geronimo

venerdì 23 febbraio 2018

Mahabharata


Esiste un antico poema indiano , Mahabharata, nel quale appare istruttivo il dialogo fra il guerriero Arjuna, l’eroe del poema,  e Krishna, suo amico e consigliere. Siamo alla vigilia della grande battaglia di Kurukshetra, località vicina a Delhi. La conversazione verte sui doveri degli esseri umani in generale e di Arjuna in particolare e vede i due personaggi sostenere concezioni radicalmente opposte.
Arjuna esprime le sue profonde perplessità sul fatto di prendere parte alla battaglia, non ha dubbi che si tratti di una guerra giusta ed è convinto che la sua fazione sia la più forte. A turbarlo è il fatto che in questa battaglia dovrà uccidere un gran numero di persone e che sarà una carneficina. Aggiunge inoltre che forse sarebbe meglio non combattere e dare all’avversario quello che lui richiede ( territorio proprio)
Krishna si oppone e la sua risposta si concentra sull’importanza di fare il proprio dovere, senza guardare alle conseguenze. Cioè combattere senza guardare gli esiti dello scontro. Questa sua posizione derivava dal volere difendere il regno dal nemico invasore……………..
Poema scritto nel VII- VI secolo a.C.

Il 16 luglio 1945 Julius Robert Oppenheimer , responsabile dell’equipe americana che durante la seconda guerra mondiale mise a punto la bomba atomica, quando constatò la forza spaventosa della prima esplosione nucleare realizzata dall’uomo citò le parole pronunciate da Krishna, nella Mahabharata, per giustificare il proprio impegno tecnico professionale a dotare di una bomba quella che era chiaramente la parte giusta in quei giorni. Oppenheimer, il fisico, segui il consiglio che Arjuna, il guerriero, aveva ricevuto da Krishna circa il dovere di servire la giusta causa con le armi. Più tardi sollevando dubbi sul proprio contributo alla creazione della bomba, lo scienziato avrebbe considerato a posteriori le circostanze: “ Quando sei alle prese con qualcosa di tecnicamente allettante, vai avanti e lo realizzi. Ti interroghi su ciò che hai fatto solo dopo che hai centrato il tuo obbiettivo tecnico”.


Nonostante il dovere di andare avanti Oppenheimer avrebbe dovuto riflettere anche sui timori di Arjuna , anziché lasciarsi affascinare solo dalle parole di Krishna. Come è pensabile che da un tale massacro possa venire qualcosa di buono? E perché dovrei limitarmi a fare il mio dovere di fisico, senza tenere conto di tutte le conseguenze inclusa la morte e la desolazione che le mie azioni causeranno?
Ecco perché quando si realizza una azione bisogna sempre pensare alle conseguenze prima che la predetta avvenga. Ma insieme allo scienziato era dovere del governo Americano riflettere su ciò che sarebbe potuto avvenire. Chi ha in mano il potere ha sempre degli obblighi verso i popoli della terra.


venerdì 9 febbraio 2018

L'idea di Giustizia 2


“A nessuno venderemo, a nessuno negheremo o ritarderemo il diritto e la giustizia              



