non solo di Genova e Pisa , che con le guerre cominciavano a smembrare i giudicati , ma anche dell’impero  (Federico II e suo figlio Enzo, Roberto d’Asburgo), degli Angiò dei Malaspina, senza contare le aggressioni arabe. Forse nel timore di perdere  del tutto i diritti, Bonifacio VIII compì un gesto destinato  a sconvolgere la struttura politica e a distruggere ogni autonomia dell’isola, cedendola  a Giacomo II d’Aragona (1297) . Il possesso effettivo fu preso più tardi dall’infante Alfonso , che iniziò (1323) una dura guerra di conquista e, imposto l’ordinamento feudale, vi trapiantò la nobiltà catalana.
Il dispotismo dei nuovi venuti e l’attaccamento all’autonomia e alle libere istituzioni suscitarono profondi risentimenti nella popolazione. La prima a sollevarsi fu Sassari (1325) , seguita da altri centri,con l’aiuto dei Doria di Genova, dei Malaspina di Lunigiana, dei Pisani; ma fu attorno ai giudici di Arborea che si raccolse la più strenua resistenza:
Mariano IV liberò la fascia occidentale, grosso modo da Sassari a Cagliari, con una guerra proseguita dai figli Ugone III prima, ed Eleonora poi, la famosa giudicessa d’Arborea autrice della Carta de Logu (1395), la raccolta di leggi tanto apprezzata dall’aragonese Alfonso il Magnanimo, che la estese a tutta l’isola allorché, assoggettatala interamente, volle rinnovarne l’amministrazione. Non per questo la dominazione divenne più tollerabile per il dispotismo catalano, la povertà dell’economia, l’aggravio fiscale, l’incuria dei governatori. La sconfitta subita dai Sardi a Macomer (1478) segnò la fine dei tentativi per la libertà. Il passaggio alla Spagna unita (1479) non mutò la situazione. Ferdinando il Cattolico, preoccupato di consolidare il dominio, soffocò le autonomie, impose una legislazione livellatrice, concesse la preminenza alla nobiltà spagnola, ostacolò i contatti con il continente italiano. Le lunghe guerre di Carlo V peggiorarono le condizioni. L’amministrazione spagnola, desiderosa di trarne vantaggi immediati, lasciò mano libera alla nobiltà catalana e aragonese, impoverì le campagne e depresse le attività cittadine tanto che si verificò un regresso demografico, accentuato dalla malaria e dalle pestilenze della prima metà del secolo XVII.
Il periodo migliore fu il regno di Filippo II (1556-98) per le riforme dell’amministrazione  e della giustizia più rispettose dei diritti sardi, per i provvedimenti in favore dell’agricoltura e dell’economia, per la difesa della vita civile (furono costruite torri costiere contro le scorrerie dei pirati), per le iniziative culturali. Tristissimo invece, per il malgoverno impotente, corrotto e fiscale, il regno di Carlo II(m. 1700)seguito, per la successione, da lotte interne tra austrofiti e francofoli e dalla guerra. I trattati di Utrecht (1713) e di Rastatt (1714) assegnarono l’isola all’Austria, ma la Spagna non si rassegnò e tentò la riconquista . Sconfitta dalla quadruplice Alleanza ( Francia, Inghilterra, Austria, Olanda) col Trattato di Londra (1718) dovette rinunciare definitivamente a favore di Vittorio Amedeo II di Savoia, che prese possesso della Sardegna  (1720) inviando il barone di Sant-Remy con il titolo di vice ré. Ebbero inizio allora alcune riforme , continuate con più ampio respiro  da Carlo Emanuele III (1730-73) per dare vita all’industria, rianimare l’agricoltura, riordinare l’amministrazione e la giustizia, imitare i privilegi, soprattutto del clero. Le strutture feudali, che tuttavia persistevano , cominciarono a destare insofferenze e fermenti, specialmente  dopo lo scoppio della Rivoluzione  a Parigi (1789). Il malcontento non impedì però che i rami del parlamento , gli stamenti, raccogliessero truppe locali e sventassero i tentativi di sbarco della flotta francese (1792-93). In compenso della fedeltà chiesero al re riforme  costituzionali . Il rifiuto provocò una rivolta che, nata a Cagliari (1793) , dilagò in tutta l’isola  scacciando i Piemontesi. Il moto tuttavia mantenne un carattere economico  e sociale più che politico : fu volto contro i grandi feudatari  e non contro  la sovranità dei Savoia, che anzi furono accolti esuli (1799) . La lotta antifeudale  si acuì nel 1795 con la spedizione contro i maggiorenti di Sassari; ma le grandi  famiglie , costretto alla fuga Gian Maria Angioj capo dei rivoluzionari, predominarono nonostante  il ripetersi delle sommosse . Carlo felice , prima come viceré poi come re, cercò di sanare le contese  con quelle riforme  che i suoi principi antiquati gli permisero. Più innovatrici invece quelle di Carlo Alberto: abolizione dei diritti feudali (1835) e, su richiesta del parlamento sardo, parità di diritti col Piemonte (1847). L’insorgere di altri gravi problemi  minimizzò i miglioramenti. Questi divennero più sensibili solo dopo l’unità d’Italia (1861) , favoriti da uno sfruttamento minerario più intenso, dalla costruzione di ferrovie, da incentivi industriali. Ciononostante il progresso era lento anche per l’accentramento politico e amministrativo non sempre consono agli interessi isolani.
Nel primo dopoguerra vi fu un tentativo per una maggiore autonomia. Di tale necessità si rese interprete il Partito Sardo d’Azione, costituito durante  un congresso di combattenti a Oristano, alla vigilia delle elezioni del 1921, ma il fascismo pose fine  alle speranze e presunse di risolvere il problema  con la costruzione del centro minerario di Carbonia (1938) e di alcune bonifiche. L’ultima guerra e i bombardamenti lasciarono l’isola prostrata. Il ritorno della pace e della democrazia con il ripristino dei partiti, tra cui quello Sardo d’Azione, alimentarono la speranza di trovare la via del progresso nell’autonomia, finalmente concessa dalla legge costituzionale del 26 febbraio 1948, che sanzionò la nascita della regione autonoma sarda a statuto speciale, con capoluogo Cagliari. In questo nuovo clima fu approntato il Piano di Rinascita (1958).

