geronimo

martedì 12 novembre 2013

IL CONFINE DEI DUE GONFALONI

IL CONFINE DEI DUE GONFALONI:
Proprio al'inizio di via Sant'Agostino, quasi di fronte alla piazza Santo spirito, sul muro di sinistra, a circa due metri e mezzo dal suolo, si può notare un bassorilievo di forma rettangolare in pessimo stato di conservazione.
Guardando più attentamente si può notare che il rettangolo in realtà è formato da due quadrati che racchiudono altrettante immagini.
La pietra serena è fortemente corrosa ma, con un po d'attenzione, si possono identificare nelle immagini le forme di un drago e di una sferza, cioè di una frusta a cinque strisce di  cuoio con alla fine dei pallini di piombo (l'antico flagellum romano).
Si tratta dell'unico esempio ancora esistente a Firenze delle insegne di confine tra due dei quattro Gonfaloni del Quartiere dei Bianchi di Santo Spirito.
Ognuno dei quartieri della città era diviso in quattro territori, chiamati Gonfaloni, che permettevano un ulteriore e sistematico controllo dal punto di vista militare, amministrativo e fiscale.
I Gonfaloni di Firenze corrispondevano nella loro funzione esattamente alle contrade di Siena.
Il Quartiere di Santa Maria Novella aveva come Gonfalone : Lion Bianco (zona di SantaMaria Novella), Lion Rosso (San pancrazio- Santa Trinita), Vipera (Santi Apostoli) e Unicorno (Ognissanti).
- San Giovanni: Chiavi (San Marco-Santissima Annunziata), Vaio (Santa maria del Fiore), Drago Verde (Santa maria maggiore) e Lion D'Oro (San Lorenzo).
- Santa Croce: Bue (Santa croce), Lion nero (San Remigio), Ruote Sant'Ambrogio) e Carro (Orsammichele- Palazzo Vecchio).
Infine Santo Spirito presentava: Nicchio (San Jacopo-Santa felicita), Scala (San Niccolò), Sferza (Santo Spirito) e Drago (San Frediano).

VIA DEI MALCONTENTI

VIA  DEI  MALCONTENTI
Anticamente le strade e le piazze di Firenze prendevano il nome prevalentemente dalle famiglie che vi avevano costruito le proprie case (via Strozzi, via dé Pucci, piazza Peruzzi, via Cerretani, via Guicciardini ecc.) oppure delle arti e mestieri che vi venivano esercitati (via Calzaioli, via dé Conciatori, piazza dell'Oglio, via degli Speziali, via delle Belle Donne ecc.).
Altre volte i nomi prendevano spunto da alcune particolarità come oggetti, insegne o personaggi che vi si trovavano (via del proconsolo, via delle Oche, via delle Caldaie, via del Guanto Bianco ecc.)
"Via dei Malcontenti" rappresenta invece un caso del tutto particolare; non esisteva infatti alcuna famiglia con quel nome, tantomeno si potevano ipotizzare arti o mestieri che potessero giustificare una simile denominazione ed in quel tratto di strada non esistevano neppure particolari curiosi.
Il fatto è che quella strada faceva parte dell'itinerario attraverso il quale venivano condotti all'esecuzione i condannati a morte; i lamenti, i pianti e le imprecazioni di questo disgraziati avevano fatto nascere nel cuore dei fiorentini quel singolare appellativo... "i malcontenti" che poi identificò l'intera strada.
Le esecuzioni capitali venivano eseguite generalmente al di fuori della cinta muraria; i condannati venivano fatti salire in catene su di un carro quando lasciavano le prigioni del Bargello, poi venivano condotti lungo via dell'Anguillara. piazza Santa Croce e via di San Giuseppe, qui venivano fatti scendere per ricevere gli ultimi sacramenti nella Cappella della Compagnia dei Neri, quindi venivano portati fuori le mura attraverso una porta secondaria detta appunto " Porta della Giustizia" per raggiungere la forca che si trovava in prossimità della Torre della Zecca.
L'ultimo tratto di via di San Giuseppe, proprio quella tra la Cappella dei Neri e la porta della Giustizia ha preso il nome di Via dei Malcontenti.

venerdì 8 novembre 2013

I POVERI RIDOTTI AL LUMICINO

I poveri ridotti al lumicino
Nella piazzetta di San Martino, accanto alla porta dell'omonima cappella di San Martino del Vescovo (all'interno affreschi della scuola del Ghirlandaio) è visibile una cassetta in pietra serena, proprio sotto il tabernacolo, dove venivano raccolte le "limosine per li poveri verghognosi", come recita una scritta.
I poveri vergognosi erano tutte quelle persone che, per vari motivi, non avevano piacere di far conoscere la propria situazione e che, per questo motivo, si vergognavano a chiedere l'elemosina per le strade o davanti alle chiese.
Si trattava in prevalenza di vedove che dovevano mantenere i propri figli oppure di nobili decaduti, di politici in disgrazia o ancora di persone anziane che non riuscivano a sopravvivere con i propri mezzi di sostentamento.
Per tutte queste persone curava la raccolta delle offerte la Compagnia dei Buonuomini (ancora oggi si definisce "buonuomo" una persona sensibile ed altruista), fondata da Sant'Antonino Perozzi, Vescovo di Firenze, i cui confraterni provvedevano a raccogliere quanto era stato elemosinato e ad suddivederlo fra tutti i poveri vergognosi, il tutto nel massimo riserbo.
Quando la cassetta delle "limosine" era vuota, i Buonuomini avevano escogitato un singolare sistema per avvertire la popolazione che.... c'era bisogno di aiuto: accendevano un cero davanti all'immagine di San Martino.
Da questo episodio deriva il detto "essere ridotti al lumicino" per indicare una situazione di estrema indigenza.

