NAPOLI
Il nucleo originario sorse probabilmente sull’isolotto di
Megaride, su cui fu poi eretto Castel dell’Ovo, e alla base della collina di
Pizzofalcone, estendendosi poi in età greca
e in età romana repubblicana, più a nord est.
Neapolis (in greco città
nuova) sarebbe stata preceduta da una paleopolis (città vecchia) e da una Parthenope, fondazione di greci, presenti sul golfo fin dal secolo VII a.C. ma, il problema di
natura archeologica, rimane aperto. Certo concorsero alla formazione della
città esuli da Cuma, occupata dai Sanniti nel secolo V a.C.. Di origine
comunque greca, Napoli entrò nell’orbita romana nella seconda metà del secolo
IV a.C. e rimase fedele a Roma
contro Pirro e contro Annibale. Eretta a municipio (90 a.C.) fu coinvolta nelle guerre civili del secolo I
a.C. e ne riportò gravi danni. In età imperiale , fu largamente favorita dagli
imperatori e sviluppò le sue risorse di importante scalo marittimo, di sbocco
di un ampio retroterra e di centro
culturale .
Odoacre vi confinò l’ultimo
imperatore d’Occidente, Romolo Augustolo,
nella suntuosa villa di Lucullo. Conquistata dagli Ostrogoti (493), solo alla
fine della guerra greco-gotica passò dopo gravi sofferenze all’amministrazione
bizantina (553) come capitale di un ducato
largamente autonomo. Durante l’età bizantina
(553-1137), sotto i duchi, alcuni al tempo stesso vescovi, Napoli riuscì
a salvaguardare la propria libertà più volte seriamente minacciata, oltre che
da sporadici interventi diretti dei sovrani nominali di Bisanzio, dai
Longobardi, dai Franchi, dagli Arabi e dal Papato, con una politica duttile e
tortuosa di alleanze e con un intensa operosità. Attaccata da Roberto il
Guiscardo (1077) , non sostenne la successiva spinta dei Normanni di Ruggero II
d’Altavilla, divenuto re di Sicilia, l’annesse dopo una lunga lotta al regno
(1139). La città si adattò lentamente
alla perdita dell’indipendenza di cui di fatto aveva sempre goduto e a
essere proposta a Palermo, capitale del regno, come capoluogo del principato di
Capua; apprezzò tuttavia alcune temperate libertà concesse da Guglielmo II il
Buono, e quando l’eredità normanna passò a Enrico VI di Svevia sostenne contro
di lui il normanno Tancredi di Lecce, e si arrese allo Svevo solo dopo una dura
resistenza, che pagò a caro prezzo (1194). Il governo illuminato di Federico II
non valse a riconciliare del tutto
Napoli con la nuova dinastia, che le anteponeva sempre Palermo, e
l’assoggettava a un pesante regime fiscale. Dopo la scomparsa di Federico II,
nonostante la tutela papale, finì col cedere a Manfredi (1256), che s’adoprò
per accattivarsene la popolazione. Ma sotto l’egida papale Carlo I d’Angiò
instaurò un nuovo regime sulla rovina
degli ultimi Svevi (Manfredi vinto e ucciso nella battaglia di Benevento, 1266;
Corradino vinto a Tagliacozzo e decapitato a Napoli, 1268), e quando con la
rivolta dei Vespri perdette la Sicilia, fece di Napoli la capitale del regno. E
capitale di regno la città rimase fino al 1860. Grazie a questo ruolo essa
acquistò prestigio, divenne un centro politico ed economico internazionale, un
polo d’attrazione della cultura, soprattutto al tempo di Roberto il Saggio; ma
pagò con sacrifici gravissimi questa sua crescita, oppressa da un fiscalismo
implacabile e segnata da un sempre più profondo squilibrio sociale tra
un’esigua minoranza privilegiata e una massa crescente di popolo economicamente
e socialmente di livello umilissimo, con classe media esigua e per di più
costituita soprattutto di forestieri (fiorentini, veneziani, provenzali, fiamminghi).
L’amministrazione cittadina (con i cosiddetti “seggi”, rappresentanze dei
quartieri) aveva, nei confronti della corte, autonomia e mezzi molto limitati
per andare incontro ai bisogni della popolazione, spesso anche colpita da
calamità naturali. La città tuttavia godeva di fama e ammirazione universale.