Cagliari storia


CAGLIARI
Sorto probabilmente nel secolo IX a.C. come insediamento fenicio, l’abitato di Cagliari si sviluppò notevolmente a partire dal secolo VII a.C. grazie all’attiva presenza dei Cartaginesi che fecero della città un’importante base commerciale.
Con il 238 a.C. (anno in cui passò nelle mani dei Romani) ebbe inizio l’espansione latina nell’isola; nel 48 a.C. fu eretta a municipio da Giulio Cesare. Con la diffusione del cristianesimo nell’isola Cagliari fu innalzata (314) a sede vescovile; l’occupazione dei Vandali nel 455 non spense l’attività religiosa e monastica della città. La conquista Bizantina (534) avvenne da parte delle truppe di Giustiniano in una fase di sensibile decadenza e di impoverimento causato anche dalla continua minaccia da parte di Goti, Longobardi e di altre popolazioni. Il controllo di Bisanzio divenne nel corso dei secoli soltanto formale. Questo fatto è particolarmente evidente nel periodo (secolo VIII-IX)  della più intensa influenza saracena sulla città , frequentemente saccheggiata e devastata. Per circa due secoli, fino al 1258, Cagliari fu così capitale dell’omonimo giudicato, il cui dissolvimento fu segnato dalla conquista da parte dei Pisani che vi edificarono (1270) un imponente sistema di fortificazione  (il Castrum Kallaris) in posizione tale  da dominare l’abitato. L’occupazione pisana coincise con un periodo di espansione economica  e di sviluppo artistico , particolarmente evidente nel campo architettonico. La conquista Aragonese  ebbe come antecedente  la nomina a re di Sardegna , da parte di Bonifacio VIII, di Giacomo II d’Aragona (1297) . La conquista della città tuttavia  fu attuata solo nel 1326 dopo un assedio durato due anni. Dal 1355 fu per volontà di Pietro IV d’Aragona sede del parlamento sardo. Alla dominazione aragonese subentrò nel 1708 quella austriaca, dopo il cannoneggiamento e la successiva occupazione  da parte della flotta britannica che conquistò la città  per cederla all’arciduca d’Austria. Nel 1718 Cagliari fu ceduta ai Savoia che ne presero possesso  due anni dopo facendone  la sede di un proprio viceré. Nel 1793 resistette ad un assedio francese  e dal 1799 al 1814 fu residenza della famiglia sabauda , fuggita dal Piemonte  in seguito all’avanzata Napoleonica . Nel 1862 furono abbattute le mura  e altre fortificazioni difensive per cui la città perse la sua funzione  di piazzaforte.
Durante la seconda guerra mondiale  subì danni per i ripetuti bombardamenti aerei. Che causarono numerose vittime. Nel 1943 fu occupata dalla truppe alleate.

martedì 20 novembre 2012

La Famiglia (nel diritto italiano)


Famiglia nel diritto italiano


FAMIGLIA NEL DIRITTO ITALIANO
La famiglia è disciplinata dal codice civile del 1942. In origine le norme scritte dal Legislatore erano improntate sul comune senso della famiglia ereditato nel corso dei secoli. Al centro della famiglia è collocato il padre-marito a cui tutti gli altri erano gerarchicamente sottoposti (madre, figli). Nella visione tradizionale della famiglia soltanto i figli legittimi godevano della tutela giuridica nella trasmissione del cognome e del patrimonio di famiglia. Erano esclusi dal concetto di famiglia tutti i figli nati al di fuori del matrimonio. Questa interpretazione tradizionale è stata progressivamente modificata ed adeguata alla società moderna, dapprima nella Costituzione del 1948 e successivamente tramite le leggi speciali di riforma del diritto di famiglia. La più importante è senza dubbio la riforma del 1975.

La famiglia nella Costituzione italiana

La famiglia è descritta con precisione nell'articolo 29 della Costituzione secondo cui:
"La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio." (art.29 Cost. II comma)
Con questa norma il Legislatore riconosce alla famiglia il ruolo ereditato dal diritto naturale, il quale preesiste alla disciplina dell'ordinamento giuridico. Nel secondo comma dell'articolo 29 della Costituzione il Legislatore modernizza la definizione della famiglia, specificando l'uguaglianza tra i coniugi:
"Il matrimonio è ordinato sull'uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell'unità familiare." (art.29 Cost. II comma)
Come si può facilmente interpretare, pur nei limiti a "garanzia dell'unità familiare", il ruolo del padre perde il suo carattere di centralità e di supremazia. Entrambi i coniugi hanno pari uguaglianza morale e giuridica. Questa nuova interpretazione trova ampia conferma nel successivo articolo 30 della Costituzione:
"E` dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio." (art.30 Cost. I comma)
Oltre ad assegnare i medesimi doveri e diritti ad entrambi i genitori, la parità dei coniugi, il primo comma dell'articolo 30 parifica espressamente la posizione giuridica dei figli nati all'interno e al di fuori del matrimonio.
L'art.31 della Costituzione il Legislatore riconosce alla famiglia di gruppo sociale primario dell'organizzazione sociale ed impone allo Stato il compito di proteggere e tutelare la famiglia:
"La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose." (art. 31 Cost. I comma)
Le norme costituzionali sulla famiglia hanno ridisegnato la famiglia nel diritto italiano, conferendo a quest'ultima importanti elementi di novità rispetto al passato e alla tradizione. Il processo di modernizzazione dell'istituto sarà ulteriormente portato avanti nella riforma del 1975 ed in quelle successive sotto il profilo dell'uguaglianza dei coniugi e della tutela dei figli. Con le nuove riforme la tutela dell'unità familiare viene subordinata al diritto della persona e alla tutela dei soggetti più deboli. In tal modo saranno introdotti nel diritto italiano alcuni strumenti, inizialmente non previsti nel diritto di famiglia, come il divorzio, la separazione e l'interruzione volontaria di gravidanza.