USCIO E BOTTEGA

USCIO E BOTTEGA
Le antiche botteghe fiorentine si ispiravano nella tradizione e nella forma alle ancor più arcaiche botteghe dell'antica Roma, proprio come possiamo ancora ancora oggi vedere a Pompei.
Sotto un grande arco nella parete dell'edificio, si affacciava "il bancone", dove veniva venduta la merce e dove venivano effettuate le trattative di compravendita.
La merce si trovava all'interno della bottega e non sempre il cliente veniva fatto entrare dentro il locale; questo avveniva solamente quando si dovevano esaminare attentamente delle stoffe, oppure analizzare degli intagli dei mobili o ancora accertarsi del taglio di pietre preziose o del raffinato lavoro degli orafi.
Nella maggior parte dei casi la compravendita avveniva con il bottegaio al di qua del bancone mentre il cliente restava al di là , cioè fuori, sulla pubblica via.
Accanto al bancone c'era l'entrata del negozio, che poteva essere laterale (di solito sulla sinistra) oppure centrale; in questo caso i banconi diventavano due, uno alla destra e l'altro alla sinistra dell'uscio.
Ma questa entrata corrispondeva anche all'ingresso della abitazione del bottegaio; la casa si trovava spesso sul retro della bottega e si affacciava sulle strade laterali.
Quindi l'uscio di casa corrispondeva all'ingresso della bottega, da cui il detto "uscio e bottega" proprio per significare che era tutt'uno.

giovedì 7 novembre 2013

lA PORTICINA SEGRETA

La porticina segreta.
In via della Ninna, così chiamata perché c'era un antico tabernacolo con la Madonna che faceva la "ninna nanna" al Bambinello, lungo la fiancata di Palazzo Vecchio, passa solitamente inosservata una piccola porta di legno massiccio , piuttosto bassa, con una spessa cornice in pietra.
In tempi moderni la porta è rimasta sempre chiusa e, per quanto ne sappiamo, anche in passato doveva restare quasi sempre chiusa; doveva cioè aprirsi  solo in rarissime  e particolari occasioni.
Da una parete del primo piano del palazzo si apre un piccolo passaggio completamente mimetizzato con l'arredamento della stanza; da questa apertura si accede ad una ripida scaletta di legno che conduce direttamente alla porta di via della Ninna.
Si tratta quindi di una vera e propria porta segreta che poteva permettere una rapida e sicura fuga da Palazzo Vecchio.
La porta ed il relativo passaggio vennero fatti costruire nel 1343 da Gualtiero di Brenne, Duca d'Atene, odiatissimo tiranno che governò Firenze per soli dieci mesi prima di essere cacciato dal popolo fiorentino.
Proprio quella porta gli salvò la vita.

SAN GIOVANNI NON VUOLE INGANNI

San Giovanni un vole inganni!!!!
L'arte del cambio era una delle sette arti maggiori a Firenze. Il lavoro dei Mercanti del Cambio, gli attuali banchieri, sostanzialmente si divideva in due attività: il presto e il cambio.
Il presto consisteva nel prestito di somme di denaro da restituire in un tempo determinato con l'aggiunta di interessi preventivamente concordati.
Famosa a tal proposito era la ricchissima famiglia Stozzi, i cui componenti, abili e senza troppi scrupoli, si resero celebri proprio a causa degli altissimi interessi che pretendevano in cambio di somme di denaro.
Il popolo fiorentino, giocando sul nome della famiglia e sul senso di soffocamento che gli alti interessi provocavano, aveva coniato il termine "strozzino".
Il cambio consisteva invece nella trasformazione delle varie monete "straniere" in quella fiorentina, vale a dire il "fiorino" .
Per poter compiere correttamente questa operazione i banchieri effettuavano una caratteristica operazione: battevano le monete da cambiare su di un tavolo di marmo per poterne sentire il suono e per poterne valutare l'autenticità.
Il tavolo di marmo si chiamava "banco" e proprio da questo nome è derivato il termine moderno di "banca" che poi si è esteso in tutto il mondo nelle diverse espressioni ( baca, banco,bank, banque) per identificare un istituto bancario.
L'unica moneta che non veniva mai "battuta sul banco" era proprio il fiorino; non ce n'era bisogno, la moneta era talmente solida e affidabile che rappresentava il maggior elemento di scambio in Europa.
Il fiorino aveva su un lato l'immagine del giglio fiorentino e sull'altro l'immagine del protettore della città : San Giovanni e proprio per questo motivo deriva il detto " San Giovanni non vuole inganni".
Il fiorino d'oro era ovviamente quello più prezioso, ma spesso usciva dalla zecca fiorentina con delle piccole ma preziose imperfezioni.
Il bordo non era completamente liscio come nelle monete odierne, ma presentava delle piccole scaglie d'oro che restavano attaccate ai bordi delle monete.
Per questo motivo i fiorentini  che avevano la fortuna di entrare in possesso di fiorini d'oro, grattavano queste piccole liste per impossessarsi delle minuscole particelle d'oro.
Da qui il verbo "grattare" nel senso di rubare, sottrarre, impossessarsi con astuzia o dolo.

martedì 5 novembre 2013

VIA DELLE BRACHE

VIA DELLE BRACHE
Nell'antica Firenze i nomi delle strade e delle piazze prendevano origine dalle cause più diverse. Come già descritto alle strade fiorentine venivano attribuiti nomi di famiglie, di mestieri, di edifici importanti, di insegne delle botteghe e così via.
"Via delle Brache" è compresa tra Piazza dé Peruzzi  e via dé Neri. L'origine del suo nome è di difficile comprensione; non esisteva infatti alcuna famiglia con quel singolare appellativo, ne esistevano insegne che ostentassero quel particolare simbolo.
Si potrebbe immaginare l'ipotesi del lavoro , cioè in quella via si producessero brache, mutandoni, calzamaglie ed ogni genere di calzoni e pantaloni dell'epoca.
Niente di tutto questo; il fatto è che via delle Brache è particolarmente stretta, presenta muri piuttosto alti, è disposta da nord a sud e offre nei mesi estivi e caldi una costante e refrigerante ombreggiatura.
Per questo motivo le donne del rione erano solite ogni giorno portarsi da casa panchetti e seggiole impagliate ed i propri lavori manuali e sedersi ai bordi della via per operare all'ombra ed al fresco.
Per passare il tempo e per interrompere la monotonia del lavoro le donne erano solite "bracare" tra di loro, cioè parlare, sparlare, chiacchierare, ciaccolare, spettegolare.......da cui il nome della via: VIA DELLE BRACHE.