Agli Angioini, che dopo Roberto volsero in una decadenza spesso tragica,
subentrò per conquista Alfonso V d’Aragona dopo un lungo assedio /1442). Benché
politicamente e culturalmente all’avanguardia nell’Italia dell’Umanesimo e del
rinascimento, la dinastia Aragonese fu non meno impopolare di quella angioina,
soprattutto per l’invadenza di elementi catalani in tutti i settori più
importanti della vita cittadina, né valse a conquistarle il popolo la sua
magnificenza. La sua fine ingloriosa, dapprima all’arrivo di Carlo VIII di
Francia, che vi entrò senza colpo ferire come rivendicatore dei diritti degli Angioini (1495), e infine
all’ingresso di Consalvo di Cordava, che
prese possesso della città in nome di Ferdinando il Cattolico (1503),
dando inizio alla dominazione spagnola , non fu per nulla ostacolata dalla
popolazione, divenuta politicamente indifferente, ancorché sempre
sensibilissima alle suggestioni della regalità. La città ebbe da allora una
notevole espansione, soprattutto a seguito dell’immigrazione di genti dalle
campagne, ma vide anche momenti assai tristi: l’assedio del visconte di
Lautrec, Odet de Foix (1528), l’insurrezione di Masaniello contro il viceré Ponce de Léon (1647), il diffondersi di una pestilenza
(1656) che dimezzò la popolazione, la congiura del principe di Macchia (1701).
Nel corso della guerra di
successione spagnola, il viceré di Napoli passò agli Austriaci (1707-34) nella
persona di Carlo VI d’Austria ma nel 1734 Carlo III di Borbone, figlio di
Filippo V di Spagna, cacciò gli austriaci da Napoli e la città, di nuovo
capitale di un regno apparentemente autonomo, ebbe un periodo di straordinario
splendore , si arricchì di monumenti, vide fiorire le lettere e le arti e potè
godere della politica riformista e illuminata di Carlo III e del suo successore
Ferdinando IV e della loro alleanza con la nobiltà locale.
Venne riformata l’università,
istituita la cattedra di economia politica e fondata l’Accademia Ercolanense.
Furono costituiti la biblioteca detta poi nazionale e il Museo, l’accademia
delle scienze, l’officina dei papiri e il Collegio Militare. Dappertutto furono
attuate audaci riforme politico-sociali. Gli avvenimenti legati alla
rivoluzione francese ebbero vasta ripercussione anche nel regno di Napoli:
Ferdinando IV partecipò alla colizione
antifrancese del 1798 e mandò un suo esercito al comando dell’austriaco
Mack contro Championnet: le truppe francesi ebbero però la meglio e il 24
gennaio 1799 fu costituita la Repubblica Napoletana o Partenopea che resistette
solo cinque mesi e fu abbattuta dalle truppe del cardinale Ruffo.
Il 16 febbraio 1806 la Francia
reagì agli atteggiamenti antifrancesi di Ferdinando IV con l’occupazione di
Napoli: il re dovette riparare in Sicilia e a Napoli si insediarono Giuseppe
Bonaparte e Gioacchino Murat poi ( 1808) , che realizzarono molte e radicali
riforme (abolizione della feudalità introduzione dei codici napoleonici) e si assicurarono la collaborazione preziosa
e convinta di numerosi uomini politici come Cuoco, Gallo, Delfico e altri. Nel
1815, con la caduta di Napoleone e il congresso di Vienna, Ferdinando IV
rientrò in Napoli assumendo poco dopo (22 dicembre 1816) il titolo di
Ferdinando I re delle Due Sicilie.
Sconvolta dalla rivoluzione
carbonara del 1820-21 Napoli ottenne da Ferdinando II, succeduto a Francesco I
(1830), la Costituzione. Malgrado la politica retriva dei suoi governanti, la
città vide un continuo progresso nel campo delle arti, delle lettere e della
tecnica (da Napoli salpò infatti il primo battello italiano a vapore e a Napoli
fu inaugurata nel 1839 la prima ferrovia della penisola, la Napoli-Portici) I
moti del 1848, in seguito ai quali la Costituzione fu revocata , prepararono la
liquidazione dei Borbone: il 7
settembre 1860 Garibaldi entrò in Napoli
e un plebiscito popolare sancì l’annessione della città al regno Sabaudo. Ulteriore prova di eroismo
diede la popolazione napoletana nel
corso della II guerra mondiale, quando ,
dopo più di centoventi bombardamenti
aerei, durante le quattro giornate di Napoli 28 settembre 1 ottobre
1943), costrinse il presidio tedesco alla capitolazione.
