geronimo

venerdì 12 gennaio 2018

Quattro nobili verità- Ottuplice Sentiero

La mia Religione è molto semplice: la mia Religione è l’Amore”.


Nella Tradizione Buddista questi principi sono sintetizzati nelle Quattro Nobili Verità e nell’Ottuplice Sentiero.

Quattro Nobili Verità
Le Quattro Nobili verità rappresentano il cuore dell’insegnamento del Budda, per liberare l’umanità dalla sofferenza.
1.   La vita è sofferenza
Poiché l’uomo non è perfetto, e neppure il mondo in cui vive lo è, la sofferenza è inevitabile. Fisicamente sperimentiamo il dolore, la malattia, la stanchezza, la vecchiaia ed infine la morte. Psicologicamente dobbiamo fare i conti con paure, insicurezze, rabbia, frustrazione, tristezza. Ciò fa parte del nostro processo di crescita. Certo, sperimentiamo anche emozioni positive e intensi momenti di felicità: tuttavia poiché la nostra realtà è impermanente, si tratta di momenti passeggeri che non sono in grado di eliminare definitivamente la sofferenza o il senso di mancanza dalla nostra vita.
2.   L’origine della sofferenza è l’attaccamento
L’origine della sofferenza pertanto è l’attaccamento a momenti che per loro natura sono transitori. Anche la frustrazione per la mancanza di qualcosa è frutto dell’attaccamento, l’attaccamento a un desiderio o a un’aspettativa. L’attaccamento infatti non si riferisce solo ad oggetti fisici, ma anche a idee, pensieri, ed in senso lato a tutto ciò che può essere in qualche modo oggetto della nostra percezione.
3.   sofferenza  L’elimdella inazioneè possibile
La buona notizia è che uscire da questo stato di sofferenza è possibile: attraverso il Nirodha. Nirodha significa evitare desideri smodati (in particolare in campo sessuale) o pensieri ossessivi. La Terza Nobile Verità insegna il Distacco: se viene rimossa la causa della sofferenza, anche la sofferenza che ne deriva sarà eliminata. Il Perseguimento del Distacco è un processo lungo, che avviene a molti livelli, e che alla fine conduce al Nirvana. Il Nirvana è proprio questol’abbandono di ogni preoccupazione, complicazione, aspettativa o condizionamento mentale. E’ uno stato dell’essere difficilmente comprensibile per chi non lo abbia sperimentato, almeno per un breve istante.
4.   Esiste un sentiero da percorrere per eliminare la sofferenza
Esiste una pratica, un insieme di semplici precetti, utili per guidare il discepolo verso il Nirvana. Si tratta dell’Ottuplice Sentiero, che si colloca a metà tra l’eccessiva auto-indulgenza (l’edonismo, la ricerca esclusiva del piacere) e l’eccessiva auto-mortificazione (ascetismo).
Riuscire a raggiungere il Nirvana richiede molte vite: l’ottenimento  del Distacco porterà alla conclusione del ciclo di reincarnazioni, utili all’ uomo per il suo progresso spirituale, ciascuna delle quali sarà sottoposta alla legge del Karma, finché poco a poco, con il proseguire sul Sentiero, il desiderio e la disillusione scompariranno gradualmente.

OTTUPLICE SENTIERO
Questi precetti sono molto semplici, ed universali. E (mi viene da dire, concedetemelo!) profondamente Trasformativi.
1.   Corretta Percezione
E’ l’ inizio ed insieme la fine del percorso Spirituale. Significa semplicemente vedere e comprendere le cose per ciò che esse realmente sono, al di là di ciò che appaiono nella realtà impermalente, ove siamo sottoposti a condizionamenti emotivi, mentali o culturali. Significa anche comprendere la legge del Karma.
2.   Corretta Intenzione
Laddove la corretta percezione fa riferimento all’ aspetto cognitivo, la Corretta Intenzione rimanda a un aspetto di Volontà. Corretta Intenzione vuol dire impegnarsi a tirar fuori, in ogni situazione, la parte migliore di noi stessi (per esempio non soccombere all’ odio o alla rabbia, o impegnarsi a non ferire gli altri).
3.   Corretta Parola
E’ facile: non mentire, non offendere, non diffamare. Più difficile, ma non meno importante, astenersi dal dire solo le mezze verità, quelle che ci fanno più comodo, con intenzione maliziosa e non pura. In sintesi dire la verità, con calore e gentilezza, senza seconde intenzioni e solo quando è necessario.
4.   Corretta Azione
Non ferire ed astenersi dal privare altri esseri della vita (questo è uno degli insegnamenti su cui si basa il precetto di una dieta vegetariana, se possibile), non rubare, astenersi da condotte sessuali smodate ed eccessive. Agire con gentilezza e compassione.
5.   Corretti Mezzi di Sostentamento
I propri mezzi di sostentamento non dovrebbero derivare da attività legate alla sofferenza di altri esseri viventi, come il commercio di armi, di droga ed alchool; andrebbe anche evitato di lavorare nei macelli che rendono l’uomo un ingranaggio in un meccanismo di produzione di grande sofferenza.
6.   Corretto Impegno
E’ la costanza nello sforzo di miglioramento: anche questo è un importante aspetto di Volontà. Coinvolge un’energia di tipo mentale, che è poi la stessa che utilizziamo quando desideriamo qualcosa o invidiamo qualcuno con intensità, e che può invece essere incanalata in auto-disciplina, onestà e gentilezza.
7.   Corretta Consapevolezza
Essere presenti nell’ istante e percepire le cose per come sono. E’ consapevolezza e dominio dei propri pensieri. E’ consapevolezza del proprio corpo, delle proprie emozioni, dei propri stati mentali ed infine dei fenomeni esterni per come essi sono.
8.   Corretta Concentrazione
Capacità di focalizzare le proprie facoltà mentali su un particolare oggetto. Nella tradizione buddista la Concentrazione si ottiene attraverso la pratica costante della Meditazione. Questa disciplina di non-dispersione aiuterà il discepolo ad aumentare gradualmente i propri livelli di concentrazione anche in tutte le altre attività della vita quotidiano.
I primi due punti  – Corretta Percezione ed Intenzione – rappresentano due forme di Saggezza.
La Corretta Parola, Azione, e Mezzi di sostentamento fanno riferimento a una serie di comportamenti concreti, e possono pertanto ricadere nell’ Etica: non vanno però per questo sottovalutati. Infatti la Purificazione può essere raggiunta solo e soltanto attraverso l’impegno a una condotta etica.
Corretto Impegno, Consapevolezza e Concentrazione sono riferiti invece a uno sviluppo di tipo più Mentale.


La Filosofia è nata in Grecia

La FILOSOFIA è nata in Grecia?


Si afferma tradizionalmente che la filosofia dell'Occidente è nata in Grecia. Le ragioni di questa tesi sono parecchie e strettamente connesse fra loro. Procedendo da semplice al complesso, possiamo individuare tre fondamentali.
In primo luogo, si dice che i Greci sono stati gli iniziatori del pensiero occidentale in quanto essi risultano gli autori dei primi testi scritti di filosofia della civiltà europea.
In secondo luogo, si è soliti muovere dai greci perché si è figli di una cultura e di una tradizione speculativa che affondano le loro radici nel mondo ellenico.
In terzo luogo, si riconosce che i Greci sono stati i primi ad impegnarsi in quel tipo di indagine critica e razionale in cui individuiamo  ancor oggi i tratti salienti di ciò che  chiamiamo filosofia. Tant'è vero che quando si sostiene che la filosofia è storicamente nata  nell' Ellade del VI secolo a. C. non si intende dire che l'uomo, almeno fino da quando è diventato homo sapins, non abbia posseduto una qualche interpretazione della realtà esterna e di se stesso, ossia una propria visione del mondo, ma semplicemente che i Greci sono stati il primo popolo occidentale a creare esplicitamente il modo di pensare filosofico.