I SEGNALI DI MEZZERIA DEL CALCIO STORICO

I segnali di mezzeria del calcio storico
Il luogo abituale nel quale venivano disputate le partite di calcio storico era Piazza Santa Croce.
Memorabile resta ancora la partita che si disputò tra le squadre dei Bianchi e dei Verdi nel 1530, in spregio al nemico, durante l'assedio della città da parte dell'esercito imperiale di Carlo V; addirittura si dice che alcuni musici suonassero chiarine, pifferi e tamburi da un terrazzino sul campanile della chiesa per essere uditi in modo migliore dal nemico.
Sul lato sinistro della piazza, guardando la facciata della chiesa, è affissa ad una certa altezza una piccola rondella divisa in quattro pezzature bianche e rosse; nella parte diametralmente opposta, sotto gli sporti dell'affrescato palazzo degli Antellesi c'è un disco marmoreo datato 10 febbraio 1565.
Queste due insegne rappresentavano la mezzeria del campo di gioco ed il " pallaio", dopo essersi accertato che la disposizione dei calcianti in campo fosse regolare , " rincontro al segno di marmo giustamente batte la palla" : era il segnale di inizio della partita!
Ancora oggi il calcio storico viene giocato da quattro squadre che rappresentano i quartieri storici in cui era suddivisa amministrativamente la città: Santa Maria Novella (Rossi), San Giovanni (Verdi), Santa Croce (Azzurri), e Santo Spirito (Bianchi) ; vengono effettuate due semifinali e le vincenti giocano la finale nella quale viene posta in palio una vitella.
Ogni squadra è composta da ventisette calcianti che hanno ben precise disposizioni in campo: " datori indietro" (portieri), "datori innanzi" (difensori) , "sconciatori" (centrocampisti)  e " corridori" (attaccanti); si gioca su di un campo rettangolare ricoperto di rena, la partita ha la durata di cinquanta minuti ed il gioco consiste nel gettare con qualunque mezzo la palla nella rete (caccia) alta circa un metro e lunga tutta la lunghezza del lato minore del recinto.
Ad ogni "caccia" si cambia campo, ogni tiro che sorvoli la porta comporta "mezza caccia" in favore dei difensori mentre ogni tiro deviato oltre la propria porta comporta una "mezza caccia" per gli attaccanti.

IL GOL DELLA BANDIERA

Il gol della Bandiera
In piazza Santa Croce veniva preparato ogni anno, nel periodo di San Giovanni il campo di gioco del calcio storico.
Venivano montate le fiancate in legno ricoperte da un drappo color rosso vermiglio che delimitavano i bordi del campo di gioco, venivano montate le reti lungo i due lati minori del campo dove doveva essere depositata la palla per "marcare la caccia", veniva ricoperto tutto il terreno di gioco da una spessa quantità di sabbia sulla quale "i calcianti" davano il massimo di se stessi per cinquanta minuti fino allo stremo delle forze per l'onore del proprio quartiere.
Sull'angolo del campo che volgeva verso la Cappella dei Pazzi, proprio alla estrema destra della facciata della chiesa, venivano issate due lunghe pertiche, ben visibili da tutta la piazza e quindi da tutto il pubblico e dai giocatori in campo.
Su questi altissimi pali venivano alzate, nel corso della partita, delle piccole bandiere con i colori delle due squadre in campo. Lo scopo di quei drappi era quello di segnare i punti effettuati nel corso del gioco: bandiera quadrata per segnalare la "caccia", bandiera triangolare per la "mezza caccia" .
Quindi tutti potevano facilmente calcolare il punteggio della partita in tempo reale: per esempio quattro bandiere quadrate ed una triangolare di colore azzurro da una parte e due quadrate e due triangolari di colore verde dall'altra volevano dire che Santa Croce stava vincendo su San Giovanni per quattro cacce e mezzo contro tre cacce.
Il problema sorgeva quando, verso la fine della partita, una delle aste era carica di bandiere mentre l'altra era drammaticamente vuota: nessuna caccia o mezza caxxia per uno dei due quartieri!
La situazione appariva deprimente ed anche infamante per la parte che non aveva marcato ed allora quei calcianti davano il massimo per riuscire a fare issare almeno una bandiera su quella maledetta asta.
Se ci riuscivano almeno l'onore era salvato e quel drappo con i propri colori veniva chiamato "il punto della bandiera".
Ancora oggi, nella trasposizione del moderno gioco del calcio, l'unica rete segnata in una partita ormai persa si chiama " il gol della bandiera".

LO ZOCCOLO RIATTACCATO

Lo Zoccolo riattaccato
Viveva a Firenze un giovane di nome Michele che divideva il suo tempo fra lavoro ed opere di bene; possedeva una stalla con alcuni cavalli ed un magazzino adibito a deposito del grano.
Ogni giorno Michele con suo padre trasportava sui cavalli il grano che gli veniva consegnato dai cittadini e lo faceva macinare nei mulini che si trovavano sulle rive dell'Arno.
A sera rientrava per riconsegnare la farina ai clienti e poi si dedicava con passione ed amore ad opere di umanità: soccorreva i mendicanti, visitava anziani ed infermi, aiutava le famiglie bisognose.
Michele era talmente amato dal popolo del Sestiere di Porta Santa Maria per la sua bontà che veniva paragonato ad un santo, al punto da venire chiamato "San Michele".
Per questo motivo la sua casa ed i campi che la circondavano erano chiamati "gli orti di San Michele".
Ma un giorno improvvisamente Michele morì lasciando nel dolore e nella costernazione la sua famiglia e tutto il popolo del quartiere.
Dal quel giorno Michele apparve diverse volte in sogno al padre al quale chiedeva con insistenza la stessa cosa: che venisse  fatta costruire una cappella negli orti della loro casa.
Nel frattempo si verificarono strani fenomeni nella stalla: al mattino infatti i cavalli venivano trovati puliti e strigliati e le mangiatoie piene di fieno.
Michele continuava a ripetere nei sogni del padre quella sua richiesta, ma questi non si decideva ami ad esaudire il desiderio del figlio.
Un giorno uno dei cavalli si azzoppò e venne chiamato il maniscalco per controllare la ferratura dell'animale; l'uomo tolse il ferro, prese la zampa ma lo zoccolo, tra lo stupore generale, si staccò dall'arto senza una goccia di sangue e gli rimase in mano.
Il cavallo con un balzo improvviso accostò il moncherino allo zoccolo e questo si riattaccò miracolosamente tanto che l'animale riprese tranquillamente a camminare nella stalla.
I presenti si resero conto di avere assistito ad un miracolo operato da Michele e conservarono quel ferro di cavallo come portafortuna.
Il vecchio padre si decise così a far costruire nel punto esatto dove si era verificato il miracolo una cappella che prese il nome di "San Michele in Orto", poi cambiato in " Orti di San Michele" ed infine di "Orsanmichele" .
Questa è la leggenda che racconta la nascita della chiesa di Orsanmichele e questa storia può essere ammirata in via Lamberti, in un bassorilievo che si trova sotto il tabernacolo dell'Arte dei fabbri e maniscalchi eseguito da Nanni di Banco.

