geronimo

lunedì 17 gennaio 2011

BEGHINE e BEGARDI

BEGHINE e   BEGARDI

Nei secoli XII e XIII Beghine e Begardi ebbero una fioritura straordinaria, come gli altri movimenti spirituali, tra i quali non è fuori luogo ricordare gli Ordini mendicanti, soprattutto francescani e domenicani. Margherita Poréte  era una beghina di grande levatura intellettuale e di vita esemplare. Di lei si conosce con certezza solo la morte, sul rogo , il 1 giugno 1310.  Era nata nell’Hainault (diocesi di Cambrai) . Il vescovo Guido la denunciò all’Inquisizione di Parigi, che la condannò al rogo come eretica, recidiva e pertinace.
In realtà lei condivideva le dottrine del movimento, i cui punti fondamentali, condannati nel concilio di Vienne del 1311, erano l’annullamento dell’anima nell’amore di Dio, e la libertà incondizionata degli adepti, i quali raggiungono la perfezione totale e l’impeccabilità, in uno stato di felicità che anticipa in tutto quella della vita eterna. Altri errori riguardavano la costituzione della Chiesa: san Pietro non è mai stato il capo, il papa non è il suo Vicario, non ha senso la scomunica, e simili.
Un altro capo d’accusa era l’aver tradotto la Bibbia in lingua volgare. Fino ai tempi recenti infatti la lettura del Libro Sacro veniva sconsigliata al popolo, e la prima traduzione italiana risale al principio dell’Ottocento La poteva leggere solo il Clero, e nelle lingue antiche : ebraico, greco, latino. La  Poréte  ci ha lasciato un opera intitolata Lo specchio delle anime semplici annientate e che dimorano unicamente nella volontà e nel desiderio dell’amore: un capolavoro di ascetica e mistica. Essi riprende le tesi Beghine: l’annientamento della personalità nell’amore di Dio, lo spirito di libertà, con alcune esagerazioni circa l’inesistenza della legge morale, del dogma e della pratica religiosa. L’oera ebbe molto successo, ma gli organismi ecclesiastici la condannarono. I benedettini di Santa Giustina (Padova) la giudicarono eretica e san Bernardino da Siena la ritenne pericolosa.
L’origine del nome di questo gruppo spirituale femminile è incerta. Forse deriva dal  colore bigio del vestito o da San Begga, al quale erroneamente alcuni fanno risalire la loro costituzione.Altri ne indicano l’istitutore in Lamberto il Balbuziente ( in francese bégue) .
Nella tradizione popolare il termine beghina  ha preso un significato peggiorativo, con l’appellativo bigotta o pinzochera . Si trattava di un movimento spirituale che si iscrive nel pauperismo e riformismo radicale e in qualche caso fondamentalista, che si è collocato fuori dall’ortodossia cattolica. Gruppi analoghi, risalenti ai secoli XIII e XIV, sono i Patarini, gli Umiliati, i Fraticelli, gli Apostolici, i Gioachimiti e altri, oggi scomparsi. Lo stesso Francescanesimo ha una scaturigine non dissimile, soltanto che è rimasto ancorato all’autenticità ecclesiale e ha conosciuto un perfezionamento ricco di santità che lo porta fino al martirio.  Fu il concilio di Vienne, sotto il pontificato di Clemente V, nella sessione del 6 maggio 1312 a condannare Beghine e Begardi come eretici.. Sostenevano che l’unica chiesa è composta di eletti predestinati, mentre la massa degli altri è condannata eternamente.
Dopo il secolo XVI sono rimasti in piedi solo alcuni beghinaggi femminili in Belgio e in Olanda, che attualmente ne contano rispettivamente 12 e 3, composti di un numero limitato di persone. Si ricordano quelli istituiti nel centro di Bruxelles, Gand, Bruges, che conservano il fascino dell’architettura originaria, con case basse. La superiora era indicata col nome di Grande Madre.
Attualmente le Beghine esercitano l’ospitalità, si occupano della preghiera, della contemplazione, dei lavori femminili e dell’assistenza ai malati e ai bisognosi. Ognuna di esse è libera di tornare alla vita laica quando lo desideri.

ORDINI CAVALLERESCHI

ORDINI   CAVALLERESCHI

Templari


Membro dell’ordine monastico militare iniziato da un piccolo gruppo di cavalieri a Gerusalemme nel 1118. Cresciuti rapidamente di numero e distintisi nell’azione crociata grazie al favore di San Bernardo di Clairvaux, i templari ottennero il riconoscimento papale (1128) e ampi privilegi specie da Alessandro III. Soggetti alla regola cistercense, ( ordine monastico fondato  nel 1908 a Citeaux da una ventina di monaci benedettini che vollero adottare più rigidamente la regola di San benedetto. Conducevano una vita di preghiera e di penitenza, si contraddistinsero per l’austerità e al dovere del lavoro manuale Illustre diffusore fu San Bernardo, condanna nettamente gli sfarzi e i lussi ), dipendevano da un Gran maestro elettivo e si dividevano in cavalieri (nobili), sergenti (borghesi) ed eclesiastici; organizzati in province (tre orientali e sette occidentali) costituivano una sorta di stato sovrano senza territorio, ma ricco di beni sparsi, destinato istituzionalmente a raccogliere e incalanare verso la Terra santa uomini e denaro. Quando sul finire del secolo XIII  la Terra santa fu persa dai cristiani, i templari si ridussero ad esercitare l’attività finanziaria. Particolarmente potenti in Francia, furono perseguitati con estrema durezza da Filippo IV il bello, con l’acquiescenza di Papa Clemente V, che soppresse l’ordine ( 1312), trasferendone i beni agli ospedalieri e, in parte, al re di Francia. Poco dopo questi scatenò una nuova persecuzione contro i dignitari dell’ordine superstiti come recidivi e ne condannò alcuni al rogo: tra questi il Gran maestro Giacomo di Molay (1314).
L’insegna dei Templari era una croce rossa su veste bianca per i cavalieri, su veste nera per gli altri.
L’ordine dei templari fu fondato  nel 1119 a Gerusalemme per difendere il Santo Sepolcro e i pellegrini che vi si recavano

Ordine di Malta

Fu fondato nel 1099 a Gerusalemme come confraternita ospedaliera. Nel 1121, con la creazione della classe dei Cavalieri, divenne il Sovrano Militare Ordine Gerosolimitano. Dopo alterne vicende, nel 1529 si stabilì a Malta. Attualmente si occupa  soprattutto del servizio ai malati.

Ordine Teutonico

Fu fondato nel 1189-90 in Germania come confraternita ospedaliera . nel 1198 divenne ordine cavalleresco: Soppresso nel 1805 da napoleone e rifondato nel 1834, segue attualmente la regola di san Francesco come ordine mendicante.

venerdì 14 gennaio 2011

TORQUEMADA Il grande inquisitore

TOMMASO   DI   TORQUEMADA
Il Grande Inquisitore

E’ abbastanza difficile, tra le ombre che circondano questo personaggio del XV secolo, riusire a scorgere la sua reale dimensione umana. Forse ha ragione uno storico che a proposito di Torquemada ha scritto: < La storia di questo Domenicano è la storia dell’istituzione dell’Inquisizione spagnola, non tanto di un uomo , quanto di un genio astratto che anima una macchina gigantesca e crudele. I documenti dell’epoca ci consentono di osservare il movimento scorrevole e calcolato di questa macchina e di individuarvi l’intelligenza terribile del suo costruttore. Tuttavia non lo potremo scorgere che occasionalmente e di sfuggita; solo in rarissimi ed assai brevi momenti lo vedremo chiaramente  e come uomo in carne ed ossa. Egli ci appare ore esortando con ardore una regina a vincere il proprio ritegno e a compiere, traendo dal fodero la spada della persecuzione, il proprio dovere verso quel dio che ellaserve, ora minacciando duramente il castigo divino ai sovrani suoi signori, ove brandiscono quell’arma con scarso vigore. Privo di ambizioni mondane, egli sembra insieme al di sopra e al di sotto del genere umano. Insensibile all’odio come al consenso; sublimante sdegnoso della felicità terrena, in nulla bisogna ammirarlo più che all’abnegazione instancabile con cui si consacra al servizio del suo Dio ed in nulla egli si dimostra così terribilmente e tragicamente deplorevole quanto nell’azione effettiva svolta per Lui>
Tommaso de Torquemada nacque nel 1420 non si sa se a Valladolid o a Ttorrecremata. Domenicano come lo zio, il grande teologo cardinale Giovanni, fu per ventidue anni priore del convento di Santa Croce a Segovia, rifiutando cariche ben più rilevanti, tutto teso a costruire, mediante il Tribunale dell’Inquisizione, una Spagna totalmente e compattamente cristiana, dove non vi fosse spazio per nessun infedele.
Dal 1483 grande inquisitore generale del regno di Pastiglia e di Leon, il suo potere si estese rapidamente a tutte le altre regioni spagnole, determinando così la nascita di una struttura pubblica di dimensioni nazionali, che risulterà elemento non indifferente per l’unificazione della Spagna.
L’inquisizione si rivolse prima e soprattutto nei confronti di quegli ebrei che si erano convertiti al cristianesimo, ma poi sembrava fossero segretamente ritornati alle pratiche giudaiche, noti come criptogiudei o “Marrani”.  Un analoga categoria contro la quale si esercitò la severa, spesso crudele, inquisizione spagnola fu quella dei mori convertiti, ma poi apostati, denominati moriscos . In realtà l’odio del grande inquisitore contro i mori e gli ebrei non si accontentò di colpire colore che in qualche modo potevano rientrare nell’ambito di competenza di un tribunale ecclesiastico, ma cercò di rendere la vita impossibile a queste minoranze.
Tra il 1488 e il 1490 alcuni episodi di reazione ebraica alle angherie dei cristiani, debitamente allargati o addirittura provocati, consentirono a Torquemada di superare le non piccole resistenze del sovrano, assai contrario a privarsi di gruppi sociali così attivi . Si realizzò cioè un imponente esodo forzoso di questo gruppi etnici che cercarono in un “volontario” esilio la salvezza  della vita La critica storica indica in tale esodo la causa originaria della decadenza economica della Spagna, unificata alla fine del XV secolo, ma incapace di assicurare pacifica convivenza a fedi e razze diverse. Eppure Torquemada era un frate fedele alla durezza della vita conventuale: dormiva sul legno e vestiva la rozza lana domenicana. Niente delle immense ricchezze che finivano nelle mani del grande inquisitore grazie alle confische dei beni degli inquisiti gli restò nelle mani. Esse si trasformarono  in grandi costruzioni in onore di Dio, come la chiesa di Torrecremata e, soprattutto, il grande convento di San Tommaso dì Avila, che fu insieme sua residenza, tribunale e prigione. Nessuno, neppure la Curia romana,  che pure cercò di interferire concedendo assoluzioni ai criptogiudei , che tentavano di sottrarsi all’Inquisizione ricorrendo a Roma , riuscì a modificare il suo modo di procedere, eccessivo anche per la sensibilità dei suoi contemporanei. Anche quando Alessandro VI nel 1494 lo obbligò praticamente a ritirarsi, egli continuò in realtà a controllare il funzionamento dell’Inquisizione fino alla sua morte , avvenuta ad Avila il 16 settembre 1498.
Ancorché possano essere discusse le cifre delle esecuzioni capitali da lui ordinate (2000) e dei procedimenti giudiziari da lui condotti (90.000) , egli resta la personificazione di un intolleranza religiosa certamente ispirata più dall’orgoglio e dall’odio che dall’amore di Dio e dei fratelli.

