I CRETESI
Con parole di schietta ammirazione Omero definisce l’isola di Creta “ bella, grassa, ben bagnata, con grande numero di uomini e novanta città”.
Qual era il popolo fortunato che abitava un isola tanto accogliente ? Da dove proveniva? Gli storici non hanno ancora dato una risposta esauriente a questi interrogativi. Si suppone che gli abitanti di Creta fossero approdati a quei lidi felici verso il 4500 avanti Cristo, dopo esser fuggiti dalla terra ferma, perché incalzati da una colossale migrazione di popoli provenienti dall’Asia Minore.
O forse erano essi stessi elementi di questa migrazione premuti a loro volta da altri popoli. E’ comunque accertato da recenti scavi archeologici che la civiltà cretese ebbe uno sviluppo lento, ma sorprendente, essa ebbe inizio intorno al 3000 a .C. , quando superata l’età neolitica i Cretesi si avviarono a diventare un popolo di alta civiltà, ed ebbe termine nel 1400 a .C., quando il suo splendore e la sua magnificenza furono spenti con la forza dalle armi dell’altro popolo ellenico destinato a primeggiare, il popolo della grande Micene. Per quasi 2000 anni Creta rappresentò un centro di progresso e di pacifica convivenza: proprio in quest’isola sono da ricercare le radici stesse della più grande civiltà occidentale di tutti i tempi, quella ellenica.
Nel periodo del suo massimo splendore , cioé dal 2000 al 1400 a .C., Creta conobbe momenti di vera grandezza; la sua fama arrivò a tutti i popoli del mondo allora conosciuto. Situata in felice posizione geografica , al centro del mediterraneo orientale, essa divenne il punto focale dei traffici che si svolgevano intensi tra occidente ed oriente. Fu per cosi dire il capolinea di tutte le vie dei commerci del tempo, da quello della seta a quello dell’oro, da quello dello stagno a quello dell’ambra, da quello dei manufatti a quello dei profumi.
Questo incrociarsi di interessi economici fu probabilmente anche l’elemento decisivo che favorì un ricco scambio di conoscenze culturali , sociali e religiose. Nella civiltà cretese sono infatti riscontrabili chiari influssi di altre civiltà, di quella egizia in particolare. Lo testimoniano i colossali palazzi presenti nelle più grandi città e la scrittura di tipo geroglifico.
Un aspetto della vita cretese va sopra ogni altro sottolineato: il carattere pacifico del suo popolo. Da che cosa era determinato un tale atteggiamento , in un periodo così incline alla violenza e alla forza? Sebbene sia sempre arduo interpretare vicende storiche di cui non si abbiano conoscenze sicure, è possibile giungere a supposizioni attendibili. Prima di tutto. Pur essendo centro di traffici intensissimi, Creta era un isola facilmente difendibile: tutta la parte meridionale delle coste infatti era inaccessibile, le onde si frangevano sugli scogli strapiombanti con fragore presente e pauroso. In secondo luogo, le grandi potenze commerciali del tempo avevano tutto l’interesse a trovare in Creta un approdo pacifico, dove potere operare scambi vantaggiosi in tutta tranquillità e non un ambiente agitato e bellicoso in cui rischiasse di compromettere il buon esito degli affari e magari di mettere in pericolo la vita stessa. Da ultimo era l’ambiente medesimo che invitava alla pace e alla letizia: vallate amene, pianure non grandi ma accoglienti e ricche di verde, montagne alte ma prive di particolari asperità, favorivano una differenziazione di climi che andavano da quello temperato a quello subtropicale. Come non trovare motivi di pace in un ambiente di questo genere? Come non impegnarsi in una convivenza pacifica e serena per tutti? Per questo motivo Creta veniva chiamata, con indovinata espressione, l’isola felice. Oltre tutto una situazione naturale di questo genere favoriva una ricca e varia coltivazione dei campi che rendeva l’isola autosufficiente dal punto di vista alimentare.
Animale sopra tutti caro al popolo di creta era il toro; si può dire anzi che esso fosse l’unico animale veramente importante nella vita sociale e religiosa di quella gente.
Ma pur costituendo un simbolo mitico _ religioso il toro non veniva relegato in un ambito di intoccabile magia, era anzi un elemento costantemente presente nella vita del cretesi. Famosi sono rimasti i giochi col toro, che nulla però hanno da spartire con quelli cruenti in uso presso i popoli di cultura spagnola di oggi; esse erano l’espressione della vigoria, dell’abilità, e perfino dell’eleganza di quel popolo mite, che vedeva nel toro non un nemico da abbattere ma un amico col quale cimentarsi in rischiosi ma pacifici confronti. In queste esibizioni le ragazze superavano in ardimento e bravura gli stessi uomini: correvano incontro al toro che galoppava verso di loro e con una difficile elegante evoluzione lo saltavano compiendo una perfetta acrobazia sulla sua schiena, una specie di sarto mortale che trovava sulla groppa del toro il suo punto d’impatto. Il pubblico seguiva con il cuore in gola il piroettare dei suoi beniamini ma non per questo amava di meno il toro, anche lui protagonista di uno sport del tutto eccezionale.