sabato 2 novembre 2013

L'ACCULATA DELLA LOGGIA DEL PORCELLINO

L'ACCULATA DELLA LOGGIA DEL PORCELLINO
Sul pavimento del Mercato Nuovo, proprio al centro della cosiddetta "Loggia del Porcellino" fatta costruire dal Buontalenti, si trova un disco di marmo bianco e verde che riproduce a grandezza naturale una ruota dell'antico Carroccio.
In quel luogo nel Medioevo sostava l'antico Carroccio, simbolo della Repubblica e della Libertà; era proprio attorno al Carroccio che si riunivano le truppe fiorentine prima della battaglia, al suono della " martinella", la piccola campana che chiamava in adunanza i soldati.
Proprio in quel luogo, così caro ai fiorentini e così ricco di significati storici, veniva eseguita una delle più umilianti ed infamanti pene che i giudici del Bargello potessero comminare: la famigerata "acculata".
La pena era espressamente prevista per i falliti, i frodatori, i debitori ed i falsari e siccome la loggia era comunemente adibita a mercato e quindi sempre piena di folla, la risonanza in tutta la città erta ancora maggiore.
I condannati venivano tradotti dalle guardie del Bargello  sul luogo della sentenza nell'ora di maggiore affluenza di pubblico, venivano denudati sul fondo schiena, sollevati per le braccia e le gambe e....."ostentando pubenda et percutiendo lapidem culo nudo"....veniva loro fatto battere più volte il sedere nudo su quella pietra che, per questo motivo, veniva chiamata " la pietra dello scandalo".
Tutta la scena si svolgeva ovviamente tra la curiosità, lo scherno e la derisione di mercanti, venditori, clienti e curiosi.
Le conseguenze della pena erano micidiali: i condannati che avevano dovuto subire un'acculata, per la vergogna e l'umiliazione erano costretti a cambiare mestiere, traslocare in un altro quartiere o addirittura lasciare la città.
Da questa singolare condanna derivano anche due detti popolari: il primo "essere con il culo per terra" è rivolto a chi è ridotto economicamente allo stremo, mentre il secondo "essere sculati" o avere "sculo" si riferisce a chi è particolarmente sfortunato ho ha subito qualcosa di particolarmente spiacevole.

IL PALAGIO DI PARTE GUELFA

Costruito intorno al 300, il Palagio di Parte Guelfa è stato sede del partito politico dei Guelfi fiorentini sia durante la guerra contro i Ghibellini sia in epoca successiva e per questo motivo ne ha conservato il nome.
A Firenze si usa spesso il termine "Parte" per indicare una fazione, un gruppo, un movimento, una corrente anche non politica.
Si usa comunemente dire "la parte Guelfa" e la "parte Ghibellina" oppure "Guelfi di parte bianca" e " Guelfi di parte nera", o anche nel calcio storico " calcianti di parte rossa" o di " parte azzurra" o più genericamente "la parte avversa".
Il motivo deriva da verbo "partire" che in Toscana non ha solamente il significato di " allontanarsi, andarsene, avviarsi" ma anche quello di "tagliare" o "separare".
Nella Firenze antica ma anche nelle campagne toscane del nostro tempo si possono ascoltare frasi del tipo: " ho da partire i' pane" oppure "partimi du' fette di presciutto".
In senso lato dunque il termine "parte" deriva direttamente dal verbo partire cioè tagliare e perciò quando si indica per esempio la " parte Guelfa" si vuol significare quella fetta di popolo che si identifica con i guelfi, come se idealmente si "tagliasse" e si separasse dal resto  della popolazione una fetta di persone che appartengono ad un medesimo gruppo, corrente o ideologia.
Da questo principio e forse proprio dal Palagio di Parte Guelfa ha preso origine il termine moderno di "Partito Politico" oggi comunemente diffuso.

