geronimo

giovedì 8 novembre 2012

Napoli


NAPOLI
Il nucleo originario  sorse probabilmente sull’isolotto di Megaride, su cui fu poi eretto Castel dell’Ovo, e alla base della collina di Pizzofalcone, estendendosi poi in età greca  e in età romana repubblicana, più a nord est.
Neapolis (in greco città nuova) sarebbe stata preceduta da una paleopolis (città vecchia)  e da una Parthenope, fondazione di greci, presenti sul golfo  fin dal secolo VII a.C. ma, il problema di natura archeologica, rimane aperto. Certo concorsero alla formazione della città esuli da Cuma, occupata dai Sanniti nel secolo V a.C.. Di origine comunque greca, Napoli entrò nell’orbita romana nella seconda metà del secolo IV a.C. e rimase fedele a Roma contro Pirro e contro Annibale. Eretta a municipio (90 a.C.)  fu coinvolta nelle guerre civili del secolo I a.C. e ne riportò gravi danni. In età imperiale , fu largamente favorita dagli imperatori e sviluppò le sue risorse di importante scalo marittimo, di sbocco di un ampio retroterra  e di centro culturale .
Odoacre vi confinò l’ultimo imperatore  d’Occidente, Romolo Augustolo, nella suntuosa villa di Lucullo. Conquistata dagli Ostrogoti (493), solo alla fine della guerra greco-gotica passò dopo gravi sofferenze all’amministrazione bizantina  (553) come capitale di un ducato largamente autonomo. Durante l’età bizantina  (553-1137), sotto i duchi, alcuni al tempo stesso vescovi, Napoli riuscì a salvaguardare la propria libertà più volte seriamente minacciata, oltre che da sporadici interventi diretti dei sovrani nominali di Bisanzio, dai Longobardi, dai Franchi, dagli Arabi e dal Papato, con una politica duttile e tortuosa di alleanze e con un intensa operosità. Attaccata da Roberto il Guiscardo (1077) , non sostenne la successiva spinta dei Normanni di Ruggero II d’Altavilla, divenuto re di Sicilia, l’annesse dopo una lunga lotta al regno (1139). La città si adattò lentamente  alla perdita dell’indipendenza di cui di fatto aveva sempre goduto e a essere proposta a Palermo, capitale del regno, come capoluogo del principato di Capua; apprezzò tuttavia alcune temperate libertà concesse da Guglielmo II il Buono, e quando l’eredità normanna passò a Enrico VI di Svevia sostenne contro di lui il normanno Tancredi di Lecce, e si arrese allo Svevo solo dopo una dura resistenza, che pagò a caro prezzo (1194). Il governo illuminato di Federico II non valse a riconciliare  del tutto Napoli con la nuova dinastia, che le anteponeva sempre Palermo, e l’assoggettava a un pesante regime fiscale. Dopo la scomparsa di Federico II, nonostante la tutela papale, finì col cedere a Manfredi (1256), che s’adoprò per accattivarsene la popolazione. Ma sotto l’egida papale Carlo I d’Angiò instaurò un  nuovo regime sulla rovina degli ultimi Svevi (Manfredi vinto e ucciso nella battaglia di Benevento, 1266; Corradino vinto a Tagliacozzo e decapitato a Napoli, 1268), e quando con la rivolta dei Vespri perdette la Sicilia, fece di Napoli la capitale del regno. E capitale di regno la città rimase fino al 1860. Grazie a questo ruolo essa acquistò prestigio, divenne un centro politico ed economico internazionale, un polo d’attrazione della cultura, soprattutto al tempo di Roberto il Saggio; ma pagò con sacrifici gravissimi questa sua crescita, oppressa da un fiscalismo implacabile e segnata da un sempre più profondo squilibrio sociale tra un’esigua minoranza privilegiata e una massa crescente di popolo economicamente e socialmente di livello umilissimo, con classe media esigua e per di più costituita soprattutto di forestieri (fiorentini, veneziani, provenzali, fiamminghi). L’amministrazione cittadina (con i cosiddetti “seggi”, rappresentanze dei quartieri) aveva, nei confronti della corte, autonomia e mezzi molto limitati per andare incontro ai bisogni della popolazione, spesso anche colpita da calamità naturali. La città tuttavia godeva di fama e ammirazione universale. Agli Angioini, che dopo Roberto volsero in una decadenza spesso tragica, subentrò per conquista Alfonso V d’Aragona dopo un lungo assedio /1442). Benché politicamente e culturalmente all’avanguardia nell’Italia dell’Umanesimo e del rinascimento, la dinastia Aragonese fu non meno impopolare di quella angioina, soprattutto per l’invadenza di elementi catalani in tutti i settori più importanti della vita cittadina, né valse a conquistarle il popolo la sua magnificenza. La sua fine ingloriosa, dapprima all’arrivo di Carlo VIII di Francia, che vi entrò senza colpo ferire come rivendicatore  dei diritti degli Angioini (1495), e infine all’ingresso  di Consalvo di Cordava, che prese possesso  della città  in nome di Ferdinando il Cattolico (1503), dando inizio alla dominazione spagnola , non fu per nulla ostacolata dalla popolazione, divenuta politicamente indifferente, ancorché sempre sensibilissima alle suggestioni della regalità. La città ebbe da allora una notevole espansione, soprattutto a seguito dell’immigrazione di genti dalle campagne, ma vide anche momenti assai tristi: l’assedio del visconte di Lautrec, Odet de Foix (1528), l’insurrezione di Masaniello contro il viceré Ponce de Léon  (1647), il diffondersi di una pestilenza (1656) che dimezzò la popolazione, la congiura del principe di Macchia (1701).
Nel corso della guerra di successione spagnola, il viceré di Napoli passò agli Austriaci (1707-34) nella persona di Carlo VI d’Austria ma nel 1734 Carlo III di Borbone, figlio di Filippo V di Spagna, cacciò gli austriaci da Napoli e la città, di nuovo capitale di un regno apparentemente autonomo, ebbe un periodo di straordinario splendore , si arricchì di monumenti, vide fiorire le lettere e le arti e potè godere della politica riformista e illuminata di Carlo III e del suo successore Ferdinando IV e della loro alleanza con la nobiltà locale.
Venne riformata l’università, istituita la cattedra di economia politica e fondata l’Accademia Ercolanense. Furono costituiti la biblioteca detta poi nazionale e il Museo, l’accademia delle scienze, l’officina dei papiri e il Collegio Militare. Dappertutto furono attuate audaci riforme politico-sociali. Gli avvenimenti legati alla rivoluzione francese ebbero vasta ripercussione anche nel regno di Napoli: Ferdinando IV partecipò alla colizione  antifrancese del 1798 e mandò un suo esercito al comando dell’austriaco Mack contro Championnet: le truppe francesi ebbero però la meglio e il 24 gennaio 1799 fu costituita la Repubblica Napoletana o Partenopea che resistette solo cinque mesi e fu abbattuta dalle truppe del cardinale Ruffo.
Il 16 febbraio 1806 la Francia reagì agli atteggiamenti antifrancesi di Ferdinando IV con l’occupazione di Napoli: il re dovette riparare in Sicilia e a Napoli si insediarono Giuseppe Bonaparte e Gioacchino Murat poi ( 1808) , che realizzarono molte e radicali riforme (abolizione della feudalità introduzione dei codici napoleonici)  e si assicurarono la collaborazione preziosa e convinta di numerosi uomini politici come Cuoco, Gallo, Delfico e altri. Nel 1815, con la caduta di Napoleone e il congresso di Vienna, Ferdinando IV rientrò in Napoli assumendo poco dopo (22 dicembre 1816) il titolo di Ferdinando I re delle Due Sicilie.
