geronimo

venerdì 19 aprile 2013

SANTUARIO DELLA MADONNA DEL SASSO (Lago Maggiore Locarno Svizzera)


12) Itinerari, luoghi della Fede

IL SANTUARIO DELLA MADONNA DEL SASSO
Una terrazza sul Lago Maggiore. Il santuario della madonna del Sasso domina la città Svizzera di Locarno dalla punto di uno scenografico sperone roccioso. (Lombardia- Svizzera).


Sulla sommità di uno sperone di roccia, all’interno di una valletta scavata dal torrente Ramogna, in Canton Ticino, si trova il Santuario della Madonna del Sasso. A un’altezza di quasi 400 metri, a picco sul lago Maggiore è situato nel territorio di Orselina, e domina la città Svizzera di Locarno. Oltre al convento, il complesso di questo sacro monte, fondato da Fra’ Bartolomeo da Ivrea nel XV secolo, comprende la chiesa di Santa Maria Assunta detta del “ Sasso”, la chiesa dell’Annunciazione, la salita della via Crucis con le sue edicole e le cappelle lungo la strada di accesso a valle. Il tradizionale percorso del pellegrino dura circa un ora e prevede l’attraversamento di un ponticello sul corso della Romagna per arrivare ad una statua dell’Immacolata esposta nella nicchia di una parete. Dopo un breve tratto, si giunge alla chiesa dell’Annunziata.
La chiesa dell’Annunziata: L’edificio fu consacrato nel 1502 e fondato da fra’ Bartolomeo, del quale conserva le spoglie. Alla fine del XIX secolo, la struttura ha subito un restauro in stile neogotico. Internamente due campate a crociera sormontate da cupola conducono all’abside semicircolare. Sull’altare barocco, una statua dell’Immacolata della seconda metà del XVII secolo.
La chiesa custodisce l’affresco di una Madonna in trono che regge con una mano il bambino, e, con l’altra, un libro, mentre sulla parete sud della navata spicca il dipinto di “ Cristo fra i dottori”. I recenti lavori di restauro hanno riportato alla luce altri interessanti affreschi.
La via verso il Paradiso: Sotto un arco, detto “ Porta trionfante”, sul quale è visibile, in latino la frase “Benedictus qui venit in nomine domini”, si apre la Cappella della Visitazione, all’interno della quale un gruppo di terracotta raffigura l’incontro tra Elisabetta e la Madonna. E’ qui che comincia il collegamento più antico con il Monte: un’edicola raffigura l’estasi durante la quale fra’ Bartolomeo ebbe la visione della Vergine col bambino nel ritratto di Pompeo Maino di Lugano, risalente al 1920. Ed è anche da qui che parte il percorso della via Crucis, lungo il quale si incontrano 14 cappelle. Il Sacro Monte della Madonna del Sasso, dunque, può essere scalato da due differenti percorsi: quello della via Crucis, con le tradizionali edicole votive e quello, lungo la valle, con le ricostruzioni degli episodi salienti della vita di Gesù, gruppi plastici in terra cotta o gesso rappresentanti, ad esempio, la Pentecoste e l’Ultima cena.
Le statue in terra cotta sono attribuite a Francesco Silva di Morbio Inferiore, plasticatore che prestò la sua opera anche al Sacro Monte di Varese. Lo sforzo dei passi da accumulare, uno dopo l’altro, non è casuale in nessuna delle due strade immerse nel verde che da Locarno portano fino in cima alla montagna: “ Attraverso le cappelle e la fatica si entra nel mistero di redenzione, ma il premio è il paradiso, raffigurato nella volta della Cupola del Santuario a strapiombo sul lago , conquistato con tanta tenacia”, spiega frate Agostino Del Pietro, 56 anni, da undici custode del Santuario (2013).
Il Santuario della Madonna del Sasso: Risale al 1616 la costruzione di questa chiesa che, al suo interno, conserva la statua miracolosa della madonna del Sasso, opera di fine 1400. All’interno, si trova il complesso ligneo della deposizione, oggi in una cappella nel chiostro nel convento. Nella navata sud, una “ Fuga in Egitto” del Bramantino, risale al 1520, e una “ Deposizione” di Antonio Ciseri (1870), ma anche molti ex voto che testimoniano la forte e antica devozione popolare.
Un po’ di storia: Il santuario esisteva già da quasi quattro secoli quando, nel 1848, i Cappuccini furono incaricati dal governo cantonale di assicurarne l’animazione spirituale.
Al Sasso i frati arrivarono in un periodo difficile per i rapporti tra Stato e Chiesa, perché tutti i conventi del cantone erano stati soppressi, i loro beni incamerati e i religiosi, contestualmente, costretti a emigrare. Così in quella situazione ostile, dal 1870 la Madonna del sasso si trasformò in un rifugio, un luogo sicuro per i cattolici del Ticino, tanto da diventare meta di pellegrinaggio per gli abitanti della zona.
Nei decenni successivi furono eseguiti diversi interventi architettonici sugli edifici del complesso: il convento fu ampliato, la facciata della chiesa e il campanile innalzati, il coro dietro l’altare maggiore ingrandito.
Ma fu anche allargato il loggiato sul lago ed edificato quello verso la montagna. La devozione mariana degli abitanti del luogo era tale che nel 1952 alcuni emigranti ticinesi hanno voluto l’edificazione di una chiesa dedicata alla Vergine del sasso a Salinas, in California, e dopo l’ultima guerra questa Madonna fu portata in processione, parrocchia per parrocchia, in tutta la zona di Locarno, per lenire le ferite di quel tempo tanto difficile.
Arte, silenzio e fede: Nel corso dei secoli, la fama della Madonna del Sasso si è largamente diffusa in Europa e la maggior parte dei pellegrini che oggi giungono qui provengono dalla Svizzera, dalla Germania e dall’Austria.
“ Ogni anno accogliamo circa 300mila visitatori”, racconta frate Agostino, “nel periodo di Quaresima la via Crucis è la parte più frequentata”.
Al complesso sono da poco terminati importanti restauri, e il luogo è ancora più ricco di attrattiva, anche se, chiarisce Agostino, “ da sempre il Monte è meta ambita per chi desidera meditare o semplicemente riflettere”. In un posto che “ ha due anime, una mariana, e l’altra legata al sacro Monte”, in cui si respira 2 un’aria di profonda spiritualità: staccando dal mondo e dalla città, qui si atterra in un isola di pace, silenzio e profonda bellezza naturale”.
Ma anche di grande valore culturale , spiega il guardiano, ricordando “ le edicole del sacro Monte e i quadri in chiesa.

IL PADRE FONDATORE:
Bartolomeo da Ivrea era un frate francescano che nel 1480 decise di lasciare il convento di San Francesco a Locarno per ritirarsi sul Sasso e condurre una vita eremitica ai piedi della rupe.
E’ considerato il padre del complesso la cui fondazione, secondo la tradizione, gli fu suggerita dalla Vergine che gli apparve in sogno.
A ogni modo, frà Bartolomeo diffuse e promosse il culto di Maria tra la popolazione locale. Poco dopo il trasferimento del religioso, grazie ad alcune donazioni, iniziarono le prime costruzioni, e già nel 1487 sul Monte vennero consacrate due cappelle sul luogo dove si svilupperà l’attuale Santuario. Il progetto di frà Bartolomeo fu ripreso e completato dai suoi confratelli di San francesco, saliti al Sasso dopo la sua morte.