Sant'Agostino

Poesia di Sant'Agostino 

LA MORTE NON È NIENTE

La morte non è niente. 
Sono solamente passato dall'altra parte: 
è come fossi nascosto nella stanza accanto. 
Io sono sempre io e tu sei sempre tu. 
Quello che eravamo prima l'uno per l'altro lo siamo ancora. 
Chiamami con il nome che mi hai sempre dato, che ti è familiare; 
parlami nello stesso modo affettuoso che hai sempre usato.
Non cambiare tono di voce, non assumere un'aria solenne o triste.
Continua a ridere di quello che ci faceva ridere,
di quelle piccole cose che tanto ci piacevano
quando eravamo insieme.
Prega, sorridi, pensami!
Il mio nome sia sempre la parola familiare di prima:
pronuncialo senza la minima traccia d'ombra o di tristezza.
La nostra vita conserva tutto il significato che ha sempre avuto:
è la stessa di prima, c'è una continuità che non si spezza.
Perché dovrei essere fuori dai tuoi pensieri e dalla tua mente, solo perché sono fuori dalla tua vista?
Non sono lontano, sono dall'altra parte, proprio dietro l'angolo.
Rassicurati, va tutto bene.
Ritroverai il mio cuore,
ne ritroverai la tenerezza purificata.
Asciuga le tue lacrime e non piangere, se mi ami:
il tuo sorriso è la mia pace.

giovedì 8 novembre 2012

Bari


BARI
Centro di probabile origine illirica e prosperosa città sotto i Greci, ottenne da Roma la dignità di municipium e l’unione alla tribù Claudia. Passata quindi sotto la dominazione dei Goti fu in seguito contesa da Bizantini e Longobardi e più volte saccheggiata e distrutta.
Conquistata dai Saraceni di Calabria (840) e liberata trent’anni dopo da Ludovico II nell’875 passò all’imperatore d’Oriente che la fece sede di un governatore generale (catapano)  con cui intendeva rafforzare  il proprio dominio nelle puglie .
Salvata a opera dei Veneziani di Pietro Orseolo II da un nuovo assalto dei Saraceni  (1002) , tentò inutilmente più volte di scuotere il duro dominio Bizzantino  finché nel 1075 cadde in potere dei Normanni per mano di Roberto il Guiscardo. A lungo contesa , prima da Boemondo e Ruggero e poi tra Grimoaldo e Ruggero II, fu conquistata  da Lotario II (1136) e infine completamente distrutta  da Guglielmo I il Malo (1156) .
Ricostruita dopo dieci anni e fiorente sotto gli Svevi decadde di nuovo con gli Angioini ; nel secolo XV passò agli Aragonesi poi (1464) ai duchi di Milano che vi tennero splendida corte con Isabella di Aragona (1502.24) e Bona Sforza (1524-57), quindi agli Spagnoli (1558) che tenendola per circa due secoli la oppressero con gravami fiscali e malgoverno provocandone la decadenza .
Nel secolo XVIII dopo l’ascesa al trono di Napoli della dinastia Borbone , Bari come tutta la Puglia , cominciò a riprendersi grazie a riforme decisive.
Dopo essere stata saccheggiata dalle truppe del Cardinale Ruffo (1799) la città fu occupata  dai Francesi nel 1806 ed ebbe un nuovo impulso con G. Murat (1813).
Ritornata ai Borbone nel 1815, entrò a far parte dello stato Italiano nel 1860.