Alla vita attiva e dinamica, del resto, i Cretesi erano abituati da secoli. Fu anzi quella loro capacità di operare con intelligente potere di assimilare chi li aveva fatti progredire in modo sicuro, che li aveva aiutati a uscire dal lungo letargo neolitico per farli entrare nella storia, in cui rappresentano la prima importante civiltà del mediterraneo.
Alla fertilità della terra i Cretesi dovevano gran parte del loro benessere, alla terra, dono inesauribile di vita, essi dunque credevano come l’unica divinità. La dea della terra, forse l’unica divinità di Creta, era la “ dea madre” , simbolo della fertilità e dell’abbondanza. Essa non veniva onorata con templi grandiosi , ma era oggetto di un culto profondamente sentito, che si esprimeva in modi semplici e ingenui, in armonia con il carattere dei suoi fedeli . In ogno casa vi erano dei piccoli sacrari, dove venivano collocati simulacri scolpiti raffiguranti la dea atteggiata in diversi modi. Da questo fatto derivò forse l’opinione che diverse fossero le divinità cretesi: la dea madre, la dea dei serpenti, la dea del vino e così via. Il fatto però che tutte fossero femminili fa pensare invece a un’unica dea, alla quale si attribuivano poteri diversi e quindi raffigurazioni e culti leggermente differenziati. Al di fuori della casa, la divinità aveva i suoi luoghi di culto in ambienti del tutto naturali: nel fitto dei boschi , sulle cime delle montagne, nelle grotte. Ricche di particolare suggestione erano queste ultime; il mistero che vi aleggiava era favorito dalle magiche penombre, dalle profond e eco sonore, dallo sgocciolare lento ma continuo di acque che andavano poi a creare sul terreno misteriosi riflessi. Nelle grotte sacre il contatto con la natura, e quindi con la dea che ne era il simbolo, diventava più immediato e diretto, suggeriva gesti solenni e allo stesso tempo carichi di interiore sentimento, favoriva il senso del divino, del magico, del supremo. Erano gesti che stavano a significare un omaggio personale al quale non era indispensabile un intermediario.
Le sacerdotesse puer presenti nel culto religioso cretese, non avevano infatti quei caratteri di esclusivo monopolio del sacro, tipici invece di molte altre religioni. Tra i singoli e la divinità il rapporto era diretto, spontaneo e soprattutto sincero. Le stesse offerte votive che i fedeli portavano alla divinità erano espressioni di questa fede religiosa fatta di sentimenti semplici: si trattava in prevalenza di prodotti del lavoro.
Ricche di animazione e di gaiezza erano invece le feste del raccolto. E’ vero che anche queste avevano uno sfondo religioso, nel senso che servivano come ringraziamento alla dea madre per le messi avute in dono, ma rappresentavano soprattutto delle felici occasioni per riunirsi nella gioia e nella gaiezza, per esprimere coralmente quel senso di felicità che era la caratteristica più evidente del sentimento popolare. Possiamo facilmente immaginare i preparativi per la processione del raccolto: dalla campagna, numerosi affluivano i giovani che sarebbero stati i protagonisti della festa; al loro seguito vi era l’immancabile codazzo di ragazzini curiosi. Nel frattempo anche le persone più anziane , sbrigate le quotidiane incombenze , si affrettavano a prendere posto nei loggiati del palazzo o lungo le vie per le quali sarebbe passato il corteo . Quando il sole era alto aveva inizio la cerimonia . Le strade brulicavano di gente , i loggiati delle case erano gremiti di folla lieta ed esultante . Il corteo era aperto da quattro cantori, immediatamente seguiti da un suonatore e danzatore, il quale, eseguendo piroette a tempo di danza , dava il tempo ai cantori e guidava al massa dei giovani che lo seguivano. Alla testa di questi vi era un proprietario terriero; il vestito del nobile personaggio era costituito da una cotta di cuoio formata da tante scaglie tondeggianti e terminate in una frangia : era forse il simbolo di una autorità e di un potere accettati pacificamente da tutti . I giovani contadini , che formavano il grosso del corteo , procedevano in modo bizzarro , senza una regola fissa , agitando fasci di spighe , simbolo della loro fatica quotidiana, ma anche della loro vita semplice e serena.