LA FUNICOLARE:
Realizzata alla fine dell’Ottocento e inaugurata nel 1906, la funicolare collega il centro della cittadina di Locarno al Santuario della madonna del Sasso, percorrendo una distanza di quasi un chilometro che in appena sei minuti conduce a un’affascinante balconata sul lago Maggiore. La corsa della funicolare, che compie due fermate intermedie, è possibile grazie ai mecccanismi elettrici collocati nella stazione in montagna che permettono di superare il dislivello di quasi 200 metri di altitudine.

I SACRI MONTI DI PIEMONTE E LOMBARDIA:
Risale al tardo Medioevo la pratica dei viaggi devozionali, le partenze alla volta di luoghi sacri, sulle tracce dei grandi misteri della religione e alla ricerca della propria spiritualità. Fu, in particolare, il francescano Bernardino Caimi che negli ultimi decenni del Quattrocento, volle fare di Varallo, in Piemonte, una nuova Gerusalemme con l’intento di riprodurre i luoghi della Terra Santa. Nel periodo della controriforma, questi luoghi sacri si adattarono all’azione politico-religiosa antiprotestante, diventando per la Chiesa uno strumento didattico di istruzione dei fedeli. Oggi, i sacri Monti recuperano la dimensione più intimista e spirituale che li ha caratterizzati nel periodo delle origini. Quello dei sacri Monti è un circuito, formato da sculture e dipinti, montagne e parchi  naturali, che si concentra in modo particolare nelle fasce montane e collinari del  Piemonte orientale e della Lombardia; territori nei quali era molto forte l’influenza di carlo Borromeo e della controriforma. Sono luoghi molto suggestivi, tanto che l’Unesco ne ha dichiarati nove (sette piemontesi e due lombardi) Patrimonio mondiale dell’umanità: Nuova Gerusalemme di Varallo Sesia (Vercelli), Santa Trinità di Ghiffa (Verbano-Cusio-Ossola), San francesco di Orta San giulio (Novara), Nostra Signora dell’Assunzione di Serralunga di Crea a Ponzano (Alessandria), Santa vergine di Oropa (Biella), Calvario di Domodossola (Verbano-Cusio-Ossola), Santuario di Belmonte di Valperga Canavese (Torino), nostra signora del Soccorso di Ossuccio e del Rosario di Varese.

Come giungere al sacro Monte:
In auto: venendo da est imboccare l’autostrada A2 Chiasso-Basilea, uscite a Bellinzona sud e proseguire sulla strada principale in direzione Locarno/Luino. Mantenere la direzione Locarno e imboccare la prima uscita dopo la galleria Mappo-Morettina.
Venendo da ovest, costeggiare il lago maggiore da Verbania, passando dalla dogana di Brissago, oppure dalla valle Vigezzo (dogana di Camedo). Seguire le indicazioni per il centro del paese, da dove parte la funicolare.
In treno: da Milano è possibile utilizzare l’asse ferroviario del San Gottardo, occorre fare il cambio a Bellinzona in direzione Locarno. Oppure sempre da Milano prendere il treno delle Centovalli, passando per Domodossola.
In aereo l’aeroporto di riferimento è Lugano. Un bus navetta porta alla stazione, da dove si può  proseguire il viaggio.


giovedì 18 aprile 2013

IL MONTE SACRO, Piemonte


N° 11)  Itinerari, luoghi della Fede
IL MONTE SACRO
La via Crucis immersa nel verde. A Varallo, in provincia di Vercelli, c’è il Sacro Monte, un percorso artistico-religioso di 45 cappelle e una chiesa, popolato da affreschi e sculture che raccontano la vita di Cristo. (Piemonte)