domenica 9 gennaio 2011

DOMENICO DI GUZMAN

DOMENICO  DI  GUZMAN  ( San Domenico )

Domenico Guzman, nato a Caleruega Spagna 1170 e morto a Bologna 1221, è il fondatore dell’ordine dei monaci Domenicani , in origine chiamati predicatori, nel 1215. L’obbiettivo era quello di sopperire con la predicazione alla miseria spirituale del popolo  cristiano, oltre che a combattere l’eresia.
Compiuti gli studi filosofici e filosofici a Palencia, entrò nel 1199 nella comunità dei canonici  della nativa diocesi di Osma, fra i quali vigeva la regola di San Agostino d ne divenne presto la guida. Ma due viaggi nell’Europa settentrionale  compiti nel 1203 e nel 1205-6 al seguito del suo Vescovo, gli fecero prendere coscienza dello stato reale della chiesa, e in modo particolare del grave problema rappresentato dagli Albigesi. Da questo periodo cominciò per Domenico un’attività di predicazione antiereticale intensissima, che lo avrebbe impegnato per il resto della sua vita.
Nel 1206 su incarico papale, intraprese una missione di predicazione contro gliAlbigesi e nel loro territorio , a Prouille (Pirenei) fondò nel medesimo anno un centro missionario e una congregazione femminile che fossero punti di riferimento per la lotta contro l’eresia. Bandita nel 1208 da papa Innocenzo III la crociata contro gli Albigesi nei sette anni di guerra che seguirono, Domenico impiegò tutte le sue energie per riportare gli eretici in seno alla Chiesa, o , quanto meno , per bloccare gli effetti della stessa eresia. Nel 1215 il gruppo di religiosi formatosi sotto la sua guida fu riconosciuto dal Vescovo di Tolosa e l’anno successivo Domenico, recatosi a Roma, ottenne dal papa una sanzione formale del nuovo ordine, con la garanzia di parecchi privilegi. Negli anni successivi D viaggiò senza sosta in Italia in Spagna (1218) e a Parigi (1219), predicando e impegnandosi a fondo nell’opera di organizzazione dei domenicani.
Nel 1221 il Domenico partì per un viaggio di predicazione nell’Ungheria, ma si ammalò; fu costretto a ritornare a Bologna dove morì il 6 Agosto dello stesso anno Fu canonizzato da papa Gregorio IX nel 1234.

DOMENICO E I FRATI PREDICATORI
( E’ tempo di convertire i cristiani )
Lo stesso periodo di Francesco d’Assisi, e gli stessi pontefici: Innocenzo III e Onorio III. Gli stessi problemi: la decadenza della Chiesa che incoraggia e giustifica i movimenti ereticali.  Gli ordini monastici tradizionali sono insufficienti a fronteggiare la crisi: Bisognava suscitare  nella chiesa forme nuove di apostolato, basate sulla povertà e proiettate fuori dai monasteri e delle chiese. Un concilio ecumenico (il Lateranense IV, del 1215) detterà dall’alto le regole della nuova riforma. Ma il lavoro è cominciato già dal basso, all’inizio del secolo . Innocenzo  e Onorio, che danno il via a Francesco d’Assisi, aprono pure la strada ad un altro tipo di frati “mendicanti”  quelli che si chiameranno Predicatori . Il problema è la rievangelizzazione per tutti. Ma in particolare i Predicatori vanno a curare una specifica piaga del clero, figlia della corruzione : l’ignoranza.
 Padre di un nuovo ordine è un casigliano che ha pochi anni più di Francesco: Domenico de Guzman, nato verso il 1175, iniziato dapprima alle arti liberali e più tardi alla teologia sistematica. Al tempo in cui Francesco canta ancora le sue canzoni provenzali in Umbria (1201) , Domenico è già vice priore nel capitolo della cattedrale spagnola di Osma. All’inizio , egli è un contemplativo, dedito al silenzio e alla preghiera. Ma nel 1203, uscito occasionalmente da questa pace appartata, egli si trova in brusco contatto con la realtà del mondo cristiano. E qui comincia il suo secondo periodo  della sua vita, qui prende forma il suo progetto: ritorno all’ideale apostolico nella forma integrale e genuina, cioè ripresa dell’annuncio evangelico alla stessa maniera dei primi cristiani, con la parola e la testimonianza.
Il vescovo Osma, Diego de Acebes , condivide il nuovo orientamento di Domenico. Anzi, vi si impegna di persona, andando con lui da papa Innocenzo III a chiedere il permesso d’iniziare una attività missionaria in Europa  orientale, in mezzo ai Cumani, una popolazione ancora pagana venuta a stanziarsi in Bulgaria e Romania. Papa Innocenzo sconsiglia  l’iniziativa: è tempo di andare missionari fra i cristiani, dice. Domenico e il vescovo Diego, invece di partire per l’oriente, si dirigono verso la Francia meridionale, per avviare una campagna missionaria ben più dura.. Da un lato ci sono i Catari, nemici della Chiesa,; dall’altro, c’è un clero in buona parte impigrito e diffidente verso i nuovi venuti. Il vescovo Diego, ormai vecchio, rimase con lui un solo anno, e poi torna in Spagna per morirvi.
La campagna di Domenico, iniziata nel 1206, finisce nel 1209, ed è un lungo elenco di paesi e città raggiunti a piedi, di prediche e di dispute con i Catari, di notti trascorse dormendo all’aperto, di cibo ottenuto per carità. Ottiene qualche successo, mescolato però a molti fallimenti. Certo egli si presentava in modi umili e cordiali, predicava la povertà, testimoniava di persona la fedeltà più rigorosa al Vangelo . Ma questo non era sufficiente a fermare l’ondata di avversione alla chiesa. Da questa sua battaglia, tuttavia, nasce il nuovo Ordine.
Domenico avvia centri dinamici di lavoro apostolico che chiame semplicemente “ predicazioni “ : i loro componenti devono ispirarsi alle prime comunità cristiane in particolare a quella di Gerusalemme. Il quartiere generale è fissato a Toulouse , che diviene la vera culla dei frati predicatori, ai quali  il vescovo Locale, Folco, da questa consegna: < Estirpare la perversità eretica, scacciare la corruzione, riproporre agli uomini la fede genuina e comunicare ai fratelli un’autentica santità di vita> Così, dagli sforzi dei due uomini che camminavano a piedi nudi nella polvere della regione Linguadoca, ha preso vita un altro movimento di riforma religiosa. Ha preso vita là, in mezzo all’insuccesso momentaneo, al quale doveva seguire la stagione cruenta e atroce della “ crociata contro gli Albigesi” , contro quei Catari che, convinti o no dall’eloquenza di Domenico, ne rispettavano tuttavia l’integra testimonianza , vedendolo attraversare cantando i villaggi, inseguito spesso da minacce e da derisioni, o lo trovavano a dormire di notte sul ciglio di una strada.
La morte di papa Innocenzo III (1216) e l’elezione di Onorio III segnano il passaggio alla tersa fase dell’opera di Domenico. Giungono i primi riconoscimenti ufficiali, ed   egli sollecita con sagacia approvazione che spianino il terreno all’azione dei suoi frati. Con una chiaroveggenza che sfiora l’audacia, egli dissemina i primi seguaci per l’Europa: a Bologna e a Parigi innanzitutto: La sua opera si muove ormai lungo due precise coordinate, la cui validità gli era stata confermata dai drammatici inizi in Francia: povertà e studio. Il movimenti spirituali sorti per reagire all’opulenza  della chiesa Istituzionale (dai fastosi cortei dei prelati allo sfarzo della curia romana) gli hanno impartito una inequivocabile lezione: occorre praticare la povertà nelle sue forme estreme; Roma  stessa dovrà rendersene conto. E proprio da Roma, nel 1219, Domenico otterrà la Magna charta  del nuovo regime di vita. Nel cuore della primitiva legislazione domenicana brilla quest’affermazione: < Noi rifiutiamo , nel modo più assoluto, qualsiasi  proprietà e rendita> .
Domenico dà l’esempio: dallo squallore della veste all’austerità del cibo, all’angustia dei conventi e delle chiese, per le quali nessuna veste liturgica dovrà essere di porpora o di seta, ne per i ministri né per l’ornamento dell’altare, e nessun vaso dovrà essere d’oro o d’argento. La povertà vissuta viene intesa come concezione indispensabile per rendere credibile il Vangelo.
Ma nel suo itinerario apostolico ha più volte sperimentato l’altra grave lacuna del clero: l’ignoranza. Di qui, l’innovazione più originale nella storia della chiesa. Il suo quarto successore , Umberto di Romans (1277) , scriverà: < Fu  l’Ordine che per primo integrò lo studio alla propria struttura> . I predicatori (così li definirà la bolla papale di Onorio III nel 1217) faranno dello studio lo strumento specifico dell’apostolato : < Il nostro studio deve principalmente, con ardore, con ogni energia, mirare a renderci utili ai nostri fratelli>. Nel 1220 e 1221 a Bologna , sua patria adottiva, Domenico celebra i due capitoli dell’Ordine, presenti ormai i rappresentanti delle comunità domenicane più remote, dall’Inghilterra alla Polonia, dall’Ungheria alla Danimarca.
Logorato dalla fatica, Domenico muore il 6 agosto 1221 a Bologna, disteso sulla nuda terra: Non ha ancora cinquant’anni.
Gregorio IX, col quale egli ha condiviso a lungo la missione in Lombardia, potrà dire di lui: < In Domenico ho trovato un uomo che ha integralmente attuato la vita degli Apostoli>.