Ducato di Napoli:
Fu istituito nel 638
dall’esarca Eleuterio che per ristabilire il dominio di Bisanzio accentrò i poteri
civili e militari in un duca, sottoposto al patrizio o stratego di Sicilia. Il
ducato comprendeva agli inizi del secolo IX: Napoli, Cuma, Pozzuoli e Salerno.
Sin dalla sua istituzione fu coinvolto
in una lunga serie di guerre causate
dalla continua pressione del Longobardi
di Benevento , dei pontefici, degli imperatori bizantini e dei corsari saraceni , la cui prima
comparsa, dell’812, ebbe come conseguenza
la devastazione di Ponza e
Ischia. I Longobardi di Benevento , da parte loro, cinsero Napoli d’assedio per ben 5 volte
(822,831,832,836); dopo la seconda , essi portarono nella loro città quale
trofeo il corpo di San Gennaro.
Ma nell’836, a seguito di un
intervento saraceno invocato dai napoletani, furono costretti alla pace. Con Sergio I, conte di Cuma, il ducato che
in un primo tempo era stato elettivo divenne ereditario. Gli succedette il
figlio Gregorio III (864-870), al
cui fratello Atanasio, vescovo della
città, si deve se questa non fu distrutta dall’imperatore Ludovico II, quando
scese nell’Italia meridionale contro i Saraceni. Sergio II (870-877) parteggiò per i Longobardi e i Saraceni, così
che il fratello Atanasio II, vescovo di
Napoli, per istigazione del papa Giovanni VIII, lo accecò mandandolo poi in
prigione a Roma. Ma divenuto duca lo stesso Atanasio, per timore dei Bizantini
si alleò con i Saraceni e fu perciò scomunicato. Riconciliatosi poi col papa e
con l’aiuto dei Longobardi, riuscì a ridurre i musulmani sulle rive del Liri e
del Garigliano . Di qui poi furono scacciati da Gregorio IV (839-915), che si
avvalse dell’aiuto dei Capuani, dei Bizantini e degli Amalfitani.
Con i duchi successivi iniziò
la decadenza : a Giovanni II
(915-919) e Marino I (919-928)
succedette Giovanni III (928-968)
che acquisì benemerenze culturali, ma nel 955 si sottomise alle forze bizantine
inviate ad assediare la città. Marino II
(968-977) fu insignito dall’imperatore bizantino del titolo di “ imperiale antipato e patrizio”: ma
Sergio III (977-999) nel 981 fu costretto ad aprire la città a Ottone II di Sassonia; Sergio IV (1003-34),
incautamente intervenuto nelle vicende del principato di Capua, fu costretto ad
abbandonare la città a Pandolfo IV di Capua, favorito forse dagli stessi
Napoletani malcontenti di lui. Ma, grazie al favore dell’Imperatore Corrado II
e alla banda di mercenari normanni di Rainulfo Drengot, recuperò il ducato
(1030); i Napoletani tuttavia gli imposero come condizione della sua
restaurazione , un importante factum (1030), che garantiva a tutti i cittadini:
proprietà, libertà personale, libero commercio, rispetto degli stranieri,
rinuncia a fare guerra, pace e alleanze senza il consiglio della maggior parte
dei nobili napoletani.
Rainulfo Drengot fu compensato con la cessione del feudo di Aversa , che divenne in breve una ben munita fortezza . I successivi duchi
furono impegnati soprattutto a difendersi dai Normanni, che trovarono proprio
in Aversa una testa di ponte per la successiva immigrazione degli Altavilla., i conquistatori di tutto il
mezzogiorno . Attaccata da Roberto il Guiscardo, Napoli conservò la sua
indipendenza fino all’avvento di Ruggero II al regno di Sicilia , al quale il duca Sergio VII (ca 1121-37), dopo
avere resistito a due assedi, nel 1137 dovette cedere; gli fu poi leale
vassallo fino alla morte. Il ducato
entrò allora a far parte della monarchia
Normanna . I Napoletani dovettero consegnare
al re le chiavi della città (1139) che poté tuttavia conservare i suoi antichi privilegi come soggetta all’alta
sovranità dell’imperatore bizantino.