In Valsesia, sulla cima di una collina che si affaccia su Varallo, in provincia di Vercelli, sorge il sacro Monte, un complesso artistico e religioso formato da una chiesa e da 45 cappelle, raccolte attorno a quattro nuclei principali con affreschi e ottocento sculture in terracotta colorata a grandezza naturale  che raccontano episodi riguardanti la vita di Gesù.
In comunione con la natura: Realizzata alla fine del XV secolo per volontà del frate francescano Bernardino Caimi, la struttura è suddivisa in due zone: la prima si snoda in salita tra gli alberi, la seconda è urbana, e risponde all’intento di riprodurre i luoghi sacri della Palestina in cui ha vissuto Gesù. Grazie al sostegno economico degli abitanti di Varallo, vennero edificati dei siti che riproducevano le caratteristiche delle chiese delle case della valle, con il verde intorno. All’interno di questi edifici vennero poste immagini, sculturee o pittoriche, raffiguranti gli eventi della storia di Gesù, a tracciare una sorta di via Crucis campestre che si snoda nel verde della collina.
E la via Crucis si fa per davvero, “ tutti i venerdì di quaresima”, spiega padre Giuliano Temporelli (2013), da 26 anni rettore del Sacro Monte , “ dalla chiesa del Santo Sepolcro, che è la prima costruzione del complesso, fino alla basilica, lungo le cappelle della Passione. Partecipano solitamente le parrocchie della zona ma anche i fedeli provenienti dalle diocesi più lontane”. Un evento speciale si tiene la domenica delle Palme quando, racconta padre Giuliano, “ si fa la processione delle Sette Marie: dalla parrocchia di Varallo tutta la comunità, con sette ragazze vestite di nero, con una croce e una candela, arrivano fin quassù. Si tratta di una tradizione antica, dalle origini non note. Pare che si partisse da sette posti diversi per raggiungere il Sacro Monte, e oggi, con alcune modifiche, la pratica continua”.
La Basilica dell’Assunta: L’antica chiesa del Sacro Monte esisteva già a fine 1400, e oggi ospita la casa del pellegrino. L’edificazione della basilica dell’Assunta, iniziata nel 1624, terminò un secolo più tardi. Il coro ospita un antica statua di legno raffigurante la Madonna dormiente, attribuita a Gaudenzio Ferrari e oggi conservata nello scurolo. La facciata è eclettica, mentre l’interno, a navata unica, è barocco. Spettacolare è il gruppo in terracotta raffigurante l’Assunta in gloria sormontata dalla Trinità e circondata dagli angeli e i santi, realizzata da Dionigi Bussola, artista lombardo proveniente dal cantiere del Duomo di Milano. Le sei cappelle laterali, allestite tra il Settecento e l’Ottocento, risentono del rococò e del neoclassicismo. “ Ogni anno, al sacro Monte, arrivano circa 100 mila fedeli, spiega il rettore, e non sono pochi se si considera che non si tratta di una zona di passaggio. Il pellegrino che arriva fin qui cerca qualcosa di forte, che dia slancio alla sua vita. Molti vengono per ringraziare, abbiamo numerosi ex voto, gli stranieri sono incuriositi e affascinati. Questo è un luogo di fede, arte e natura, dove si respira pace e serenità”.
Un complesso antico: Il nucleo originario ricorda l’esperienza dei francescani, con le costruzioni semplici immerse nella natura, particolarmente adatte al raccoglimento e alla preghiera. Il “vallone dell’inferno”, la prima parte della ricostruzione, si trova in un bosco di faggi, e al primo progetto sacro, voluto dai francescani, appartengono anche i gruppi di Nazaret e Betlemme. Tra i vialetti e le siepi di bosso si raggiungono le cappelle rinascimentali, più raffinate, prima di giungere alle due piazze, quella dei tribunali e quella della basilica. Secondo il progetto disegnato nel XVI secolo dall’architetto Galeazzo Alessi, responsabile dell’inserimento di uno spazio urbano, una terza piazza con fontane avrebbe dovuto nobilitare la parta d’ingresso al Sacro Monte. Il progetto venne ripreso alla fine dell’Ottocento e il complesso di fontane avrebbe dovuto essere sormontato da una scultura, raffigurante “il Pescatorello”, ma questa, nel 1944, venne danneggiata e il progetto fu accantonato fino al 2005, quando l’antica fontana è stata ricostruita e il Pescatorello collocato sulla sommità.
Scritture da guardare: Il Sacro Monte fu dunque concepito fin dall’inizio come una riproduzione di spazi dal forte significato religioso: i luoghi che erano stati testimoni della vita di Cristo. Troviamo così, oltre a Betlemme e Nazaret, il Monte Sion, il Monte Oliveto e il sepolcro.
Nel corso del XVI secolo, ulteriori modifiche si ispirano al modello di Gerusalemme per come veniva ritratta nelle stampe che circolavano all’epoca, ma a dare un impronta specifica fu il vescovo di Novara. Carlo Bascapé che secondo le indicazioni del Concilio di Trento e di San Carlo Borromeo, sottopose i contenuti religiosi a un rigidissimo controllo. Le scene rappresentate svolgevano una funzione didattica e per questo dovevano essere il più possibile aderenti ai testi sacri. I dipinti e le statue sono state realizzate tra la fine del XV ed il XVII secolo dagli artisti lombardi e piemontesi più famosi a quell’epoca: Dionigi Bussola, Giovanni d’Enrico, Tanzio da Varallo, Gaudenzio Ferrari e Morazzone.
Le 45 Cappelle: Oltrepassata la porta Aurea , di fronte alla basilica, si vedono alcuni palazzi con porticato che si sviluppano tutti attorno alla piazza del tempio, raggiungibili anche dalla Scala Santa.
Le cappelle vennero create secondo criterio cronologico, per consentire al visitatore di ripercorrere le tappe del cammino terreno di Gesù.
Le prime erano costruzioni semplici, spesso accostate a grotte naturali, così come accade nelle riproduzioni di Nazaret , Betlemme e nella cappella delle Tentazioni di Cristo, che conservano l’aspetto di tradizionali chiesette di campagna, nello spirito dell’architettura locale. A popolare le riproduzioni  dei luoghi, personaggi veri, assolutamente realistici, non solo nelle fattezze, ma anche nello spirito, nell’umanità e nei sentimenti che trapelano dai volti. Fondamentale in questo senso, fu l’apporto dell’artista Gaudenzio Ferrari, che organizzò i racconti in modo tale che le sculture narrassero il tema principale e i dipinti li completassero. Dal 1980 il Sacro Monte di Varallo è riserva naturale speciale e, assieme agli altri sacri monti che si trovano fra Piemonte e Lombardia, è stato dichiarato patrimonio mondiale dell’umanità nel 2003.
Il racconto della vita di Cristo: Sono Adamo ed Eva ad aprire, all’ingresso del Sacro Monte, la serie di episodi sulla vita di Cristo dal momento che il peccato originale rappresenta l’antefatto nonché la motivazione del sacrificio di Gesù per la salvezza dell’umanità.
I nuclei più antichi, con Nazaret (che include l’Annunciazione, la Visitazione e il primo sogno di Giuseppe), Betlemme (che riunisce le tappe connesse alla nascita di Gesù con l’arrivo dei Magi, la Natività. L’adorazione dei pastori, la circoncisione e il secondo sogno di Giuseppe) Al di sotto della basilica si collocano le tappe dell’infanzia di gesù, con la fuga in Egitto, la stage degli innocenti ed il battesimo. Nella strada verso la basilica si incontrano le rappresentazioni della vita pubblica di Cristo e i suoi miracoli (le tentazioni nel deserto, la samaritana al pozzo, il paralitico risanato, la resurrezione del figlio della vedova di Naim, la trasfigurazione, la resurrezione di Lazzaro), fino all’ingresso a Gerusalemme. Arrivati alla piazza della basilica, sotto al porticato, si colloca l’ultima cena , l’orazione nell’orto e i discepoli dormienti. Accanto, è messa in scena la cattura di Cristo, mentre la piazza dei tribunali fa da palcoscenico al giudizio di Cristo davanti a Pilato, Erode, Caifa e Anna. La passione trova spazio nel palazzo di Pilato, con la flagellazione, l’incoronazione di spine, l’Ecce homo e la condanna. Separata dalle altre è la cappella con la salita al calvario, l’affissione alla croce, la crocifissione, la deposizione e la pietà. Ancora, la deposizione nella sindone e il sepolcro.
A condurre alla tappa finale della salvezza, rappresentata in basilica dall’Assunta e dalla Madonna dormiente, le cappelle di San Francesco e di San Carlo. Quest’ultima riproduce la stanza in cui il santo fu ospitato quando, nel 1584, venne al Sacro Monte, e lo raffigura in preghiera.




I custodi del Sacro Monte:

La cura religiosa del complesso del Sacro Monte di Varallo è affidata ai padri Oblati dei santi Gaudenzio e Carlo appartenenti a una congregazione fondata da padre Francesco Quagliotti. Peculiarità degli Oblati diocesani, che a Novara sono 20, è che vivono come carisma fondamentale la carità pastorale a servizio della diocesi nella quale sono incarnati, in questo caso quella di Novara. Si ispirano a San Carlo Borromeo nella spiritualità che prevede la tensione tra la necessità di nutrire la propria vita interiore e il dovere di attendere alle occupazioni di natura pastorale.
“ Al Sacro Monte di Varallo, racconta il rettore padre Giuliano Temporelli (2013) , viviamo in tre, ma come ordine siamo qui dal 1819”.

Chi era Padre Bernardino Caimi:
Nato nella prima metà del XVI secolo, prese i voti come francescano minore osservante. Nel 1478, alla morte del guardiano del Monte Sion, padre Giacomo di Alessandria, Bernardino andò in terra santa come commissario dei luoghi santi della Palestina per offrire ai fedeli la possibilità di un pellegrinaggio senza dover andare lontano. Il suo progetto venne avallato da Ludovico il Moro, duca di Milano, e dalla nobiltà locale. La comunità di Varallo, nel 1493, gli donò il convento e la chiesa della Madonna delle Grazie che, assieme ad alcune cappelle costituiranno il nucleo del nuovo complesso religioso. Bernardino morirà sei anni dopo, nel 1499.


Come raggiungere il Sacro Monte:
In treno, adoperare la linea Novara-Varallo.
In auto: da Milano, imboccare l’autostrada Milano-Torino A4, all’altezza di Biadrate prendete il collegamento con l’autostrada Alessandria-Gravellona, A26 (direzione Gravellona), uscita a Romagnano imboccate la SP 299 per Alagna. A Varallo seguite le indicazioni per il sacro Monte. Si raggiunge anche in funivia : la stazione di partenza è in prossimità della chiesa della Madonna delle Grazie. E’ inoltre disponibile un percorso per visitatori  con problemi di deambulazione.




lunedì 15 aprile 2013

ABBAZIA DI MONTE OLIVETO MAGGIORE


N° 10) Itinerari, Luoghi della Fede
ABBAZIA DI MONTE OLIVETO MAGGIORE
Ad Asciano, provincia di Siena. Tra le colline del silenzio , su un altura che domina le Crete senesi, in un bosco di cipressi, querce e pini, l’Abbazia è uno dei monumenti più importanti della Toscana.

