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martedì 2 novembre 2010

I MICENEI

I  MICENEI  

Il primo popolo di lingua greca che si sia stanziato sulla terraferma fu quello dei Micenei, così chiamati dalla loro più importante città, Micene, nel Peloponneso. Provenienti da una zona non meglio precisata dell’Oriente, forse incalzati anch’essi da altri popoli in fase di migrazione , nel 1900 a.C. presero possesso dei territori di quella che sarebbe poi diventata  la Grecia classica, dalla Macedonia al Peloponneso. Il loro spirito bellicoso , le loro usanze rozze e primitive  mal si inserivano in un ambiente ricco di cultura e di traffici qual era il bacino orientale  del Mediterraneo in quel tempo. Fu infatti il contatto con i Cretesi e poi con i più lontani Egizi che maturò lentamente la loro civiltà , che li aiutò a dirozzare le loro usanze , i loro costumi, la loro arte.
Dall’inizio del 1500 a.C. i contatti con i Cretesi si intensificarono  a tal punto che le due civiltà , quella minoica  e quella micenea finirono per esprimersi con caratteri affini , a volte perfino identici. Sebbene questo genere di rapporti non sia ancora  del tutto noto nei suoi aspetti culturali più significativi , e tuttavia certo che Micene cominciò a progredire in modo più deciso dopo la conquista violenta di Creta e la conseguente  distruzione di Cnosso . E’ probabile che i pacifici ed evoluti Cretesi , dopo un primo periodo di naturale sconcerto , si siano inseriti felicemente nella nuova realtà politico sociale  in cui i loro conquistatori  li avevano costretti.
Da questo connubio di forza e cultura nacque una nuova civiltà che se per alcuni aspetti può essere considerata naturale continuazione della civiltà minoica , riuscì a differenziarsene in modo netto con il passare del tempo  e finì con il raggiungere una propria fisionomia  nei tre secoli che seguirono .
Quella che era stata la zona d’influenza  di Creta divenne area di incontrastato dominio miceneo . I nuovi padroni non si accontenteranno però di trafficare : spinti da quello spirito di conquista che era loro caratteristico, posero delle nuove basi commerciali sulle coste di altre isole e di altre terre .
Nascevano così colonie micenee a Rodi e a Cipro  e zone fortificate in molte isole del mar Egeo e sulle stesse coste della terraferma.
Micene non era la capitale della Grecia, ma la città più importante di una federazione di numerose città completamente autonome. Le alleanze erano frequenti in caso di guerre che servissero a debellare comuni nemici. In ciascuna città la massima autorità era rappresentata dal re; a questi erano dovute obbedienza e venerazione. Le virtù preliminari di un re  dovevano essere quelle guerriere : l’abilità, il coraggio, la prestanza fisica, la forza. Egli infatti doveva saper condurre il suo popolo ala vittoria  in ogni guerra e dimostrare di essere  il primo e più coraggioso combattente.
Alla sua morte gli venivano tributati onori solenni ed era sepolto in tombe sfarzose che gli garantivano l’immortalità. L’usanza di costruire le città in zone dominanti o facilmente difendibili è antica quanto la storia umana , ma pochi popoli come i Greci seppero sfruttare in modo  perfetto gli elementi  naturali del terreno . L’acropoli (città alta) di Micene ne è un esempio con le sue mura colossali, che la leggenda vuole edificate dai Ciclopi, e con la sua perfetta collocazione difensiva. Niente di tutto questo si era visto a Creta, ma quel popolo non aveva sentito la necessità di diventare guerriero. Al sommo dell’acropoli, in posizione dominante,  si ergeva il palazzo reale. Anche qui, come nei palazzi reali minoici, non mancava il lusso e l’eleganza, ma si respirava un aria diversa: era questo il regno della forza, non certo della letizia.
Nonostante il loro sacro culto per la forza e la guerra, i Micenei si distinsero anche in opere di pace, specie nel periodo aureo della loro civiltà che raggiunse il massimo splendore tra il 1300 e il 1200 avanti Cristo, Per quanto riguarda il campo dell’arte, oltre che nelle possenti costruzioni essi si cimentarono in opere di scultura; ne è testimonianza la porta d’ingresso all’acropoli di Micene, sovrastata da una scultura di notevoli proporzioni raffigurante due leoni rampanti. Si ritiene che quest’opera sia la più antica scultura Greca.