Il problema dei rapporti con l'Oriente

Ciò che si è detto lascia aperta un'interessante questione di fondo, tuttora dibattuta tra gli studiosi. Ammesso che i Greci siano i padri del pensiero occidentale, la loro filosofia non potrebbe essere un derivato dall'Oriente? Tale è la tesi degli orientalisti , i quali, contrapponendosi agli occidentalisti , sostengono che i Greci non sono gli inventori della filosofia e della scienza, ma soltanto ripetitori e gli intermediari di un sapere più antico, che trova le proprie matrici nelle civiltà pre-elleniche dell'Oriente.

giovedì 11 gennaio 2018

IUS SOLI

Lo  Ius Soli in Europa.


Germania
Il diritto di base che viene seguito per l’attribuzione della cittadinanza è quello di sangue, ma dal 2000 sono tedeschi anche i figli di stranieri nati in Germania, purché almeno uno dei due genitori abbia il permesso di soggiorno permanente da almeno tre anni e viva legalmente nel Paese da almeno otto. Entro 5 anni dopo la maggiore età, poi, devono decidere se mantenere la nazionalità tedesca o quella del Paese d’origine dei genitori.
Francia
A Parigi vige una sorta di doppio ius soli. Un bambino nato in Francia da genitori stranieri nati in Francia può diventare cittadino più facilmente. La cittadinanza, altrimenti, può essere acquisita dai 18 anni (ma ci sono delle condizioni).
Regno Unito
Il bambino che nasce su territorio britannico è automaticamente cittadino del Regno Unito se anche solo un genitore ha la cittadinanza britannica o è legalmente residente nel Paese a certe condizioni (si deve possedere l’Indefinite leave to remain, Ilr, oppure il Right of Abode).
Irlanda
Esiste lo ius sanguinis. Ma se uno dei due genitori risiede regolarmente nel Paese da almeno tre anni prima della nascita del figlio, allora il minore ottiene la cittadinanza.
Spagna
Anche qui, versione morbida dello ius sanguinis. Diventa cittadino spagnolo chi nasce da padre o madre spagnola oppure chi nasce nel Paese da genitori stranieri di cui almeno uno nato in Spagna.
Belgio
La cittadinanza si ottiene automaticamente se si è nati sul territorio nazionale, ma quando si compiono 18 anni oppure 12 se i genitori sono residenti da almeno dieci anni.
Olanda
La nascita sul territorio non garantisce la cittadinanza. Sostanzialmente la cittadinanza viene conferita solo dopo il compimento della maggiore età e se si è in possesso di un regolare permesso di soggiorno e si è vissuto nel Paese per cinque anni senza interruzioni. Chi invece è nato dopo il 1985 da un padre o madre olandesi e sposati, o da madre olandese non sposata, acquista automaticamente la nazionalità olandese anche se nasce fuori dal territorio.
Svizzera
Anche nella confederazione lo ius soli non conferisce il diritto di cittadinanza. Si ottiene se si è figli di padre o madre svizzeri, se sposati, o di madre svizzera se non sono sposati.
Stati Uniti
Vige lo ius soli puro. Chi nasce negli Usa è cittadino americano, tranne i figli di diplomatici stranieri. E lo è anche chi non nasce in territorio nazionale, ma da genitori americani. È sufficiente anche un solo genitore americano se è vissuto almeno cinque anni nel Paese prima della nascita, di cui almeno due dopo il quattordicesimo anno d'età.


VOTARE PER DECIDERE INSIEME

VOTARE PER DECIDERE INSIEME


La storia ha dimostrato che la Democrazia, se vuole essere una democrazia veramente compiuta, deve spingersi oltre la sola elezione dei rappresentanti politici. Oggi i cittadini hanno a disposizione strumenti di partecipazione diretta alle decisioni politiche. Utilizzandoli possono farsi ascoltare, possono sviluppare nuove norme legislative, approvare bilanci preventivi, porre in vigore modifiche costituzionali, fermare grandi opere pubbliche decise dall'alto, contare di più in politica.
La Democrazia Diretta, quale integrazione della Democrazia rappresentativa, è tutt'altro che una vecchia idea. Si tratta invece di un concetto moderno cresciuto in un secolo e mezzo di applicazione concreta in vari Stati e continuamente in via di perfezionamento in varie realtà del mondo industrializzato così come in paesi in via di sviluppo. Negli Stati Uniti si sono svolti numerose votazioni referendarie a livello di Comuni, Contee e Stati Federati Così come in Svizzera ed in Baviera.
Da tutte queste esperienze ha tratto giovamento anche la politica in termini di una maggiore apertura e vivacità di rapporti fra rappresentanza politica ed elettorato che ha favorito la partecipazione civica.
Parte dalla richiesta della popolazione di avere più voce in capitolo nelle decisioni politiche. Il riaffiorare del desiderio di partecipazione da parte del popolo è causato anche da un malessere diffuso nei confronti della classe politica e del sistema partitico.
In Italia fra governanti e governati si registra un palese scollamento che apre la strada a demagoghi e allontana ampie fasce di popolazione dalla politica, da ogni impegno per il bene comune e persino alla partecipazione alle elezioni politiche. Un numero crescente di cittadini sono delusi dalla mancanza di coerenza dei politici, e sono stufi della generale rissosità nel sistema dei partiti in una democrazia spettacolarizzata dai media, per questo le persone tendano a chiudersi nel privato.
Come migliorare la qualità della nostra democrazia recuperando la sostanza reale della partecipazione popolare al di là delle procedure, forme e ritualità della politica rappresentativa? Una delle risposte si può trovare in un deciso rilancio della Democrazia Diretta che non significa smontare il sistema rappresentativo o ridurre il ruolo dei politici, né rilanciare approcci superati volti a trasformare il sistema parlamentare in una democrazia assembleare di base.
La democrazia diretta, termine che comprende i diritti e gli strumenti referendari delle democrazie moderne, non è altro che la seconda gamba di una democrazia compiuta con lo scopo di integrare i meccanismi di rappresentanza. Gli strumenti della democrazia diretta consentono ai cittadini di decidere in prima persona, ogni volta che essi lo ritengono urgente e necessario. Come diritto fondamentale la democrazia diretta fa parte di diverse convenzioni internazionali e di tante costituzioni nazionali; spesso però questi diritti sono male applicati o non sono applicati affatto.
In Italia lo strumento principale è il referendum abrogativo, mentre il referendum facoltativo, con effetto di sospensione di una legge appena approvata dal Parlamento, esiste solo per le modifiche costituzionali ed è previsto un alto quorum di partecipazione, il 50%, che ha comportato il frequente fallimento delle votazioni referendarie. Questa esperienza referendaria ha dato un immagine alquanto riduttiva della democrazia diretta. Oggi in Italia servono strumenti referendari più robusti per rilanciare la partecipazione attiva dei cittadini. Si tratta di ampliare le possibilità che consentono  ai cittadini organizzati di entrare meglio nelle arene politiche avanzando  proposte competenti e condivise da una cittadinanza attiva ed interessata,per risolvere i problemi politici, dello Stato, delle Regioni e delle Provincie, con maggior legittimazione.
Per comprendere meglio come funziona un sistema di democrazia diretta più completo bisogna partire dalle ragioni di fondo di questi diritti che nel passato e nel presente hanno ispirato singoli ed organizzazioni della società civile in Italia ed in altri paesi. Come funzionano, questi strumenti, nella pratica e quali sono le regole principali che ne consentano un buon funzionamento garantendo la partecipazione dei cittadini ? Quali sono infine gli effetti di una democrazia diretta compiuta dopo decenni di applicazione?
Il dibattito attorno al ruolo dei referendum, nella forma limitata previsti dalla nostra Costituzione, ha preso spunto da varie obiezioni, sul cui merito occorre riflettere, affrontando anche  vecchi miti che continuano a rifiorire.; c’è per esempio il mito del “ cittadino incompetente” , secondo cui il cittadino comune non sarebbe in grado di valutare le problematiche complesse  della politica. Di riflesso fra i cittadini si rafforza la convinzione che siano gli esperti a essere chiamati a risolvere tutto e che gran parte della politica sia inaccessibile alla mente del cittadino comune
Nel mondo odierno dove la globalizzazione ed il partito del pensiero unico impera serve che il popolo manifesti concretamente la volontà di riappropriarsi dei propri diritti, in quanto dei rappresentanti eletti in parlamento non si fida più.
Troppo spesso i parlamentari eletti hanno tradito la fiducia degli elettori ed in molti casi hanno cambiato schieramento politico. Bene questi signori dovrebbero render conto a chi gli ha eletti per esser giudicati politicamente.
Quante volte è successo che amministratori locali, Regioni, Provincie e Comuni, hanno dato vita ad opere delle quali i cittadini ne contestavano la realizzazione. Sono questi i casi in cui i cittadini dovrebbero partecipare alla decisione di realizzare o meno le opere. Allo stato attuale delle cose non è possibile intervenire fino a quando una amministrazione locale viene cambiata mediante elezioni amministrative.
La democrazia diretta dovrebbe andare ad integrare quella rappresentativa istituendo la possibilità di indire i referendum, ad esclusione della politica estera, politica economica e difesa, sia abrogativi, sia di iniziativa popolare e propositivi, ed il plebiscito.
Su questi argomenti dovrebbero incentrarsi le iniziative politiche per rendere credibile un vera Democrazia nella quale il popolo sovrano ne faccia parte a tutti gli effetti.
Infine una cosa è assolutamente necessaria, abbiamo una Costituzione, applichiamola nei suoi principi fondamentali e modifichiamola, modernizzandola nell’ordinamento della Repubblica (parte II) attraverso una nuova costituente.