6)
L’imperatore indiano Asòka (III secolo a. C.) autore di epigrafi dedicate alla condotta buona e giusta, incise su tavole di pietra e cippi disseminati all’interno ed all’esterno del paese, che parla appunto del rapporto fra i due concetti:
Asoka si esprime contro l’intolleranza e invita a comprendere che anche quando una scuola religiosa o politica si trova in conflitto con le altre, queste devono essere trattate con il dovuto onore, in ogni modo e in tutte le occasioni.
Tra le ragioni che porta a fondamento della sua esortazione c’è la considerazione, di notevole rilevanza epistemica , che le scuole degli altri sono sempre per una ragione o per l’altra, degne di rispetto. Ma Asòka va oltre, aggiungendo: “ Colui che tiene il bene della propria scuola, ma per cieco attaccamento a essa nutre disprezzo per le scuole altrui, con tale comportamento non fa in realtà che recare alla propria scuola il peggior danno possibile”.
In questo modo Asòka intende chiaramente indicare il fatto che l’intolleranza verso le convinzioni e le religioni altrui non favorisce la giustezza delle proprie idee politico religiose. Il comportamento che ne consegue può essere definito “ non buono” e “non intelligente”.
7)
Nella sua riflessione  sulla giustizia sociale Asòka non si ferma alla convinzione che migliorare il benessere e la libertà del popolo sia uno dei compiti importanti dello Stato e dei membri di una società; considera anche l’idea che lo sviluppo sociale si possa promuovere attraverso l’impegno dei cittadini a seguire una buona condotta, senza che diventi necessario obbligarli a farlo
Asòka (Imperatore Indiano del III secolo a.C.)
8)
Le disuguaglianze sociali ed economiche devono soddisfare due condizioni: primo, devono essere associate a cariche e posizioni aperte a tutti in condizioni di equa uguaglianza delle opportunità; secondo, devono dare il massimo beneficio ai membri meno avvantaggiati della società.
9)
Le persone ragionevoli non sono mosse dal bene generale in quanto tale, ma desiderano (come fine in sé) un mondo sociale nel quale possano cooperare da individui liberi e uguali con altre persone, a condizioni accettabili per tutti; e vogliono fermamente che in questo modo ci sia reciprocità, e che ognuno ne benefici insieme agli altri.
Una persona è invece irragionevole (sotto lo stesso aspetto di base)  quando desidera impegnarsi in sistemi cooperativi ma non è disposta a onorare o anche solo a proporre (se non come indispensabile finzione pubblica) alcun principio o criterio generale che specifichi equi termini di cooperazione. Simili persone sono pronte a violare questi termini ogni volta che ne hanno la convenienza e che le circostanze glielo consentano.

 Alessandro Magno , quando invase l’India (325 a.C.) ,In un confronto dialettico con filosofi giainisti chiese perché si rifiutassero di dedicargli attenzione. La sua domanda ricevette una risposta d’intonazione democratica:
“ O re Alessandro, a ogni uomo può possedere tanta parte della faccia della terra quanta è questa su cui stiamo. Non sei che un uomo come noi, salvo che tu sei sempre indaffarato, ma per cose da cui non viene alcun bene e, lontano tante miglia dalla patria, rechi disturbo a te stesso e agli altri …. Presto sarai morto, e allora possiederai solo quel tanto di terra che basterà a seppellirti”.

L'idea della GIUSTIZIA


1)
Nulla è tanto acutamente percepito quanto l’ingiustizia.
2)                              
In una società l’idea di equità precede quella di giustizia e le facoltà morali delle persone, in riferimento alla loro capacità di provare il senso di giustizia e di formarsi un concetto del bene, rimangono relegate ai propri interessi personali.
Gli esseri umani non guardano che all’interesse personale  e non mostrano alcuna capacità di concepire le idee di equità e di giustizia, ne alcuna inclinazione verso di esse. Si sarà equi solo quando  smetteremo di anteporre l’interesse personale a quello di tutta la comunità nella quale viviamo.
3)
La libertà, tra l’altro concorre con altri fattori a determinare il vantaggio complessivo della persona, quindi va inclusa nei beni primari. L’eliminazione della povertà, misurata in termini della privazione dei beni primari, deve essere alla base di qualsiasi società civile. Ma l’eliminazione della povertà deve essere nei fatti non solo nei principi. Se riusciremo a non pensare solo a noi stessi e ci convincessimo che la società è formata da una comunità di esseri umani  che si riconoscono nei valori di civiltà, di giustizia e di Libertà, avremmo effettivamente contribuito a formare una società giusta nella quale ci si possa riconoscere a pieno titolo.
4)                                                                  
In una società civile si parla di identificare “istituzioni giuste”, dimenticandosi che prima bisogna formare “società giuste” che facciano assegnamento su istituzioni efficaci e si misurino con i comportamenti effettivi. D’altronde sappiamo quanto sia difficile presumere che in tutti i membri di una società germogli spontaneamente una condotta in tutto ragionevole. Quindi è attraverso il dialogo ed il confronto delle idee fra i membri di una società che si arriverà a concordare delle sintesi che potranno concorrere alla formazione di una società giusta.


COSA E' LA DEMOCRAZIA


Cosa è la Democrazia?