Circondata dalle colline, immersa in una natura solitaria fatta di cipressi frammisti a pini, querce e olivi, si erge l’Abbazia di Monte Oliveto Maggiore. Situata vicino ad Asciano, in provincia di Siena, l’abbazia, cui si accede mediante un ponte levatoio risalente al 1500, nasce da un sogno, quello di Giovanni Tolomei, un nobile senese che nel 1393 qui fondò un nuovo monastero e una nuova Congregazione benedettina , quella di Monte Oliveto, detta appunto, olivetana. Sull’arco d’ingresso del viale è posta una terracotta smaltata raffigurante una Madonna col bambino circondata da due angeli, attribuita ai fratelli Della Robbia. In fondo al viale costeggiato da cipressi, lungo il quale si trovano l’orto botanico della vecchia farmacia, andata distrutta nel 1896, e una pescheria risalente al XVI secolo, svetta il campanile romanico-gotico. La chiesa ha la facciata gotica e da una porta a destra dell’edificio di culto si accede al chiostro grande, nel cui centro c’è una statua di San Benedetto.
Il Chiostro Grande: E’ chiamato così in relazione al chiostro di mezzo e al chiostro piccolo. La sua particolarità, spiega il priore  padre Roberto Donghi (2013) , “ è la mancanza del giardino. Così era possibile raccogliere acqua piovana nella grande cisterna, ancora in uso, che è sotto al pozzo”  .
A pianta rettangolare, il chiostro venne realizzato nella prima metà del XV secolo ed è completamente dipinto, sotto le volte, con affreschi riguardanti la vita di San benedetto tratti dalla narrazione dei dialoghi di Gregorio Magno, iniziati da Luca Signorelli e completati da Antonio Bazzi detto “ il sodoma”.
Gli episodi, però non sono in ordine cronologico: anche se ha cominciato per primo, Signorelli è partito dalla via matura di San benedetto mentre il Sodoma, dieci anni più tardi, ha dipinto la fanciullezza del santo ricongiungendosi alla storia già narrata dal predecessore e superandola con altri episodi. Inclusi quelli meno conosciuti, degli attentati alla vita di Benedetto con il pane e il vino avvelenato e quello, curioso, che richiama un passo della regola in cui Benedetto vieta di mangiare fuori dal monastero senza permesso, scopre la bugia dei confratelli e dice loro con esattezza cosa hanno consumato.
Architettura e spiritualità: La chiesa, a una sola navata e a croce latina, è molto luminosa. Diversamente dalla consuetudine, che vuole l’edificio di culto a sud e a nord il refettorio, nell’abbazia di Monte Oliveto accade l’opposto.. La chiesa a nord e il refettorio a sud obbediscono, probabilmente, a criteri di funzionalità pratica: la chiesa a settentrione fa da barriera al freddo e il refettorio a mezzogiorno garantisce un pasto al caldo anche nel periodo invernale.
Costruita nel primo ventennio del 1400 su un disegno gotico-romanico, nel 1772 irrompe il barocco che ne modifica l’aspetto, ma non l’esterno. Dedicata alla novità di Maria, nel 1750 una monaca Clarissa di Todi, suor Isabella Fornari, regalò a un monaco di Monte Oliveto, suo direttore spirituale, una statuetta di cera fatta con le sue mani raffigurante la Madonna bambina e ancora oggi conservata in una teca. La maggiore opera d’arte presente è il coro ligneo intagliato e intarsiato da Fra Giovanni da Verona tra il 1503 e il 1505. Si tratta di uno dei più grandi esempi di opere d’intarsio al mondo. E’ composto da 125 stalli distribuiti in due ordini, 58 inferiori, e 67 superiori, dei quali 48 intarsiati con tanta grazia, originalità, verità e splendore di colori, da sembrare di essere davanti a un lavoro di pittura. In parte nascosto dal coro, vi è il dipinto raffigurante la visione che portò San Bernardo a edificare l’Abbazia: una scala d’argento che saliva verso il cielo con monaci biancovestiti accompagnati dagli angeli. Dal transetto si accede alla Cappella del sacramento che contiene un crocifisso in legno policromato che secondo la tradizione fu portato nel 1313 da Bernardo. Nella chiesa non ci sono banchi né sedie perché, spiega Don Roberto, “ è stata costruita solo per i monaci, che qui si radunano sei volte al giorno.
La biblioteca dell’Abbazia: Costruita sul disegno del monaco fra’ Giovanni da Verona, è accessibile mediante una rampa di scale di travertino affrescata dal Sodoma e da Antonio Muller di Danzica. In passato ha custodito manoscritti e incunaboli di raro valore, assieme ad una Divina Commedia tradotta in esametri latini dall’olivetano padre Matteo Ronto. Oggi contiene 40 mila volumi.
La farmacia: Dalla biblioteca si accede alla farmacia che raccoglie in vasi di ceramica bianca e azzurra del XVII secolo una ricca collezione di erbe medicinali. Fu fra? Barnaba Cevenini a volerne la costruzione per destinarla a infermeria, dotandola di posti per offrire cure sia ai monaci dell’abbazia che a chi ne avesse bisogno.
Proprio in quei pressi, inoltre, passava la via francigena, e quindi diversi viandanti in cerca di riparo, giaciglio, ma anche di cura e di medicinali.
Nel 1859, a causa della soppressione degli ordini religiosi operata dai Savoia anche in Toscana, la farmacia di Monte Oliveto fu costretta a chiudere, cessando ogni attività fino alla metà del 900.
L’azienda agricola: All’interno dell’Abbazia, raggiungibile mediante una galleria fatta di cordoli, c’è una cantina del 1300, dove per settecento anni i monaci hanno fatto il vino per ovviare alla mancanza di acqua potabile.
Due ambienti presenti: un tinaio per la vinificazione delle uve e un locale per lo stoccaggio del vino in botti di legno. Il numero e le dimensioni dei tini e delle botti testimoniano come l’Abbazia sia stata il punto di riferimento e di raccolta non solo delle proprie uve ma anche di quelle prodotte dai contadini della zona.
Anche se dal 2008 la vinificazione è stata trasferita nella cantina di Bollano, più grande e di accesso più agevole, in questa cantina si possono degustare i prodotti dell’azienda agricola di Monte Oliveto Maggiore.
L’azienda sorge sui terreni appartenuti originariamente a San Bernardo, che nel corso del tempo si sono ampliati fino a raggiungere gli 850 ettari odierni, di cui metà sono boschi, pascoli e terreni incolti e l’altra metà sono seminati, oliveti, vigneti e fabbricati.
I processi produttivi agricoli sono a basso impatto ambientale, secondo un modello di agricoltura, spiegano i monaci, rispettoso delle risorse naturali e della conservazione delle biodiversità. A rivestire già da alcuni secoli una grande importanza è la viticoltura, incrementata nel 2002 con un programma di rinnovo.

I Monaci Benedettini Olivetani
Nell’anno 1313 dalla natività del verbo incarnato, i suddetti uomini, amati da Dio, si recarono in tale luogo, con i loro arnesi e i loro libri, per offrire a Dio un sollecito servizio. Così il monaco Antonio da Barga racconta nella sua cronaca del 1450 l’inizio della storia degli Olivetani, che in origine portò Bernardo Tolomei, Patrizio Patrizi e Ambrogio Piccolomini nel deserto di Ancona che, con il documento di fondazione del 26 marzo 1319, divenne l’Abbazia di Monte Oliveto Maggiore. Bernardo e i suoi amici aderirono alla regola di San Bernardo e diedero vita ad una nuova congregazione monastica, che Papa Clemente VI approvò il 21 gennaio 1344. Le giornate dei monaci benedettini sono ritmate secondo il tempo della preghiera alternata al lavoro. L’Abbazia, inoltre, è aperta all’ospitalità secondo la millenaria tradizione benedettina e offre un ristoro fisico e spirituale ai singoli pellegrini e gruppi che desiderano soggiornare in un luogo suggestivo e tranquillo, anche in tenda. E’ possibile per tutti partecipare alla liturgia insieme alla comunità monastica.

