I FENICI
L’antica Fenicia occupava gran parte la costa dell’attuale Libano, dal monte Carmelo al golfo di Iskenderun . A est la catena del Libano, che raggiunge i 3080 metri di altezza, taglia praticamente le comunicazioni con l’entroterra e, correndo quasi parallela e vicinissima alla costa, comprime fortemente la regione sul mare. Lunghe propaggini montuose isolano l’una dall’altra le brevi vallate, percorse da fiumi che assomigliano a torrenti. Gli antichi abitatori videro nel mare la loro condizione di vita; lo affrontarono dapprima in cerca di luoghi pescosi, poi ne fecero la via per qualsiasi scambio.
Fondarono la loro città su promontori rocciosi, in modo da poter disporre di due porti, uno rivolto a sud e l’altro a nord, a seconda dei venti e delle stagioni. Sfruttarono in modo analogo anche gli isolotti a breve distanza dalla costa, dove era più facile fortificarsi e rifugiarsi in caso di necessità.
Numerose scoperte archeologiche provano che la Fenicia fu abitata in tempi remotissimi . Ma chi furono i Fenici? Da dove provenivano? Questa domanda appassionava gli studiosi già al tempo di Erodono, il famoso storico greco. Interrogati da lui in proposito, i sapienti di Tiro risposero che i loro antenati provenivano dal Golfo Persico . In passato qualcuno sostenne che erano un ramo della civiltà cretese. Secondo le più recenti ipotesi, fanno parte di una forte migrazione semitica che,partendo dalla Caldea, nel IV millennio a.C. venne a stanziarsi sulle coste siriache. Ma sulla data del definitivo stanziamento in Fenicia di questo popolo e sul paese di origine si possono fare soltanto congetture.
Grazie alla particolare posizione geografica, la Fenicia godeva anche nell’antichità di un clima abbastanza mite, rispetto a quello del vicino Oriente, ma occorreva affinare l’ingegno per sfruttare la scarsa fertilità del suolo. Ruderi giganteschi di silos sotterranei, primitivi torchi di pietra, colossali cisterne intagliate nella viva roccia provano l’ingegno di questo popolo nel serbare e trasformare i prodotti agricoli . Col rudimentale aratro di legno, in uso in tutto l’oriente, i Fenici spinsero le coltivazioni fin sui monti del Libano, intagliarono terrazze perfino sulle scogliere e vi trasportarono a spalle la terra necessaria.
Coltivarono soprattutto grano e orzo che già in maggiorano maturi, legumi, lino e forse anche cotone ; compirono progressi notevoli nella cultura della vite e dell’olivo, praticando l’innesto. Fra gli alberi da frutta erano diffusi i fichi, i sicomori e soprattutto la palma da dattero..
I Fenici avevano in tutto il Mediterraneo il monopolio della porpora, che forse inventarono e di cui certamente conoscevano l’uso gia fin dal 1600 a .C. Secondo una leggenda, fu il dio Melkart, a farne dono ai suoi fedeli; secondo un’altra, l’idea geniale di tingere la lana venne a un pastore, che aveva visto il suo cane imbrattarsi di rosso nel tentativo di addentare un murice. La porpora è una tintura ricavata dal murice, una piccola conchiglia divenuta rara per l’abbondante uso che se ne fece.
I Fenici furono famosissimi nel mondo antico per la lavorazione del vetro. Molto probabilmente il procedimento per fabbricarlo fu scoperto dagli Egizi e poi adottato dai Fenici, che lo semplificarono usando la sabbia finissima e bianca di cui abbondavano le loro spiagge.Vasi di vetro trasparente per cosmetici e profumi , in gran voga in tutto l’oriente nel 1500 a .C. erano tra i prodotti più pregiati e richiesti dell’artigianato fenicio.