La Democrazia ( Rousseau)

Contrat Social 9:
LA  DEMOCRAZIA
Chi fa la legge sa meglio di chiunque altro come essa debba essere eseguita e interpretata. Sembrerebbe dunque che non ci potesse essere costituzione migliore di quella in cui il potere esecutivo è unito a quello legislativo. Ma è proprio ciò a rendere questo governo sotto certi aspetti insufficiente, perché le cose  che devono essere distinte non lo sono, ed il  principe (governo) e il corpo sovrano (popolo) , essendo un’unica persona, non formano, per così dire, che un governo senza governo.
Non è bene che chi fa le leggi le applichi, ne che il corpo del popolo distolga la sua attenzione dai problemi generali per indirizzarla a scopi particolari. Niente  è più pericoloso dell’influenza degli interessi privati sugli affari pubblici; e l’abuso delle leggi da parte del governo è un male minore della corruzione del legislatore, inevitabile conseguenza  dei punti di vista particolari. Allora, poiché lo stato si altera nella sua sostanza, qualunque riforma diventa impossibile. Un popolo che non abusasse mai del governo, non abuserebbe neanche dell’indipendenza; un popolo che governasse sempre bene, non avrebbe bisogno di essere governato.
Se si prende il termine nella sua rigorosa accezione, non è mai esistita una vera democrazia, né mai esisterà. E’ contro l’ordine naturale che la maggioranza governi e la minoranza sia governata. 
Non si può immaginare che il popolo resti continuamente adunato per attendere agli affari pubblici; ed è facile capire che non potrebbe istituire commissioni a quest’uopo senza che cambi la forma dell’amministrazione.
<in effetti credi di poter stabilire il principio che, quando le funzioni di governo sono divise tra parecchi organismi, i meno  numerosi acquistano prima o poi la maggiore autorità, non foss’altro che per la facilità nel disbrigo degli affari, che ad essa li conduce naturalmente.
D’altronde, quante cose difficili a mettere insieme non presuppone un tale governo! In primo luogo uno Stato molto piccolo, in cui al popolo sia facile riunirsi, ed ogni cittadino possa facilmente conoscere tutti gli altri; in secondo luogo, una grande semplicità di costumi, che impedisca il moltiplicarsi degli affari e le discussioni spinose; inoltre, una grande eguaglianza di condizioni e di fortune, senza di che  l’eguaglianza non riuscirebbe a sussistere a lungo nei diritti e nell’autorità; infine, poco o niente lusso: perché il lusso o è effetto delle ricchezze, o le rende necessarie; corrompe allo stesso tempo il ricco ed il povero, il primo con il possesso e l’altro con la cupidigia; vende la patria alla mollezza e alla vanità; toglie allo stato tutti i suoi cittadini per asservirli gli uni agli altri, e tutti alla considerazione reciproca.
Ecco perché un celebre autore (Montesquieu) ha posto la virtù a fondamento della Repubblica: perché tutte queste considerazioni non potrebbero sussistere  senza la virtù; ma, per non aver fatto le necessarie distinzioni, quel bell’ingegno ha mancato spesso di esattezza, qualche volta di chiarezza, e non ha visto che, essendo l’autorità sovrana  dovunque la stessa, lo stesso principio deve valere in ogni Stato ben costituito, più o meno, è vero, a seconda della forma del governo.
Aggiungiamo che non c’è governo così soggetto alle guerre civili e alle agitazioni intestine come quello democratico o popolare, perché non ve n’è  alcuno che tenda cos’ fortemente e continuamente a cambiare di forma, né che richieda maggiore vigilanza e coraggio per essere mantenuto nella sua forma propria. E’ soprattutto in questa costituzione che il cittadino deve armarsi di forza e di costanza, e dirsi ogni giorno nel profondo del cuore ciò che diceva un virtuoso Palatino alla dieta di Polonia (Il Palatino di Posnania, padre del re di Polonia, duca di Lorena): Malo periculosam libertatem quam quietum servitium  (preferisco una pericolosa libertà a una quieta schiavitù).


Contratto Sociale (Rousseau)

Contrat Social 2:

Sotto i cattivi governi l’eguaglianza è solo apparente e illusoria: non serve che a mantenere il povero nella miseria e ad assicurare al ricco i frutti dell’usurpazione. Effettivamente le leggi sono sempre utili a chi possiede e nocive per chi non ha niente. Da ciò deriva che lo stato sociale è vantaggioso per gli uomini solo a condizione che essi abbiano tutti qualcosa, e che nessuno di loro abbia niente di troppo.



Contrat Social 3:

La più importante conseguenza dei principi di una buona società è che solo la volontà generale (del popolo)  può dirigere le forze dello Stato secondo il fine per cui esso fu istituito, che è il bene comune; infatti, se l’opposizione degli interessi privati ha reso necessaria l’istituzione della società, è l’accordo di questi stessi interessi che l’ha resa possibile. E’ ciò che vi è di comune fra questi differenti interessi che forma il vincolo sociale; e se non ci fossero alcuni punti sui quali tutti gli interessi si accordano, nessuna società potrebbe esistere.
Ora, è unicamente sulla base di questo interesse comune che la società deve essere governata.


Contrat Social 4:
La sovranità popolare, non essendo altro che l’esercizio della volontà generale non può mai venire alienata (resa estranea, ridotta a cosa o natura, senza libertà); e che il popolo sovrano non essendo altro che un ente collettivo, non può essere rappresentato che da se stesso; si può trasmettere il potere, ma non la volontà.
Perché una volontà sia generale, non è sempre necessario che sia unanime, ma è necessario che si tenga conto di tutti i voti; ogni esclusione formale rompe la generalità.









Contrat Social 5:
Riguardo alla costituzione di uno Stato, ci dovrebbero essere dei limiti all’estensione che esso può avere, affinché non sia troppo grande per poter essere governato, né troppo piccolo per potersi conservare da se. Generalmente uno stato piccolo è proporzionalmente più forte di uno stato grande. Da qui si evince la necessità, per uno stato di dotarsi dei controlli locali (federalismo) che permetta, in accordo con lo stato centrale, di governare i propri cittadini sul territorio. Attraverso la costituzione di un federalismo che consenta di costituire piccoli stati, o regioni, o cantoni, il nome non ha importanza. In  questo modo il popolo controlla i propri amministratori per come amministrano il bene comune.
Più si accentra e più difficile diventa governare bene una nazione, e soprattutto controllare quello che viene fatto; più si decentra e meglio avviene questo controllo.
Gli stati , regionali , cantonali, devono dotarsi di leggi proprie, nel rispetto della Costituzione ed avere un proprio introito che gli deriva dalle tasse che i cittadini pagano.
Lo stato centrale si occupa esclusivamente di  politica economica, politica estera, di sicurezza attraverso le forze di polizia (una sola forza nazionale di sicurezza ed una di lotta all’evasione fiscale. Una terza forza di polizia regionale o cantonale  a disposizione dei vari stati federati). Inoltre detta gli indirizzi per la pubblica istruzione.