Democrazia è una forma di governo in cui la sovranità risiede nel popolo che, o esercita direttamente i suoi poteri (Democrazia Diretta), o per mezzo delle persone e degli organi che elegge per rappresentarlo, ovvero un corpo politico rappresentativo come parlamento, assemblea, camera (Democrazia rappresentativa). Secondo questa definizione, quasi tutti gli stati contemporanei, non escluse le defunte democrazie socialista e i regimi autoritari, dovrebbero essere considerati democratici.
Una definizione più ristretta e rigorosa prevede che i sistemi rappresentativi siano elettivi e basati sul suffragio universale (con il solo vincolo di età minimi per l' elettorato). Anche questa caratteristica però non è sufficiente. Secondo un' opinione più diffusa, perchè un regime politico possa essere definito democratico, deve basarsi, oltre che sul vincolo delle elezioni universali, su alcune condizioni formali e materiali: la divisione tra potere legislativo, esecutivo e giudiziario (già enunciata da Montesquieu), il ricambio e la possibilità di revoca dell' esecutivo, la collegialità del governo, il primato del potere civile su quello militare. Questa definizione permette di escludere dal novero delle democrazie non solo i regimi assoluti, tipici dell' età prerivoluzionaria e oggi presenti in qualche monarchia o regime dinastico del terzo mondo, ma anche forma di dittatura come quella fondata sul potere assoluto di un Führer, Duce o Caudillo, che pure, in termini formali si basavano su costituzioni che prevedevano qualche forma di sistema rappresentativo.
Anche in queste restrizioni, il termine democrazia designa più una costellazione o famiglia di sistemi politici che non un ambito rigorosamente delimitato (per esempio la IV Repubblica Francese, fondata dal generale De Gaulle con un colpo di stato costituzionale ra democratica di fatto, mentre il primo governo Hitler che sopprimeva la repubblica di Weimar si era insediato in seguito a procedure formalmente democratiche).
Una via per sciogliere la complessità del termine è risalire alle sue origini. Sotto ogni punto di vista la patria del concetto è l' Atene "democratica" del VI eV secolo a.C., ma la prima che effettivamente ci sia nota è quella che sorse nel corso del VII secolo a Chio, ed è, per quanto ci consti, la prima volta in cui il popolo ebbe il riconoscimento degli attributi della sovranità.Solone, nella creazione degli ordinamenti ateniesi, ebbe presente il modello della costituzione di Chio.
Secondo le definizioni più o meno neutrali di Aristotele e quelle più polemiche di Platone, del sofista Trasimaco e dell' oligarca noto come pseudo-Senofonte, la democrazia ateniese era caratterizzata dal coinvogimento dei dêmoi nella gestione del potere politico.
Benchè dêmos indicasse in origine ogni distretto (urbano o rurale) in cui era suddivisa Atene, in seguito, con la riforma antioligarchica di Clistene, il termine indicò genericamente "il popolo che agisce congiuntamente". Con Clistene, la partecipazione dei cittadini alle deliberazioni dell' assemblea ateniese e alle funzioni esecutive divenne indipendente dal censo. Così, benchè dalla democrazia fossero esclusi gli schiavi e gli stranieri, Atene realizzo il primo esempio storico di partecipazione politica estesa ai ceti meno abbienti (come i contadini poveri, i marinai della flotta). Nel momento di massimo sviluppo i cittadini attivi di Atene non superarono i 40-50.000. La democrazia era perciò una forma di democrazia diretta in cui era possibile, in ogni momento della giornata udire la voce dell' araldo che chiamava i cittadini alle pubbliche deliberazioni. 
Poichè è principio necessario che tutti abbiano uguale diritto di voto nella democrazia, la maggioranza è sovrana.Principi fondamentali sono l' isonomia, la libertà, l' isocrazia e l' isegoria. Per l' isonomia la legge è uguale per tutti; la libertà è condizione necessaria e scopo della democrazia; l' isocrazia e l' isegoria ("eguaglianza di potere" e "libertà di parola") variamente intese nei tempi, sono i mezzi per la realizzazione del governo democratico.
Scomparso in epoca romana, feudale e assolutistica, il termine democrazia rinacque con la Rivoluzione francese e con l' ala più estrema dei rivoluzionari, i giacobini. Il comune di Parigi che, fino alla caduta di Robespierre, rappresentava la democrazia diretta del popolo parigino rispetto a quella elettiva della convenzione, costituisce una sorta di riattualizzazione dell' antica pólis ateniese.Si deve notare tuttavia che il termine democrazia non giocò un ruolo decisivo nei dibattiti dottrinari della Rivoluzione francese, e neppure di quella americana, che pure, date le caratteristiche straordinarie della nuova repubblica, realizzò la prima forma veramente moderna di democrazia.