sabato 8 gennaio 2011

GIROLAMO SAVONAROLA

GIROLAMO SAVONAROLA , Domenicano, riformatore

Il Savonarola nacque a Ferrara il 21 settembre 1452, la sua famiglia proveniva da Padova, dove il nonno, noto medico, fu chiamato alla corte degli Estensi, trasferendovisi nel 1444; il padre Niccolò era uno stimato notaio.
Nipote prediletto del nonno , si dedicò dapprima agli studi umanistici (lettere e filosofia) poi si orientò verso le arti “liberali” , per iniziare lo studio della medicina, un desiderio di tutta la sua famiglia, poiché continuasse la professione di suo nonno.
Ma nell’animo del giovine, maturavano altri propositi, animato da un profondi spirito di fede, provava insofferenza per la dilagante corruzione morale, che notava specie negli ecclesiastici.
A 23 anni , nel 1475, lasciò la casa natale per entrare nell’ordine dei predicatori, fondato da San Domenico di Guzman e perciò detti Domenicani; giunto al convento di S. Domenico a Bologna, trascorre tre anni di studio e preparazione, venendo ordinato sacerdote nel 1478.
Ritornò a Ferrara nel locale convento, con il compito di maestro degli studenti, studiò teologia a Bologna e Ferrara; nel 1482 divenne lettore nel convento di San marco di Firenze. E’ di questo periodo un piccolo codice autografo, nel quale il giovane Girolamo Savonarola annotava le sue letture, gli schemi delle sue prediche, i versi poetici, in cui esprimeva tutte le sue appassionate aspirazioni, che ormai erano ben chiare, più che alla cattedra, egli tendeva alla predicazione, infatti scrisse: “ Il predicatore deve essere pieno di Dio, cioè ricolmo dello Spirito Santo, della carità e della Divina sapienza. Deve essere posto fuori di se, cioè deve portarsi tutto su quanto ha da esprimere e rifuggire totalmente da se stesso”.
Nel 1483 a 31 anni fa la sua prima esperienza di predicatore per la Quaresima alle Murate di Firenze, poi a San Lorenzo nel 1484 ed a San Gimignano nel 1485 e 1486, presagio di imminenti castighi per la Chiesa, che doveva essere flagellata, rinnovata e presto, la sua predicazione assunse toni profetici ed apocalittici.
Ciò gli valse nella primavera del 1487, l’allontanamento da Firenze ad opera di Lorenzo dè Medici; negli anni successivi divenne professore di teologia all’Università di Bologna, predicatore itinerante in Lombardia, predicò l’Avvento a Brescia nel 1489 ed a Genova nella quaresima del 1490.
Nel frattempo con una lettera indirizzata al Maestro Generale, Torrioni, Lorenzo il magnifico chiedeva il ritorno del Savonarola a Firenze, sollecitato dal grande conte Pico della Mirandola.
Il frate ritornò, diventando priore del convento di San marco e riprendendo la sua appassionata predicazione, che ebbe grande consenso, visto il mutato clima spirituale e politico: restaurò nel convento l’antico rigore della regola Domenicana e nel 1493 ottenne, con l’aiuto di Piero dè medici, l’indipendenza giuridica della Congregazione di San marco, staccandola dalla Congregazione Lombarda. La fama di predicatore conquistò la città intera, tenuto conto anche del successo editoriale dei suoi opuscoli, ormai tutti parlavano di fra Girolamo ed a nulla valsero le raccomandazioni di Lorenzo il Magnifico, affinché abbassasse i toni di condanna nelle sue infuocate parole. Ma Girolamo addirittura non volle fare nemmeno la tradizionale visita di omaggio, che i nuovi priori di San marco, facevano alla Signoria.
Lorenzo, pur offeso, volle conquistare la sua amicizia, recandosi più spesso alle funzioni in San marco, che non dimentichiamo era tutto splendente delle opere pittoriche del Beato Angelico, realizzate qualche decennio prima: Ma Girolamo non si prodigava nell’accoglierlo, anzi ignorandolo. Così Lorenzo capì che il Savonarola era un uomo di Dio, come gli aveva detto Pico della Mirandola e che l’unico modo per conquistarlo era una conversione sincera della sua vita e di quella della corte.
Nel 1494 commentando la “ Genesi” , preannunciò l’arrivo di un nuovo “ Ciro”, identificato  poi in Carlo VIII, disceso in Italia nel 1494-95, con il quale il Savonarola si incontrò a Pisa in veste di ambasciatore dei fiorentini, nel frattempo i Medici  erano stati cacciati da Firenze (Lorenzo morì nel 1492), ottenendo dal re francese, diretto ad occupare Napoli, di risparmiare la città.
Ormai Girolamo savonarola era rimasto arbitro assoluto di Firenze, divenendo anima ed ispiratore del governo democratico, compilò la nuova legislazione, riformò le imposte, eliminò l’usura, istituì nel 1495 un nuovo Monte di Pietà, esercitando una forte sorveglianza sui costumi dei fiorentini.
Amato dal popolo, aveva tuttavia molti nemici, all’interno dello stesso ordine Domenicano e tra i potenti italiani, fra i quali Ludovico il Moro a Milano; in particolare perché si opponeva alla Lega Santa contro Carlo VIII, fu denunciato per questo al papa Alessandro VI Borgia, aggiungendo accuse di eresia , il quale cercò di indurlo a comparire a Roma per discolparsi; ma il priore non potendo allontanarsi da Firenze in quel periodo e per motivi di salute, preferì inviargli un opuscolo: “Comprendio di Rivelazioni “  contenete il testo autentico delle sue profezie.
Ma con un 2Breve” dell’ 8 settembre 1495 il Borgia, inviava contro “ un certo frà Girolamo da Ferrara”, i più drastici provvedimenti disciplinari, accusandolo di avere insegnato false dottrine, di predicare abusivamente, di arrogarsi una missione divina, di usare  espressioni scandalose nelle prediche, di avere promesso la separazione dei padri della Lombardia, di avere osato stampare le sue profezie e di essersi ribellato a comparire a Roma; con ciò la comunità di San marco era sciolta e lo stesso Savonarola sospeso dalla predicazione.
Nel 1496 ritornò a predicare a Santa Maria del Fiore; accusato di nuovo di ribellione, il papa lo scomunicò nel 1497; in città si crearono due fazioni:” i compagnacci” , che vollero approfittare della scomunica, per sovvertire il rigido moralismo imposto dal Savonarola ed i “ frateschi”  che ne negavano la validità e ne chiedevano la revoca.
A suo nome, un imprudente discepolo,, lanciò la sfida della “ prova del fuoco” cioè lui e fra Girolamo sarebbero passati attraverso il fuoco per avvalorare la validità delle profezie; la sfida fu subito raccolta dagli avversari, si scatenò un vero e proprio fanatismo, la Signoria guidata dagli Arrabbiati, organizzò la sfida per il 7 aprile 1498, che sfumò per un abbondante acquazzone che mandò tutto all’aria.
I nemici, sia laici che religiosi presero la cosa come un fatto negativo per fra’ Girolamo, i “compagnacci” in tumulto assediarono San marco, incendiarono le porte della chiesa e del convento, mentre i “frateschi” si difendevano dall’interno; ci furono morti e feriti prima che la Signoria inviasse, in ritardo, i suoi sodati per sedare i tumulti e arrestare fra’ Girolamo, fra’ Domenico, e fra’ Silvestro.
Iniziò così per lui, chiamato più volte “ salvatore della patria” un doloroso calvario di oltraggi e torture e come dice Alessandro VI aveva più volte richiesto, in precedenza, venne giudicato dai più squallidi fautori del libertinaggio ed inoltre fu giudicato e condannato come “ eretico e scismatico” il 19-20 maggio, insieme ai suoi due fedeli discepoli, da una commissione apostolica.
Condannati a morte il 22 maggio, la sentenza fu eseguita in Piazza della Signoria , il 23 maggio 1498 ; furono impiccati e bruciati e le loro ceneri buttate in Arno, per evitare un futuro culto dei sostenitori.
Le idee del savonarola esercitarono tuttavia un influsso durevole, specie in ambiente fiorentino e dell’Italia centrale, attraverso gli scritti, i cui modesti pregi letterali , sono largamente compensati dalla passione che li anima. La morte violenta dei tre domenicani , fu da molti considerato un Martirio affrontato per la difesa della fede e della morale cristiana, di fronte al rinato paganesimo.
Dopo un breve periodo di smarrimento, i discepoli del frate, specialmente i religiosi,  rivendicarono la sua memoria e tennero fede ai propositi di fervore e di stretta osservanza della loro regola. A conclusione vale la pena ricordare che nella vasta opera di riforma dei costumi morali e religiosi, predicata da Girolamo Savonarola, egli toccò anche l’arte , tentandone la riforma. La distruzione ed anche il rogo di tanti oggetti più o meno artistici, non era rivolta all’arte in se stessa, ma a pubblicazioni oscene, nudi volgari all’uso di vanità degli oggetti come sprechi, profumi, vestiti discinte, ecc.
Ai canti Carnascialeschi  di Lorenzo de’ medici, si contrappose, la lauda savonarelliana; il rapporto di fra’ Girolamo con le arti fu un rapporto di subordine; Egli non riconosceva al bello un diritto proprio e un proprio ambito, ma lo subordinava al buono: Solo il bello al servizio del bene, diventava bello; tutto doveva sottostare ai principi del Cristianesimo.
Savonarola pensò dunque di servirsi delle laudi, tanto accette al popolo, a favore dei suoi progetti, ed egli stesso ne compose e incitò a comporre; trascrisse le stesse arie carnascialesche, quelle canzoni così conosciute, con testi convenienti alla devozione religiosa.