Contrat Social 6:
Se si cerca in che cosa consista precisamente il bene più grande di tutti, che deve costituire il fine di ogni sistema legislativo, si troverà che esso si riduce a due obbiettivi principali: la libertà e l’eguaglianza. La libertà, perché ogni dipendenza particolare è altrettanta forza sottratta al corpo dello Stato; l’eguaglianza, perché la libertà non può sussistere senza di essa.
Il termine uguaglianza non deve essere interpretato che i gradi di potenza e di ricchezza siano assolutamente gli stessi; ma che, quanto alla potenza, essa escluda sempre  l’uso della violenza, e non si eserciti mai se non in virtù del grado e delle leggi. Quanto alla ricchezza, che nessun cittadino sia tanto ricco da poterne comprare un altro, e nessuno sia tanto povero da essere costretto a vendersi.
Questa uguaglianza, si dice, è una astratta chimera, che non può esistere nella realtà. Ma se l’abuso è inevitabile, ne consegue forse che non si debba cercare di limitarlo? Proprio perché la forza delle cose tende sempre a distruggere l’eguaglianza, la forza della legislazione deve sempre tendere a mantenerla.




Contrat Social 7:
Uno stato deve essere governato con le leggi, leggi politiche, leggi fondamentali (costituzione) , leggi civili e leggi penali. Queste ultime, in fondo, non sono tanto una categoria particolare di leggi, quanto la sanzione di tutte le altre.
Ne esistono altre, non scritte, molto più importanti che formano la vera costituzione dello Stato; che acquista sempre nuova forza; che, quando tutte le altre leggi invecchiano o si estinguono, le rianima o le sostituisce, conserva nel popolo lo spirito della sua istruzione, e a poco a poco sostituisce la forza dell’abitudine a quella dell’autorità.
Parlo dei costumi, delle usanze e soprattutto dell’opinione pubblica: parte questa sconosciuta ai nostri politici, ma dalla quale dipende il successo di tutte le altre e ne formano l’incrollabile chiave  di uno stato democratico.


Contrat Social 8:
In una legislazione perfetta, la volontà particolare o individuale deve essere nulla, la volontà di corpo propria del governo molto subordinata, e di conseguenza la volontà generale o sovrana sempre dominante e unica regola di tutte le altre.


mercoledì 3 gennaio 2018

IDEA - IDEOLOGIA

Lo scopo è quello di capire cosa si intende, filosoficamente parlando, per la parola" idea "e per la parola "ideologia" scoprendo attraverso il pensiero di Platone e Nietzsche.
Molte volte ci troviamo di fronte ad alcuni termini che apparentemente sembrano semplici da utilizzare nel nostro elssico e che il più delle volte riescono a mascherare bene l'etimologia della parola stessa. In verità, sono di una complessità unica e irriducibile. Spesso non basta l'Etimo della parola stessa per capirne il significato. Ma per capire concretamente è d'obbligo che alla base ci sia sempre la storia. Solo così si potrà giungere veramente alla radice di ogni singola parola.
Se pensiamo al termine Idea , ci rifacciamo a qualcosa di " personale" e quyindi è qualcosa che non è necessariamente condivisa. Il termine idea deriva dal greco "orao" che significa vedere. Infatti, colui il uqle ha immesso con prepotenza questo termine nella storia del pensiero (e non solo) è Platone.
Platone spiega che bisogna vedere qualcosa con gli occhi della mente (visione intellettuale) o ancor meglio  , contemplare qualcosa,. Cosa vorra dire? Significa che l'immagine rimane fissa nella propria mente; quindi la contemplazione implica la fissità dell'oggetto contemplato, che a sua volta non mutua.
Dire con gli occhi della mente per Platone è molto importante, proprio perché se ci limitassimo solo a vedere con gli occhi naturali, noi non potremmo mai contemplare in maniera veramente esterna. Quindi, la domanda che pongo ancora una volta è: Perché Platone si rifà all'occhio della mente e non all'occhio naturale? Perché l'occhio è l'organo vincente che riguarda la vista, ma come tutti gli altri organi non è mai costante. Esempio: già il semplice fatto di levarsi gli occhiali ti porta a non vedere le stesse cose; se li rimetto si avrà una visione delle cose molto diversa; anche se cambierò il colore delle lenti vedrò le cose di diverso colore. E questa si può chiamare vista. Ma se io sono lontano  da un qualcosa lo vedrò rimpicciolito, mentre se sarò vicino lo vedrò ingrandito. Platone questa realtà la chiama " mutevole". Cosa si inventa di preciso? Che la realtà vera è diversa da quella che vediamo, tocchiamo ecc......proprio perché è mutevole.
Qual'è il presupposto di partenza di Platone? Ma se voglio conoscere qualcosa, ovvero avere in mano qualcosa che non mutua, altrimenti oggi vedo una cosa, domani un'altra e cambio idea, quand'è che posso dire di conoscere qualcosa veramente? Posso dire di essere arrivato alla realtà solo quando sono arrivato a quella parte  di realtà che non mutua pur nel mutare degli accidenti sensibili ( di ciò che vedo, sento). E siccome, però, sono mutevoli, la vera realtà è quella che mi prospetta la mente, ovvero le idee (Platone).
Ecco perché le idee derivano da Platone.
Però se noi diciamo che le idee sono qualcosa di personale, saremo in disaccordo con ciò che afferma Platone. perché se è personale l'idea allora cambia, in quanto ogni persona ha la propria idea.
Nietzsche, invece, giustifica il fatto che l'idea venga ritenuta come un qualcosa di personale,. Infatti è anti-platonico. Cosa fa? Trasvaluta i valori. Dice Nietzsche " ma perché abbiamo creduto a Platone? Perché abbiamo creduto che oltre al mondo dei sensibili ci possono essere entità reali, più reali della stessa realtà sensibile?
Quindi Nietzsche  va alla ricerca del problema. Infatti, spiega che noi crediamo in Dio perché usiamo il linguaggio dei soggetti e dei predicati. Se noi non avessimo accettato tale linguaggio  non potremmo  credere in Dio; perché non avremmo qualche cosa che non mutua. Dio come tipo di entità ha le stesse realtà delle idee platoniche, perché è  qualcosa che non mutua, che rimane sempre uguale a se stesso che non ha nulla da spartire con aldiquà, tanto da doverlo creare tale mondo. Questo per dire che Nietzsche è stato ancora più radicale nel ribaltamento dei valori.
Poiché non ha soltanto detto: " Dio l'abbiamo ucciso tutti! , ma sostiene che ci siamo resi conto tutti noi che era un'invenzione ciò che aveva detto Platone. Allora perché siamo tutti responsabili? Proprio perché abbiamo dato ragione a Platone. Ma poi c'è stata, per fortuna, una storia del pensiero attraverso Kant, che man mano ci ha fatto rendere conto che il dirsi di Platone sulle idee era un'illusione. Ma se Platone si è inventato tutto ci sarà un motivo? Lui spiega che se ognuno di noi avesse la propria idea non ci potremmo intendere; perché non ci sarebbe comunità civile, non ci sarebbe possibilità di compenso intorno. Allora la soluzione qual'è? Quella di un altro mondo che ci garantisce l'esistenza di idee comuni soprattutto in via del bene. In queste sue ragioni, è sorto tutto un linguaggio che parla di sovra-mondo, di anima (altra invenzione). noi siamo due, la parte incorruttibile e la parte corruttibile: anima e corpo. Nasce il dualismo. E Nietzsche non crede a ciò.
Invece qual'è la tesi che porta avanati Nietzsche? Ogni volta che noi portiamo avanti delle idee è di noi che si parla. Le idee non sono altro che il risultato del gioco degli istinti vitali in noi. L'insieme di passioni, di odi, di amori, che noi ci portiamo dentro. Tutto ciò che dice Nietzsche si potrebbe anche riferire alla parola idea, ma soprattutto alla parola ideale, ideale è opposto a reale.
Per Platone, l'idea è qualcosa di universale (non di personale). Ma grazie anche allo shock culturale di Nietzsche, noi ormai diamo per scontato che non può esistere nulla di veramente universale. Perché la cosa grave che ci ha messo addosso Nietzsche è che se a questo punto non c'è nulla di uguale sempre a se stessi, che tutti possiamo condividere, allora non esiste la verità. Con e dopo Nietzsche finiamo di credere alla verità. Tanto da parlare di " relativismo": non esiste una verità unica, universale assoluta. Ma ogni verità è frutto della nostra prospettiva. E' la nostra prospettiva che la vede in quel modo e deve doverla vedere in quel modo. Ecco che noi oggi siamo figli di quella consapevolezza e non possiamo prescindere da quelli che Nietzsche ciama " orizzonti di senso" (ovvero i nostri mondi culturali, valoriali). Ognuno di noi è portatore di un mondo. E' quindi il rispetto di una verità generale, universale diventa difficile. Ma nello stesso tempo, possiamo rimanere fermi all'idea che ogni verità è relativa: ad un ambiente, ad una nazione, ad una cultura, ad una religione.
Mentre, ideologia, significa, sistema organizzato di idee fra loro legate (ecco perché si legge come un qualcosa di imposto), solidali, non sono separati secondo un ragionamento.
Che conflitti nascono? Quindi delle professioni di fede nella verità, ovvero, si deve  dichiarare di credere in qualcuno o qualcosa. Ad esempio anche quelli che noi chiamiamo terroristi, da loro punto di vista sono dei santi (il tutto perché credono in una verità).
Quindi alla domanda, perché l'ideologia oggi è vista cone una imposizione? Centra la storia mondiale.
L'ideologia: un sistema di idee organizzate che si accettano un po' per dogma, un po' per ragionamento. L'ideologia è ciò che nella storia del 900 ha dato origine ai partiti politici. Mentre oggi l'ideologia ci spiega che non è importante da quale sistema di idee partiamo, ma l'importante è ottenere risultati, che siano concreti e pragmatici.
In conclusione, abbiamo voluto brevemente capire il vero significato del termine Idea e Ideologia partendo dalla storia della filosofia e immergendoci nelle due opposte visioni di pensiero dei filosofi Platone e Nictzsche.