L’arte Fenicia non ebbe caratteri originali. Artisti e artigiani sapevano lavorare ugualmente bene l’avorio e la pietra, il legno e i metalli, ma cercavano soprattutto di compiacere i gusti dei clienti e perciò le loro opere, a secondo del periodo storico, s’ispirarono alla civiltà Egizia, assiro-babilonese e a quella greco-romana. Le spedizioni archeologiche dell’800 hanno riportato in luce il sistema estremamente efficace usato dagli ingegneri fenici, che nella costruzione di dighe e porti sapevano sfruttare le pareti rocciose , integrando l’opera della natura con colossali blocchi di pietra. Le grandiose rovine di Ungarit ci mostrano un tempio a cielo aperto, un recinto sacro che al centro aveva un altare per i sacrifici e una piccola cappella , oppure una colonna di pietra o di legno, considerata la dimora del Dio. I palazzi, a detta di Stradone avevano eleganti finestre e balconi ed erano più alti di quelli romani, che non di rado superavano i 20 metri . Per questo i danni arrecati dai terremoti sono stati gravissimi. L’unica fonte di conoscenza è costituita dai bassorilievi assiri..
Spinti dall’esiguità del loro territorio, incuneato fra l’Egitto e Mesopotamia, i Fenici tentarono le vie del mare, e con i loro empori stabilirono una efficientissima rete di commercio in tutto il Mediterraneo. I mercanti scambiavano i prodotti della loro terra e dell’artigianato con le materie abbondanti in altri paesi: grano in Egitto, rame nell’isola di Cipro, argento in Spagna, zolfo e ferro in Sicilia; si rifornivano di oro e piombo perfino dal mar Nero. Stabilirono un servizio ininterrotto con le carovane che percorrevano l’Asia , portando così dall’India incenso e legni rari , mirra, tappeti pregiati e mussole trasparenti, dall’Africa avorio e ebano.
Come tutti i popoli antichi, i Fenici facevano ben poca distinzione fra commercio, inganno e furto. Usavano sistemi tanto simili alla pirateria, che si crearono ben presto una pessima reputazione: benché essi stessi non si comportassero in maniera migliore , i Greci finirono col chiamare “fenicio” chiunque si dedicasse a pratiche disoneste.
Pare che questi arditi navigatori, superato lo stretto di Gibilterra, abbiano raggiunto l’arcipelago britannico per rifornirsi di stagno ; forse arrivarono anche al Mar Baltico, in cerca d’ambra . Fin dove giunsero con i loro viaggi? Secondo Erodoto compirono il periplo dell’Africa, assoldati dal faraone Neco, nel VI secolo a.C., navigando per tre anni.
La prima scuola del marinaia Fenicia fu certamente la pesca, insieme alla necessità di aggirare per via mare i contrafforti che dividevano le pianure. La costa stessa, allungandosi sul mare, sembrava incoraggiare a viaggi sempre più lunghi . La necessità divenne abitudine, i Fenici impararono a sfruttare a loro favore le correnti e la regolarità dei venti, e a poco a poco crearono una vera e propria scienza della navigazione. Le loro navi, di poco pescaggio e di piccola stazza , potevano navigare soltanto a breve distanza dalla costa, ma con questo sistema seppero affrontare le mille incognite di viaggi in acque del tutto sconosciute. Non disponendo di alcun strumento di bordo, impararono a basarsi sul moto delle stelle, soprattutto sulla stella polare, che a lungo fu chiamata “stella fenicia” , e che si pensa scoperta proprio da loro.