Puglia


PUGLIA

Preistoria:
Tra le regioni italiane la Puglia  è forse una tra le più note, per varietà di ambienti e per intensità di ricerche , per quanto riguarda la preistoria  del suo popolamento. I più antichi complessi litici , riferibili a una fase arcaica del Paleolitico inferiore italiano, si concentrano per lo più nel Gargano, dove sono state rinvenute industrie attribuite all’Acheuleano antico (Forchione A e Masseria Tiberio, A) , alla foce del torrente Romandato e nella foresta Umbra, dove manufatti su ciottoli si trovano in associazione  con materiali di aspetto clactoniano e industrie definite Protolevallois. Una facies più evoluta dell’Acheuleano è nota in diversi siti del Gargano, tra cui citiamo la serie di Forchione B e C. Particolare importanza rivestono i livelli inferiori del riparo esterno  di Grotta Paglicci in cui è stato rinvenuto un Acheuleano superiore o finale.. Ancora di incerta attribuzione sono le industrie su scheggia con caratteri arcaici, forse di età rissiana, nella grotta dell’Alto e quelle rinvenute nei livelli inferiori di Grotta Romanelli (Otranto), che potrebbero essere riferite alla fase più antica del Musteriano pugliese, con strumenti spessi, elementi Quison e punte di Tayac; se non una fase finale  dell’Acheuleano, come potrebbe indicare, tra l’altro, la presenza in questo complesso su calcare, di un bifacciale. Alla stessa fase sono riferite  anche le industrie della Grotta del Cavallo (liv. M). di Uluzzo © e dello strato 2 di Paglicci.
Industrie generalmente più piatte e di tecnica Levallois, attribuibili a un Musteriano di fase più recente, sono quelle provenienti dal Cavallo, da Grotta Bernardini, da Grotta Spagnoli e dagli strati soprastanti lo strato 2 di Paglicci. Un aspetto particolare del Musteriano pugliese e dato dall’utilizzazione  Cavallo (L), Bernardini (D), Uluzzo C (G) e Serra Cicora (F-B) vicino Lecce, delle valve di una conchiglia, la Callista Chione, per la preparazione di strumenti, analogamente a quanto avviene  altrove in Italia: alla grotta dei Moscerini (lazio) e ai Balzi Rossi di Grimaldi (Liguria). Di particolare interesse è un femore umano neandertaliano rinvenuto nei depositi Musteriani nella grotta di Santa Croce (Bari) . Le fasi arcaiche del paleolitico superiore  (Uluzianoe Protoaurignaziano<9 sono bene attestate, in particolare la prima, con datazione comprese tra oltre 32.000 e 29.000 a.C. circa : Cavallo, Uluzzo C, Bernardini, Parabita, serra Cicora, Torre testa (Brindisi), Foresta Umbra, San pietro in Maida, Falce del Viaggipo (Bari) . La lunga sequenza del Paleolitico superiore di Grotta paglicci inizia con livelli Aurignaziani , recentemente individuati. Seguono diverse fasi del Gravettiano, con datazioni C14 comprese fra 22.770 a.C. e 18.210 a.C., dell’Epigravettiano antico, presente, oltre a paglicci con datazioni comprese  tra 17.650 a.C. e 15.150 a.C., in diverse altre grotte e ripari come per esempio nella Grotta delle Veneri di Parabita, a Taurisano (c14; 14.50//150 a.C. -13650//300 a.C.) Grotta delle Mura , Cipolliane  Bocca cesira; nell’Epigravettiano  evoluto noto per esempio alle Cipolliane , alla Zinzolusa  e a Paglicci (con datazioni C14 13.320//220 – 13.510//220 a.C.) e dell’Epigravettiano finale presente oltre che a Paglicci (con datazione C14 tra 12870//210 e 9490//220 a.C.), in numerose altre grotte, tra le quali si ricordano la Grotta delle Mura e di Santa Croce (Bari), le Cipolliane, Taurisano, Ugento e Grotta Romanelli, quest’ultima con datazione  C14 comprese tra 9980//520 e 7100//100 a.C.. Alcune sepolture  sono state rinvenute negli strati gravettiani e dell’Epigravettiano finale, importanti manifestazione di arte  parietale (raffigurazioni di cavalli e di mani in positivo e in negativo) sono state riferite al Gravettiano o all’Epigravettiano antico, mentre l’arte mobiliare  di Grotta Paglicci è presente in diversi livelli compresi tra il Gravettiano evoluto e l’Epigravettiano  finale.
La Puglia ètra le poche regioni italiane che presentano inoltre reperti del Neolitico antico della cultura della ceramica impressa, presenti in varie stazioni preistoriche, quali Coppa Nevigata, Francavilla Fontana, Pulo di Molfetta, Isole Tremiti e altri centri. Ai successivi stadi del neolitico appartengono i ritrovamenti di Grotta scaloria, Ostuni, Molfetta, Masseria La Quercia, la Grotta Zinzolusa, Marina di Novaglie, Scoglio del Tonno e quelli della grotta di Porto Badisco, di eccezionale interesse per le pitture parietali neolitiche conservate nel suo interno. Coi tempi eneolitico le maggiori novità culturali sono date dalla presenza di sepolture in tombe a grotti cella, come quelle rinvenute a Cellino San marco, Laterza e in altre località. Oltre che alla diffusione del megalitismo, di cui testimoniano le numerose pietre fitte e vari dolmen.
A quest’epoca appartengono molti ritrovamenti che dimostrano l’esistenza di rapporti col mondo egeo, i quali proseguono nella media e tarda età del Bronzo, epoca cui si datano  alcuni importanti abitati costieri (come la stessa Coppa Nevigata), Scoglio del Tonno e Torre Castelluccia) con resti di fortificazioni, che hanno restituito copiose quantità di ceramiche micenee o di imitazioni. All’età finale del Bronzo sono inoltre datati numerosi ripostigli.

Storia:

In epoca storica la Puglia fu abitata da genti illiriche e, sulle coste, da coloni greci. Le guerre sannitiche aprirono a Roma la conquista totale dell’Apulia. Alcune città guidate da Taranto approfittarono del successo di Annibale  a Canne per ribellarsi, ma le armi romane schiacciarono l’insurrezione. Con la divisione Augustea Apulia e Calabria costituirono la II regione comprendente anche il Vulture e parte del Molise.
Per la sua posizione geografica invidiabile, in comunicazione con le provincie orientali dell’impero, la Puglia  romanizzata ebbe un notevole sviluppo economico e il benessere e la pace sociale furono mantenuti fino alla caduta dell’impero romano d’Oriente (476), allorché subentrò la giurisdizione bizantina esercitata da un catapano. Il dominio bizantino fu contrastato dai Longobardi a cui seguirono i Franchi, i Saraceni, i Veneziani. Guerre, assedi, devastazioni, regimi fiscali oppressivi e corrotti si avvicendarono con effetti rovinosi per la popolazione, che più volte tentò di liberarsene ribellandosi. La più nota ribellione fu quella promossa da Melo da Bari, che assoldò mercenari normanni (1016) e tentò, ma inutilmente, di scacciare  i Bizantini. L’impresa riuscì invece ai Normanni d’Altavilla, che crearono nella regione la contea di Melfi o di Puglia, affidata da un’assemblea di guerrieri a Guglielmo Braccio di ferro (1043). Nel 1059 Roberto il Guiscardo ottenne da papa Niccolò II, con l’accordo di Melfi, l’investitura e il titolo di duca di Calabria e di Puglia in cambio di un atto di vassallaggio e di eventuali aiuti militari. Il destino della regione ormai era legato a quello dell’Italia meridionale avviata a unità politica, quantunque i Venziani tentassero di impedire la formazione  di uno stato forte affacciato sul basso adriatico. Sotto gli Altavilla e gli Svevi (dal 1194) la Puglia godette di speciali privilegi e di una certa autonomia amministrativa: Bari era un porto attivo per i traffici con l’Oriente; Melfi era tanto importante e sicura che i papi la scelsero come sede per solenni concili e qui fu emanata la raccolta  di leggi di Federico II per il regno di Sicilia, detta appunto Costituzione di Melfi (1231). Il grande imperatore Svevo soggiornò spesso nella regione e, non sfuggendogliene l’importanza strategica, la fortificò.
Dalla metà del secolo XIII la Puglia, divisa nei tre giustizierati di Capitanata, terra di bari e Terrad’Otranto decadde e subì passivamente l’alternarsi dei dominatori: gli Angioini dal 1266, gli Aragonesi dal 1442, gli Spagnoli dal 1504 e, dopo il breve periodo degli Asburgo (1714-38), i Borbone.
La rigida struttura feudale imposta dagli Angioini e mantenuta in seguito, la prevalenza dei latifondi e la correlativa povertà dell’agricoltura, la scarsità di centri cittadini economicamente e culturalmente aperti determinarono una struttura sociale anomala, caratterizzata dalla divisione delle classi estreme: l’aristocrazia baronale e la plebe (nell’assoluta maggioranza rurale) povera e ignorante. L’assenza del ceto medio spense l’apporto della Puglia alla vita del regno fino a tutto il Risorgimento. Dopo l’unità anche in quelle terre povere si sviluppò il fenomeno del brigantaggio, nato soprattutto dalla delusione delle popolazioni agricole che avevano sperato in un immediato sollievo dagli stenti secolari.