Sconvolta dalla rivoluzione carbonara del 1820-21 Napoli ottenne da Ferdinando II, succeduto a Francesco I (1830), la Costituzione. Malgrado la politica retriva dei suoi governanti, la città vide un continuo progresso nel campo delle arti, delle lettere e della tecnica (da Napoli salpò infatti il primo battello italiano a vapore e a Napoli fu inaugurata nel 1839 la prima ferrovia della penisola, la Napoli-Portici) I moti del 1848, in seguito ai quali la Costituzione fu revocata , prepararono la liquidazione  dei Borbone: il 7 settembre  1860 Garibaldi entrò in Napoli e un plebiscito popolare sancì l’annessione della città  al regno Sabaudo. Ulteriore prova di eroismo diede la popolazione napoletana  nel corso della II guerra  mondiale, quando , dopo più di centoventi bombardamenti  aerei, durante le quattro giornate di Napoli 28 settembre 1 ottobre 1943), costrinse il presidio tedesco alla capitolazione.

Ducato di Napoli:
Fu istituito nel 638 dall’esarca Eleuterio che per ristabilire il dominio di Bisanzio accentrò i poteri civili e militari in un duca, sottoposto al patrizio o stratego di Sicilia. Il ducato comprendeva agli inizi del secolo IX: Napoli, Cuma, Pozzuoli e Salerno. Sin dalla sua istituzione  fu coinvolto in una lunga serie di guerre  causate dalla continua pressione  del Longobardi di Benevento , dei pontefici, degli imperatori bizantini  e dei corsari saraceni , la cui prima comparsa, dell’812, ebbe come conseguenza  la devastazione di Ponza  e Ischia. I Longobardi di Benevento , da parte loro,  cinsero Napoli d’assedio per ben 5 volte (822,831,832,836); dopo la seconda , essi portarono nella loro città quale trofeo il corpo di San Gennaro.
Ma nell’836, a seguito di un intervento saraceno invocato dai napoletani, furono costretti alla pace. Con Sergio I, conte di Cuma, il ducato che in un primo tempo era stato elettivo divenne ereditario. Gli succedette il figlio Gregorio III (864-870), al cui fratello Atanasio, vescovo della città, si deve se questa non fu distrutta dall’imperatore Ludovico II, quando scese nell’Italia meridionale contro i Saraceni. Sergio II (870-877) parteggiò per i Longobardi e i Saraceni, così che il fratello  Atanasio II, vescovo di Napoli, per istigazione del papa Giovanni VIII, lo accecò mandandolo poi in prigione a Roma. Ma divenuto duca lo stesso Atanasio, per timore dei Bizantini si alleò con i Saraceni e fu perciò scomunicato. Riconciliatosi poi col papa e con l’aiuto dei Longobardi, riuscì a ridurre i musulmani sulle rive del Liri e del Garigliano . Di qui poi furono scacciati da Gregorio IV (839-915), che si avvalse dell’aiuto dei Capuani, dei Bizantini e degli Amalfitani.
Con i duchi successivi iniziò la decadenza : a Giovanni II (915-919) e Marino I (919-928) succedette Giovanni III (928-968) che acquisì benemerenze culturali, ma nel 955 si sottomise alle forze bizantine inviate ad assediare la città. Marino II (968-977) fu insignito dall’imperatore bizantino del titolo di “ imperiale antipato e patrizio”:  ma Sergio III (977-999) nel 981 fu costretto ad aprire la città a Ottone II  di Sassonia; Sergio IV (1003-34), incautamente intervenuto nelle vicende del principato di Capua, fu costretto ad abbandonare la città a Pandolfo IV  di Capua, favorito forse dagli stessi Napoletani malcontenti di lui. Ma, grazie al favore dell’Imperatore Corrado II e alla banda di mercenari normanni di Rainulfo Drengot, recuperò il ducato (1030); i Napoletani tuttavia gli imposero come condizione della sua restaurazione , un importante factum (1030), che garantiva a tutti i cittadini: proprietà, libertà personale, libero commercio, rispetto degli stranieri, rinuncia a fare guerra, pace e alleanze senza il consiglio della maggior parte dei nobili napoletani.
Rainulfo Drengot  fu compensato con la cessione del feudo  di Aversa , che divenne in breve  una ben munita fortezza . I successivi duchi furono impegnati soprattutto a difendersi dai Normanni, che trovarono proprio in Aversa una testa di ponte per la successiva immigrazione  degli Altavilla., i conquistatori di tutto il mezzogiorno . Attaccata da Roberto il Guiscardo, Napoli conservò la sua indipendenza fino all’avvento di Ruggero  II al regno di Sicilia , al quale il duca Sergio VII (ca 1121-37), dopo avere resistito a due assedi, nel 1137 dovette cedere; gli fu poi leale vassallo  fino alla morte. Il ducato entrò allora  a far parte della monarchia Normanna . I Napoletani  dovettero consegnare al re le chiavi della città (1139) che poté tuttavia conservare  i suoi antichi privilegi come soggetta all’alta sovranità dell’imperatore bizantino.