CANTO GREGORIANO
Fa vibrare l’inesprimibile, desta la nostalgia di Dio e dei valori dello spirito, pacifica e tonifica la mente e il cuore. Il canto gregoriano dei monaci, che oggi affascina più che mai, viene tradizionalmente attribuito al Papa Gregorio Magno. A Monte Oliveto viene usato integralmente nella messa conventuale, ai vespri, alla compieta e, in parte, alle lodi.

Chi era Giovanni Tolomei:
Nato a Siena nel 1272, Giovanni studiò giurisprudenza prima di decidere di ritirarsi con gli amici per condurre vita eremitica, vivendo in grotte naturali, e cambiò il suo nome in Bernardo, in onore del grande abate cistercense proveniente da Chiaravalle. Un giorno Giovanni ebbe una visione mentre pregava: vide una scala d’argento, in cima c’erano Gesù e Maria e moltissimi monaci tutti vestiti di bianco salivano lungo la scala.
Da questa visione, Bernardo fu incoraggiato a proseguire per la sua strada, e fondò in pochi anni molti monasteri, prima di morire di peste a Siena nel 1348.
Nel 1319 dette vita alla congregazione benedettina di Santa Maria in Monte Oliveto, di forte impronta mariana e con il richiamo al Monte degli ulivi di Gerusalemme, luogo della cattura di Gesù.
Tipico del nuovo ramo appartenente alla famiglia benedettina, la forte comunione fra i monasteri, che con la casa madre formarono un unico corpo. Giovanni Tolomei è stato canonizzato il 26 aprile del 2009 da papa Benedetto XVI.

Come raggiungere l’Abbazia:
Da Roma o Firenze percorrere la A1. Da Roma verso nord, da Firenze verso sud e uscire a Valdichiana.
Proseguire nella direzione di Siena e uscire a Serre di Rapolano.
Dopo aver attraversato Asciano, si giunge a Monte Oliveto Maggiore.


PULSANO, ABBAZIA DI SANTA MARIA


N° 9) Itinerari , luoghi della fede
PULSANO, ABBAZIA DI SANTA MARIA
L’ABBAZIA DEDICATA A Santa Maria è su un vasto altopiano. Attorno 24 eremi, con celle e angoli di culto collegati tra loro da una rete di stradine e sentieri scoscesi ricavati nella roccia.

In uno scenario di rocce grigie che s’affacciano in strapiombi profondi oltre 200 metri, su un massiccio roccioso a guardia del golfo pugliese di Manfredonia, si trova l’Abbazia di Santa Maria di Pulsano. A circa nove chilometri a sud-ovest dal centro abitato di Monte Sant’Angelo, in provincia di Foggia, l’abbazia fu costruita nel VI secolo sul colle di Pulsano per volere del papa monaco San Gregorio Magno ed è stata nei secoli meta di religiosi che si sono dedicati alla contemplazione e all’ascesi.
La chiesa abbaziale: Edificata sui resti di un antico edificio pagano, l’Abbazia di Santa Maria di Pulsano è parzialmente ricavata da una grotta naturale che fa da abside ed è circondata da robuste mura perimetrali. La chiesa, in stile romanico, mette insieme la sapienza dell’uomo e la grandezza della natura. Nel 1129, San Giovanni Scalcione da Matera arriva in questo luogo per fondare un ordine di eremiti, uomini che sceglievano l’isolamento per dedicarsi alla preghiera. Secondo la leggenda, il santo costruì l’edificio, in stile romanico, proprio dove gli aveva indicato la Vergine apparendogli in sogno. Qui sono conservate le reliquie dei martiri Lorenzo, Ippolito, Nicandro e Valeriano, traslate da Papa Alessandro III, pellegrino al Gargano nel 1177. Nel XII secolo, l’abbazia conosce il momento di massimo splendore, divenendo uno dei monasteri più potenti d’Italia meridionale, grazie anche alle consistenti donazioni dei benefattori, tra i quali anche sovrani come Ruggero II d’Altavilla e Federico II, e fu inoltre famoso centro miniaturistico. Fino al 1966, vi è stata conservata un’icona medioevale della Madonna con Bambino, in seguito rubata.
All’interno, sugli alti pilastri della navata unica con volta a botte interrotta da grandi archi trasversali, alcune decorazioni scultoree raffiguranti aquile, teste umani e altri animali. Dinanzi all’altare è collocata un’antichissima mensa quadrata, uno dei pochi esempi di altari bizantini ancora presenti in Italia. Sotto di esso furono conservate per sette secoli le ossa di San Giovanni Abate e sono ancora custoditi i resti mortali di altri santi monaci pulsanesi in particolare del Beato Giovanni da Siponto detto il buono. Oggi, davanti all’altare si trovano un coro ligneo ed una iconostasi, necessari, rispettivamente, per la recita del divino ufficio  e per la celebrazione della messa bizantina secondo il rito di San Giovanni Crisostomo.
I monaci, così, possono celebrare  rituali antichi  ma sempre nuovi, nella Puglia bizantina e cattolica che è culla naturale sia della liturgia  orientale che di quella latina.
Carico di spiritualità: “ Qui gli uomini si fermano per cercare Dio”, spiega padre Piero Distante, 51 anni, da due priore dell’abbazia (2013) , dove, in un clima di raccoglimento e silenzio, vivono cinque monaci secondo la regola benedettina del raccoglimento, del lavoro e dell’accoglienza. La giornata è ritmata dalla preghiera: iniziano con il mattutino alle 6, la lectio divina, le lodi alle 7,30, alle 12,30 l’ora media, alle 18,30 il canto del vespro. La messa il martedì, il venerdì e la domenica. “E poi manteniamo la struttura, lavoriamo l’orto, abbiamo gli animali. Il nostro stare qui è un segno. Il monachesimo nella chiesa continua quel servizio di pastore che Cristo ha affidato a Pietro. Il nostro stare qui è una scelta personale ma che si apre al mondo: durante la Quaresima e l’Avvento, i monaci organizzano, la domenica pomeriggio, incontri biblici aperti a tutti.
A scuola di Icone: L’Abbazia, racconta padre Piero, è visitata da diverse migliaia di persone all’anno, maggiormente in estate e in primavera. Ma tutto l’anno è attiva una scuola di iconografia pensata per avvicinare all’immenso patrimonio teologico-spirituale delle icone, giovani ed adulti desiderosi di impararne la simbologia e il significato teologico. Sotto la direzione di maestri iconografici “diamo la possibilità di conoscere l’arte sacra”, spiega padre Piero , perché “ attraverso i segni, l’orante non solo contempla, ma è partecipe. Nell’iconografia, la prospettiva è inversa perché il punto di fuga non è in fondo ma davanti: è il cuore di chi contempla”.
Gli eremi: Nei pressi dell’Abbazia, che nella foresteria può ospitare qualche pellegrino per brevi periodi, si trovano numerosi eremi (per ora ne sono stati censiti 24) alcuni dei quali collocati in luoghi davvero inaccessibili, che sono stati il “Luogo del cuore” del Fondo Ambiente Italiano (FAI) più votato del 2011. Arrivare agli eremi “ è impegnativo” spiega padre Piero. “ giungere sul luogo vuol dire conoscere  la vita delle persone che sono state li. E finire per confrontarsi con Dio e sul posto che ha nella nostra vita”.  Queste celle ricavare dalle grotte sono state, nei secoli, abitate da monaci certamente in comunicazione tra loro: alcuni degli eremi, inoltre, sono affrescati e collegati da scalinate e sentieri e da una vera e propria rete idrica composta da canali scavati nella roccia per convogliare le acque. Da qui sono passati i Saraceni con le loro incursioni, ma anche diversi ordini monastici. “ Questi eremi, racconta padre Piero, sono la testimonianza di una ricerca che continua ancora e del primato di Dio nella vita dell’uomo.
 Chi viene è animato dal desiderio di inseguire Cristo, dall’amore e dalla libertà, perché chi non è libero si sentirà sempre prigioniero di quello che il mondo offre. Se non ci si libera di tutte le catene che ci porta indietro, non si può rimanere qui.
Il più antico: Quello dedicato a San Gregorio Magno, il grande monaco-papa fondatore del monachesimo in terra garganica,, è forse il più antico luogo di eremitaggio sul colle di Pulsano. E’ costituito da un ampia cavità naturale e fino a pochi anni fa era abbandonato e adoperato come stalla dai pastori della zona.
Grazie al lavoro dei volontari , nel 1995 è stato ripulito e ripristinato a luogo di preghiera e di meditazione. Attualmente è impiegato per celebrazioni, conferenze e accoglienza di gruppi.
Una rete di canali: All’eremo di San Michele Arcangelo si accede dal piccolo piazzale antistante la chiesa. E’ costituito da tre locali comunicanti, scavati nella roccia, destinati a celle per gli eremiti, e da una cappella in muratura che si affaccia su uno strapiombo. Se della piccola cappella restano solo le strutture murarie laterali, nelle celle è possibile osservare una rete di piccoli canali scavati nella roccia per convogliare le acque: un vero e proprio gioiello, una testimonianza singolare del recupero e dell’utilizzo prezioso dell’acqua. In quest’ eremo avrebbe soggiornato San Francesco d’Assisi nel 1216 e, nel 1295, San Celestino V.
In fondo al vallone: Formato da due vani ricavati in parte da una cavità naturale e in parte da murature, l’eremo di San Nicola presenta due ingressi scavati nella roccia.
All’interno dello stipite di uno di essi, è scolpita una grossa croce greca con al centro un’altra più piccola. Sulle pareti, vi sono resti di affreschi, tra cui una Annunciazione della Vergine e una Crocifissione con religiosi, un monaco e un abate inginocchiati in adorazione.
La macina ricavata dalla roccia: Costruito a 400 metri di altezza, si affaccia su un abisso ed è un po’ più distante dall’abbazia. Questo eremo si chiama così perché in uno dei locali che lo formano ospita una macina ricavata nella roccia e una cisterna destinata a raccogliere l’acqua piovana, intercettata tramite una rete di canali incavati nella roccia. Le lunghe mura perimetrale e gli spiazzi antistanti fanno intendere che doveva essere uno dei principali eremi della comunità monastica allora presente, come luogo di culto, di abitazione, di coltivazione e di produzione e conservazione alimentare. Vi è anche un altare in pietra sul quale si apre una nicchia scavata nella roccia, e i resti di un affresco dell’Immacolata Concezione, di San Giovanni Battista e lo Spirito Santo in forma di colomba.