Confucianesimo

CONFUCIANESIMO

Il Confucianesimo è la dottrina di Confucio e dei suoi seguaci che ha dominato per oltre duemila anni la vita etica, politica e religiosa della Cina, in quanto prescriveva i riti di stato della casa imperiale, come pure il culto degli antenati della famiglia e forniva sia il codice pubblico di comportamento (che i regnanti della Cina e i loro funzionari dovevano rispettare), sia il codice privato della vita familiare.
Confucio è il nome latinizzato di Kung Fu Tse (maestro Kung), nato nel 551 a.C. a Lu, l'odierna Qufu, nello Shandong. Figlio di un funzionario statale in pensione (di famiglia quindi povera ma aristocratica), dovette affrontare non poche difficoltà materiali. Aspirando alla vita politica attiva, egli divenne prima prefetto, poi intendente ai lavori pubblici, infine ministro della giustizia, cercando di riorganizzare, sulla base di norme e ideali di tipo feudale e pre-feudale, l'amministrazione dello Stato (il Chou orientale, che stimava per la raffinatezza della sua civiltà e perché aveva conservato e perfezionato i riti delle due dinastie precedenti).
Più probabilmente però il Confucio storico, insegnante e letterato è stato fatto ministro e saggio con un seguito di cinquemila seguaci, riverito da tutti, soltanto da una tradizione posteriore. Di sicuro egli passò molti anni da uno Stato all'altro offrendo collaborazione e competenza ai sovrani più illuminati. E comunque i suoi tentativi di mediazione politico-filosofica fallirono abbastanza miseramente, in quanto risultava impossibile conciliare gli ideali pre-feudali (ad es. di benevolenza e pietà filiale) con quelli tipici della sua epoca, dominata da forti contrasti territoriali e politici.
Confucio visse in un periodo di transizione, caratterizzato dallo smembramento del regno dei Chou orientali in diversi Stati feudali decentrati. Egli cercò di frenare il processo di disgregazione in atto, ribadendo i principi del tradizionale sistema gerarchico-patriarcale dei Chou, ovvero cercando di democratizzarli o di umanizzarli al massimo (ad es. egli disse: "Il Cielo parteggia solo per colui che è riverente; il popolo ama solo colui che è benevolente; gli spiriti accettano solo i sacrifici di colui che è sincero"), ma non trovò l'appoggio né dei principi feudali, né del re Chou, che se in teoria poteva sostenere le sue idee, in pratica non aveva la forza per applicarle.
Il regno dei Chou orientali infatti fu incapace di adeguarsi alle esigenze di autonomia e di protagonismo sociale che manifestavano le nuove classi di proprietari fondiari: capi militari e funzionari statali, che non ricevevano più la terra in eredità ma come donazione da parte dei governatori del regno per i servizi prestati (senza che si consultasse la volontà del re), oppure i mercanti, che erano già in grado di comprarsela.
Ecco perché, dopo aver costatato l'indifferenza se non l'ostilità di diversi sovrani, Confucio decise di ritirarsi a vita privata, dedicandosi completamente, e fino alla morte (479 a.C.), allo studio dei testi classici degli antichi saggi cinesi e all'insegnamento.
Pare sia stato uno dei primi insegnanti professionisti della Cina, avendo fondato a Lu la prima scuola privata, che impartiva nozioni, a pagamento, su cose pratiche e su come governare: essa era aperta anche ai figli di artigiani, commercianti e contadini, un'innovazione clamorosa per la sua epoca. Egli diceva infatti che "il diritto di governare non l'hanno i nobili di nascita, ma soltanto chi ha capacità e nobile comportamento".
L'estrema fiducia nei mezzi della persuasione ragionata portò Confucio e molti suoi discepoli, per non pochi secoli, a disprezzare l'attività militare, determinando così la debolezza della Cina di fronte alle invasioni dei mongoli. In politica interna essi affermavano che per riunificare il Paese e instaurare la pace occorreva soltanto l'esempio di uno Stato ben governato. Di fronte a tale esempio le altre popolazioni si sarebbero ribellate ai loro governanti per unirsi a questo Stato. I confuciani erano infatti convinti che "il popolo ha ogni diritto di ribellarsi a un cattivo governo". Molti di loro pagarono con la vita l'opposizione all'imperatore (il grande storico Suma-Chien fu condannato all'evirazione). Ancora due millenni dopo, nel 1911, i rivoluzionari cinesi che rovesciarono l'impero e instaurarono la democrazia si richiamarono proprio alla teoria confuciana del diritto di ribellione.
Un episodio della biografia di Confucio narra che quando egli fu ministro della giustizia, fece demolire i baluardi fortificati delle tre più potenti famiglia dello Stato Lu. Una di queste però si oppose costringendolo a espatriare per ben 14 anni.
L'insegnamento di Confucio fu preservato dai suoi discepoli (alcuni dei quali, peraltro, raggiunsero posti di rilievo nell'amministrazione dello Stato feudale), nei "Colloqui", una raccolta non sistematica di brevi aneddoti e detti, fatta molti anni dopo la sua morte. I testi canonici, cioè i Quattro libri (intellettualmente più evoluti) e i Cinque canoni, hanno poco di religioso: si tratta piuttosto di regole per l'agire pratico (personale, familiare, sociale e politico-amministrativo). E' una sorta di filosofia del vivere civile, con risvolti che potremmo definire di tipo religioso. Non ci sono tuttavia rivelazioni, dogmi, sacramenti, miracoli, cosmogonie e apocalissi.
Lo studio del Confucianesimo venne proibito durante la dinastia Qin (221-206 a.C.), che seguì a quella Chou. Unificando i vari Stati esistenti e proclamandosi per la prima volta nella storia cinese, imperatore, il sovrano Cheng iniziò un movimento irreversibile di identificazione nazionale, comportandosi in maniera ostile nei confronti della tradizione confuciana, ritenuta troppo compromessa col feudalesimo del periodo precedente (nel 213 a.C. ordinò addirittura il rogo dei libri confuciani). Ma la dinastia successiva degli Han (202 a.C.- 220 d.C.) restaurò le tradizioni confuciane, tanto che nel 59 d.C. l'imperatore Ming-Ti ordinò gli inizi di un culto a favore di Confucio. Da allora e sino agli inizi del XX sec. la sua popolarità non conobbe declini, nemmeno in presenza del buddismo.
* * *
La religione di Confucio non è una fede che dipende da una "rivelazione", ma è piuttosto una filosofia esistenziale: non ci sono dogmi né clero (nel senso di una casta sacerdotale professionale, in quanto l'esecuzione dei riti era generalmente affidata a funzionari statali e capifamiglia). Essere virtuosi, per Confucio, significa avere autocontrollo, moderazione e saper agire con giustizia, a imitazione degli antichi, che non avevano leggi esteriori costrittive e che consideravano l'amore per il prossimo non un semplice dovere ma un'esigenza vitale. Prima di ricercare dio (che coincide col "cielo"), l'uomo deve conseguire questi prerequisiti umani attraverso l'educazione e l'autoeducazione. A chi gli chiedeva di parlargli dell'aldilà, Confucio rispose: "Non abbiamo ancora imparato a conoscere la vita, come potremo conoscere la morte?".
In queste parole si riassume l'atteggiamento non solo dei confuciani ma anche dei cinesi di fronte a quei problemi che ogni chiesa o confessione considera tipici della personalità religiosa. I cinesi hanno più interesse per la vita pratica che non per il futuro dell'anima. L'idea di dio per loro equivale a quella di natura e nella storia religiosa della Cina non vi sono mai stati grandi apostoli, martiri o redentori. Anche i capi religiosi furono pochissimi. Confucio, ad es., non era una figura monastica: amava suonare il liuto, cantare in coro, andare a caccia e a pesca. D'altra parte nessun cinese si è mai sentito esclusivamente confuciano, buddista o taoista. Tutte e tre le religioni, infatti, insegnano che l'uomo, all'origine, è buono e che può raggiungere la salvezza attraverso la conoscenza della natura umana.
Il primo ambito sociale in cui l'uomo impara ad essere autentico, secondo Confucio, è la famiglia. Il figlio apprende la pietà filiale: deve al padre rispetto e sostegno nella vecchiaia, mentre il padre gli assicura protezione e lo aiuta a formarsi.
Il secondo ambito è la società civile, ove si apprendono e si applicano la giustizia, l'altruismo, la compassione e soprattutto la benevolenza (che sta alla base di tutte le virtù).
Il terzo livello è quello dello Stato, ove i sudditi (specie i funzionari statali) sono tenuti alla lealtà-fedeltà, a condizione naturalmente che il sovrano governi con virtù e non con lassismo e corruzione o tramite la rigorosa applicazione delle leggi. Confucio era favorevole a una monarchia patriarcale, feudale e gerarchica.
In pratica i confuciani concepivano lo Stato come una grande famiglia al cui vertice stava il re ("mandato dal cielo"), mentre più in basso tutti osservavano i diritti-doveri della loro condizione sociale, secondo un codice prestabilito che regola i rapporti tra signore e vassallo, tra padre e figlio, tra il primogenito e gli altri fratelli, tra marito e moglie, tra amici e compagni.
In effetti il Confucianesimo si prestava molto ad essere utilizzato come una religione di stato. Esso equiparava il sovrano al sommo sacerdote in grado di governare per il "mandato ricevuto dal cielo": mandato revocabile ogniqualvolta il sovrano spezza l'armonia fra ordine sociale e naturale. E' il sovrano che promulga ogni anno il calendario dei doveri civili e rituali.
Significativo il fatto che questa dottrina, raccolta in diversi libri e rielaborata dai suoi discepoli, fu alla base degli esami con cui si selezionarono i funzionari statali dal 1313 al 1905.