La sua opera di riformatore, oggi forse diremmo quasi di fondamentalistica della morale, va inquadrata e compresa nella complessa storia civile, religiosa, politica e di costume, di quel periodo del tardo Quattrocento, i cui capovolgimenti, comprese le violenze e le guerre porteranno poi al grande Rinascimento.

venerdì 7 gennaio 2011

IL LUOGO DEL GIUDIZIO UNIVERSALE

                                                         LA VALLE DEL CEDRON

Tra la cità vecchia di Gerusalemme e il Monte degli Ulivi si trova la valle del Cedron. Il nome Cedron, in ebraico Qidron, significa oscuro , poiché originariamente questa valle era più profonda. Dal IV secolo dopo Cristo tale luogo fu chiamato anche valle di Giosafat, dal nome che nella Bibbia ricorre in Gioele e che designa il luogo  dove avrebbe luogo  il Giudizio Universale. In questa valle si trovano moltissime tombe e sepolcri antichi, tra i qualila tomba di Assalonne e quella di Zaccaria.
Sempre in questa valle la tradizione individua il luogo in cui avvenne la lapidazione di Stefano, il primo martire cristiano. Una di queste tradizioni  situa la lapidazione a nord della porta di Damasco dove era stata edificata una chiesa poi distrutta durante l'invasione Persiana. Un'altra tradizione la colloca presso la porta dei Leoni, cisì chiamati per gli stemmi del sultano Baibars che vi sono scolpiti (quattro leoni) , che si trova a nord est rispetto al tempio. Dai cristiani è anche detta porta di Santo Stefano, in ricordo di quanto racconta San Luca: "lo trascinarono fuori dalla porta della città, e si misero a lapidarlo". I musulmani la chimano Bab Sitti Maryam che la tradizione individua nella chiesa di Sant'Anna.
Enrico M. Beraudo

GUELFI E GHIBELLINI

GUELFI  E  GHIBELLINI


Partiti  politici medioevali: Si formarono in Germania dove alla morte di Enrico V, ultimo degli imperatori della casa di Franconia (1125), si aprì una guerra per la successione tra Federico di Hohenstaufen, duca di Svevia, e Lotario di Supplimburgo, duca di Sassonia, che con l’appoggio della Chiesa prevalse sul rivale: Ma alla sua morte (1137), ancora con l’appoggio della chiesa ottenne la corona Corrado III, figlio di Federico I, contendendola ad Enrico il Superbo, duca di Baviera e di Sassonia e designato da Lotario come suo successore. I sostenitori di Corrado di Svevia si chiamarono ghibellini (dal castello di Weibling, nel Wuttemberg, che gli apparteneva) ,  guelfi (da Welf, capostipite della casa di Baviera) Sembra che queste denominazioni siano derivate dai gridi di guerra delle due parti in conflitto (Hie Weibibling ! Hie Welf !)  in uno scontro al castello di Weinsberg nel Wurttemberg (1140). In Germania i due partiti ebbero interessi essenzialmente dinastici e si combatterono più o meno aspramente fino all’estinzione  della casa di Svevia (1268) che tenne quasi ininterrottamente, dal 1138, il regno con Federico I Barbarossa, Enrico VI e Federico II anche l’impero. Un periodo particolarmente critico della lotta fu la competizione per il regno e l’impero  tra il guelfo Ottone IV di Brunswick e i ghibellini Filippo, e poi Federico I di Svevia, rispettivamente fratello e figlio di Enrico VI, competizione che si concluse con la piena vittoria di Federico II (1214)  Fu allora che la fama dei due partiti dinastici tedeschi si diffuse in Italia e due consorterie di nobili o assimilati di Firenze, venute a contrasto per ragioni private, ne assunsero i nomi (1215) . Da Firenze la divisione si estese poi al resto d’Italia e nella successiva grande lotta tra Federico II e i suoi successori e il papato il partito imperiale si chiamò ghibellino e quello papale guelfo , o della chiesa (Pars Ecclesiae) . Col tramonto e il crollo della potenza sveva prevalsero i guelfi, che ebbero i loro punti di forza nel papato, negli Angioini di Napoli e nel comune di Firenze; ma, nonostante l’eclissi dell’impero, un opposizione ghibellina continuò ad operare ed ebbe notevoli successi alla discesa in Italia di  Enrico VII di Lussemburgo (1310-13) e negli anni immediatamente successivi. E’ comunque da notare che in Italia le qualificazioni di guelfi o ghibellini portate da signori, comuni, fazioni interne di comuni, famiglie corrisposero solo eccezionalmente a precise convinzioni politiche e a effettiva devozione alla causa del papato o a quella dell’Impero in vista della supremazia dell’uno o dell’altro . Espressero invece di regola interessi politici ed economici particolari che comportavano l’opportunità, caso per caso,  di valersi dell’appoggio papale o imperiale o anche soltanto di assumerne le insegne come copertura.
Svuotati del significato originario sin dagli scorci del secolo XIV, guelfi e ghibellini continuarono a chiamarsi fazioni locali sino al secolo XVII.
Oggi con la parola ghibellino si indica un atteggiamento laico, contrario a qualsiasi interferenza dell’Autorità Religiosa nei rapporti sociali.
Nel medioevo era la posizione politica e gli atteggiamenti ideali dei sostenitori della supremazia laica nei confronti della Teocrazia ( forma di governo in cui il potere civile e politico è sottomesso al potere religioso) pontificia.

mercoledì 5 gennaio 2011

GLI ERETICI DEL MEDIOEVO

CATARI:
Derivazione della setta dei Bogomil che fece la sua comparsa nel X secolo in Bulgaria e si diffuse a Costantinopoli alla fine del XIsecolo.
Professano una dottrina religiosa dualista, predicano una assoluta purezza di vita e rifiutano i sacramenti fatta eccezione del Battesimo.
Per i Catari essenziale era liberare l’animo da potere del male  che governava il mondo. Il loro messaggio era liberarsi dal potere e dalla ricchezza (che erano il male) . La chiesa avendo accettato il potere e le ricchezze era considerata il male
Il fascino della chiesa Catara era molto forte e fu dovuto  al rigore morale che la distingueva dalla chiesa cattolica.
Fecero il concilio nel 1167 a Sant Felix De Caravan ( fondando il movimento evangelico Radicale anticlericale) . Furono sterminati  come eretici nel 1208 .
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Seguaci del più vasto movimento ereticale del medioevo, originari della penisola Balcanica. Largamente diffusi tra il secolo XI e XIII, nell’Europa centro occidentale, specie in Francia (vedi Albigesi) e nell’Italia settentrionale professavano un rigoroso dualismo secondo cui la storia del mondo e della Chiesa sarebbe teatro del conflitto fra Dio e Satana. Ne conseguiva una svalutazione del mondo materiale, che li portò al docetismo ( dottrina ereticale,(di impronta gnostica, crede a determinate verità religiose e filosofiche, propugnando una concezione della conoscenza come illuminazione riservata a pochi iniziati, in virtù del quale  essi sarebbero pervenuti alla visione del vero e a la loro salvezza) dei primi tempi cristiani, fondata sulla negazione della realtà umana e della materialità del corpo di Cristo, indicato, invece, come pura apparenza,senza sostanza di carne, allo stesso modo che semplici apparenze sarebbero state la vita, la morte e la resurrezione del cristo) e alla negazione della validità dei sacramenti cui i Catari contrapponevano l’unico rito iniziatici spirituale del consolamentum (imposizione delle mani e dei vangeli e tradizione del Pater Noster) , al quale talvolta faceva seguito la prassi dell’endura (morte volontaria per fame o per mano dei familiari di chi aveva ricevuto il consulamentum)  un ascetismo severo comportante l’astensione dal matrimonio e dai cibi carnei e la rigorosa separazione della sfera mondana, con il disprezzo per la potenza e le ricchezze, il rifiuto di prestare giuramento o di usare violenza. Avversari intransigenti dell’istituzione eclesiastica, ritenuta demoniaca,  e ribelli nei confronti dell’ordine costituito statale, i Catari dovettero perciò subire la dura e radicale repressione della Chiesa e dello Stato, che, coalizzati nella lotta contro l’eresia (inquisizione) , ne ottennero la dispersione e l’annullamento già entro il XIII secolo.

VALDESI:

Uno dei principali movimenti religiosi medioevali confluiti nella riforma protestante fatta da Martin Lutero nel 1517. Contestavano alla chiesa cattolica la vendita delle indulgenze, e negavano che la chiesa cattolica facesse da intermediaria fra Dio e l’uomo. I sacramenti erano il Battesimo e l’eucarestia (le principale chiese protestanti furono: luterana, calvinista e l’anglicana).
Fondatore di questo movimento fu il mercante VALDO che nel 1170-80 scelse la povertà evangelica costituendo il primo nucleo del movimento detto dei “Poveri di Lione”.
Furono scomunicati nel concilio di Verona (1184). Il movimento si diffuse nella Lombardia, nella Linguadoca, Provensa a fine secolo XII
Sino dagli inizi, il movimento si scontò con l’opposizione della Chiesa: al rifiuto del programma dei Valdesi da parte del III Concilio Lateranense (1179) seguì la scomunica del Concilio di Verona (1184) . Emarginati dall’istituzione ecclesiastica i Valdesi conobbero tuttavia una progressiva larghissima diffusione tra il secolo XIII e il XIV in Lombardia, in Linguadoca (su della Francia) e in Provenza (fine secolo XII) : elementi di predicazione dei Valdesi vennero recepiti da ambienti gia legati all’eterodossia (disconoscimento e rifiuto  dei principi di una religione, in particolare quella cattolica, riconosciuti come veri dall’autorità che detiene il magistero dottrinale), dando luogo a un movimento religioso caratterizzato da una tendenza anti istituzionale particolarmente radicale e da una notevole capacità di espansione missionaria che portò i Vadesi, attraverso la Svizzera, l’Austria e la Germania, sino all’Ungheria e nella Boemia (dove considerevole fu l’apporto dei Valdesi alla rivoluzione Hussista ( movimento religioso-politico sviluppatori in Boemia intorno al predicatore Jan Hus, bruciato nel rogo,) del secolo XV) Altre aree di diffusione Valdesi furono le vallate Alpine del Piemonte occidentale, del Delfinato e, nell’Italia meridionale la Calabria e le Puglie. La strategia dell’autorità ecclesiastica non esclude tentativi, parzialmente riusciti, d’istituzionalizzazione monastica dei Valdesi (i poveri cattolici in Francia nel 1208, i i poveri riconciliati in Lombardia nel 1210) , tesa a neutralizzare la carica contestativi ma rimase essenzialmente repressiva.
I motivi fondamentali del valdismo  medioevale risiedevano in una prassi che univa la predicazione itinerante del Vangelo al popolo con la povertà di vita. Di qui derivò la divisione tra ministri itineranti ( distinti secondo i tre ordini dell’episcopato, del presbiteriato  e del diaconato)  e semplici fedeli, nonché la costituzione di strumenti di collegamento (rettori, capitoli annuali). La predicazione dei valdesi sostenuta da una estesa attività di volgarizzazione della Scrittura, si arricchì di motivi esplicitamente antitradizionali (negazione del purgatorio e delle messe per i defunti, della validità dei sacramenti amministrati dai sacerdoti indegni; riduzione del numero stesso dei sacramenti al battesimo, all’eucarestia e alla penitenza; rifiuto della gerarchia ecclesiastica e dei tradizionali ruoli di culto)  Verso l’ordinamento civile (nonché ecclesiastico) del tempo i Valdesi erano apertamente contestatori rifiutando il giuramento e la violenza. Nel secolo XV i Valdesi di Boemia si unirono gli ussiti e confluirono nella Unitas Fratrum , quelli di lingua neolatina aderirono nel secolo XVI alla Riforma protestante , adottando le Ordonnances ecclesiastiche ginevrine. Dalla metà del secolo XVI in poi , la storia dei Valdesi è un alternarsi di persecuzioni e di effimere tregue, ottenute grazie alla resistenza armata e alla coesione sociale dei Valdesi delle valli come alla solidità della loro nuova organizzazione calvinista. Nel1551 i Valdesi delle valli ottennero da Emanuele Filiberto di Savoia il riconoscimento di una relativa libertà di culto. Nel secolo successivo, la persecuzione antivaldese ebbe i suoi momenti culminanti nel 1655, allorché furono compiute le stragi note come le Pasque piemontesi ( eccidi di Valdesi stanziati nelle Alpi Cozie compiute dalle truppe sabaude di A. Gastaldo) , e nel 1683-85 quando i Valdesi vennero espulsi dalle valli e costretti a un esilio che li portò nella Svizzera e nella Germania meridionale: ritornarono nel 1689 e furono reintegrati nei loro territori. Furono loro riconosciute le libertà di culto e la pienezza dei diritti civili  durante l’età napoleonica. Poterono così dedicarsi  ad un attività di evangelizzazione, che ne estese la presenza nel corso della seconda metà del secolo XIX in numerose città e centri minori della penisola italiana  . Attualmente la chiesa Valdese è presente con circa un centinaio di comunità  ( il nucleo più numeroso permane nelle valli del Pinerolese) e attività di carattere culturale e sociale. E’ stata inoltre attuata l’integrazione tra la chiesa valdese e la chiesa Evangelica metodista d’Italia. Le varie comunità si sono formate inoltre nella Svizzera in Francia negli Stati Uniti , in Uruguaj e in Argentina