lunedì 1 gennaio 2018

PALESTINA

PALESTINA: La terra dei Filistei

anatolica, arrivarono in quella terra che da loro prese il nome di Palestina. In poche generazioni si amalgamarono con la popolazione locale di origine cananea.
Gli Ebrei combatterono contro di loro per secoli.
Dopo più di mille anni, intorno al II secolo a.C., l'ostilità degli Ebrei verso i Filistei non si era placata. Il resuscitato regno di Giuda attaccò e distrusse le poche città filistee che erano sfuggite a secoli di dominio assiro, Intorno al 1200 a.C. i Filistei, una popolazione di origine egeo-babilonese e persiano. E ancora nella seconda metà del I secolo della nostra era gli Ebrei attaccarono Gaza e Ascalona.
Furono i Romani a riportare l'ordine e la pace nella regione a lungo contesa.

Località: Palestina
Epoca: 1200 a.C. - 66 d.C.

Palestina: terra dei Filistei
Palestina significa "Terra dei Filistei". In arabo Filastin (o Falastin) vuol dire sia "Palestina" che "Filistei", filastiyy o falastiyy vuol dire sia "filisteo" sia "palestinese".
Nelle nostre lingue la differenza deriva dalle diverse tradizioni. Infatti la Bibbia, partendo da un termine ebraico trascritto in latino, ci ha tramandato "Filistei", mentre la tradizione classica ci ha trasmesso "Palestina", dal latino Palaestina, e "Palestinesi".
La storia raccontata dai nemici
I Filistei non hanno lasciato opere scritte. Conosciamo la loro storia solo da quanto ci narrano i loro nemici Egiziani, Assiri e Israeliti.
Ramses III contro i "popoli del mare"
Il faraone Ramses III, secondo della XX Dinastia, regnò 31 anni, dal 1190 al 1159 a.C. (nella cronologia breve 1184-1153; nella cronologia lunga 1198-1166).
Ramses III, nell'ottavo anno del suo regno (circa 1183 a.C.), dovette affrontare una grave crisi. I "popoli del mare" attaccarono l'Egitto.
Gli egiziani forniscono anche un elenco dei popoli del mare: Aqawash (Achei), Danyan (Danai), Peleset (Filistei), Luka (Lici), Shardana (Sardi), Shekelesh (Siculi), Tjeker (Teucri), Tursha e Weshesh. Le identificazioni dei popoli non sono sempre certe.
I Filistei furono riconosciuti tra gli invasori con il nome di Peleset.
I popoli del mare in Asia Minore avevano distrutto Hatti (il regno degli Ittiti), poi avevano invaso Kode (la Cilicia), Arzawa (l'Anatolia sud-occidentale), Alasia (Cipro) ed erano arrivati in Amurru (la Siria).
Il faraone respinse gli stranieri sia sul mare sia sulla terra.
La battaglia terrestre avvenne in una zona tra la Palestina e il Libano (Djahi). La battaglia navale si svolse di fronte al delta del Nilo.
Sulle pareti del tempio funerario di Ramses III, a Medinet Habu, si trovano iscrizioni e bassorilievi che raccontano gli eventi.
Due particolari attraggono l'attenzione:
- in mezzo alle truppe sconfitte si trovano pesanti carri, tirati da buoi, con donne e bambini; si tratta della migrazione di un popolo e non solo di un tentativo di conquista militare;
- nell'esercito egiziano si trovano soldati vestiti nello stesso modo degli invasori; forse si tratta di truppe mercenarie appartenenti alla stessa etnia degli invasori ed assoldate in precedenza; i popoli del mare erano quindi noti agli egiziani e non erano degli invasori arrivati da zone sconosciute.
I Sardi e i Weshesh in Palestina
Il Papiro Harris I, scritto poco dopo la morte di Ramses III, conferma gli avvenimenti, pur dandone una versione diversa. Ramses III sarebbe andato a combattere i Danai nelle loro isole, avrebbe distrutto i Teucri e i Filistei, mentre avrebbe preso prigionieri Sardi e Weshesh per farne soldati del proprio esercito.
Nel Papiro è scritto "I Sardi e i Weshesh del mare fu come se non esistessero, catturati tutti insieme e condotti prigionieri in Egitto, come la sabbia della spiaggia. Io li ho insediati in fortezze, legati al mio nome. Le loro classi militari erano numerose come centinaia di migliaia. Io ho assegnato a tutti loro razioni con vestiario e provvigioni dai magazzini e dai granai per ogni anno".
Secondo un costume non insolito nell'antichità, i popoli che migravano, anche in forma aggressiva, potevano essere integrati nel territorio che avevano aggredito, a patto di sottomettersi alle autorità del paese e di difendere il territorio contro ulteriori invasori. Anche i Romani useranno questo metodo nei confronti delle popolazioni germaniche.
I Teucri in Palestina
Nel romanzo egiziano "Il viaggio di Wenamun", ambientato nell'anno 24° del regno di Ramses XI (verso il 1080 a.C.), viene citata Dor, città della Palestina settentrionale, come "città dei Teucri". Evidentemente questo popolo non era stato annientato, come afferma il Papiro Harris. Analogamente possiamo pensare che i Filistei sconfitti, ma non sterminati, si fossero installati in alcune zone della Palestina.
La ceramica micenea in Palestina
Intorno al 1200 a.C. in Palestina scomparve la ceramica, importata, del tipo Tardo Miceneo III B e negli stessi strati archeologici si trovano tracce di distruzione violenta, segno che la zona fu devastata da aspri combattimenti.
Subito dopo, negli stessi siti, comparve la nuova ceramica monocroma del tipo Tardo Miceneo III C 1b, propria del XII secolo. Questa ceramica ha la caratteristica di essere prodotta con materiali argillosi locali della Palestina. Se ne può dedurre che popolazioni immigrate in Palestina dall'Egeo e dall'Anatolia cominciarono a produrre sul posto la ceramica con le tecniche a loro note.
Lo stesso tipo di ceramica si trova a Cipro, in Cilicia, sulla costa siriana a sud di Ugarit, a Biblo, Sarepta, Tiro, Akko, Dor, Asdod, Ascalona.