I due concetti-chiave del Confucianesimo sono il rito e la benevolenza: entrambi presuppongono il retto agire e il buon governo. I "riti" sono la forma dell'agire, la "benevolenza" ne è il contenuto. Il rito dipende dalla benevolenza: senza questa diventa formale, vuoto, falso.
Il rito più importante è il culto degli antenati, che è in verità la fonte di tutte le religioni cinesi. Questo culto venne introdotto all'inizio della dinastia Chou (1122-256 a.C.) e Confucio non fece altro che divulgarlo. Ai suoi tempi gli antenati non erano più divinizzati, ma semplicemente venerati. Il culto era eseguito dai capifamiglia (o dai capi-clan). A fondamento del culto sta la pietà filiale prolungata oltre la morte. Il fine è quello di mantenere viva la coscienza di appartenere a un gruppo molto più vasto di quello che si vive sulla terra.
Ogni famiglia aveva un proprio tempio (ogni gruppo familiare uno per il capostipite, e così via, sino agli antenati dell'imperatore). Al suo interno vi erano delle tavolette geroglificate, conservate in piccole teche: ognuna di esse rappresentava un antenato. Le cerimonie venivano compiute in momenti particolari (nascita, morte, matrimonio, ecc.), oppure quando si doveva chiedere consiglio-assistenza per poter prendere importanti decisioni.
A Confucio non interessava tanto il rapporto degli uomini con le anime di questi defunti (non esiste nel canone una "teologia dell'aldilà"), quanto il fatto che in tal modo l'unità della famiglia (e quindi della nazione) restava salvaguardato. Il rito doveva servire per tenere unita la famiglia, la società e lo Stato: doveva insomma dare agli uomini il senso di appartenere a una collettività molto vasta, forte e compatta, insegnando loro le virtù.
Ancora oggi i funerali cinesi sono molto meticolosi e ritualizzati, ma non lugubri. Sulla tavoletta, di solito, viene incollata la foto del defunto e scritto il nome con l'indicazione dell'età e dello status sociale che aveva avuto in vita. I cibi, offerti in maniera simbolica, vengono consumati dagli stessi donatori in un secondo momento. Non mancano corone di fiori, incenso, candele, lanterne di carta e rozzi sai con cappuccio indossati dai parenti del defunto.
Per i confuciani, una persona quando muore ha l'anima che si separa in tre parti: una sale in cielo, la seconda rimane nella tomba per ricevere sacrifici e offerte di cibo, la terza viene localizzata nella tavoletta del tempio. Quest'anima può trasformarsi in uno spirito buono o cattivo: la sua sorte è decisa dal suo passato e dalla sollecitudine con cui i parenti ne onorano la memoria. Quindi più sontuose sono le cerimonie funebri e i riti commemorativi e più aumentano le probabilità ch'egli divenga uno spirito buono e di conseguenza benefico per i vivi. Probabilmente anche questa particolare e molto sentita venerazione ha impedito il diffondersi del cristianesimo in Cina. Il regime comunista permette solo le feste principali: Capodanno (con la famosa processione del drago, considerato simbolo benefico), le Barche del Drago, l'Ottava Luna. E' a Singapore, Hong Kong e Formosa che si può assistere alle feste più colorite e festose. Il rito per i confuciani è così importante che ancora oggi non disdegnano quelli di origine taoista e buddista.
Sul piano dei valori il concetto fondamentale promosso da Confucio è quello di benevolenza, paragonabile al concetto di "amore". La famosa massima evangelica "non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te" era stata detta da Confucio cinque secoli prima. Né gli era sconosciuto il concetto di "amore universale" (il principio è: "considera tutti come fratelli") e di giusto mezzo (secondo cui per cercare di realizzare un ideale bisogna scendere a leciti compromessi). Politicamente egli concepiva il sovrano ideale come un individuo virtuoso e benevolo, liberale nell'accordare i benefici e cauto nell'applicare i castighi.
L'aspetto più negativo della dottrina confuciana è senza dubbio la sua concezione della donna, considerata di molto inferiore all'uomo. Il confucianesimo tolse alla donna cinese la superiorità che le restava nella vita familiare e praticamente la "seppellì" nel puritanesimo dell'epoca manciù (XVIII sec.). Ancora oggi la cerimonia nuziale e la vita coniugale risentono di questa forte discriminazione.
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Dopo la morte di Confucio e con la definitiva disgregazione dello Stato Chou, i discepoli si divisero in due gruppi, preoccupati di trovare una definizione etica e normativa della morale che fosse valida in sé e per sé, e anche per rispondere alle forti critiche del filosofo progressista Mo Ti, che rifletteva l'ideologia dei contadini, dei piccoli artigiani e commercianti oppressi. Mencio (372-287 a.C.) razionalizzò l'insegnamento di Confucio sulla "benevolenza" (o bontà di cuore) e sull'importanza dei valori morali nella società, dando così inizio a una disputa che avrebbe occupato i pensatori confuciani per diversi secoli. Mencio infatti sosteneva come norma della moralità la natura umana, che è fondamentalmente buona, per cui alla vita morale occorreva soltanto un processo di autoperfezionamento. Qui il discorso religioso diventa più esplicito, poiché il tentativo è quello di mostrare come il dio-cielo (concepito come forza morale) si rapporta all'uomo e lo aiuta a realizzarsi.
Xunzi (298-238 a.C.), che è il terzo fondatore del Confucianesimo, sosteneva invece che la natura umana è incline al male e solo attraverso un'educazione imposta dall'esterno, essa può vivere pacificamente e con dignità. Da notare che fu soprattutto Xunzi a sviluppare il lato pratico della religione confuciana con la sua dottrina dell'azione rituale. Confucio si era soffermato soprattutto sull'esigenza di vivere la vita con umanità e di preservare i riti tradizionali. Xunzi formalizzò e codificò questa prassi, introducendo nuovi riti, i quali, peraltro, essendo prevalentemente dei sacrifici ufficiali statali, erano poco sentiti dal popolo.
Dong Zhong-Shu (197-104 a.C.) riuscì a far adottare il Confucianesimo come religione di stato sotto la dinastia degli Han (136 a.C.). Fece questo a prezzo di forti concessioni e con molto eclettismo: ad es. esaltò il ruolo del re abbassando quello del popolo (il re non è più "mandato dal cielo" e quindi revocabile, ma "esecutore del cielo", per cui la volontà dell'uno è sempre conforme a quella dell'altro). Naturalmente Dong preferiva la scuola di Xunzi. E grazie a lui si svilupparono notevolmente la burocrazia imperiale e la meritocrazia, cui il sistema degli esami per il mandarinato diede forte impulso. Sotto questa dinastia, il confucianesimo si arricchì di una cosmologia e di una metafisica, basata sul dualismo di yin (principio femminile, ombra, freddo, riposo, passività, terra) e yang (principio maschile, luce, calore, energia, attività, aggressività, cielo).
Con l'avvento della dinastia Sung (960-1279 d.C.) il pensiero confuciano entrò nella sua nuova e ultima fase di elaborazione. A partire dal XII sec. sorge praticamente il "neo-Confucianesimo", in direzione del panteismo e sotto l'influenza del Taoismo e del Buddismo. La prima scuola, detta "della ragione", dà una certa importanza alla materialità della vita, sostenendo che le contraddizioni pratiche possono pregiudicare seriamente la felicità dell'uomo, per cui il loro esame è indispensabile per modificare la realtà. Tuttavia, non ponendo la materia a fondamento dell'essere ma un'astratta legge o regola universale, questa scuola non determinò un nuovo interesse per l'osservazione scientifica. La preoccupazione fondamentale fu quella di studiare la storia passata e i testi classici, considerati depositari del modello ideale del "buon governo". La seconda scuola, detta "della mente" (che raggiunse il suo apice nei secoli XV e XVI), fu molto più idealista, in quanto sosteneva una stretta identità di essere e coscienza a partire dalla coscienza, per cui la felicità e la conoscenza dell'uomo dipendevano unicamente dalla introspezione e dalla illuminazione intuitiva.
L' impostazione del Confucianesimo data da Dong rimase praticamente invariata sino al 1905. Poi il culto statale venne riorganizzato nel 1907 e soppresso nel 1912. Durante la "rivoluzione culturale" maoista ci si scagliò contro il Confucianesimo in quanto tale, senza distinguere le idee originarie del fondatore da quelle, di alcuni suoi seguaci, che poi risultarono dominanti. Una campagna anti-Confucio è stata condotta anche nel 1973: sotto accusa furono quegli insegnanti che si servivano di metodi autoritari. La casa di Confucio venne saccheggiata dalle "guardie rosse": le preziose edizioni di antichi testi confuciani conservate nella biblioteca, la statua di Confucio, quelle dei suoi quattro discepoli e seguaci più celebri, i vasi sacrificali, gli antichi strumenti musicali, fra i quali il liuto: tutto andò distrutto. Poco dopo la morte di Mao, la città natale di Confucio è stata riaperta ai turisti cinesi e dal 1979 anche agli stranieri.
Oggi in Cina il culto è seguito da circa 200 milioni di persone: dal 1984 la ricorrenza della data di nascita di Confucio si celebra con grande solennità. Sua è una delle sentenze adottate dal PCC: "Che importa se il gatto è bianco o nero, purché acchiappi i topi". Al di fuori della Cina, il Confucianesimo si è sviluppato soprattutto in Corea: al Nord vi sono 7 milioni di seguaci, al Sud 2 milioni. In Giappone si diffuse a partire dal XV sec., dove sussiste ancora oggi sotto forma di dottrina filosofica tradizionale. Per effetto dell'immigrazione cinese, il confucianesimo si è diffuso anche in Vietnam, Thailandia, Filippine, Indonesia, Malesia, ecc., raggiungendo la cifra di circa 300 milioni di fedeli.