ALBIGESI:
Corrente ereticale medievale derivata dai Catari I primi gruppi di questi eretici provenivano dalla penisola Balcanica e si fissarono nella Francia meridionale con centro nella regione di Albi  (dandone il nome) organizzandosi nella diocesi di Lobers, Tolosa, Carcassonne, Val d’Aran, Agen, Razes tra la fine del secolo XII e l’inizio del XIII secolo.
Fondamento della loro dottrina era un dualismo (Bene-Male) di tipo manicheo, da quale però deducevano una forte tensione per la vita morale e spirituale. Si trovarono subito in netta opposizione con la corruzione e il male del mondo e in particolare del clero cattolico, alla mondanità del quale opponevano una vita austera ed esemplare, una predicazione che bollava ogni cedimento ai vizi e alle mollezze, una sfida aperta a ritornare allo spirito originario del Vangelo. Il disprezzo della materia, come naturale dimora del male, li portava a condannare tutto ciò cheserviva al corpo, come  il mangiare, il lavorare, il matrimonio ecc.
Ai principi evangelici si accompagnavano quindi istanze pauperistiche, che suonavano poco ortodosse tanto al potere civile che a quello religioso . La chiesa fece vari tentativi fra il 1170 e il 1208 per riportare gli Albigesi, nel suo seno con la predicazioni di legati pontifici e di monaci cistercensi, ma la loro resistenza, appoggiata da Raimondo VI di Tolosa, e da ultimo l’assasinio del legato pontificio Pietro di Castelnau (gennaio 1208)  indussero papa Innocenzo III a proclamare contro di loro la crociata,sotto la guida di Arnoldo, abate di Citeaux (marzo 1208) . Filippo Augusto di Francia adducendo a pretesto  i suoi precari rapporti con l’Inghilterra e l’impero non aderì, ma permise che v’intervenissero  i suoi Vassalli. Nel 1209 i crociati misero a ferro e fuoco il meridione  della Francia, espugnando Beziers, Carcassonne, e Narbonne: Il comando venne allora affidatoa Simon de Montfort, un feudatario dell’Ile de France, che sconfisse nuovamente Raimondo IV a Muret (1213)  diventando il signore di Tolosa. La potenza militare di Raimondo VI non era stata però intaccata, anche se questi aveva dovuto sacrificare una parte delle sue terre, per cui papa Innocenzo III nel Concilio Lateranense  IV (1215) cercò di accordare le esigenze di Simon de Montfort (a cui riconobbe il possesso delle terre occupate, previa investitura del Re di Francia) e di Raimondo IV (riconoscendolo signore legittimo delle terre rimastegli) . Nel 1218 Simon de Montfort morì all’assedio di Tolosa e Luigi VIII di Francia ne approfittò per occupare tutto il territorio degli Albigesi . Dopo la sua morte (1226) gli Albigesi si ribellarono e tennero in scacco le truppe reali per due anni, ma nel 1229 Raimondo VII (figlio di Raimondo VI) , al quale era succeduto nel 1222 venne a patti con il Re di Francia Luigi IX e gli cedette la bassa Linguadoca, cimentando la pace con il matrimonio di sua figlia Giovanna con il principe reale Alfonso. Nonostante l’annientamento della loro forza militare  e le persecuzioni dell’Inquisizione , gli Albigesi tentarono ancora  (nel 1240, nel 1242 e nel 1245) d’insorgere, ma furono presto domati e il movimento si andò così esaurendo.