Regno di Napoli:
La vittoria ottenuta nel 1266
da Carlo I d’Angiò contro Manfredi segnò, col passaggio dell’Italia meridionale
agli Angioini, l’avvio di quel
processo di distacco della Sicilia dal continente che nel 1282 si concretizzò
nei Vespri Siciliani e nella successiva
separazione dell’isola dal regno Angioino . Oltre che capitale, Napoli dicenne
così il centro di gran lunga più importante
della nuova entità statale , nell’ambito della cui storia la fase angioina si protrae dal 1266 al 1442. Morto carlo I
nel 1285, gli succedette il figlio Carlo II, ma costui potè prendere possesso
del regno solo nel 1288, allorché gli Aragonesi, che lo avevano fatto
prigioniero, lo liberarono in seguito alla stipulazione del Trattato di
Camporeale. Proseguite fino al 1303, le ostilità tra regno napoletano e
Aragonesi per il possesso della Sicilia si chiusero con la costituzione in Sicilia di un regno di Trinacria in mano
agli Aragonesi. Nel corso di queste vicende gli interessi degli Aragonesi
furono più o meno apertamente difesi dai
pontefici Martino IV, Onorio IV, Niccolò IV e Bonifacio VII e ciò ebbe come
conseguenza, nel periodo successivo, un allineamento del regno napoletano sulle
posizioni papali.
Simili orientamenti
trovarono la loro più ampia
concretizzazione nel lungo regno di
Roberto (1309-43), che si oppose non solo nell’Italia meridionale, agli
interessi imperiali e, nel nome della più assoluta fedeltà al soglio
pontificio, favorì ovunque le correnti più intransigenti del guelfismo. Morto
Roberto, la corona passò alla nipote Giovanna I (1343-81), sotto il cui regno
esplose il conflitto per la successione
tra i seguaci di Carlo III di Durazzo e quelli di Luigi, duca d’Angiò.
Proseguita dai figli dei contendenti,
questa lotta portò al trono Ladislao di Durazzo (1386-1414) che si rifece alla
politica di Roberto. Al regno di Giovanna II (1414-35), ultima sovrana del ramo
Angiò-Durazzo, seguì, dopo un nuovo periodo di lotte, Alfonso I d’Aragona
(1442-58), che assunse per la prima volta il titolo di “ re delle due Sicilie!
E con cui ebbe inizio una successiva fase, quella aragonese appunto, della
storia del Regno. Nonostante le sue ambizioni di conquista nell’Italia
settentrionale , Alfonso operò per rilasciare economicamente e culturalmente il regno
dissanguato dalle precedenti
guerre e fece gravitare su Napoli
il resto dei suoi domini: Sicilia, Sardegna, Aragona e Baleari. Le complesse
vicende politiche della penisola
attrassero però nel regno di
Napoli il sovrano francese Carlo VIII, che, terminata nel febbraio 1495 la
conquista dello stato meridionale fu costretto
a risalire la penisola lasciando Napoli
a un successore di Alfonso, Ferdinando II. Occupato nel 1500 da Francesi
e Spagnoli, il regno fu nuovamente oggetto di contesa tra le due potenze che
non riuscirono a trovare un accordo,
situazione di cui si giovò la Spagna , che riuscì ad estendere il proprio potere all’intero territorio. A
caratterizzare la fase Spagnola (1504-1707)
contribuirono fattori politicamente
ed economicamente negativi quali la sclerotizzazione di classi parassitarie legati all’occupante , ma pronte a tributare
ad altri i propri favori pur di
mantenere inalterato il proprio potere .