Divinità Greche e Romane

LA RELIGIONE DEGLI ANTICHI GRECI E ROMANI

Ai tempi dei Greci e dei Romani il mondo era affollato di Dei. Le gesta e le storie delle divinità greche erano raccontate dalla mitologia, patrimonio prima orale poi scritto. Ogni Dio o Dea aveva specifiche “aree di intervento” ed era immaginato con caratteristiche umane, compresi i pregi e i difetti.
Uomini protagonisti. Per i Greci, racconti, leggende e poemi epici (come l’iliade e l’odissea) narrano fatti realmente accaduti. I Romani avevano proprie divinità arcaiche già prima di venire in contatto con la cultura greca, ma non avevano leggende che ne narrassero le imprese. La mitologia romana aveva al centro degli uomini (uomini come Romolo e Remo, che fondarono Roma in seguito all’intervento divino). Così , in alcuni casi, le divinità “ trasmigrarono” dall’una all’altra cultura cambiando nome ma mantenendo le stesse funzioni (per esempio, l’Ares greco corrisponde al Marte romano), in altri si sovrapposero a funzioni esistenti, sostituendole.

DIVINITA’ GRECHE

ADE : Dio degli inferi, fratello di Zeus e Poseidone.
AFRODITE: dea dell’amore e della bellezza.
ALFITO: dea seminatrice del grano bianco.
APOLLO: divinità tra le più importanti, patrono della poesia e dio del sole.
ARES: presiedeva agli aspetti più cruenti della guerra.
ARTEMIDE: dea della caccia , della selvaggina e dei boschi; divinità lunare.
ASKLEPIO: figlio di Apollo , dio della medicina.
ASTREA: simbolo della giustizia ; abbandonò la terra per vivere tra le stelle.
ATENA: figlia di Zeus: sue sono la saggezza e le virtù nobili della guerra.
CARITI: Aglaia, Eufrosine,, Talia dee della bellezza e forze della vegetazione.
DEMETRA: dea delle messi e della fertilità.
DIONISO: dio del vino e dell’ebbrezza.

DIVINITA’ FLUVIALI E MARINE: Acheloo, Alfeo, Glauco,Nereo, Proteo,, Tritone.
DEI dei VENTI: Borea (vento del nord), Zefiro (ponente).

EBE: dea della giovinezza.
ECATE: governa la luna e la notte.
EFESTO: dio del fuoco e dei metalli, era zoppo e deforme.
ENIO: divinità femminile associata alla guerra.
EOLO: re dei venti , era al pari degli dei.
EOS: dea dell’aurora
ESPERIDI: ninfe del tramonto , figlie della notte.
ERA: moglie di Zeus regina degli dei e dea del matrimonio .
ERINNI o EUMENIDI: dee della vendetta con l’aspetto di cagne
ERIS: dea della discordia accendeva liti e conflitti.
ERMES: messaggero degli dei , viveva sull’olimpo.
EROS: dio dell’amore , figlio di Afrodite.
ESTIA: era la dea del focolare.
GEA o GAIA : titano femmina , impersona la terra.
ILIZIA: divinità che presiede al parto.
IMENE: protegge il matrimonio e ne apre il corteo.
IRIS messaggera degli dei, cammina sull’arcobaleno.
METI: figlia del Titano , Oceano , il suo nome significa prudenza e pure perfidia.
MNEMOSINE:: dea della memoria , madre delle muse.