martedì 4 gennaio 2011

LE CROCIATE

LE   CROCIATE

Per liberare Gerusalemme e i luoghi Santi dal dominio Turco partono verso il medio oriente , al seguito delle otto crociate indette da Papi e Imperatori fra il 1095 e il 1270, centinaia di migliaia di persone, molte delle quali non riusciranno a raggiungere la meta prevista. Lo spirito che motiva questi soldati-pellegrini, spesso provenienti dalle classi più povere della popolazione, non di rado si corrompe lungo il cammino, dando origine a episodi di violenza e di saccheggi il cui ricordo renderà per lungo tempo pessimi i rapporti fra europei e mediorientali. Nel contempo le crociate si rivelano occasione di fitti traffici commerciali e di ardite manovre finanziarie per spregiudicati mercanti delle città marinare italiane, che riescono a conquistare il monopolio delle esportazioni di ogni genere di prodotti fra l’Occidente e l’Oriente.
Si pensa in genere che la prima crociata sia scaturita all’improvviso da un appello di Papa urbano II e dalla propaganda di accesi predicatori itineranti, che incitavano a stroncare la persecuzione anticristiana in Terrasanta e a salvare l’Impero di Costantinopoli.
Ma non è andata proprio così. Intanto non c’era persecuzione di cristiani. I pellegrini, arrivavano in Terrasanta, pagavano tributi ai signorotti musulmani locali, dipendenti nominalmente dal Califfo di Bagdad (la cui autorità, tuttavia, era contestata dal califfo del Cairo). Pagavano, e poi venivano lasciati tranquilli. E avevano anche i loro ospizi, come quelli creati a Gerusalemme nel 1020 da mercanti di Amalfi e gestiti da cristiani.
Quando l’impero Bizantino, aveva corso davvero tremendi pericoli, quando l’Asia Minore fu invasa da una popolazione guerriera che avrebbe poi dato il nome alla regione: i Turchi, originari delle steppe asiatiche, convertiti all’Islam e divenuti rapidamente padroni anche dell’Armenia, della Siria e, nel 1077, di Gerusalemme. Nel 1090-91  la stessa Costantinopoli era stata assediata da altri nemici, anch’essi di origine asiatica, i Peceneghi. Ma, al tempo dell’appello di papa Urbano II, la situazione era già assai mutata. Sventato l’attacco alla capitale, l’imperatore Alessio I Comneno aveva stabilizzato i rapporti con i Califfi di Bagdad e del Cairo per mezzo di una sorta di Modus vivendi . Il suo problema era quello dei Turchi, di cui certo egli avrebbe voluto liberarsi: casomai, una guerra locale, senza scontrarsi con l’insieme dell’Islam.
Dunque gli appelli per una spedizione in oriente (il nome “ crociata” non si usava ancora) presentavano una visione assai distorta dei fatti. E, inoltre, non furono questi appelli, da soli, a far nascere l’idea dell’impresa, da un giorno all’altro.
Da secoli ormai, i cristiani erano abituati ai pellegrinaggi in Terrasanta. E da secoli, anche, avevano cominciato a pensare che una certa specie di guerra contro gli “ infedeli “ fosse legittima. Le radici ideologiche di questo atteggiamento stanno già nella cristianità costantiniana e in Agostino; Carlo Magno e Ottone I, poi ne hanno sviluppata la pratica, con le loro conversioni forzate di Sassoni e di popoli slavi.
Come si era formato il clima antiislamico
C’è poi da tener presente che per i cristiani d’Europa i musulmani non erano soltanto nemici della fede, ma anche invasori e predoni .Avevano occupato gran parte della Spagna, per esempio: e contro di essi, gli spagnoli facevano una guerra anche nazionale, di liberazione, non semplicemente di religione. Avevano occupato la Sicilia, governandola anche bene (rispetto ai bizantini ladri e corrotti); ma nei siciliani durava il ricordo dei massacri al momento dell’invasione; e il meridione fu lungamente terrorizzato dalle loro spedizioni di saccheggio, definite ufficialmente come operazioni di “ guerra santa” . Erano musulmani i predoni installati alla foce del Garigliano e a Fraxinetum, in Francia, nel X secolo; e i pirati che avevano attaccato Genova e Pisa, e saccheggiato la Sardegna . Anche questa lunga storia contribuiva al clima antimusulmano del tempo, fondendosi con le motivazioni propriamente religiose.
Per queste ragioni di varia origine andò pure formandosi la leggenda di Rolando, ucciso a Roncisvalle al tempo di Carlo Magno e trasformato nel prototipo del cavaliere cristiano. Così, infine, quando i Normanni iniziarono la conquista della Sicilia contro i mussulmani, si ripeterono le scene di entusiasmo religioso-guerriero. Questo è il lungo e complesso antefatto.
Il 27 novembre dell’anno 1095, poi, si conclude a Clemont, in Alvernia, un concilio presieduto dal papa Urbano II . Vi sono state discusse, principalmente, questioni relative alla concreta applicazione dei principi informatori nella Chiesa. Ma , al termine dei lavori, il pontefice ha poi lanciato l’appello ai cavalieri dell’occidente, per una spedizione militare e religiosa che portasse alla liberazione di Gerusalemme e dei Luoghi Santi dal dominio turco.
E’ importante però, la motivazione dell’appello di Urbano II, rivolgendosi ai nobili, ha detto loro, in sostanza: finora voi siete stati dei tiranni per i vostri fratelli in Cristo<, è giunto per voi il momento di dare pace all’Occidente liberandolo dalla vostra presenza violenta, e di pacificare l’Oriente strappandolo ai musulmani.
Per capire la crociata , e prima di abbandonarsi a frettolosi giudizi morali, bisogna innanzitutto tener presente questo: che essa, in Occidente, coincise con un opera di pace. Almeno in linea di principio, essa fu non già guerra, bensì anteguerra. I partecipanti all’impresa cucivano una croce sulla loro veste: e quel segno, secondo il diritto canonico e la pratica del tempo, indicava che il crociato era un penitente e un pellegrino al quale, unica deroga rispetto ai canoni, era consentito di portare le armi contro gli infedeli. Era al martirio e alla Gerusalemme celeste che i primi crociati si sentivano diretti. Ma non furono i cavalieri a partire per primi verso il Santo Sepolcro. L’appello di Clermont diede vita in Occidente a un movimento che poi si concretizzò nella spedizione armata.Ma a muoversi subito, precedendo i feudatari, furono le folle dei poveri, i paupers , contadini in cerca di nuove terre da dissodare, mendicanti abituati a battere gli ospizi, che immediatamente risposero alla predicazione di un numero crescente di “ profeti” (spesso monaci irregolari, anacoreti visionari) sempre in viaggio di mercato in mercato e di villaggio in villaggio predicando un altro tipo di crociata, che in realtà era piuttosto un ritorno finale alla Casa del Padre, un nuovo  Esodo, il viaggio verso un futuro di giustizia e di eguaglianza.
Pietro di Amiens, detto “ L’Eremita “ è rimasto l’esempio tipico di questi predicatori: ma il suo nome rappresenta in realtà una folla di anonimi, che spesso predicavano quella crociata all’insaputa o a dispetto dei vescovi e degli abati ai quali avrebbero dovuto gerarchicamente rispondere.
Quelle masse di poveri male armati ( o per niente armati) e peggio guidati, si posero in cammino nella primavera del 1096 dal nord della Francia e dal bacino del reno, spesso dietro ai cavalieri impoveriti, o emarginati dal sistema feudale ( come Gualtieri Senza Averi” o il conte Enicho di Leningen ) . In genere si dispersero lungo la strada, dopo essersi abbandonati a saccheggi e a violenze contro gli ebrei nelle città del Reno e del Danubio; pochi di loro giunsero stremati in Asia, e furono massacrati dai Turchi; alcuni sopravvissuti, infine, si riunirono alle schiere dei cavalieri, giunte per la Crociata propriamente detta.
Le truppe crociate si erano organizzate con maggiore calma, mettendosi in moto a partire dall’estate autunno del 1096.  L’appuntamento per tutti era a Costantinopoli ma la marcia avvenne in tre scaglioni, con tre diversi itinerari. Roberto figlio di Guglielmo il Conquistatore e duca di Normandia, e Roberto  conte di Fiandra, partirono da Lione e attraversarono poi con le loro truppe la penisola italiana fino a Bari, dove si imbarcarono per durazzo ( e dopo lo sbarco furono raggiunti dai crociati di Boemondo di taranto, figlio di Roberto il Guiscardo imbarcatosi a Brindisi) . Sempre da Lione partì la colonna guidata da Ademaro di Monteil, vescovo di Le Puy e capo religioso dell’impresa, e da Raimondo di Tolosa: essa marciò verso Costantinopoli per via terra, lungo il litorale balcanico. Infine le truppe guidate dal Duca della Bassa Lotaringia, Goffredo di Buglione, partirono da Ratisbona, passarono per Vienna e giunsero a Costantinopoli marciando attraverso le attuali Ungheria , Romania e Bulgaria. A Costantinopoli, l’incontro con l’imperatore fu tutt’altro che idilliaco. I Crociati si consideravano i salvatori dell’Impero  cristiano. Il sovrano, invece, avrebbe volentieri  preso come mercenari  i guerrieri “ franchi” , ma non capiva a cosa servisse la folla di pellegrini che seguiva le truppe . E poi non voleva trovarsi coinvolto  in una guerra generale contro l’Islam.
I “ franchi” , così gli Arabi e i Bizantini chiamavano i crociati, arrivarono davanti a Gerusalemme nell’estate del 1099, ridotti a 10-15 mila  mentre alla partenza si calcola che fossero circa cento mila .Al vedere finalmente la città Santa , molti scoppiarono a piangere . Si organizzò l’assedio di Gerusalemme e si fecero processioni di penitenza a piedi nudi. L’assalto finale fu tremendo, si prolungò per tre giorni e si concluse il 15 luglio con la presa della città.
E allora quegli stessi guerrieri che avevano pianto e pregato si abbandonarono a un feroce massacro, uccidendo alla rinfusa musulmani, ebrei e anche cristiani orientali, che a causa dell’abbigliamento e della lingua erano scambiati per nemici. La più commossa e ingenua devozione e la più sanguinaria ferocia si confusero presso le mura della basilica del Santo Sepolcro.
Per quanto disorganizzati e privi di cognizioni sul teatro di guerra e sul nemico, i crociati vinsero per merito della sorpresa: nessun emiro arabo  e nessun capo turco li aveva dapprima presi sul serio. Seconda causa della vittoria: la discordia interna fra i vari signori musulmani del territorio, la mancanza di un’unica effettiva autorità politica e militare. Senza saperlo, i crociati si inserirono in quella situazione e la sfruttarono. Ma non c’erano piani per il dopo. Si era parlato nebulosamente di liberare i cristiani di Oriente , di andare a Gerusalemme , senza un idea precisa  di come ci si sarebbe comportati  a impresa conclusa. E ci si accorse allora che l’impresa era appena cominciata: occorreva difendere  la conquista, consolidarla. Perciò i crociati dovettero sin da allora  rivolgersi all’occidente , sollecitando sempre nuove spedizioni. E così il movimento crociato durò due interi secoli. In un primo tempo nessuno dei principi crociati avrebbe accettato di lasciare ad altri il primato  a Gerusalemme. Fu affermato così che a nessuno era lecito portare la corona d’oro là dove Cristo aveva portato la corona di spine , a capo del regno latino di Gerusalemme si pose il principe di minor rilievo tra i grandi: Goffredo di Buglione,uomo già fisicamente finito, sebbene appena quarantenne ; e gli si diede il titolo dire, ma di “ difensore” del Santo Sepolcro. Ma Goffreso morì gia nel 1100: e suo fratello Baldovino, che gli succedette, piegò la volontà degli altri feudatari, dei cavalieri e dei prelati della nuova chiesa latina di Gerusalemme, facendosi incoronare re.
-Sulla via della seta (gli interessi economici delle crociate) –
Dopo la prima Crociata, i libri di storia ne elencano di solito altre sette. In realtà, le spedizioni in Terrasanta dopo la presa di Gerusalemme furono assai più numerose. Anzi, si potrebbe anche parlare di un’unica crociata, personalmente, incominciata con l’appello di Urbano II e via, via alimentata dall’affluire di altre forze, per allargare e per difendere i territori conquistati.
Del resto, gia durante la prima spedizione partirono dalla Terrasanta richieste di aiuto, di rinforzi. E i primi ad accoglierle furono i genovesi, già nel 1097, con dodici galee allestite per iniziativa privata. Raggiunsero l’esercito crociato che stava  assediando Antiochia, lo rifornirono di viveri e presero parte alle operazioni militari. Una seconda spedizione genovese, sempre privata, arrivò a Giaffa nel 1099, guidata da Guglielmo Embriaco, il quale, con legname e materiali di alcune navi demolite, costruì macchine da guerra per l’attacco a Gerusalemme. Una terza spedizione, questa volta speciale, statale, partì da Genova nel 1100 e contribuì alla presa di Arsuf e di Cesarea nel 1101; a quella di Tortosa nel 1102; più tardi ancora, genovesi parteciparono alla presa di Jebail e di Acri (1104); di Tripoli di Siria e di Gabala (1109), mandarono 120 galee guidate  dall’arcivescovo Daimberto, che sarebbe poi diventato il primo patriarca latino di Gerusalemme. Successivamente , i pisani si installarono nel porto di Laodicea.
Nel 1110, poi, una squadra veneziana fu determinante nella presa di Sidone; infine, nel 1124, con la caduta di Tiro, la conquista del litorale fu conclusa. I veneziani arrivarono tardi, rispetto a Genova e a Pisa, perché all’inizio la crociata li rendeva perplessi. Fin dal IX secolo essi frequentavano i mercati di Siria e d’Egitto, ma il grosso dei loro interessi gravitava su Bisanzio, dove godevano di larghi privilegi, e l’orientamento antibizzantino dei crociati li preoccupava.
Nelle città conquistate, i mercanti marinai si facevano assegnare un “quartiere” cinto spesso da mura e autosufficiente, perché provvisto di chiesa, forno, cisterna, fondachi, case di abitazioni. I quartieri genovesi, pisani e veneziani erano vere città nelle città, governate da consoli mandati dalla madrepatria e assistiti da consigli elettivi locali.
Questi centri commerciali giunsero a monopolizzare l’esportazione dei prodotti orientali verso l’Europa, e quella dei prodotti europei verso l’Oriente. Le sete, le vetrerie, i metalli lavorati, le spezie, i tessuti pregiati che arrivavano dall’Asia orientale attraverso la lunghissima “via della seta”, o dal fondo dell’Arabia lungo la “ via dell’incenso” , passavano per le loro mani, e lo stesso avveniva  per certi generi alimentari e certe stoffe di produzione europea, che prendevano la via dell’Asia. Accanto a queste attività, economicamente rendeva molto il trasporto dei pellegrini. Più tardi, intere spedizioni militari avrebbero raggiunto l’Oriente per mare su navi pisane, genovesi e veneziane, con altri forti guadagni per gli armatori, e a queste attività avrebbero poi partecipato anche mercanti provenzali e catalani. Fin qui le transazioni lecite: ma alcuni di quei mercanti non rinunciavano neppure ad azioni corsare, al traffico di schiavi e a quello di una grande quantità di reliquie, autentiche e false.
Le fila dei conquistatori di Gerusalemme si assottigliavano, perché molti soccombevano alle malattie al clima, e altri preferivano ritornare in patria. Così, gli appelli per ottenere rinforzi si moltiplicavano. La crociata, per sopravvivere , doveva essere continuamente alimentata. Ed ecco arrivare, soli o a gruppetti, altri cavalieri occidentali. Alcuni di essi venivano volontariamente, chiamati da amici e da parenti installatisi precedentemente il Terrasanta . Altri facevano il pellegrinaggio per penitenza allo scopo di ottenere il perdono di gravi peccati. Di solito, essi si stabilivano presso chiese e ospizi, e con voto solenne si assumevano l’obbligo di curare gli ammalati, di proteggere i pellegrini dai predoni saraceni, di combattere e presidiare le fortezze crociate.
Fu questa l’origine di vari ordini religiosi di tipo nuovo. Si occupavano dei malati i Cavalieri di San Giovanni (detti poi Rodi e infine di Malta); i cavalieri di San Lazzaro; e quelli di Santa Maria, detti anche Cavalieri Teutonici perché in gran parte originari dalla Germania.