L’abilità e la laboriosità dei Cretesi non trovavano sfogo unicamente nel lavoro dei campi, ma anche in opere di edilizia, per quel tempo assai progredite. Sopra tutte le costruzioni primeggiavano i palazzi reali delle tre principali città. Festo, a sud, Mallia sulla costa occidentale e Cnosso a settentrione dell’isola possedevano edifici di mole faraonica. Soprattutto il palazzo di Cnosso era di un imponenza e di una bellezza eccezionali. Le rovine che ancora restano ne sono testimonianza . Posto sulla via di comunicazione proveniente dal sud , la più importante dell’isola , si ergeva imponente e massiccio sulla pianura circostante e sulla valle del torrente Vlychia . Un ampio cortile, circondato da colonnati di origine stile minoico, divideva l’edificio in due parti ben distinte. La parte a occidente comprendeva le stanze di corte , la sala del trono, il sacrario e i locali adibiti agli scambi commerciali; non mancavano saloni di rappresentanza e magazzini. Queste erano dispense non molto ampie ma allineate su di un corridoio lungo più di quaranta metri stipati di giare in terracotta e di otri ottenuti con pelli di capra che servivano a conservare in modo particolare olio, vino e frumento, cioè i tre prodotti principali dell’isola. La famiglia del re era alloggiata nella parte orientale del palazzo. Appartamenti e stanze erano qui decorati con lusso particolare, no privo di grazia e serenità. L’esterno si presentava imponente e fastoso, ricco di colore, abbellito da una miriade di colonne dalla tipica semplicità minoica: capitello rotondo e privo di fregi, fusto liscio e dilatato dal basso verso l’alto per dare meglio l’idea del sostegno. Loggiati e terrazze completavano l’opera. La terrazzatura delle dimore principesche si ripeteva, in forme modestissime, anche nelle case private, accostate le une alle altre sulle colline e caratterizzate da una specie di “ attico” che di rado mancava alla sommità degli edifici. Le aperture delle finestre erano piuttosto anguste, forse per la necessità di difendersi dal sole abbacinante che dardeggiava sull’isola per buona parte dell’anno.
L’artigianato trovava modo di sbizzarrirsi ad acconciare le donne, non solo per mezzo delle vesti, ma anche con monili d’oro e di altri metalli preziosi, che giungevano sull’isola in abbondanza grazie ai traffici commerciali. Ma era nelle decorazioni che l’artigianato si esprimeva in forme d’arte vere e proprie. Le grandi scene dipinte sul palazzo di Cnosso , gli affreschi di cui sono ricche le sue stanze, le preziose incisioni sui vasi in ceramica costruiti nella stessa isola sono testimonianze eloquenti di un arte che a buon diritto può vantarsi di avere influenzato in modo determinante la grandissima arte greca.
Per i commerci non solo erano indispensabili facili approdi sul mare , ma ampie vie di comunicazione all’interno dell’isola . Alla costruzione di ottime strade i Cretesi si dedicarono con lo stesso entusiasmo e la stessa foga con le quali avevano costruito le loro navi . Ben selciate, ben tenute, con frequenti ponti che superavano avvallamenti e torrenti, esse diventarono, al pari delle vie del mare, le naturali arterie lungo le quali scorreva la linfa vitale che i commerci alimentavano in continuazione.
Molti restano ancora i misteri di questo popolo , molte le vicende di cui ancora ben poco sappiamo. Tanti di questi segreti sono chiusi nell’ermetico silenzio delle loro lingue più antiche, la lingua geroglifica e quella detta “lineare”, ancora indecifrabile, silenziose come tombe. Quando l’uomo riuscirà a sciogliere questo ultimo enigma, il popolo cretese ci rivelerà di certo altri dettagli della sua splendida storia.
Nota è invece la fine della civiltà cretese: una fine immeritata, non infrequente tuttavia nella storia dell’umanità. Verso il 1400 a .C. un popolo potente e guerriero tradì la fiducia dei pacifici Cretesi; li assalì, distrusse i loro palazzi, disperse le loro ricchezze per impadronirsene: era il popolo di Micene, l’astro nascente. Alla sua forza gli abitanti di Creta ben poco avevano da opporre: non difese murarie, del tutto inesistenti nelle costruzioni create unicamente per la bellezza, non animi bellicosi, non armi. Perfino l’ascia bipenne, tipica ideazione minoica, dall’aspetto tanto terribile, a nulla poteva servire contro un popolo che delle armi aveva fatto il suo ideale, e della forza si serviva come principale mezzo di espansione e conquista.
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