giovedì 4 aprile 2013

SANTUARIO DI SAN ROMEDIO (Trentino Alto Adige)


N° 8)  Itinerari, luoghi della Fede
SANTUARIO DI SAN ROMEDIO
Quel Santuario proteso verso il cielo. Un complesso architettonico dedicato a San Romedio, in Val di Non: si sviluppa in verticale ed è formato da cinque chiese sovrapposte.

Al centro di una forza profonda e selvaggia, in cima a un picco roccioso, si erge il santuario di San Romedio. Avvolto in un aura di solennità e mistero, il complesso si colloca nello splendido scenario naturale della Valle di Non, a Sanzeno nel comune trentino di Coredo . Ardito e somigliante a un monastero buddista, è formato da cinque chiese costruite nell’arco di circa novecento anni, fra l’anno mille e il 1918, a ridosso di una ripida parete di roccia e collegate fra loro dai 130 gradini di una spettacolare scalinata. La chiesa più antica si trova laddove, in una tomba di roccia , è seppellito l’eremita Romedio.
Nascosto nella valle: Appartenente ad una nobile famiglia dell’alta Baviera, signore di un castello nei dintorni di Innsbbruk, Romedio visse tra il IV e il V secolo. Dopo un pellegrinaggio a Roma donò tutti i suoi beni alla chiesa e si ritirò in eremitaggio nella Val di Non, all’interno di alcune grotte esistenti ancora oggi nei pressi del santuario, con i compagni Abramo e Davide. Secondo la leggenda, un giorno Romedio doveva andare a Trento per salutare il vescovo Vigilio in punto di morte e chiese a Davide di preparagli il cavallo per il viaggio. Quando questi gli comunicò che un orso aveva sbranato il cavallo, Romedio non si scompose e gli ordinò di sellare un orso, che reagì docilmente e con tranquillità lo condusse a Trento e divenendo poi compagno inseparabile.
Romedio rappresenta il capofila di un movimento eremitico che nel Trentino ebbe lunga diffusione e durò fino ai tempi recenti. Il culto in suo onore è testimoniato già alla fine del secolo XI e si estese, con la donazione di reliquie, anche al di là dello spartiacque alpino, soprattutto nei luoghi che si ricollegano con le sue origini familiari.
Una matrioska di chiese: Oggi il santuario è una piramide di chiesette sovrapposte, ma quella originaria, intitolata al santo eremita del quale sono conservate le reliquie, sorse nel XI secolo sulla tomba del santo, con le pietre portate fin lassù dagli antichi pellegrini: Si accede attraverso un portale romanico. Per i primi 500 anni la roccia che ospitava il santuario antico rimase nuda, con una scalinata scoperta e qualche edicola che ora non c’è più. In basso si trovano i rifugi per i pellegrini , l’abitazione del custode  e le stalle. Gli altri edifici di culto furono costruiti, dall’alto verso il basso, nel corso dei secoli. La costruzione della seconda delle cinque chiese, dedicate a San Giorgio, ebbe inizio nel 1489. Al 1514 risale la chiesa di San Michele e nel 1536 nacque quella maggiore di San Romedio, che ospita una tela della Deposizione di scuola veronese. Per ultima fu eretta, nel 1918, la chiesa dell’Addolorata , in segno di ringraziamento  alla Madonna per la pace ritrovata dopo la prima guerra mondiale. Alla stessa epoca risale il campanile, in stile gotico-clesiano.
La facciata esterna dell’intero complesso è un esempio tipico dell’architettura della Val di Non del XVIII secolo. Mediante un cortile rinascimentale, è collegata all’edificio che, dal 1948, ospita un convento francescano.
I capolavori d’arte: Non mancano, all’interno della piramide di chiesette , affreschi suggestivi, come quelli della chiesa antica raffiguranti la Madonna con bambino, l’Ultima cena e una serie di angeli e santi o, nella chiesa di San Giorgio, i dottori della chiesa e i simboli degli evangelisti . Ancora, sopra l’altare della chiesa di San Michele si trova una pala  del XVI secolo che ritrae l’arcangelo Michele che ricaccia Lucifero all’inferno.
Infine, nella chiesa maggiore di San Romedio la pala dell’altare raffigura il santo eremita con l’orso al guinzaglio , mentre gli affreschi delle pareti riportano i 12  apostoli, l’annunciazione e l’assunzione della Vergine. Nel corso del secolo XVIII il santuario venne rinnovato mediante la ricostruzione degli edifici al piano terra adibiti all’accoglienza dei pellegrini, alle stalle ed ai fienili, della sacrestia e della biblioteca in alto. La seconda parte della scalinata è stata coperta e poi ravvivata con le edicole dei misteri della passione di Cristo. Sopra la cappella di San Giorgio sono state innalzate due stanza adibite ad abitazione. Infine, nel 1770 è stato eretto l’arco d’ingresso a luogo sacro.
San Romedio e gli orsi: Il celebre episodio che riguarda l’addomesticamento dell’orso da parte di San Romedio è ricordato da una statua lignea posta accanto a un arco trionfale all’ingresso del Santuario. E’ all’orso di San Romedio che papa Albino Luciani indirizza una delle sue lettere  di Illustrissimi. Ed è rievocato questa leggenda che nel 1958 il senatore conte Gian Giacomo Gallarati Scotti, membro d’onore del comitato di fondazione del Wwf in Italia, comprò Charlie, un orso destinato a morire perché la sua pelle fosse venduta, e lo donò al santuario di San Romedio. Da allora, la tradizione è proseguita, ma da due anni il recinto è disabitato. Proprio in questi giorni ( febbraio-marzo 2013) dovrebbe arrivare un nuovo ospite: un orso nato in cattività in Abruzzo, che a San Romedio troverà silenzio e pace.