Le necessità difensive costrinsero poi gli ordini ospitalieri a prendere anche le armi. E fecero infine nascere un ordine  religioso di tipo nuovo e discusso, quello dei monaci combattenti , i cavalieri del tempio o Templari, i quali avevano anche i compiti di assistenza a pellegrini, malati e poveri, ma principalmente s’impegnavano alla difesa militare dei Luoghi Santi.
La controffensiva musulmana, facilitata dalle discordie interne del regno latino di Gerusalemme, si dispiegò a partire dal secondo quarto del XII secolo e  culminò, il 2 ottobre 1187, con la riconquista saracena di Gerusalemme. Cominciava l’impresa di uno dei più prestigiosi capi politici e militari che l’Islam abbia mai avuto: SALAH AD-DIN YUSUF, che noi occidentali conosciamo come SALADINO.
Il duecento, poi, fu segnato dalla lenta erosione di quanto rimaneva dei principati franchi, arroccati attorno alle città della costa come Acri e Tiro, all’isola di Cipro ai castelli dei Templari e degli ospedalieri di San Giovanni: finché nel 1291, le truppe dei sultani mamelucchi d’Egitto non ebbero ragione anche di queste ultime resistenze. Soltanto Cipro restò crociata. Erano state vane, perciò, le numerose spedizioni crociate in soccorso della Terrasanta , nei secoli XII e XIII. Alcune di esse avevano avuto per capi i sovrani più illustri della cristianità: Federico barbarossa, Riccardo Cuor di Leone, Federico II, Luigi IX di Francia. Ma tutte erano fallite. Perché?
Le cause di tanti fallimenti sono complesse. Ma non bisogna dimenticare che i fronti crociati si erano ben presto moltiplicati. Non si andava a combattere “ per la croce” solo in Terrasanta. Vi erano le crociate contro i “mori” di Spagna e quelle contro i Pagani dell’area baltica, affidata ai Cavalieri Teutonici.
Nel 1202 una crociata diretta in Palestina , la quarta, secondo l’elencazione tradizionale, si trasformò in una spedizione contro Costantinopoli per iniziativa dei veneziani. Partiti per riconquistare il Santo Sepolcro, quei guerrieri abatterono invece l’impero bizantino, creando un impero latino che durò fino al 1261, trasformato in una colonia veneziana, e derubando i privati e le chiese, profanando monasteri, in una colossale ruberia. Gli uomini della croce avevano dunque  combattuto non più contro gli infedeli, ma contro i cristiani.
Tra il 1209 e il 1229 si era avuta la “ crociata degli Albigesi”, combattuta nel meridione della Francia contro i catari; infine alla crociata contro gli eretici si era aggiunta, nel corso del Duecento, la crociata contro gli scomunicati Ghibellini, i nemici politici del papato: contro federico II, contro Manfredi di Svevia, e ai tempi di Bonifacio VIII contro la famiglia Colonna e cosi via.
Si trattava di cristiani , anche se dichiarati “ peggiori dei musulmani” . Ma certo canonisti della Curia non avevano esitato a teorizzare in formule giuridiche quest’uso“ della croce contro i cristiani”.
I fatti erano gravi, poiché i crociati combattevano sulla base di un loro voto volontariamente espresso, che comportava anche il godimento di una serie di indulgenze spirituali. Mediante la dottrina della commutazione dei voti o del loro riscatto, anche pecuniario, chi avesse fatto voto di combattere contro gli infedeli poteva trovarsi comandato a combattere, sempre come crociato, altri cristiani. E così la crociata, nata come strumento di pace interna per la cristianità, diveniva ora strumento di divisione e di guerra. E questo non basta. La crociata costava, e il denaro per alimentarla veniva raccolto dalla Chiesa con tasse spesso sgraditissime (le cosiddette Decime) e con la richiesta di offerte in denaro sotto forma di elemosine, di acquisti di indulgenze, di lasciti testamentari. Un esercito di predicatori, di giuristi, di banchieri appaltatori del complesso sistema di riscossione di queste somme, provvedeva al funzionamento di quella grande macchina burocratico finanziaria  che era divenuta ormai la crociata. E le somme raccolte, a loro volta,venivano spesso stornate a scopi diversi da quelli per iquali erano state versate dai fedeli.
Cosicché presto nacque tra icristiani il sentimento “ anticrociato”  : “ Dio non lo vuole”, gridavano molte voci. Eranocontro la crociata i gruppi ereticali e pauperistici, in lotta contro la chiesa troppo ricca e mondana. C’era poi chi, come il calabrese Gioacchino da fiore (1130-1202) scorgeva si nei musulmani avanzanti una figura dell’Anticristo e un segno dei tempi, ma sosteneva nel contempo che il Signore era contrario alle crociate, tant’è vero che le faceva fallire. Secondo Gioacchino, e secondo autori di molti apocrifi che vanno sotto il suo nome, il papa avrebbe dovuto piuttosto piangere sulla perdita della sua Gerusalemme spirituale, la Chiesa, invece di preoccuparsi per la Gerusalemme terrena..
I Crociati visti dai Musulmani
Nel 1095 l’imperatore di Bisanzio Alessio Comneno, perduti i possedimenti asiatici invasi dai Turchi selgiukidi e temendo di dover perdere anche Costantinopoli, fece appello al papa Urbano II e tramite suo all’Europa. Il pontefice scorse l’occasione di poter riunire t le due chiese, quella occidentale e quella orientale, separatesi con lo scisma del 1504, per cui invitò alla guerra contro i musulmani diversi popoli europei, soprattutto i Franchi  e i Normanni.
Nella primavera del 1097, circa 150000 uomini iniziarono la prima crociata, sulla via delle precedenti transazioni commerciali, dando così inizio ad un flusso di invasioni del medio Orientepressoché ininterrotto, divisibile, anziché in numero di crociate, in tre periodi: 1097-1144, periodo di conquista; 1144-1291,reazione musulmana; 1187.1291 riconquista musulmana. Tutto ciò ebbe luogo soprattutto a causa della situazione politica verificatasi a quei tempi, quando “ancora accadde che mentre il regno divino era a Bagdad e grande era la forza dell’Egitto, nel mezzo si trovassero i più piccoli signori che, dipendendo dal sultano o dal re, da oriente o da occidente, erano in lotta fra di loro e senza importanza. Di questo profittarono i re di Inghilterra, di Francia e di germania, per calarsi come predoni a fare scorrerie, e i Franchi soprattutto dilapidavano vite e fortune, fornicatori e bugiardi e massimamente ignoranti come sono. Così nelle zone di confine sprovvedute di forze, per non pochi anni, i Franchi saccheggiarono e uccisero e depredarono a loro piacimento, fino a che un re, Salah ad-Din Yusuf, munificò come Hatim e glorioso come Cosroe, non prese la spada in mano e, sceso nel territorio, li ricacciò fin laddove erano venuti, pulendo la sozzura del loro ingombro e quelle terre dalla notte dell’ignoranza:”Quando comincia a soffiare l’alba potente della verità i demoni prendono la fuga da ogni religione”. Quando poi i Franchi tornarono, ma non più in un paese sprovvisto e diviso, ma nello stesso Egitto, come per iniziare una vera guerra, subito ne vennero ricacciati e il loro re Luigi fu fatto prigioniero. Perché non si addice ai tafani usi a molestare animali disturbare un uomo senza averne la vita recisa.
I crociati giunsero il 15 luglio 1099 a conquistare Gerusalemme. La biblioteca pubblica (che conteneva 38.400 libri d’ogni specie, mentre la più ricca d’Europa, quella Vaticana , ne possedeva soltanto 1400) e i laboratori di ricerca dell’Università (istituzione che l’Europa cristiana non possedeva ancora) vennero distrutti. Secondo matteo da Emessa, 65000 musulmani furono radunati nella moschea di al.Asqua e, nonostante le promesse, finirono trucidati. Lo storico Agilles scrisse che “ file di teste, di mani e di piedi si potevano vedere nelle piazze e nelle vie cittadine . Donne e bambini musulmani venivano violentati e poi uccisi, giacendo dovunque”.
Quando Saladino riconquistò la città, fece 37000 prigionieri. Abu Shamah scrisse che il re musulmano lasciò liberi i mille prigionieri più poveri; poi su richiesta del fratello, lasciò libere le donne, e su richiesta del Patriarca ne lasciò liberi altri diecimila. Poi, considerando che suo fratello ed il patriarca avevano compiuto la loro opera di carità, volle fare la sua, e liberò tutti gli altri, trattenendo soltanto ottocento signori, cui fece pagare un riscatto.
Differentemente si comportò Riccardo I detto Cuor di Leone quando, conquistata Akka, durante la terza crociata, chiese per il riscatto dei 2700 prigionieri della guarnigione 200.000 pezzi d’oro. A quanto scrisse benedetto da Peterborough, quando il riscatto arrivò, Riccardo fece tagliare la testa a tutti i prigionieri. Uno dei tanti episodi che contribuirono all’allontanamento dei musulmani dalle corti europee in Medio Oriente, mentre i signori Franchi, ad esempio quelli insediati a Kerak di Giordania, compivano vere razzie e piraterie nella zona del e nel Mar Rosso.
Usama ibn Munqidh (1095-1188) scrisse in una sua biografia : “ Presso i Franchi, che allah li mandi in malora, non vi è virtù umana che apprezzino, se non il gusto delle armi, e nessuno a maggior valore e altro grado se non i cavalieri, le uniche persone che valgono presso di loro. Quanto più il cavaliere è alto e slanciato, tanto più lo ammirano. E pensare che non sanno nemmeno leggere e scrivere” .  E in una lettera di Zahir al-Muktaby, semplice commerciante del tempo, si legge “ Ti avverto che i commercianti vecchi (i veneti) hanno interesse a comprare onestamente, ma non è così per i Franchi: mai pagheranno. Come nella nostra città tutti sanno scrivere (in arabo) e molti sanno il loro modo di scrivere, dei loro pochissimi sanno scrivere a loro modo, e nessuno al nostro. Non ne è venuto nessuno che abbia più di due libri, e sono libri religiosi, e non conoscono ancora la carta. Nessuno parla di filosofia, e pretendono di avere solo loro Dio; le scienze sono quasi ignorate, e dicono cose assurde su geografia e astronomia, come che la terra è piatta e la luna una palla di argento, vuota; al punto che per far di conto deve intervenire un arabo, o prendono lezioni da un maestro (arabo) per bambini.
Ma soprattutto non ti fidare per nulla della loro parola: giurano per Dio, e poi ti uccidono per toglierti la borsa, come se in Dio non credessero. Sono amici degli assassini Ismailiti, il che è tutto dire”.
-          Federico II di Svevia
Suo nonno era Federico Barbarossa. Suo padre l’imperatore tedesco Enrico VI e la madre era Costanza d’Altavilla, erede del regno normanno di Sicilia. Nato a Jesi il 26 dicembre 1194, perdette il padre a tre anni; la madre morta un anno dopo, lo lasciò  alla tutela di papa Innocenzo III. Ma la politica dei pontefici tendeva costantemente ad impedire che un solo sovrano regnasse sulla Germania e sull’Italia .
Mentre Federico,invece aveva ereditato, insieme il regno tedesco e quello siciliano. La sua avventura di ultimo grande imperatore medioevale e di primo statista moderno si è svolta dunque quasi tutta all’insegna di questo contrasto. Con spregiudicata abilità e capacità amministrativa, e con una fredda valutazione dei suoi rapporti con i pontefici successivi (Innocenzo III, Gregorio IX, Innocenzo IV), Federico riuscì  a regnare in Italia e in Germania, anche venendo meno spregiudicatamente alle promesse.
 A 18 ani, nel 1212, fu proclamato re di Germania, garantendo al papa che re di Sicilia sarebbe stato suo figlio Enrico, e che mai le due corone sarebbero state unite in una sola persona. Ottenuto così l’appoggio pontificio, sconfisse il suo rivale tedesco Ottone di Brunswick e, nel 1218, diede al figlio Enrico, già re di Sicilia, anche il titolo di re di Germania. Due anni dopo promettendo  di partire per la crociata, ottenne dal papa Onorio III l’incoronazione ad Imperatore.
In pratica , regnava lui dappertutto, ma si occupò principalmente del suo regno italiano, disunito e disorganizzato a causa dei feudatari e del clero, che avevano spogliato in governo centrale dei suoi poteri Egli diede allo stato un’amministrazione capillare e centralizzata, restaurando l’autorità della corona e facendo affluire nelle casse regie i redditi fiscali, indispensabili alla sua politica  di potenza.
Strumento di quest’azione rinnovatrice furono le leggi (principalmente le costituzioni melfitane  del 1231) l’abbattimento dei castelli feudali  e la creazione di un istema  militare regio, basato sulle fortezze dipendenti dalla corona , la più famosa delle quali è il bellissimo Castel del Monte.
Chiamarlo eretico, come fece anche Dante, è eccessivo. Certo era poco sensibile ai problemi religiosi. E la crociata, solennemente promessa, la fece solamente quando il papa Gregorio lo scomunicò, nel 1227. Crociata senza sangue, del resto : Federico, buon conoscitore della cultura araba e amico di potentati musulmani, ottenne a pagamento la consegna per dieci anni di Gerusalemme, Betlemme, Nazareth, Sidone e tre zone costiere.
 Era un trattato provvisorio, ma rappresentò l’ultimo successo occidentale in Terrasanta.
Durante questa crociata egli si incoronò re di Gerusalemme, sebbene ancora scomunicato, e accusato anche di relazioni adulterine con donne musulmane.
 Il papa dopo avere cercato di ostacolarne in Palestina il successo politico, fece attaccare militarmente il regno di Sicilia, ma poi dovette venire a patti con Federico, vittorioso sulle sue truppe.
 Con papa Gregorio fu un’altalena di tregue e di lotte, mentre in Italia settentrionale si svolgeva la lunga guerra di Federico II contro i Comuni.
 Egli voleva che le libere città continuassero a riconoscerlo come “ alto sovrano”, secondo la tradizione imperiale, e a versargli pesanti tributi.
 Ma i comuni, ormai, non riconoscevano più all’impero alcuna autorità. Così si batterono duramente contro Federico II, che era appoggiata da alcune potenti famiglie  signorili del settentrione d’Italia. Vittorioso contro i comuni  a Cortenuova (1237), e in lotta nuovamente contro il papa che aveva convocato un concilio per scomunicarlo Federico puntava ad estendere alla maggior parte della penisola  i sistemi di controllo amministrativo e fiscali già adottati nel suo regno del sud.
 Voleva essere il padrone dell’Italia non meno che della Germania, e questa scelta gli fu fatale: non era più il tempo della sottomissione, per i comuni, i quali batterono due volte l’esercito imperiale: prima sotto le mura di Parma e poi a Fossalta (1249) dove suo figlio Enzo cadde prigioniero dei bolognesi, che lo tennero in carcere fino alla morte.
 Dichiarato deposto dal trono già nel 1245  al Concilio di Lione, sotto Innocenzo IV, egli morì di dissenteria nel castello di Fiorentino, in Puglia, il 13 dicembre 1250, lasciando il potere imperiale estremamente indebolito in Germania. Ma è difficile dire se la sua morte sia stata il tramonto del vecchio sogno di restaurare l’impero, oppure il fallimento del prematuro tentativo di far nascere un moderno stato assoluto.
Certo, il suo stile di governo pone Federico II già fuori dal medioevo: la creazione di una sorte di Corte dei Conti, di rigidi monopoli sui prodotti essenziali, l’abolizione del diritto privato di bottino sulle navi trafugate, sono provvedimenti fortemente innovativi. E anche le sue inclinazioni culturali erano quello di un sovrano ormai “ diverso”.
Federico II, infatti, fu animatore della scuola poetica siciliana, sui modelli provenzali, e poeta egli stesso, sebbene di non grande levatura.
 Protesse e aiutò filosofi e naturalisti come Michele Scoto, Aldobrandino da Siena, Leonardo da Pisa, Giovanni Ruffo, e promosse una politica culturale che favoriva principalmente le scienze sperimentali, l’astrologia e gli studi di diritto, che gli servivano per crearsi una classe dirigente tecnicamente preparata.
L’università di Napoli fu fondata da lui e la scuola medica di Salerno conobbe un periodo di rinascita per il suo interessamento.