Regno di Napoli:
La vittoria ottenuta nel 1266 da Carlo I d’Angiò contro Manfredi segnò, col passaggio dell’Italia meridionale agli Angioini, l’avvio di quel processo di distacco della Sicilia dal continente che nel 1282 si concretizzò nei Vespri Siciliani  e nella successiva separazione dell’isola dal regno Angioino . Oltre che capitale, Napoli dicenne così il centro di gran lunga più importante  della nuova entità statale , nell’ambito della cui storia la fase angioina  si protrae dal 1266 al 1442. Morto carlo I nel 1285, gli succedette il figlio Carlo II, ma costui potè prendere possesso del regno solo nel 1288, allorché gli Aragonesi, che lo avevano fatto prigioniero, lo liberarono in seguito alla stipulazione del Trattato di Camporeale. Proseguite fino al 1303, le ostilità tra regno napoletano e Aragonesi per il possesso della Sicilia si chiusero con la costituzione  in Sicilia di un regno di Trinacria in mano agli Aragonesi. Nel corso di queste vicende gli interessi degli Aragonesi furono più o meno apertamente  difesi dai pontefici Martino IV, Onorio IV, Niccolò IV e Bonifacio VII e ciò ebbe come conseguenza, nel periodo successivo, un allineamento del regno napoletano sulle posizioni papali.
Simili orientamenti trovarono  la loro più ampia concretizzazione  nel lungo regno di Roberto (1309-43), che si oppose non solo nell’Italia meridionale, agli interessi imperiali e, nel nome della più assoluta fedeltà al soglio pontificio, favorì ovunque le correnti più intransigenti del guelfismo. Morto Roberto, la corona passò alla nipote Giovanna I (1343-81), sotto il cui regno esplose il conflitto per la successione  tra i seguaci di Carlo III di Durazzo e quelli di Luigi, duca d’Angiò. Proseguita dai figli  dei contendenti, questa lotta portò al trono Ladislao di Durazzo (1386-1414) che si rifece alla politica di Roberto. Al regno di Giovanna II (1414-35), ultima sovrana del ramo Angiò-Durazzo, seguì, dopo un nuovo periodo di lotte, Alfonso I d’Aragona (1442-58), che assunse per la prima volta il titolo di “ re delle due Sicilie! E con cui ebbe inizio una successiva fase, quella aragonese appunto, della storia del Regno. Nonostante le sue ambizioni di conquista nell’Italia settentrionale , Alfonso operò per rilasciare economicamente e culturalmente  il regno  dissanguato dalle precedenti  guerre e fece gravitare  su Napoli il resto dei suoi domini: Sicilia, Sardegna, Aragona e Baleari. Le complesse vicende politiche della penisola  attrassero però nel regno  di Napoli il sovrano francese Carlo VIII, che, terminata nel febbraio 1495 la conquista dello stato meridionale fu costretto  a risalire la penisola lasciando Napoli  a un successore di Alfonso, Ferdinando II. Occupato nel 1500 da Francesi e Spagnoli, il regno fu nuovamente oggetto di contesa tra le due potenze che non riuscirono a trovare  un accordo, situazione di cui si giovò la Spagna , che riuscì ad estendere  il proprio potere all’intero territorio. A caratterizzare la fase Spagnola (1504-1707)  contribuirono fattori politicamente  ed economicamente negativi quali la sclerotizzazione  di classi parassitarie  legati all’occupante , ma pronte a tributare ad altri i propri  favori pur di mantenere  inalterato il proprio potere .