Campobasso


CAMPOBASSO
Assai incerte sono le notizie circa il periodo di fondazione della città e la sua storia nella fase precedente il basso Medioevo.
Allo stesso modo solo ipotesi si avanzano circa l’origine del suo nome, probabilmente derivato dal fatto che il centro si è sviluppato nella piana sottostante l’altura che domina l’abitato. Secondo altri, il nome deriverebbe, per la sua origine feudale, da campus vassorum, ovvero sede dei vassi o vassalli.
Possedimento dei Monforte, fu nel secolo XV coinvolta in ripetute  guerre in seguito alle quali essi speravano di rendersi indipendenti dai sovrani aragonesi. Questi ultimi riuscirono invece negli ultimi anni del secolo a stabilire con Ferdinando II un completo controllo sulla città, che fu successivamente venduta ad Andrea di capua, capitano generale del papa Giulio II.
Divenuta nel secolo XVI dominio di ferrante  Gonzaga e dei suoi discendenti, passò ai Carafa nel 1688 e nel 1727 fu ottenuta mediante pagamento da un gruppo di notabili locali che avviarono metodi oligarchici di governo.
Occupata il 13 ottobre 1943 dalle truppe anglo-americane, che la contesero ai Tedeschi fu teatro di strenui combattimenti.
Dal dicembre 1963 Campobasso è capoluogo della ventesima regione d’Italia.

Molise


MOLISE
Anticamente abitato dai Sanniti dai quali derivò il nome di Sannio, il territorio del Molise, dopo le devastazioni  dei Goti (535-553), nel 570 fu annesso al ducato longobardo di Benevento.
Il secolo X vide il consolidamento di alcune signorie feudali dopo la divisione del ducato di Benevento(847).
Sorsero con le contee di Venafro (964), di larino (975), di Trivento (992) e agli inizi del secolo XI di Bjano, Isernia, Campomarino, sulle quali , con l’aiuto dei Normanni, prevalse più tardi (circa 1053) quella di Bojano.
Primo signore fu Rodolfo; tra i suoi successori, Ugo II (1128-68) nel 1144 assunse il titolo di conte,ma, venuto a contesa con Ruggero II di Sicilia, dovette cedergli alcuni feudi.
In seguito ad una serie di matrimoni fra le due case, l’integrità del Molise fu però conservata fino  al secolo XIII, quando la contea passò a Tommaso di Segni, conte di Celano. Costui la cedette a sua volta a Federico II: dal 1221 al 1538 fu quindi sede con la Terra di lavoro  di un giustiziar iato e intorno al 1531 fu aggregata alla Capitanata .
Eretto in provincia autonoma nel 1806, fu aggregato a Larino nel 1811 da G. Murat.
Durante la seconda guerra mondiale fu scelto dagli alleati per lo sbarco sulle coste italiane che avvenne a termopoli. Dal 1963 il Molise è regione autonoma.