GLI EVENTI:

Prima Crociata (1095-1099)
Promossa da Papa Urbano II e conclusa con la presa di Gerusalemme nell’estate del 1099 e la creazione di vari stati cristiani d’oriente.

Seconda Crociata (1147-1149)
Indetta da Papa Eugenio III e predicata da Bernardo da Bernardo di Chiaravalle dopo la riconquista musulmana di Emessa. Comandata dall’Imperatore Corrado III e dal re di Francia Luigi VII, si sciolse dopo il fallito attacco a Damasco. Quarant’anni dopo (1187) Saladino rioccupò Gerusalemme.


Terza Crociata (1189-1197)
Comandanti: l’imperatore Federico Barbarossa, il re di Francia Filippo II Augusto, il re d’Inghilterra Riccardo Cuor di leone. Scopo riconquistare Gerusalemme. Barbarossa annegò in un fiume dell’Asia minore nel 1190, gli altri due sovrani litigarono e Filippo Augusto tornò in Francia. Riccardo concluse con Saladino un accordo che consentiva ai pellegrini cristiani di visitare la città Santa.

Quarta Crociata (1202-1204)
Promossa da papa Inoccenzo III, fu monopolizzata da Venezia, che la deviò su Costantinopoli: i Crociati saccheggiarono la metropoli, abbattendo l’impero bizantino e creando “ Impero latino” con Baldovino di Fiandra come imperatore. Questo stato fu abbattuto nel 1261 dalla riscossa bizantina aiutata dai genovesi.

Quinta Crociata (1217-1221)
Bandita ancora da Innocenzo III e realizzata sotto il suo successore Onorio III, mirava ad attaccare prima l’Egitto, passando poi in Palestina. Occupata Damietta, i crociati  dovettero poi sgomberarla per potersi ritirare, e la spedizione finì. Vi partecipò anche, disarmato, San Francesco d’Assisi .

Sesta Crociata (1228-1229)
Fu intrapresa, dopo lunghe esitazioni, dell’imperatore Federico II che allora era scomunicato. Federico II ottenne per mezzo di trattati Gerusalemme, Betlemme, Nazareth e altre località, e si auto incoronò re di Gerusalemme. Stipulò una treua di dieci anni, al termine della quale i Cristiani furono sconfitti a Gaza.

Settima Crociata (1248-1254)
Comandata da Luigi IX di Francia, cominciò con un attacco all’Egitto e con la presa di Damietta . Ma a Mansurah i crociati furono battuti e Luigi IX fatto prigioniero: poté rientrare in Francia soltanto restituendo Damietta e pagando un forte riscatto.

Ottava Crociata (1270)
Ancora Luigi IX cercò di aiutare il pericolante  “regno latino” con una nuova spedizione. Egli sbarcò dapprima a Tunisi, dove sperava di trovare aiuti contro l’Egitto. Ma in questa città morì di peste e la sciolse.


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Commento:

Anche qui c’è poco da commentare, basta leggere i fatti e gli antefatti per esprimere un giudizio del tutto negativo sull’operato dei vari papi succedutisi nell’epoca delle otto crociate. Per tutto questo ci sarà chi dovrà giudicare e credo sarà un giudizio molto severo e pesante.
Certo il contesto nel quale è accaduto tutto ciò non possiamo giudicarlo con la mentalità dell’era moderna, non sarebbe obbiettivo, ma soprattutto non sarebbe reale.
Credo sinceramente che la chiesa avrà molto da farsi perdonare per tutto ciò, ma essa essendo fatta da uomini, soggetti a sbagliare , dovrà procedere nel futuro avendo ben presente gli Evangeli ed i loro contenuto. Li dentro non si parla di guerre, di sopraffazioni, di potere temporale.
Mi sembra che da qualche parte ci sia scritto “ Dai a Cesare quello che è di Cesare ed a Dio quello che è di Dio “.
Detto questo, e concludo, capisco che è difficile porgere l’altra guancia a chi ci offende, ma almeno proviamoci.

Evy