E' stato A. de Tocqueville, con la sua grande opera sulla rivoluzione americana (La Democrazia in America, 1835-40), a iniziare il dibattito moderno sulla democrazia. Per lui il vero marchio democratico della società americana risiedeva non solo nella costituzione federale, ma soprattutto nel vasto associazionismo politico, che realizzava una partecipazione diffusa dei cittadini agli affari di interesse comune. Già in questa opera Tocqueville prevedeva una decandenza degli interessi politici, e quindi dell' autentica democrazia politica americana, in favore di quelli strettamente economici.
Per Tocqueville, il passaggio del potere dalle mani dell' aristocrazia a quelle del "terzo stato" era una tendenza di fondo delle società moderne, ed era già in gran parte realizzato anche in Inghilterra e in Francia, nella quale ricevette l' ultima sanzione con l' ascesa al potere di Luigi Filippo d' Orléans. Tutti i paesi precedentemente nominati potevano essere definiti società "democratiche", in quanto in esse il potere non è più nelle mani dell' aristocrazia. Questo però non le rendeva esenti dal rischio di governi autoritari. Anzi, alcui aspetti delle società moderne, in particolare il centralismo amministrativo e la cura esclusiva del proprio interesse particolare da parte dei cittadini, come accennato precedentemente, favoriscono questa degenerazione, realizzando il paradosso di "società democratiche ma non libere": "La frenesia di arricchire a qualunque costo, la passione degli affari e del lucro, la ricerca del benessere e dei godimenti materiali sono le passioni più comuni e diffuse. Esse dilagano facilmente in tutte le classi, (...) perverrebbero in breve tempo a snervare e degradare l' intera nazione, se nulla intervenisse per raffrenarle. 
Orbene, è appunto nella peculiare essenza del dispotismo il favorirle e l' estenderle. Quelle passioni debilitanti gli giovano: esse sviano la mente degli uomini dagli affari pubblici e la tengono occupata altrove, cosicchè essi tremano al solo pensiero delle rivoluzioni. Il solo dispotismo può propiziare per essi quel segreto e quell' ombra che mettono a loro agio le cupidigie, e consentono di inseguire illeciti lucri senza timore di disonorarsi. Senz' esso, siffatte passioni sarebbero state forti; con esso, trionfano.
La libertà sola, per contro, può efficacemente combattere in simili società i vizi che sono ad esse connaturali, e frenarle sulla china dove tendono a scivolare. Essa soltanto, invero, può sottrarre i cittadini all' isolamento dovuto alle loro stesse condizioni di vita, per costringersi a riaccostarsi l' uno all' altro; essa sola li anima, li mette diuturnamente in contatto con la necessità di concentrarsi, di persuadersi, di reciprocamente giovarsi della pratica dei comuni affari. Essa soltanto è in grado di strapparli al culto dell' oro e alle meschine faccende giornaliere dei loro affari privati, per farlo sentire e vedere, in ogni momento, la circostante e sovrastante presenza della patria; essa soltanto può sostituire di tempo in tempo all' amore del benessere passioni più energiche e alte, offrire all' ambizione scopi maggiori che non quello di far quattrini, creare la luce che permette di scorgere e giudicare i vizi e le virtù degli uomini.
Le società democratiche, ma non libere, possono essere ricche, raffinate, ornate, anche magnifiche, potenti per il peso della loro massa omogenea; vi si possono ritrovare doti individuali, buoni padri di famiglia, onesti commercianti, e proprietari stimabilissimi; vi si troveranno pure dei buoni cristiani [...]; ma ciò che non si vedrà mai, oso affermarlo, in simili società, sono i grandi cittadini, e soprattutto un grande popolo; né temo di asserire che il comune livello delle menti e degli animi mai non s' arresterà nel suo abbassamento, fino a che l' uguaglianza e il dispotismo andranno assieme congiunti."
Dopo Tocqueville, il dibattito non ha più riguardato tanto l' essenza filosofico-politica della democrazia, ma le forme giuridiche e le condizioni materiali che consentono ai sistemi politici di salvaguardare i principi costituzionali e democratici formulati da Montesquieu e da Tocqueville e, al tempo stesso, la necessità di razionalizzare le decisioni, e quindi la produttività politica dei sistemi.
Con l' eccezione di pensatori isolati (come Hannah Arendt), il dibattito sulla democrazia include sempre più spesso problemi pratico-dinamicicome il mutamento, il consenso, il ricambio delle élites, le procedure decisionali, e sempre meno la natura della democrazia diretta; oppure il concetto di "democrazia internazionale" che si riferisce alla democrazia come oggetto di rilevanza e interesse internazionali o planetari e la democratizzazione dei rapporti internazionali.