I Filistei da Creta alla Palestina
La Bibbia afferma che i Filistei venivano da Creta.
Nel libro del profeta Amos, vissuto nell'VIII secolo a.C., è scritto: "Amos 9:7 Non io ho fatto uscire Israele dal paese d'Egitto, i Filistei da Caftòr e gli Aramei da Kir?" (Amos 9:7)
Caftor è probabilmente il nome dato dagli Israeliti all'isola di Creta.
Il nome egiziano di Creta era Keftiu. Nei testi trovati nel tempio di Amenofi III si elencano varie città di Keftiu e di regioni affini:
- Cnosso, Festo e Amnisos nell'isola di Creta;
- Micene e Nauplia nel Peloponneso;
- Citera, un'isola tra il Peloponneso e Creta.
I Filistei nel paese di Canaan
Le città principali dei Filistei, nel paese di Canaan, furono Gaza, Ascalona, Asdod, Ekron (Tel Miqne) e Gat (non identificata).
Il profeta Sofonia, seconda metà del VII sec. a.C., dice: "Il nemico a occidente: i Filistei Sofonia 2:4 Gaza infatti sarà desolata e Ascalona ridotta a un deserto. Asdod in pieno giorno sarà deportata ed Ekron distrutta dalle fondamenta. Sofonia 2:5 Guai agli abitanti della costa del mare, alla gente dei Cretei! La parola del Signore è contro di te, Canaan, paese dei Filistei: 'Io ti distruggerò privandoti di ogni abitante. Sofonia 2:6 Diverrai pascoli di pastori e recinti di greggi'. Sofonia 2:7 La costa del mare apparterrà al resto della casa di Giuda; in quei luoghi pascoleranno e a sera nelle case di Ascalona prenderanno riposo, quando il Signore loro Dio li avrà visitati e avrà restaurato le loro sorti." (Sofonia 2:4 - 2:7).
Il profeta Geremia, seconda metà del VII sec. a.C., dice: "Geremia 47:4 perché è arrivato il giorno in cui saran distrutti tutti i Filistei e saranno abbattute Tiro e Sidone, con tutti i loro ausiliari; il Signore infatti distrugge i Filistei, il resto dell'isola di Caftor. Geremia 47:5 Fino a Gaza si son rasati per lutto, è distrutta Ascalona. Asdod, povero resto degli Anakiti, fino a quando ti farai incisioni?" (Geremia 47:4 - 47:5)
Nel Deuteronomio è scritto: "Deuteronomio 2:23 Anche gli Avviti, che dimoravano in villaggi fino a Gaza, furono distrutti dai Kaftoriti, usciti da Kaftor, i quali si stabilirono al loro posto." (Deuteronomio 2:23)
I Filistei figli di Iafet o di Cam?
Gli Israeliti consideravano discendenti di Iafet, figlio di Noè, i greci, gli anatolici e le popolazioni egee. Pertanto anche i Filistei dovevano appartenere alla stessa discendenza.
Invece nella Tavola dei popoli è scritto: "Genesi 10:13 Egitto generò quelli di Lud, Anam, Laab, Naftuch, Genesi 10:14 Patros, Casluch e Caftor, da dove uscirono i Filistei." (Genesi 10:13 - 10:14)
L'attribuzione dei Filistei alla odiata discendenza di Cam deriva dal fatto che gli Israeliti avevano posto nella famiglia di Cam sia le popolazioni di pelle scura sia tutti i loro nemici: egiziani, assiri, babilonesi, fenici, canaaniti.
Espansione ed acculturazione dei Filistei
Secondo diverse testimonianze risulta quindi che all'inizio del XII secolo i Filistei, ed altri popoli del mare, si erano insediati nel paese di Canaan, prevalentemente nella zona costiera, come sudditi degli egiziani, dopo aspre battaglie con gli stessi egiziani e con le popolazioni locali.
L'Egitto all'inizio dell'XI secolo entrò in crisi e fino alla seconda metà del X secolo il controllo egiziano della Palestina divenne nominale. Fu solo con il faraone Sheshonq che l'Egitto riprese a occuparsi della Palestina.
Per quasi due secoli i Filistei rimasero indipendenti e riuscirono ad espandere i loro possedimenti, ma non nella zona centrale di Canaan, a spese delle popolazioni locali e degli altri popoli del mare.
Ma la conquista militare si accompagnò anche ad un caratteristico fenomeno di acculturazione, per cui i Filistei nella seconda metà dell'XI secolo smisero di produrre la ceramica micenea locale. I Filistei, dopo più di un secolo di convivenza, si erano integrati con le popolazioni di Canaan.


Supremazia dei Filistei sulla Palestina
Al tempo della supremazia dei Filistei sulla Palestina, la condizione di vita degli Ebrei, termine che significa "fuorusciti", "sbandati", è testimoniata dai seguenti passi della Bibbia:
"1 Samuele 4:9 Risvegliate il coraggio e siate uomini, o Filistei, altrimenti sarete schiavi degli Ebrei, come essi sono stati vostri schiavi. Siate uomini dunque e combattete!". "1 Samuele 4:10 Quindi i Filistei attaccarono battaglia, Israele fu sconfitto e ciascuno fu costretto a fuggire nella sua tenda. La strage fu molto grande: dalla parte d'Israele caddero tremila fanti."
"1 Samuele 13:19 Allora non si trovava un fabbro in tutto il paese d'Israele: 'Perché - dicevano i Filistei - gli Ebrei non fabbrichino spade o lance'. 1 Samuele 13:20 Così gli Israeliti dovevano sempre scendere dai Filistei per affilare chi il vomere, chi la zappa, chi la scure o la falce. 1 Samuele 13:21 L'affilatura costava due terzi di siclo per i vomeri e le zappe e un terzo l'affilatura delle scuri e dei pungoli. 1 Samuele 13:22 Nel giorno della battaglia, in tutta la gente che stava con Saul e Gionata, non si trovò in mano ad alcuno né spada né lancia. Si potè averne solo per Saul e suo figlio Gionata."
"1 Samuele 14:11 Quindi i due (Gionata e il suo scudiero) si lasciarono scorgere dall'appostamento filisteo e i Filistei dissero: Ecco gli Ebrei che escono dalle caverne dove si erano nascosti."
"1 Samuele 28:4 I Filistei si radunarono, si mossero e posero il campo in Sunàm. Saul radunò tutto Israele e si accampò sul Gelboe. 1 Samuele 28:5 Quando Saul vide il campo dei Filistei, rimase atterrito e il suo cuore tremò di paura."
Le armi dei Filistei
I popoli del mare erano arrivati in Palestina ed avevano minacciato l'Egitto, dopo aver distrutto l'esercito ittita. La loro forza militare doveva essere notevole. Indossavano elmo, corazza e schinieri di bronzo. Avevano un giavellotto di bronzo e portavano una lancia di ferro. Avevano probabilmente anche una spada di ferro. Usavano il carro da guerra e l'arco.
L'uso del ferro era sicuramente un vantaggio significativo su popolazioni che, come gli Ebrei, erano rimasti all'età del bronzo.