L’orso nello stemma papale di Benedetto XVI
E’ tradizione antica che anche i papi abbiano un proprio stemma personale. In quello voluto da Benedetto XVI compare, in alto a destra per chi lo guarda, un orso di colore bruno che porta un fardello sul dorso. Tutto discende da una sacra leggenda che racconta come San Corbiniano (nato verso il 680 in Francia, a Chatres, e morto l’8 settembre 730) illustre predecessore di Papa Ratzinger, quale primo vescovo della diocesi di Frisinga (e Monaco) messosi in viaggio per recarsi a Roma a cavallo, mentre attraversava una foresta fu assalito da un orso che gli sbranò il cavallo. Egli, però, riuscì non solo ad ammansire l’animale ma a caricarlo dei suoi bagagli, facendosi accompagnare dal plantigrade fino a Roma.
Per cui l’orso è rappresentato con un fardello sul dorso, a mo’ di cavalcatura. La facile interpretazione della simbologia vede nell’orso addomesticato dalla grazia di Dio lo stesso vescovo di Frisinga e suole vedere nel fardello il peso dell’episcopato da lui portato.

CHI SONO I MARTIRI ANAUNIESI
Nati nel IV secolo in Cappadocia, l’odierna Turchia, ancora giovinetti, Sisinio, Martirio e Alessandro vennero mandati a Milano per essere istruiti nella fede dal Vescovo Sant’Ambrogio. Attratti dall’ideale missionario furono inviati al Vescovo di Trento Virgilio, che nel 387 li destinò a una missione evangelizzatrice nell’antica regione dell’Anaunia, che oggi corrisponde alla Val di Non. Dopo dieci anni di servizio nella valle, il 29 maggio del 397 i tre missionari furono trucidati in un rito, detto degli Ambarvali, durante una festa pagana di carattere agreste nella località di Mecla, la moderna Sanzeno.
Dove è stata eretta una basilica a loro dedicata, mentre le reliquie furono trasferite in un secondo momento a Milano e custodite nella chiesa di San Simpliciano . Ai tre martiri è legata una leggenda popolare, nata anche dalla coincidenza della loro morte con la battaglia di legnano nel 1176, la cui vittoria viene tradizionalmente attribuita dalle genti lombarde alla loro intercessione. Il racconto vuole che, nel giorno dello scontro tra le milizie milanesi e quelle del Barbarossa, tre colombe volarono via dalla chiesa di San Simplicianoi, dove erano custodite le loro reliquie, per posarsi sulla croce del carroccio e rimanervi fino al termine della battaglia e della vittoria.

Come raggiungere il Santuario:
In auto percorrere la strada statale 43 entrando nella Val di Non e proseguire sino alla località Sanzeno
Per chi viene da sud prendere l’autostrada per il Brennero ed uscire a Trento.

SANTUARI SANTA CATERINA DEL SASSO (Lombardia)


N 7) Itinerari, luoghi della fede
SANTA CATERINA DEL SASSO
A picco sul lago, abbarbicato su uno strapiombo di parete rocciosa, è senza dubbi un luogo ideale per meditare e ritrovarsi.