A scuotere l’immobilismo politico e la cristallizzazione degli squilibri sociali  di questo periodo  non valsero le celebri insurrezioni di Napoli (rivolta di Masaniello, 1647) e di Messina (1674). Tra il 1707 e il 1734 il regno fu dominato  dagli Asburgo d’Austria , che videro nel 1713 rafforzato il proprio potere  in seguito alla stipulazione  del trattato di Utrect,che, ponendo fine alla guerra  di successione spagnola , rafforzò l’influenza austriaca in Italia . Nel 1735  re Carlo III di Borbone ebbe, in seguito alla stipulazione del trattato di Vienna , che pose fine alla guerra di successione polacca , il diritto , per se  e per i propri successori, di esercitare il potere  della dinastia borbonica  sul regno napoletano. Il periodo che va dal  1734 al 1860 costituisce dunque , con le eccezioni della Repubblica Napoletana e del periodo dell’influenza francese , la fase borbonica del regno. Caratterizzato all’inizio da spinte progressiste, questo periodo vide in seguito stemperarsi progressivamente le tensioni  al rinnovamento, parallelamente al delinearsi di un amministrazione  sorda a qualsiasi istanza popolare, e per contro, disponibile a far di tutto per perpetuare quell’immobilismo politico , economico e sociale, che già dal tempo del dominio spagnolo tanto aveva nuociuto alla causa dello sviluppo dello stato. Nel 1759 Carlo III di Borbone ebbe il regno di Spagna  e questa eventualità, prevista dal trattato di Aquisgrana  del 1748, avrebbe dovuto, in base a quegli accordi , provocare l’ascesa  al trono di Napoli di suo fratello Filippo. Carlo eluse però le clausole accettate undici anni prima e riuscì a lasciare al figlio  Ferdinando la corona dell’Italia meridionale. Salito al trono come Ferdinando IV di Napoli e III di Sicilia , questi proseguì la politica moderatamente illuministica avviata dal suo predecessore su suggerimento del proprio consigliere  Bernardo Tanucci che l’aveva seguito da Parma a Napoli. Particolarmente nei confronti dei privilegi ecclesiastici Tanucci, che rafforzò ulteriormente la propria influenza sulle decisioni della corona sotto il regno di Ferdinando , agì con decisione espellendo, per esempio, i gesuiti e requisendone i beni. La politica filo spagnola caldeggiata da Tanucci  irritò però gli Asburgo, che aspiravano ad estendere ulteriormente l’influenza politica di Vienna sulla penisola.
Maria Carolina d’Austria riuscì ad ottenere nel 1776 l’allontanamento dello scomodo ministro e l’allineamento di Napoli su posizioni filo asburgiche. Conseguenza di ciò fu la fine del riformismo in politica interna e l’aperta conversione della corona a quei criteri immobilistici e conservatori che, come s’è detto, caratterizzarono, in una visione d’insieme, il dominio borbonico sull’Italia Meridionale. All’effimera parentesi della Repubblica Napoletana (1799) seguì quella dell’influenza francese , che si articolò in una fase di semplice condizionamento politico napoleonico (1800-06), nel regno di Giuseppe Buonaparte (1806-08) e in quello di Gioacchino Murat (1808-15) .
Rientrato a Napoli nel 1815, Ferdinando riebbe il proprio potere parallelamente  al definitivo declino delle fortune napoleoniche e l’anno seguente unificò anche formalmente la Sicilia e Regno di Napoli dando vita al Regno delle due Sicilie (1816-60), alla testa del quale si pose assumendo  la denominazione di Ferdinando I.
Turbata dai moti popolari del 1820-21, l’ultima parte del regno di Ferdinando I fu caratterizzata dall’adozione di drastiche misure repressive sulle quali, oltre che sull’appoggio austriaco, la dinastia borbonica poneva ormai tutte le proprie speranze di mantenersi al vertice  dello stato. Morto Ferdinando nel 1825, gli succedette il figlio Francesco I (1825-30), che nel 1828 represse con estremo vigore i moti del Cilento. Ferdinando II (1830-59)  governò secondo criteri impopolari che alienarono ulteriormente alla dinastia borbonica le simpatie  della popolazione , rafforzando così i presupposti per il crollo che sotto il suo successore Francesco II (1859-60), travolse, con la dinastia al potere, la stessa istituzione statale dell’Italia meridionale.

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