Napoli


NAPOLI
Il nucleo originario  sorse probabilmente sull’isolotto di Megaride, su cui fu poi eretto Castel dell’Ovo, e alla base della collina di Pizzofalcone, estendendosi poi in età greca  e in età romana repubblicana, più a nord est.
Neapolis (in greco città nuova) sarebbe stata preceduta da una paleopolis (città vecchia)  e da una Parthenope, fondazione di greci, presenti sul golfo  fin dal secolo VII a.C. ma, il problema di natura archeologica, rimane aperto. Certo concorsero alla formazione della città esuli da Cuma, occupata dai Sanniti nel secolo V a.C.. Di origine comunque greca, Napoli entrò nell’orbita romana nella seconda metà del secolo IV a.C. e rimase fedele a Roma contro Pirro e contro Annibale. Eretta a municipio (90 a.C.)  fu coinvolta nelle guerre civili del secolo I a.C. e ne riportò gravi danni. In età imperiale , fu largamente favorita dagli imperatori e sviluppò le sue risorse di importante scalo marittimo, di sbocco di un ampio retroterra  e di centro culturale .
Odoacre vi confinò l’ultimo imperatore  d’Occidente, Romolo Augustolo, nella suntuosa villa di Lucullo. Conquistata dagli Ostrogoti (493), solo alla fine della guerra greco-gotica passò dopo gravi sofferenze all’amministrazione bizantina  (553) come capitale di un ducato largamente autonomo. Durante l’età bizantina  (553-1137), sotto i duchi, alcuni al tempo stesso vescovi, Napoli riuscì a salvaguardare la propria libertà più volte seriamente minacciata, oltre che da sporadici interventi diretti dei sovrani nominali di Bisanzio, dai Longobardi, dai Franchi, dagli Arabi e dal Papato, con una politica duttile e tortuosa di alleanze e con un intensa operosità. Attaccata da Roberto il Guiscardo (1077) , non sostenne la successiva spinta dei Normanni di Ruggero II d’Altavilla, divenuto re di Sicilia, l’annesse dopo una lunga lotta al regno (1139). La città si adattò lentamente  alla perdita dell’indipendenza di cui di fatto aveva sempre goduto e a essere proposta a Palermo, capitale del regno, come capoluogo del principato di Capua; apprezzò tuttavia alcune temperate libertà concesse da Guglielmo II il Buono, e quando l’eredità normanna passò a Enrico VI di Svevia sostenne contro di lui il normanno Tancredi di Lecce, e si arrese allo Svevo solo dopo una dura resistenza, che pagò a caro prezzo (1194). Il governo illuminato di Federico II non valse a riconciliare  del tutto Napoli con la nuova dinastia, che le anteponeva sempre Palermo, e l’assoggettava a un pesante regime fiscale. Dopo la scomparsa di Federico II, nonostante la tutela papale, finì col cedere a Manfredi (1256), che s’adoprò per accattivarsene la popolazione. Ma sotto l’egida papale Carlo I d’Angiò instaurò un  nuovo regime sulla rovina degli ultimi Svevi (Manfredi vinto e ucciso nella battaglia di Benevento, 1266; Corradino vinto a Tagliacozzo e decapitato a Napoli, 1268), e quando con la rivolta dei Vespri perdette la Sicilia, fece di Napoli la capitale del regno. E capitale di regno la città rimase fino al 1860. Grazie a questo ruolo essa acquistò prestigio, divenne un centro politico ed economico internazionale, un polo d’attrazione della cultura, soprattutto al tempo di Roberto il Saggio; ma pagò con sacrifici gravissimi questa sua crescita, oppressa da un fiscalismo implacabile e segnata da un sempre più profondo squilibrio sociale tra un’esigua minoranza privilegiata e una massa crescente di popolo economicamente e socialmente di livello umilissimo, con classe media esigua e per di più costituita soprattutto di forestieri (fiorentini, veneziani, provenzali, fiamminghi). L’amministrazione cittadina (con i cosiddetti “seggi”, rappresentanze dei quartieri) aveva, nei confronti della corte, autonomia e mezzi molto limitati per andare incontro ai bisogni della popolazione, spesso anche colpita da calamità naturali. La città tuttavia godeva di fama e ammirazione universale. Agli Angioini, che dopo Roberto volsero in una decadenza spesso tragica, subentrò per conquista Alfonso V d’Aragona dopo un lungo assedio /1442). Benché politicamente e culturalmente all’avanguardia nell’Italia dell’Umanesimo e del rinascimento, la dinastia Aragonese fu non meno impopolare di quella angioina, soprattutto per l’invadenza di elementi catalani in tutti i settori più importanti della vita cittadina, né valse a conquistarle il popolo la sua magnificenza. La sua fine ingloriosa, dapprima all’arrivo di Carlo VIII di Francia, che vi entrò senza colpo ferire come rivendicatore  dei diritti degli Angioini (1495), e infine all’ingresso  di Consalvo di Cordava, che prese possesso  della città  in nome di Ferdinando il Cattolico (1503), dando inizio alla dominazione spagnola , non fu per nulla ostacolata dalla popolazione, divenuta politicamente indifferente, ancorché sempre sensibilissima alle suggestioni della regalità. La città ebbe da allora una notevole espansione, soprattutto a seguito dell’immigrazione di genti dalle campagne, ma vide anche momenti assai tristi: l’assedio del visconte di Lautrec, Odet de Foix (1528), l’insurrezione di Masaniello contro il viceré Ponce de Léon  (1647), il diffondersi di una pestilenza (1656) che dimezzò la popolazione, la congiura del principe di Macchia (1701).
Nel corso della guerra di successione spagnola, il viceré di Napoli passò agli Austriaci (1707-34) nella persona di Carlo VI d’Austria ma nel 1734 Carlo III di Borbone, figlio di Filippo V di Spagna, cacciò gli austriaci da Napoli e la città, di nuovo capitale di un regno apparentemente autonomo, ebbe un periodo di straordinario splendore , si arricchì di monumenti, vide fiorire le lettere e le arti e potè godere della politica riformista e illuminata di Carlo III e del suo successore Ferdinando IV e della loro alleanza con la nobiltà locale.
Venne riformata l’università, istituita la cattedra di economia politica e fondata l’Accademia Ercolanense. Furono costituiti la biblioteca detta poi nazionale e il Museo, l’accademia delle scienze, l’officina dei papiri e il Collegio Militare. Dappertutto furono attuate audaci riforme politico-sociali. Gli avvenimenti legati alla rivoluzione francese ebbero vasta ripercussione anche nel regno di Napoli: Ferdinando IV partecipò alla colizione  antifrancese del 1798 e mandò un suo esercito al comando dell’austriaco Mack contro Championnet: le truppe francesi ebbero però la meglio e il 24 gennaio 1799 fu costituita la Repubblica Napoletana o Partenopea che resistette solo cinque mesi e fu abbattuta dalle truppe del cardinale Ruffo.
Il 16 febbraio 1806 la Francia reagì agli atteggiamenti antifrancesi di Ferdinando IV con l’occupazione di Napoli: il re dovette riparare in Sicilia e a Napoli si insediarono Giuseppe Bonaparte e Gioacchino Murat poi ( 1808) , che realizzarono molte e radicali riforme (abolizione della feudalità introduzione dei codici napoleonici)  e si assicurarono la collaborazione preziosa e convinta di numerosi uomini politici come Cuoco, Gallo, Delfico e altri. Nel 1815, con la caduta di Napoleone e il congresso di Vienna, Ferdinando IV rientrò in Napoli assumendo poco dopo (22 dicembre 1816) il titolo di Ferdinando I re delle Due Sicilie.
Sconvolta dalla rivoluzione carbonara del 1820-21 Napoli ottenne da Ferdinando II, succeduto a Francesco I (1830), la Costituzione. Malgrado la politica retriva dei suoi governanti, la città vide un continuo progresso nel campo delle arti, delle lettere e della tecnica (da Napoli salpò infatti il primo battello italiano a vapore e a Napoli fu inaugurata nel 1839 la prima ferrovia della penisola, la Napoli-Portici) I moti del 1848, in seguito ai quali la Costituzione fu revocata , prepararono la liquidazione  dei Borbone: il 7 settembre  1860 Garibaldi entrò in Napoli e un plebiscito popolare sancì l’annessione della città  al regno Sabaudo. Ulteriore prova di eroismo diede la popolazione napoletana  nel corso della II guerra  mondiale, quando , dopo più di centoventi bombardamenti  aerei, durante le quattro giornate di Napoli 28 settembre 1 ottobre 1943), costrinse il presidio tedesco alla capitolazione.