Oggetti preziosi in oro, trovati nelle tombe degli antichi re, testimoniano un arte orafa assai evoluta. Fra tutte basterà ricordare la bellezza addirittura raffinata della coppa d’oro portata alla luce negli scavi di Vaphio; essa è costituita da due lamine d’oro, una interna liscia e una esterna sbalzata ricca di elementi decorativi di perfetta fattura. Essa appare subito come opera d’arte di rara perfezione.
L’immagine ricorrente di un tori che galoppa con armoniosa eleganza induce a supporre una più o meno diretta influenza minoica. Ma il campo nel quale balza evidente l’influsso cretese nell’arte micenea è soprattutto quello della pittura; le decorazioni che sono state ritrovate, specie a Tirino e a Micene , portano segni indubbi della loro paternità : le forme, i colori, i personaggi, i loro atteggiamenti e perfino le acconciature femminili sono somigliantissimi a quelli cretesi. Tutto questo ci dice come i costumi, le usanze, la vita stessa della Grecia si andassero modellando su quelli degli abitanti di Creta. Dai vasai di Cnosso e Festo appresero l’arte di costruire, modellare e decorare con gusto i vasi di terracotta. Dai tessitori e dai sarti isolani ereditarono l’amore per le stoffe e i vestiti policromi e ben modellati che mettevano in risalto la persona e davano spicco alla bellezza muliebre.
Omero, il grande cantore greco, narrando le vicende di questi greci antichi, gli Achei, riflette il senso del dramma che sempre incombeva su di essi. Pur nella finzione drammatica dei suoi grandi poemi, “ l’Iliade e l’Odissea”, è avvertibile un modo che poco spazio lasciava alla dolcezza della vita, tutto proteso  in un ideale di potenza e di virtù guerriere che incupiva l’esistenza quotidiana del popolo. La stessa  guerra veniva combattuta senza esclusioni di colpi, con un ardore che molto spesso sconfinava nella ferocia e si concludeva quasi sempre con la completa strage dei vinti.
Nei periodi di pace tra una guerra e l’altra, rari in verità i Micenei sfogavano il loro spirito bellicoso nella caccia. Una fiera li affascinava sopra tutte, il leone. Agile, forte, feroce, superbo, nelle sue qualità era degno avversario per guerrieri tanto consapevoli del proprio valore. La materia prima non mancava: dalle montagne circostanti i leoni scendevano a far strage di greggi nella fertile pianura, dove pastori e contadini erano intenti nei quotidiani lavori. I giovani affrontavano le fiere con l’impeto di uno scontro militare. Le loro armi erano le stesse dei combattimenti: lancia, spada e un corto pugnale per il corpo a corpo. La lotta era quasi sempre cruenta e accanita. Se il cacciatore non  riusciva ad abbattere il leone al primo colpo di lancia, se solo lo feriva, questi si scagliava contro di lui con impeto e ferocia tali da terrorizzare qualsiasi intrepido combattente. Non era raro il caso che la vittoria arridesse al leone.
In questo caso gli amici non piangevano l’eroe ucciso: quale premio migliore infatti poteva aver egli sperato in tutta la sua vita, se non quello tanto sognato di morire combattendo?
Anche i traffici marittimi e l’interesse per gli scambi attraverso le grandi vie commerciali erano per i Micenei un campo di attività ereditato dai Cretesi. Con una differenza però: appena era possibile essi si trasformavano da commercianti in pirati; assalivano le navi ricche di mercanzie e se ne impadronivano. Non che essi fossero gli unici in questa professione di rapina, ma furono certamente i più abili e decisi.
I Greci, o Achei, appresero dai Cretesi anche la scrittura; non quella geroglifica, e nemmeno una più tarda scrittura detta “ lineare A” (entrambe ancora indecifrate) , ma la cosiddetta “ linea B”, di essa si servirono in modo particolare negli scambi commerciali, nelle attività economiche.
L’impresa militare degli Achei rimasta più famosa, grazie soprattutto a Omero, l’immortale poeta che la cantò fu la guerra di Troia . Lo spirito bellicoso di questo popolo irrequieto trovò qui un lunghissimo periodo di gloria e di morte. Ma fu anche la loro ultima grande impresa: passeranno appena poche decine di anni e anche i superbi Achei conosceranno l’onta dell’invasione e della sconfitta. Spetterà proprio a un popolo fratello di lingua, i Dori, il compito di spegnere la civiltà micenea. Era il 1200 a.C.; erano passati 200 anni dalla costruzione della felice Cnosso.


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