Su una parete rocciosa a picco sulla riva lombarda del Lago Maggiore, in una terra di borghi e castelli di antiche signorie, si trova l’eremo di Santa Caterina del Sasso. A dominare, custodito dalla montagna scavata, è il silenzio, fratello dell’acqua e delle pietre.
Un po’ di storia: Secondo la tradizione, l’eremo è stato fondato da Alberto Besozzi, un ricco mercante originario del paese di Arolo che 900 anni fa, mentre attraversava il lago rimase vittima di un nubifragio. Pensando di non avere più speranza di salvezza, invocò l’aiuto divino e promise che avrebbe cambiato vita, facendo un voto a Santa Caterina d’Alessandria, alla quale era molto devoto.
Unico sopravvissuto da quel naufragio, nel corso del quale morirono tutti i suoi compagni. Alberto approdò a una piccola insenatura nei pressi di Leggiuno , tra Ispra e Laverno, dov’era situato un sasso attaccato alla costa denominato “Ballarò”, in riferimento alla sua instabilità.
Qui visse da eremita per trentacinque anni. Nel 1195, durante una pestilenza, gli abitanti di Arolo si rivolsero, in cerca di aiuto, all’eremita, che in cambio della grazia chiese la costruzione del sacello di Santa Caterina, visibile ancora oggi sul fondo della chiesa. Alla morte del beato Alberto, nel 1205, da ogni parte del lago la gente proveniva per invocare la grazia e guarigioni.
Dopo un primo periodo storico, durante il quale a soggiornarvi furono i domenicani, dal 1314 al 1645 guidarono l’eremo i frati del convento milanese di Sant’Ambrogio ad Nemus, sostituiti dai carmelitani fino al 1770. Dal 1970, l’eremo, di proprietà della provincia di Varese è abitato dagli oblati benedettini. Il complesso monumentale raccoglie tre diversi nuclei spirituali: il convento meridionale, il Conventino, e la chiesa di Santa Caterina.
Il convento meridionale: Qui nel XVI secolo erano stati realizzati alcuni locali e alcune camere per ospitare i pellegrini che volevano pernottare.
Ma il fatto che le donne dovessero attraversare gli edifici monastici per andare in chiesa provocò l’ira di Papa Gregorio III che emanò una scomunica, che fu tolta solo nel 1574.
In quell’occasione furono dati quattro mesi di tempo per costruire la nuova strada che conduceva alla chiesa, senza passare per il monastero. L’intero edificio si sviluppa attorno ad un nucleo più antico che corrisponde all’odierna aula capitolare: si tratta di una sala gotica del XIV secolo, dove tra le finestre campeggia una crocifissione con Sant’Ambrogio e Santa Caterina. Un dipinto del 1439 raffigura Sant’Eligio che guarisce un cavallo con un ginocchio fratturato, affiancato dal patrono degli animali Sant’Antonio Abate, con il caratteristico bastone con la campanula, il fuoco ed il suino.
Anche gli affreschi, così come l’intero eremo, sembrano sospesi tra il lago e il cielo.
Il conventino: L’edificio risalente al XIV secolo, anticamente ospitava a pian terreno la cucina. Il convento meridionale è collegato alla chiesa da un porticato sul quale è raffigurata la cosiddetta “ danza macabra”, con dieci scene che ricordano la fugacità della vita e le cose terrene, e come la morte può apparire  in tutti gli stadi della vita, con le persone più diverse.
Tra i personaggi raffigurati, un senatore, un mercante, un cortigiano, un frate , un vescovo e un cardinale, tutti alle prese con la realtà improvvisa della morte, illuminata però dalla resurrezione di Cristo. La tematica è cara alla spiritualità seicentesca, e affonda le sue radici nel pietismo popolare del nord Europa nei secoli XIV- e XV : le scene sottolineano l’uguaglianza degli uomini di fronte alla fine della vita, comprensibile solo alla luce del mistero cristiano.
La chiesa che contiene altre chiese: La chiesa risale alla fine del XVI secolo , ossia il periodo di massimo fervore edilizio dell’eremo, e per realizzarla sono stati fusi edifici storici che erano presenti da prima: le tre cappelle, tutte orientate verso dove nasce il sole e dedicate a Santa Caterina a San Nicola e a Santa Maria Nova, sono parte absidali di chiese preesistenti. Nel presbiterio spicca la raffigurazione di un affollato paradiso con il Padre Eterno e gli angeli. Nei costoloni, quattro medaglioni con raffigurazione del vecchio testamento (Mosè, Giosuè, Gedeone e Aronne) e, nelle vele, i quattro padri della chiesa latina accostati ai quattro evangelisti con relativi simboli: Sant’Ambrogio e San Giovanni con l’aquila, Sant’Agostino con San luca e il bue, San Girolamo con San Matteo e l’angelo e San Gregorio Magno con San Marco e il leone.
  La pala dell’altare maggiore è datata 1612 e porta la firma del milanese Giovanni Battista de Avocatis: raffigura San Nicolao da Mira e il beato Alberto Besozzi che assistono al mistico matrimonio di Santa Caterina con la corona regale e ai piedi gli strumenti del martirio, avvenuto nel 307.
Il sacello di Santa Caterina: E’ il cuore del primo nucleo del santuario, ed è qui che dal 1535 sono custodite le reliquie del beato Alberto. Costruito ad un livello più basso del resto della chiesa, secondo la leggenda era di dimensioni identiche al sepolcro di Santa Caterina sul monte Sinai. E’ adornato di affreschi dal gusto popolare, risalenti al XVI secolo, e raffiguranti il trasporto del corpo della santa da parte degli angeli, le sue nozze mistiche fra Sant’Ambrogio, San Gregorio Magno e Sant’Agostino. Qui si trova la fotografia più antica di Santa Caterina del Sasso: un affresco del XVI secolo che ritrae il convento all’epoca: una volta vi era più spazio e c’era una parte verde sospesa a picco sul lago, crollata per l’erosione degli agenti atmosferici. Da una parte del dipinto si intravede il beato Alberto che si affaccia da una finestra e cala dalla parte rocciosa un cestino per ricevere le elemosine dei pescatori, necessarie alla sopravvivenza durante il suo eremitaggio.
La cappella dei sassi: E’ quella dedicata al beato Alberto Besozzi, e si chiama così perché all’inizio del XVI secolo cinque macigni pesanti due tonnellate si staccarono dalla parete rocciosa sovrastante, alta circa venti metri rimanendo miracolosamente sospesi nel vuoto, impigliati nella volta. Gli enormi massi oggi non sono più presenti perché rimossi  nel 1983.
Un ascensore da record: Spostandosi verso l’alto dell’eremo, si arriva in cima mediante una scalinata. Qui si trova un vero e proprio gioiello di ingegneria: si tratta di un ascensore da guinness dei primati, realizzato scavando nella roccia un pozzo di sei metri di diametro e cinquantuno di profondità. La presenza dell’ascensore rende l’eremo accessibile ad anziani e disabili, ma chi lo desidera si può cimentare nella salita di 268scalini, costruiti dai frati nel Medioevo e oggi percorsi da circa duecentomila turisti che ogni anno vengono qui, come racconta il priore padre Roberto Commoli (2013). “ C’è il turista che viene perché il posto è bello, un vero incanto della natura a dir la verità, ma c’è gente che cerca Dio” , spiega. E queste persone “si riconoscono perché si vedano meno, si defilano, vanno in chiesa, si raccolgono, cercano la solitudine”. Chi viene qui vuole “incontrare il mondo monastico”, ma l’eremo accoglie anche piccoli gruppi, per i quali, aggiunge il monaco benedettino, nonostante gli spazi ridotti, organizziamo momenti di raccoglimenti, adorazioni eucaristiche. Molti fedeli vengono per la messa  festiva e spesso, conclude, ospitiamo gruppi provenienti dalle parrocchie dei dintorni.


Storie di vita monastica:
Possono essere sacerdoti o laici, e seguono la regola benedettina senza dover necessariamente diventare membri di un monastero dell’ordine di San Benedetto. La parola “oblato” deriva dal latino e significa “ offerto”, in riferimento al fatto che queste persone dedicano la vita a Dio e al suo servizio. Prestano testimonianza di fede, sono legati alla comunità di preghiera del monastero e devono perciò farsi carico, ciascuno per la sua parte, dei problemi della comunità monastica nelle loro preghiere e nelle loro azioni. Nell’eremo di Santa Caterina del Sasso vivono sette oblati, di cui quattro donne. La regola, dettata nel 534 da San benedetto da Norcia, che fece tesoro anche di una breve esperienza personale di vita eremitica, si snoda attraverso la preghiera, comune e personale, e il lavoro: il motto, infatti è “ora et labora”.

L’Officina di Santa ILDEGARDA:
All’interno dell’eremo si trova un erboristeria che mira a rivalutare la figura della santa Ildegarda di Bingen, mistica, profeta, scienziata e primo grande medico della Germania. Collegando l’antico ed il moderno, preservando lo spirito scientifico di Ildegarda, proclamata dottore della chiesa lo scorso ottobre da Papa Benedetto XVI, senza tradire le ricette antiche sono state selezionate piante e metodi per ottenere prodotti naturali dai cosmetici agli unguenti.
All’interno della farmacia medioevale ispirata alla badessa benedettina del XII secolo, tra la musica e la luce delle vetrate il viandante respira un’atmosfera di altri tempi, e tra gli aromi tonifica corpo e spirito. 



Come giungere all’eremo:

Santa Caterina del Sasso è raggiungibile via terra, costeggiando il lago Maggiore da Laveno fino a Leggiuno, oppure direttamente con i battelli che portano da Stresa. Via terra, prendendo l’autostrada A8 dei laghi, bisogna uscire  al casello Sesto Calende, in direzione Vergiate, e poi imboccare la statale 629 in direzione Laveno fino a Leggiuno. In battello, invece partenze dagli imbarcaderi di Stresa e di Laveno Mombello