I Filistei in una terra contesa
I Filistei, che si erano stabiliti inizialmente nelle città costiere nella zona meridionale della Palestina, tentarono di consolidare la loro presenza allargando il loro territorio lungo la costa e puntando verso l'interno.
Gli Ebrei, che avevano sottratto ai Cananei città e terre nell'interno della Palestina, cercarono un sbocco verso il mare e cercarono di impadronirsi delle ricche pianure della zona centrale della Palestina.
I Cananei, gli abitanti originari della Palestina, lottarono per difendere le loro terre dai Filistei e dagli Ebrei.
Gli Egiziani rivendicarono periodicamente il loro dominio sulla Palestina sia per motivi militari che per motivi commerciali. Avere il controllo della Palestina e della zona dell'attuale Libano comprendente i porti di Tiro, Biblo e Sidone, significava:
- avere maggiori possibilità di difesa contro eventuali invasori asiatici;
- avere il controllo delle vie del commercio proveniente dall'Arabia e dalla Siria verso il Mediterraneo.
Gli Arabi sottoposero a costante pressione Filistei, Ebrei e Cananei nel tentativo di raggiungere il Mediterraneo.
Gli Ebrei contro i Filistei
Nel X secolo gli Ebrei riuscirono a riunire le loro tribù. Sono note le storie, oggetto di ampie discussioni tra gli storici, di Saul, David e Salomone.
Il re Saul, secondo la Bibbia, agì principalmente nell'area della Palestina meridionale (Mispa, Geba, Mikmas, e Gilgal) combattendo contro Filistei, Ammoniti e Amaleciti. L'ultima sua battaglia contro i Filistei è collocata nei pressi di Bet Shean nella pianura di Iezreel. Sconfitto e ferito si diede volontariamente la morte (1 Samuele 31).
David, nativo di Betlemme, agì principalmente nell'area della Palestina meridionale (Gob, Gat, Lehi, Adullam, Keila, Betlemme) combattendo contro i Filistei. Fu anche presente nel deserto di Zif, a sud di Hebron verso il Mar Morto, in quello di Maon e di Engeddi. La località più a nord raggiunta da David fu Gerusalemme. La sua attività fu sostanzialmente contenuta tra la Giudea e il Negev.
David iniziò la sua carriera al servizio del re filisteo Akis di Gat e combattè contro i Moabiti per conto dei Filistei. Costituì il regno di Giuda prima con capitale Hebron e poi con capitale Gerusalemme, sottratta ai Gebusei. Molto probabilmente il suo regno fu inizialmente facilitato dai Filistei che videro con favore la costituzione di uno stato-cuscinetto contro i Moabiti. Ma poi David riuscì a sottrarsi al predominio filisteo e unificò le diverse tribù israelite.
Il terzo re degli Ebrei fu Salomone, figlio di David e di Betsabea, moglie dell'ufficiale Uria fatto morire da David. Il regno ebraico raggiunse il golfo di Aqaba dove venne ristrutturato il porto di Ezion Geber. Salomone si alleò con il re di Tiro Hiram I.
Il faraone Sheshonq in Palestina
Nel X secolo molte città-stato cananee e filistee della Palestina raggiunsero un relativo splendore. Si sono trovati palazzi lussuosi di ispirazione siriana, edifici sacri di grande ampiezza e mura delle città con entrate elaborate.
Significativa eccezione Gerusalemme che risulta priva di testimonianze monumentali nel periodo considerato.
Nel 945 a.C. il faraone Sheshonq salì al trono dell'Egitto. Sheshonq entrò in Palestina e la riportò sotto il suo controllo. L'avanzata egiziana si arrestò a Megiddo. Molte rovine testimoniano il suo passaggio nella terra di Canaan.
Ritornato in Egitto il faraone, la situazione palestinese ritornò nello stato precedente. Le città distrutte furono ricostruite.
I Filistei ripresero i loro commerci nel Mediterraneo.
Gli Arabi continuarono a premere per avere un sbocco al mare. Edomiti e Amaleciti si stabilirono nella Palestina meridionale.
Gli Ebrei, alla morte di Salomone, si divisero in due regni rivali: il regno di Giuda nel meridione e il regno di Israele nel settentrione della Palestina.
I Filistei nel IX e VIII secolo a.C.
Nel IX secolo i Filistei furono attaccati dal regno di Israele che voleva uno sbocco sul Mediterraneo e la fertile pianura di Iezreel.
Gli israeliti non raggiunsero mai il mare. Il porto di Giaffa, città filistea, era adeguatamente difeso da Gibbeton, una fortezza sulle colline. Inutilmente venne assediata da Israele intorno al 900 a.C. e all'875 a.C. (1 Re 15:27 e 1 Re 16:15-16). La fortezza venne espugnata soltanto dall'assiro Sargon verso il 712 a.C.
Il regno del nord riuscì invece a conquistare la pianura di Iezreel al tempo del re Ahab (869-850).
Il re di Damasco Bar-Hadad I (900-875) attaccò il re di Israele Baasa (900-877) ed occupò la Palestina settentrionale, attestandosi vicino alla pianura di Iezreel.
Un altro re di Damasco, Hadad-ezer (875-843), promosse una coalizione degli stati della Palestina per fermare l'avanzata degli Assiri. I Filistei non aderirono in quanto non vedevano positivamente che Damasco divenisse lo stato egemone della regione.
Nonostante l'incombente minaccia assira Hazael (843-806), il nuovo re di Damasco, attaccò la Palestina e costrinse il re di Israele Iehu (842-815) a cedere tutti i possedimenti transgiordanici (2 Re 10:32-33). Gerusalemme si arrese e ottenne la salvezza pagando un tributo (2 Re 12:19). La città filistea di Gat venne assediata e distrutta intorno all'815 a.C. (2 Re 12:18).
In un testo assiro di Adad-nirari III (810-783) compare per la prima volta il termine "Palashtu", ossia Palestina, terra dei Filistei. Nello stesso testo compaiono altri due termini: "Khumri", la terra di Omri, re di Israele, e Edom, la terra degli Arabi stabilitisi nel sud della Palestina. Adad-nirari attaccò la Palestina nell'806 ma senza grande successo.
Tra la fine del IX e la metà dell'VIII secolo a.C. gli Ebrei rinnovarono i loro attacchi ai Filistei.
Il re di Giuda Ozia (781-740) riuscì a conquistare Gat, Iavne e Asdod (2 Cronache 26:6).
La politica di aggressione continuò con il re di Giuda Achaz (735-715 a.C.). I Filistei reagirono con l'occupazione di parte del Negeb (2 Cronache 28:18). I Filistei festeggiarono come una liberazione la morte di Achaz (Isaia 14:28-31).
In gravi difficoltà a sud i Filistei tentarono la rivincita a nord alleandosi con gli Aramei contro il regno di Israele (Isaia 9:11).
Dominazione assira
Nel 734 Tiglatpileser III (745-727), re di Assiria, avanzò con il suo esercito lungo la costa della Palestina. Conquistò Gaza e costrinse alla fuga il re filisteo Hanon, che però potè riavere il suo trono con il riconoscimento della supremazia assira e il pagamento di un tributo. Analoga sorte toccò a Mititti, re di Ascalona, ad Achaz, re di Giuda, e ai re di Moab ed Edom.
Damasco tentò di resistere e nel 732 venne sconfitta. Nella battaglia perì anche Mititti. A Rukibti, figlio di Mititti, fu concesso di tornare in possesso della città di Ascalona.
Nel 721 Samaria, capitale del regno di Israele, cadde in mano a Sargon II (721-705), che aveva usurpato il trono di Assiria.
Il re di Hamat organizzò una nuova coalizione con l'appoggio dell'Egitto. Hanon di Gaza aderì. Le altre città filistee rimasero fuori dell'alleanza. Nella battaglia di Qarqar (720) gli alleati furono sconfitti. Gaza fu occupata ma potè riavere la sua libertà dietro pagamento di un tributo.