I Fenici, che avevano a disposizione i cedri del Libano, poderosi, diritti e alti più di 40 metri , possono essere considerati i primi maestri di ingegneria navale. La presenza di un vero e proprio scheletro di legno differenzia la loro nave da quella più progredita degli Egiziani, che nel complesso ci appare ancora simile a una cassa. Il fondo è costituito dalla chiglia, una trave in legno robusto teso per tutta la lunghezza. Dalla chiglia, come dalla colonna vertebrale, si dipartono le costole, robusti pezzi di legno trasversali, collegati fra loro con una serie di travi parallele sul fondo della barca. I bordi sono notevolmente rialzati ed esiste il ponte, sostenuto solidamente dalle travature trasversali. Sullo scheletro è teso il fasciame, formato da tavole perfettamente congiunte e rese impermeabili da una speciale mistura a base di bitume proveniente dalla Caldea. Sotto il pelo dell’acqua la chiglia è munita di un affilato sperone rivestito di metallo per sfondare la nave avversaria. La vela quadra, issata sull’unico albero, poteva venire usata solo con il vento in poppa, perciò la velocità e l’agilità di movimento erano quasi interamente affidate ai rematori.. Il carico, che poteva essere di parecchie tonnellate, era ammassato al centro, in modo da lasciare spazio ai rematori. Il timone era costituito da due larghi e lunghissimi remi. La Fenicia possedeva una marina militare e una mercantile. Conosciamo le caratteristiche delle sue navi dalle decorazioni di alcune tombe egizie, da poche pitture vascolari greche e da bassorilievi assiri. Il più noto, del 700 a .C., rinvenuto a Ninive, ci mostra una nave da guerra lunga circa 20 metri , a due ordini sovrapposti di rematori. La colonizzazione fenicia dovette iniziare a opera di Sidone subito dopo l’invasione dei popoli del mare. Sulla data di fondazione delle colonie possediamo solo testimonianze greche, di epoca molto più tarda. Verso il 1000 però nell’Egeo dovevano esisterne già molte, poiché pressappoco in quell’epoca l’alfabeto fenicio fu adottato dai Greci.
Piu che vere e proprie colonie, i Fenici fondarono empori e magazzini; pagavano tributi ai principi locali per esercitare liberamente il commercio. Le colonie più famose furono quelle dell’Africa settentrionale e del Mediterraneo occidentale, soprattutto in Spagna, Sicilia , Sardegna. La più importante fu Cartagine , la “nuova città”, chiamata così dai Tirii, che la fondarono su un'unica base commerciale di Sidone. Le colonie mantennero sempre legami di lingua e religione con la madrepatria , pur avendo governo autonomo . Unica fra tutte Cartagine si rese completamente indipendente dalla Fenica, sottomise le popolazioni indigene e le altre città coloniali Africane e diventò una potenza commerciale e navale, temibile avversaria dei greci e dei Romani.
La religione era basata sulla personificazione delle forze naturali, ma ricostruirla non è facile perché la Fenicia pululava di piccole divinità adorate con nomi, attribuiti a culti diversi. In ogni città tuttavia si può rintracciare una triade divina, formata da Baal, il dio protettore (chiamato Melkart a Tiro, Eshmun a Sidone, Ammon a Cartagine ), da Nalaat, la dea che personifica la terra feconda, e da un altro Dio, generalmente figlio di Balaat. A questo Dio più giovane era legato un mito di morte e di resurrezione che esprime il ciclo perenne della vegetazione . Una delle dee più note era Ashtart, identificata dai Greci con Afrodite; altre divinità particolari erano Reshef, padrone della luce e della folgore, e Dagon, dio del grano e del mare.
In tutta la Fenicia , il tempio costituiva un organismo a se, con amministratori e leggi proprie. Accanto alla costruzione destinata alle cerimonie religiose c’erano alloggi per tutti coloro che vi erano addetti: sacerdoti, servitori, guardiani e artigiani. Sugli altari venivano bruciati olii, vino, latte; le offerte più ricche erano rappresentate da buoi, vitelli e montoni. In caso di calamità però si immolavano anche vittime umane , soprattutto bambini in età tenerissima. I Fenici infatti, come molti popoli antichi, erano convinti così di placare la divinità. A Cartagine, durante l’assedio dei Romani, 200 vittime innocenti vennero sacrificate al dio Moloch.
A somiglianza degli Egizi, i Fenici credevano che dopo la morte l’anima continuasse a vivere , e che la sua esistenza fosse legata alle sorti del corpo che aveva abbandonato . Per questo il culto dei defunti era in grandissimo onore presso questo popolo rozzo e crudele. Il cadavere veniva chiuso in una tomba detta “ Casa di riposo” o “ Casa dell’eternità”, consistente per lo più in una camera sotterranea, che s’apriva direttamente sulle pareti rocciose, o alla quale si accedeva attraverso una specie di pozzo profondo e una lunga galleria sotterranea.