Ducato di Napoli:
Fu istituito nel 638 dall’esarca Eleuterio che per ristabilire il dominio di Bisanzio accentrò i poteri civili e militari in un duca, sottoposto al patrizio o stratego di Sicilia. Il ducato comprendeva agli inizi del secolo IX: Napoli, Cuma, Pozzuoli e Salerno. Sin dalla sua istituzione  fu coinvolto in una lunga serie di guerre  causate dalla continua pressione  del Longobardi di Benevento , dei pontefici, degli imperatori bizantini  e dei corsari saraceni , la cui prima comparsa, dell’812, ebbe come conseguenza  la devastazione di Ponza  e Ischia. I Longobardi di Benevento , da parte loro,  cinsero Napoli d’assedio per ben 5 volte (822,831,832,836); dopo la seconda , essi portarono nella loro città quale trofeo il corpo di San Gennaro.
Ma nell’836, a seguito di un intervento saraceno invocato dai napoletani, furono costretti alla pace. Con Sergio I, conte di Cuma, il ducato che in un primo tempo era stato elettivo divenne ereditario. Gli succedette il figlio Gregorio III (864-870), al cui fratello Atanasio, vescovo della città, si deve se questa non fu distrutta dall’imperatore Ludovico II, quando scese nell’Italia meridionale contro i Saraceni. Sergio II (870-877) parteggiò per i Longobardi e i Saraceni, così che il fratello  Atanasio II, vescovo di Napoli, per istigazione del papa Giovanni VIII, lo accecò mandandolo poi in prigione a Roma. Ma divenuto duca lo stesso Atanasio, per timore dei Bizantini si alleò con i Saraceni e fu perciò scomunicato. Riconciliatosi poi col papa e con l’aiuto dei Longobardi, riuscì a ridurre i musulmani sulle rive del Liri e del Garigliano . Di qui poi furono scacciati da Gregorio IV (839-915), che si avvalse dell’aiuto dei Capuani, dei Bizantini e degli Amalfitani.
Con i duchi successivi iniziò la decadenza : a Giovanni II (915-919) e Marino I (919-928) succedette Giovanni III (928-968) che acquisì benemerenze culturali, ma nel 955 si sottomise alle forze bizantine inviate ad assediare la città. Marino II (968-977) fu insignito dall’imperatore bizantino del titolo di “ imperiale antipato e patrizio”:  ma Sergio III (977-999) nel 981 fu costretto ad aprire la città a Ottone II  di Sassonia; Sergio IV (1003-34), incautamente intervenuto nelle vicende del principato di Capua, fu costretto ad abbandonare la città a Pandolfo IV  di Capua, favorito forse dagli stessi Napoletani malcontenti di lui. Ma, grazie al favore dell’Imperatore Corrado II e alla banda di mercenari normanni di Rainulfo Drengot, recuperò il ducato (1030); i Napoletani tuttavia gli imposero come condizione della sua restaurazione , un importante factum (1030), che garantiva a tutti i cittadini: proprietà, libertà personale, libero commercio, rispetto degli stranieri, rinuncia a fare guerra, pace e alleanze senza il consiglio della maggior parte dei nobili napoletani.
Rainulfo Drengot  fu compensato con la cessione del feudo  di Aversa , che divenne in breve  una ben munita fortezza . I successivi duchi furono impegnati soprattutto a difendersi dai Normanni, che trovarono proprio in Aversa una testa di ponte per la successiva immigrazione  degli Altavilla., i conquistatori di tutto il mezzogiorno . Attaccata da Roberto il Guiscardo, Napoli conservò la sua indipendenza fino all’avvento di Ruggero  II al regno di Sicilia , al quale il duca Sergio VII (ca 1121-37), dopo avere resistito a due assedi, nel 1137 dovette cedere; gli fu poi leale vassallo  fino alla morte. Il ducato entrò allora  a far parte della monarchia Normanna . I Napoletani  dovettero consegnare al re le chiavi della città (1139) che poté tuttavia conservare  i suoi antichi privilegi come soggetta all’alta sovranità dell’imperatore bizantino.