Nel 713 Azuri, re di Asdod, fu deportato in Assiria e sostituito dal fratello Ahimitu. La popolazione si ribellò e nominò re Iamani. Nel 712 Sargon intervenne. Asdod fu conquistata insieme a Asdod-Yam, Gat, Ekron e Gibbeton. Gli Assiri fecero di Asdod la capitale della provincia assira omonima.
Alla morte di Sargon II, tutta l'area siro-palestinese insorse. Rubikti di Ascalona, filo-assiro, fu scacciato dal trono e sostituito con Sidqa. Padi di Ekron, filo-assiro, fu detronizzato e tenuto in prigionia presso Ezechia re di Giuda.
Sennacherib (704-681), successore di Sargon, intervenne nel 701. Molte città si sottomisero.
Mititti di Asdod fece atto di sottomissione. Ad Ascalona Sidqa fu sostituito con Sarrudulari, figlio di Rubikti.
Durante l'assedio di Ekron, arrivò in soccorso della città l'esercito egiziano che però venne sconfitto. Padi fu rimesso sul trono di Ekron.
Sennacherib pose l'assedio a Gerusalemme. Ottenne dal re Ezechia un fortissimo tributo. Il regno di Giuda perse 46 città. Le città perdute furono consegnate o restituite a Padi di Ekron, Mititti di Asdod, Silli-bel di Gaza, e Sarrudulari di Ascalona.
Durante il regno di Asarhaddon (680-669) iniziò l'attacco contro l'Egitto. Basi di partenza furono le città filistee ed in particolare Ascalona. I Filistei inoltre fornirono materiali per la costruzione del palazzo reale di Ninive.
Il re assiro Assurbanipal (668-629) combatterà contro l'Egitto insieme a 22 re della costa e dell'interno della Palestina. Silli-bel di Gaza, Mititti di Ascalona, Ikausu di Ekron e Ahimilk di Asdod saranno al fianco degli Assiri.
Nel 660 le orde degli Sciti devastarono la Palestina arrivando a saccheggiare il tempio di Ascalona (Erodoto, I, 105).
Gli Egiziani riuscirono a cacciare gli Assiri dall'Egitto con l'aiuto di mercenari greci (Erodoto, II, 152). Asdod, rimasta fedele agli Assiri, venne assediata dal faraone Psammetico I (664-610) per 29 anni (Erodoto, II, 157).
Giosia, il re di Giuda, alleato degli Egiziani, colse l'occasione propizia e allargò il suo dominio fino al mare negli ultimi decenni del secolo.
Dominazione babilonese
Nel 612 Ninive, capitale degli Assiri, cadeva per mano dei Babilonesi. Gli Egiziani, intuendo il pericolo del nuovo impero, cercarono inutilmente di salvare gli Assiri.
Giosia cambiò rapidamente bandiera passando dalla parte dei Babilonesi. Nel 609, a Megiddo, con il suo esercito si oppose agli Egiziani, guidati dal faraone Necao (609-594), che cercavano di portare aiuto agli Assiri. Fu sconfitto e rimase ucciso in battaglia. La Palestina rimase sotto il dominio degli Egiziani (2 Re 23:29-35 ed Erodoto II, 159).
Asdod continuò a resistere agli Egiziani ma infine dovette cedere. Gaza si ribellò al dominio egiziano ma venne conquistata da Necao.
Nabucodonosor (604-562), il re di Babilonia, appena salito al trono attaccò e conquistò le quattro città filistee. Inutile fu la richiesta di soccorso all'Egitto.
Il dominio babilonese fu particolarmente duro. Ekron, identificata in Tel Miqne, non fu più ricostruita. Asdod venne abbandonata e fu ricostruita sulla costa, i Greci la conobbero come Azotos Paralios, ossia "Asdod presso il mare". Gli strati dirigenti e produttivi delle popolazioni filistee furono deportati. Due centri vicino alla città babilonese di Nippur, nel VI secolo a.C., furono chiamati "Gaza" e "Ascalona".
Dominazione persiana
Nel 539 Ciro II, re dei Persiani, entrò in Babilonia. I Persiani ereditarono tutto l'impero babilonese.
Per i Filistei la dominazione persiana si rivelò un altro periodo di sofferenza.
I Persiani furono favorevoli agli Ebrei, che poterono ritornare in Palestina, e ai Fenici, a cui furono assegnate anche le città filistee di Giaffa e Dor. Agli Arabi fu concesso di installarsi sulla costa a sud di Gaza.
Erodoto collocherà i Filistei in una ristretta fascia costiera tra Gaza e il confine con Giaffa (Erodoto, III, 5).
I Persiani favorirono anche la presenza fenicia nelle terre dei Filistei. Ascalona venne conosciuta come "città dei Tirii". Una colonia sidonia si stabilì nei pressi di Asdod.
Il comportamento dei Persiani, noti per la clemenza verso le popolazioni sottoposte, non ha spiegazioni. Forse i Filistei tentarono di riottenere la propria indipendenza e furono quindi puniti per la loro ribellione.
Periodo ellenistico
Nel 333 Alessandro Magno, re di Macedonia, sconfisse Dario, re dei Persiani, nella battaglia di Isso. Alessandro si diresse verso l'Egitto passando dalla Palestina. Tiro resistette 9 mesi all'assedio dei Greci. Gaza si arrese dopo due mesi. Beti, il governatore persiano di Gaza, venne messo a morte (C. Rufo, Storia di Alessandro, IV, 6 e Giuseppe Flavio, Antichità giudaiche, XI, 320 e 325).
Le monarchie ellenistiche di Egitto e Siria si contesero a lungo il possesso della Palestina. La situazione di incertezza consentì il recupero di autonomie locali.
Dominazione giudaica
A partire dalla metà del II secolo a.C. i Giudei, approfittando della debolezza della monarchia siriana dei Seleucidi, riuscirono a ricostituire uno stato giudaico indipendente che si estese oltre i confini della Giudea.
I Giudei attaccarono immediatamente le città filistee. Nonostante i secoli trascorsi (circa un millennio) e le dominazioni subite (egiziana, assira, babilonese, persiana, siriana) i Giudei mantenevano intatto il loro odio verso i Filistei, considerati come stranieri (1 Maccabei 3:41 e 4:22).
I Filistei furono sempre sconfitti. Solo Ascalona riuscì a salvarsi forse perchè era ormai conosciuta come una città fenicia.
Asdod fu vinta da Giuda Maccabeo (? - 160 a.C.) nel 163 a.C. (1 Maccabei 5:66-68) e fu distrutta da Gionata, fratello e successore di Giuda, nel 147 a.C. (1 Maccabei 10:83-84). Fu ricostruita in parte sotto Alessandro Ianneo (103-76 a.C.), primo re di Giudea.
Nel 147 a.C. Ekron fu donata a Gionata Maccabeo dal re di Siria Alessandro Balas (? - 145 a.C.), che aveva nominato governatore della Palestina lo stesso Gionata.
Nel 145 a.C. Gionata Maccabeo saccheggia Gaza e ne distrugge il porto. Gli abitanti si salvano arrendendosi e consegnando degli ostaggi (1 Maccabei 11:61-62 e Giuseppe Flavio, Antichità giudaiche, XIII, 150-153). Tra il 100 e il 96 a.C. la città viene assediata dal re di Giudea Alessandro Ianneo. Gaza resiste un anno (Giuseppe Flavio, Antichità giudaiche, XIII, 358-364).
Nel 143 a.C. Simone Maccabeo, fratello e successore di Gionata, conquistò Giaffa (1 Maccabei 12:33).
Periodo romano
Nel 63 a.C. il generale romano Pompeo entrava in Palestina e concedeva l'autonomia a tutte le città. Il dominio giudaico era durato meno di un secolo. I Filistei erano di nuovo liberi (Giuseppe Flavio, Antichità giudaiche, XIV, 75-76). La pax romana proteggeva i sudditi di qualsiasi etnia o religione.
Nel 66 d.C. i Giudei si ribellarono a Roma. Distrussero molte città della Palestina. Ancora una volta i Filistei furono individuati dagli Ebrei come nemici: Gaza e Ascalona furono distrutte (Giuseppe Flavio, Guerra giudaica, II, 460).
I Romani riportarono in pochi anni l'ordine e la pace in una terra contesa da oltre mille anni.