A scuotere l’immobilismo
politico e la cristallizzazione degli squilibri sociali di questo periodo non valsero le celebri insurrezioni di Napoli
(rivolta di Masaniello, 1647) e di Messina (1674). Tra il 1707 e il 1734 il
regno fu dominato dagli Asburgo d’Austria , che videro nel 1713 rafforzato il proprio
potere in seguito alla stipulazione del trattato di Utrect,che, ponendo fine alla
guerra di successione spagnola ,
rafforzò l’influenza austriaca in Italia . Nel 1735 re Carlo III di Borbone ebbe, in seguito alla
stipulazione del trattato di Vienna , che pose fine alla guerra di successione
polacca , il diritto , per se e per i
propri successori, di esercitare il potere
della dinastia borbonica sul
regno napoletano. Il periodo che va dal
1734 al 1860 costituisce dunque , con le eccezioni della Repubblica
Napoletana e del periodo dell’influenza francese , la fase borbonica del regno.
Caratterizzato all’inizio da spinte progressiste, questo periodo vide in
seguito stemperarsi progressivamente le tensioni al rinnovamento, parallelamente al delinearsi
di un amministrazione sorda a qualsiasi
istanza popolare, e per contro, disponibile a far di tutto per perpetuare
quell’immobilismo politico , economico e sociale, che già dal tempo del dominio
spagnolo tanto aveva nuociuto alla causa dello sviluppo dello stato. Nel 1759 Carlo III di Borbone ebbe il regno di
Spagna e questa eventualità, prevista
dal trattato di Aquisgrana del 1748,
avrebbe dovuto, in base a quegli accordi , provocare l’ascesa al trono di Napoli di suo fratello Filippo. Carlo eluse però le clausole
accettate undici anni prima e riuscì a lasciare al figlio Ferdinando
la corona dell’Italia meridionale. Salito al trono come Ferdinando IV di Napoli
e III di Sicilia , questi proseguì la politica moderatamente illuministica
avviata dal suo predecessore su suggerimento del proprio consigliere Bernardo Tanucci che l’aveva seguito da Parma
a Napoli. Particolarmente nei confronti dei privilegi ecclesiastici Tanucci,
che rafforzò ulteriormente la propria influenza sulle decisioni della corona
sotto il regno di Ferdinando , agì con decisione espellendo, per esempio, i
gesuiti e requisendone i beni. La politica filo spagnola caldeggiata da
Tanucci irritò però gli Asburgo, che
aspiravano ad estendere ulteriormente l’influenza politica di Vienna sulla
penisola.
Maria Carolina d’Austria
riuscì ad ottenere nel 1776 l’allontanamento dello scomodo ministro e
l’allineamento di Napoli su posizioni filo asburgiche. Conseguenza di ciò fu la
fine del riformismo in politica interna e l’aperta conversione della corona a
quei criteri immobilistici e conservatori che, come s’è detto,
caratterizzarono, in una visione d’insieme, il dominio borbonico sull’Italia
Meridionale. All’effimera parentesi della Repubblica Napoletana (1799) seguì
quella dell’influenza francese , che si articolò in una fase di semplice
condizionamento politico napoleonico (1800-06), nel regno di Giuseppe Buonaparte (1806-08) e in
quello di Gioacchino Murat (1808-15)
.
Rientrato a Napoli nel 1815,
Ferdinando riebbe il proprio potere parallelamente al definitivo declino delle fortune
napoleoniche e l’anno seguente unificò anche formalmente la Sicilia e Regno di
Napoli dando vita al Regno delle due Sicilie (1816-60), alla testa del quale si
pose assumendo la denominazione di Ferdinando I.
Turbata dai moti popolari del
1820-21, l’ultima parte del regno di Ferdinando I fu caratterizzata
dall’adozione di drastiche misure repressive sulle quali, oltre che
sull’appoggio austriaco, la dinastia borbonica poneva ormai tutte le proprie
speranze di mantenersi al vertice dello
stato. Morto Ferdinando nel 1825, gli succedette il figlio Francesco I
(1825-30), che nel 1828 represse con estremo vigore i moti del Cilento.
Ferdinando II (1830-59) governò secondo
criteri impopolari che alienarono ulteriormente alla dinastia borbonica le
simpatie della popolazione , rafforzando
così i presupposti per il crollo che sotto il suo successore Francesco II
(1859-60), travolse, con la dinastia al potere, la stessa istituzione statale
dell’Italia meridionale.
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