La conformazione del suolo, che favoriva l’isolamento delle varie località, ostacolò il sorgere di un vero senso nazionale . La storia della Fenicia è più che altro la storia di tante città-stato , raramente unite di fronte ai nemici comuni e sempre in lotta fra loro. Le lettere di alcuni funzionari babilonesi ai faraoni ci provano che nel 1400 a .C. la fenicia era diventata un possedimento dell’Egitto. Le città-stato lottarono per liberarsi da questa scomoda tutela. Ci riuscirono verso il 1200 a:C. , quando l’Egitto era in piena guerra , e nella fenicia iniziò un periodo di prosperità e di aspre lotte fra le varie città per il predominio politico ed economico. Dapprima prevalse Sidone, poi Tiro. Ma era inevitabile che la Fenicia fosse una facile preda nelle lotte fra varie potenze predominanti nella zona, tutte prive di sbocchi al mare. Malgrado le numerose rivolte , se ne impadronirono gli Assiri, e quando Babilonia cadde la Fenicia passò all’impero Persiano. Le città conservarono però una certa autonomia, pur pagando i pesanti tributi imposti; molte s’allearono con i vincitori per sconfiggere la Grecia.. Con la disfatta dei Persiani finì praticamente anche l’indipendenza della Fenicia. Le città che i fenici fondarono nei punti più favorevoli al commercio ebbero una organizzazione politica e religiosa propria, estesa anche al territorio di espansione. Erano per la maggior parte governate da un re, scelto fra le famiglie che vantavano discendenza divina; alcune erano rette a repubblica da due “suffeti”. I mercanti più ricchi formavano un importante consiglio di anziani. Il maggior centro religioso era Byblos , che si diceva fondata da El, il dio del Sole. Là il commercio del papiro era talmente attivo che il suo nome fu usato dai Greci per indicare il “libro”: dai fusti di papiro, infatti, venivano allora ottenuti i fogli su cui si scriveva.
Tutti gli antichi storici attribuiscono ai fenici l’invenzione dell’aritmetica, anche se elementare ed imperfetta. E’ logico pensare che i primi mercanti si servissero delle dita per fare calcoli, ma avendo bisogno di raggiungere somme maggiori, ricorsero a sassolini ( la parola greca calcolare deriva da “ calcolo” , che anche in latino vuol dire piccola pietra) , a granelli vari, a nocciolini. Geniali e pratici com’erano, si valsero dei mezzi sperimentati da altre popolazioni orientali e inventarono nove segni nuovi, le cifre, che combinate con le lettere semplificavano molto le operazioni. Occorreva attendere ancora 1500 anni per lo 0, introdotto da uno sconosciuto indù nel sistema che impropriamente chiamiamo arabo perché lo abbiamo conosciuto da questo popolo.
Le scoperte archeologiche ci provano che nel secondo millennio a.C. in tutto l’Oriente era avvertita l’esigenza di un nuovo sistema di scrittura meno complicato di quelli già in uso, che richiedevano grande precisione di segno e la conoscenza di parecchie centinaia di caratteri. . I Fenici impegnati in un traffico intenso, soprattutto di merci al minuto e di non grande valore, dovettero sentire più di ogni altro popolo la necessità di sveltire le loro registrazioni. Abbandonata la scrittura Egizia e babilonese, per le quali occorrevano persone specializzate, come gli scribi, ricorsero ben presto agli alfabeti trovati presso vari popoli: Assiri, egizi, micenei…Geniali e pratici com’erano, li modificarono e dalla mescolanza ricavarono un nuovo alfabeto formato da ben 22 segni , a cui corrispondevano altrettante consonanti. Saltarono le vocali che nel fenicio, come in tutte le lingue semitiche , si possono intuire facilmente. Era ancora una scrittura primitiva, ma l’idea era geniale.
Il fenicio fu la prima fra le lingue “morte” a essere decifrata, quando nel 1750 furono trovate delle iscrizioni bilingue, fenicio-greco, a Cipro e a Malta.
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