MOIRE: Cloto,Lachesi e Atropo, personificazione del destino personale.

MUSE: patrone delle arti. Erano nove: Calliope (lettere), Clio (storia), Erato (poesia storica), Euterpe (musica) , Melpomene (tragedia), Polimnia (poesia religiosa) , Talia (commedia) , Tersicore ( danza) , Urania (astronomia).

NIKE:dea personificazione della vittoria.
ORE: “portinaie” dell’Olimpo e dee delle stagioni
PAN: dio dei pastori, metà uomo e metà caprone.
PERSEFONE: regina della morte.
PLUTO: dio della ricchezza è raffigurato obeso bendato e zoppo.
POSEIDONE: dio del mare, divinità.dell’olimpo.
PRIAPO: dotato di enormi genitali , dominava la fertilità
SELENE: dea della luna, inseguiva il carro solare.
TANATOS: dio che personifica la morte.
TICHE: dea nelle cui mani era la prosperità delle città e degli stati.

TITANI E TITANIDI: divinità giganti e dalla forza enorme, erano figli di Urano  e Gaia (sei maschi e sei femmine  tra cui Atlante,Crono, Elio e Tei).

URANO: dio primordiale , padre dei Titani.
ZEUS:dio del cielo e del tuono, re e padre degli dei dell’olimpo.


DIVINITA’  ROMANE
ANNA PERENNA : antica dea, presiedeva al perpetuarsi del corso degli anni.
APOLLO: dio delle arti e della salute, poi anche del sole.
BACCO: dio del vino, corrispettivo romano di Dionisio(greco).
BELLONA: moglie di marte e dea della guerra
BONA DEA: antica dea, il suo culto era esclusivamente delle donne.
CAMENE: divinità , ninfe delle sorgenti.
CARMENTE: dea che presiedeva alle gravidanze  e alle nascite.
CERENE: divinità della terra e della fertilità, rappresentata con una corona di spighe sul capo.
CONCORDIA: spirito che incarnava l’armonia della comunità.
CONSO: dio legato al mondo sotterraneo e alla fetilità.
CUPIDO: raffigura come un fanciullo alato regolava erotismo, amore e bellezza.
DIANA: dea delle selve, protettrice delle fiere, custode delle fonti; poi anche dea della caccia.
DIS PATER: divinità degli inferi.
EPONA: dea dei cavalli e dei muli, dispensatrice di fertilità.
ESCULAPIO: corrispettivo del greco Asklepio, era il dio della medicina
FABOLINUS: divinità minore che vigilava sui bambini.
FALACER: dio arcaico legato alla vita dei pastori.
FAUNO: divinità con corpo di uomo , zampe e corna di capra, proteggeva boschi e campagne.
FERONIA: dea dei boschi, ma anche dei malati e degli schiavi.
FLORA: regolava la fioritura  dei cereali e delle altre pinate utili all’alimentazione.
FONS o FONTUS: signore delle fonti, figlio di un dio e di una ninfa.
FORTUNA: dea del caso e del destino, in senso positivo.

FURIE: Aletto,Megerae Tisifone, dee della vendetta (corrispondenti alle Erinni).
GIANO: divinità bifronte , sovraintendeva agli inizi materiali e immateriali.
GIOVE: corrispettivo di Zeus, è il padre e il re di tutti gli dei e gli uomini . E’ raffigurato con un fulmine nella mano destra. Con Giunone  e Minerva forma la triade Capitolina.
GIUNONE: legata al ciclo lunare regola i matrimoni e i parti.
GIUTURNA: ninfa delle fonti.
GRAZIE: corrispettivo delle Cariti greche, legate alla bellezza della natura.
LARI: spiriti degli antenati proteggevano la famiglia.
LIBER: dio della fecondità, del vino e dei vizi; le feste a lui dedicate erano i Liberalia
LUPERCO: divinità pastorale invocato per la fertilità e la protezione delle greggi.
MAIA: dea della fecondità presiedeva al risveglio della natura.
MARTE: in origine dio del tuono e della pioggia, poi anche della guerra.
MERCURIO: dio del commercio e degli scambi e dei ladri; il suo nome deriva da “ mercante”.
MINERVA: dea della guerra e protettrice degli artigiani regolava anche le attività intellettuali ; ha inventato la musiica.
MITRA: divinità persiana, il suo culto è legato al sole e agli equinozi.
NETTUNO: dio delle acque correnti , regolava i flussi; poi anche dio del mare; al suo fianco la moglie nettunia:
OPI: dea che proteggeva il grano una volta mietuto e riposto nei granai.
PALE: dea del bestiame e della pastorizia.
PENATI: spiriti protettori della casa e dello stato.
POMONA: dea dei frutti che crescono sugli alberi, degli olivi e delle viti.
PORTUNO: divinità dei porti e delle porte ; presiedeva agli attraversamenti , era ritratto con le chiavi in mano.
PRIAPO: dio della fetilità  e del vigore sessuale maschile; il suo culto era legato al mondo agricolo e alla pastorizia.
PROSERPINA: dea agreste e regina degli inferi, seguiva l’alternarsi delle stagioni.
ROBIGUS: divinità che proteggeva il grano dalla ruggine” malattia che rovina i raccolti.
RUMINA: dea protettrice delle donne che allattavano
SATURNO: dio dell’agricoltura dispensava ricchezza fecondità e abbondanza.
SILVANO: divinità della natura selvaggia, il suo culto era riservata agli uomini.

SOL INVICTUS: culto di origine orientale , il dio , omologo di Elio, era unione di tre divinità (Eliogabalo,Mitra e Sol) la festa si celebrava il 25 dicembre.

TIBERINO: divinità della natura legata al fiume Tevere.
VATICANO: dio che assisteva i neonati quando emettevano il primo vagito.
VENERE: dea tra le più importanti a lei erano associati l’amore, la bellezza e la fertilità; corrispettivo di Afrodite.
VESTA: sorella di Giove, era la dea del focolare domestico; sue sacerdotesse erano le Vestali.
VITTORIA: dea della vittoria; era personificata con una giovane donna alata.
VOLTURNO: divinità che regolava il vento di sud est , lo scirocco .
VULCANO: dio del fuoco terrestre, aveva un potere distruttore e rigeneratore ; poi dio della lavorazione dei metalli.