Regno di Napoli:
La vittoria ottenuta nel 1266 da Carlo I d’Angiò contro Manfredi segnò, col passaggio dell’Italia meridionale agli Angioini, l’avvio di quel processo di distacco della Sicilia dal continente che nel 1282 si concretizzò nei Vespri Siciliani  e nella successiva separazione dell’isola dal regno Angioino . Oltre che capitale, Napoli dicenne così il centro di gran lunga più importante  della nuova entità statale , nell’ambito della cui storia la fase angioina  si protrae dal 1266 al 1442. Morto carlo I nel 1285, gli succedette il figlio Carlo II, ma costui potè prendere possesso del regno solo nel 1288, allorché gli Aragonesi, che lo avevano fatto prigioniero, lo liberarono in seguito alla stipulazione del Trattato di Camporeale. Proseguite fino al 1303, le ostilità tra regno napoletano e Aragonesi per il possesso della Sicilia si chiusero con la costituzione  in Sicilia di un regno di Trinacria in mano agli Aragonesi. Nel corso di queste vicende gli interessi degli Aragonesi furono più o meno apertamente  difesi dai pontefici Martino IV, Onorio IV, Niccolò IV e Bonifacio VII e ciò ebbe come conseguenza, nel periodo successivo, un allineamento del regno napoletano sulle posizioni papali.
Simili orientamenti trovarono  la loro più ampia concretizzazione  nel lungo regno di Roberto (1309-43), che si oppose non solo nell’Italia meridionale, agli interessi imperiali e, nel nome della più assoluta fedeltà al soglio pontificio, favorì ovunque le correnti più intransigenti del guelfismo. Morto Roberto, la corona passò alla nipote Giovanna I (1343-81), sotto il cui regno esplose il conflitto per la successione  tra i seguaci di Carlo III di Durazzo e quelli di Luigi, duca d’Angiò. Proseguita dai figli  dei contendenti, questa lotta portò al trono Ladislao di Durazzo (1386-1414) che si rifece alla politica di Roberto. Al regno di Giovanna II (1414-35), ultima sovrana del ramo Angiò-Durazzo, seguì, dopo un nuovo periodo di lotte, Alfonso I d’Aragona (1442-58), che assunse per la prima volta il titolo di “ re delle due Sicilie! E con cui ebbe inizio una successiva fase, quella aragonese appunto, della storia del Regno. Nonostante le sue ambizioni di conquista nell’Italia settentrionale , Alfonso operò per rilasciare economicamente e culturalmente  il regno  dissanguato dalle precedenti  guerre e fece gravitare  su Napoli il resto dei suoi domini: Sicilia, Sardegna, Aragona e Baleari. Le complesse vicende politiche della penisola  attrassero però nel regno  di Napoli il sovrano francese Carlo VIII, che, terminata nel febbraio 1495 la conquista dello stato meridionale fu costretto  a risalire la penisola lasciando Napoli  a un successore di Alfonso, Ferdinando II. Occupato nel 1500 da Francesi e Spagnoli, il regno fu nuovamente oggetto di contesa tra le due potenze che non riuscirono a trovare  un accordo, situazione di cui si giovò la Spagna , che riuscì ad estendere  il proprio potere all’intero territorio. A caratterizzare la fase Spagnola (1504-1707)  contribuirono fattori politicamente  ed economicamente negativi quali la sclerotizzazione  di classi parassitarie  legati all’occupante , ma pronte a tributare ad altri i propri  favori pur di mantenere  inalterato il proprio potere .
A scuotere l’immobilismo politico e la cristallizzazione degli squilibri sociali  di questo periodo  non valsero le celebri insurrezioni di Napoli (rivolta di Masaniello, 1647) e di Messina (1674). Tra il 1707 e il 1734 il regno fu dominato  dagli Asburgo d’Austria , che videro nel 1713 rafforzato il proprio potere  in seguito alla stipulazione  del trattato di Utrect,che, ponendo fine alla guerra  di successione spagnola , rafforzò l’influenza austriaca in Italia . Nel 1735  re Carlo III di Borbone ebbe, in seguito alla stipulazione del trattato di Vienna , che pose fine alla guerra di successione polacca , il diritto , per se  e per i propri successori, di esercitare il potere  della dinastia borbonica  sul regno napoletano. Il periodo che va dal  1734 al 1860 costituisce dunque , con le eccezioni della Repubblica Napoletana e del periodo dell’influenza francese , la fase borbonica del regno. Caratterizzato all’inizio da spinte progressiste, questo periodo vide in seguito stemperarsi progressivamente le tensioni  al rinnovamento, parallelamente al delinearsi di un amministrazione  sorda a qualsiasi istanza popolare, e per contro, disponibile a far di tutto per perpetuare quell’immobilismo politico , economico e sociale, che già dal tempo del dominio spagnolo tanto aveva nuociuto alla causa dello sviluppo dello stato. Nel 1759 Carlo III di Borbone ebbe il regno di Spagna  e questa eventualità, prevista dal trattato di Aquisgrana  del 1748, avrebbe dovuto, in base a quegli accordi , provocare l’ascesa  al trono di Napoli di suo fratello Filippo. Carlo eluse però le clausole accettate undici anni prima e riuscì a lasciare al figlio  Ferdinando la corona dell’Italia meridionale. Salito al trono come Ferdinando IV di Napoli e III di Sicilia , questi proseguì la politica moderatamente illuministica avviata dal suo predecessore su suggerimento del proprio consigliere  Bernardo Tanucci che l’aveva seguito da Parma a Napoli. Particolarmente nei confronti dei privilegi ecclesiastici Tanucci, che rafforzò ulteriormente la propria influenza sulle decisioni della corona sotto il regno di Ferdinando , agì con decisione espellendo, per esempio, i gesuiti e requisendone i beni. La politica filo spagnola caldeggiata da Tanucci  irritò però gli Asburgo, che aspiravano ad estendere ulteriormente l’influenza politica di Vienna sulla penisola.
Maria Carolina d’Austria riuscì ad ottenere nel 1776 l’allontanamento dello scomodo ministro e l’allineamento di Napoli su posizioni filo asburgiche. Conseguenza di ciò fu la fine del riformismo in politica interna e l’aperta conversione della corona a quei criteri immobilistici e conservatori che, come s’è detto, caratterizzarono, in una visione d’insieme, il dominio borbonico sull’Italia Meridionale. All’effimera parentesi della Repubblica Napoletana (1799) seguì quella dell’influenza francese , che si articolò in una fase di semplice condizionamento politico napoleonico (1800-06), nel regno di Giuseppe Buonaparte (1806-08) e in quello di Gioacchino Murat (1808-15) .
Rientrato a Napoli nel 1815, Ferdinando riebbe il proprio potere parallelamente  al definitivo declino delle fortune napoleoniche e l’anno seguente unificò anche formalmente la Sicilia e Regno di Napoli dando vita al Regno delle due Sicilie (1816-60), alla testa del quale si pose assumendo  la denominazione di Ferdinando I.
Turbata dai moti popolari del 1820-21, l’ultima parte del regno di Ferdinando I fu caratterizzata dall’adozione di drastiche misure repressive sulle quali, oltre che sull’appoggio austriaco, la dinastia borbonica poneva ormai tutte le proprie speranze di mantenersi al vertice  dello stato. Morto Ferdinando nel 1825, gli succedette il figlio Francesco I (1825-30), che nel 1828 represse con estremo vigore i moti del Cilento. Ferdinando II (1830-59)  governò secondo criteri impopolari che alienarono ulteriormente alla dinastia borbonica le simpatie  della popolazione , rafforzando così i presupposti per il crollo che sotto il suo successore Francesco II (1859-60), travolse, con la dinastia al potere, la stessa istituzione statale dell’Italia meridionale.