geronimo

martedì 21 settembre 2010

GLI INCA

GLI  INCA

Difficilissima da collocare  nel tempo è la terza  grande civiltà precolombiana , quella Inca . Del tutti dissimili dai Maya, che avevano fatto della misura del tempo  una scienza e un culto, gli Inca non possedevano alcuna forma di scrittura  adatta a registrare lo scorrere del tempo . Le uniche possibilità quindi di fare luce  su questa civiltà sono date dallo studio dei ritrovamenti archeologici.
Le sue lontanissime origini , pare, al 1200 a.C. , nella zona peruviana  delle Ande. L’impero incaico ebbe origine esattamente  nella zona di Cusco , e la città omonima divenne la capitale del Thauantisuyo .
Anticamente gli andini  erano cacciatori nomadi, pescatori, raccoglitori di bacche che provenivano dal nord America . Le varie zone geografiche in cui la civiltà inca si sviluppò avevano  caratteristiche assai diverse fra di loro e da ciò deriva in gran parte la differenza delle varie culture.
Nel periodo della loro massima espansione , gli Inca occuparono i territori corrispondenti  agli attuali stati del Perù , Equador,Bolivia e Cile settentrionale.
Tale periodo coincise con i secoli XII, XIII e XIV dopo Cristo. L’organizzazione della società inca era di tipo feudale . Capo supremo era l’ “Inca”, o imperatore , adorato dai suoi sudditi come figlio del sole e coadiuvato da una rigida gerarchia di amministratori chiusi in caste, i quali governavano vari settori della vita pubblica in suo nome.
L’Inca era anche il padrone assoluto, custode e titolare di tutti i beni dello stato. Di tutti questi beni faceva abitualmente tre parti e assegnava la prima al dio-sole, e logicamente ai sacerdoti; la seconda a se stesso e alla sua corte; la terza alla comunità o “ayllu”.
Tutti i cittadini appartenevano allo stato  ed erano legati indissolubilmente alla loro specifica comunità, cui sovraintendevano i vari vassalli. Allo stesso modo di un vero Dio l’imperatore era venerato e servito. La pompa delle sua corte  può essere paragonata a quella delle più grandi corti delle civiltà teocratiche  di tutti i tempi.
Grosso modo l’amministrazione dello stato Inca era così organizzata: ognuna delle zona in cui era divisa la “terra dei quattro cantoni “ veniva governata , in nome dell’imperatore, da un nobile. Ciascuno di questi  a sua volta era coadiuvato  da altri funzionari nobili che , in scala gerarchica decrescente, avevano giurisdizione  su gruppi di abitanti di numero sempre minore . La nobiltà inca aveva dunque compiti amministrativi , politici e militari  di grandissima responsabilità . Per questo motivo solo ai figli appartenenti a questa casta veniva impartita  un educazione adatta ai loro compiti futuri.
Gli inca esonerati da coltivare la terra erano gli appartenenti alle caste nobili . Tutti gli altri  dovevano dedicarsi ai lavori agricoli per buona parte dell’anno. L’agricoltura e l’allevamento del bestiame  costituivano infatti le attività fondamentali del popolo Inca.
A questo proposito è indispensabile ricordare che il lavoro dei campi era durissimo , in quanto il territorio in cui fiorì la civiltà inca si aggirava intorno ai 3000 metri di altitudine. La necessità di costruire terrazze per rendere possibile la coltivazione del mais e patate, il numero estremamente ridotto di attrezzi agricoli , l’ignoranza che questo popolo aveva  della ruota e di altri comodi e rapidi mezzi di trasporto, che non fosse il mansueto e resistente lama, danno l’idea di quanto dovesse essere faticosa la vita.
Le feste principali del popolo Inca  coincidevano con le fasi fondamentali del lavoro agricolo: l’”inti-raymi” , in giugno, era il momento del raccolto ; il “caac-raymi”, in novembre , era il periodo in cui si concludevano i lavori agricoli.
Nonostante che la base dell’economia inca  fosse costituita dall’agricoltura, era tuttavia sviluppato  anche l’allevamento, specie di due animali molto importanti: il Lama e l’Alpaca (ruminante affine ai cammelli, ma più piccolo e senza gobba, comune nelle Ande, pregiato, oggi, per il suo pelo morbido e lungo).
L’antica religione peruviana immagiava l’universo pervaso da divinità di ogni genere, però diviso in tre zone: una superiore o “ Janan-Pacha” ,Olimpo dei celesti (sole, luna, stelle); una media o “Cay-Pacha , la terra; una inferiore , “Ukju-Pacha”, mondo dei morti. Intermediario fra il cielo e terra era l’Inca , figlio de sole. Con il mondo degli inferi  era possibile  comunicare per mezzo  della “Pakarina” , cioè con la sorgente di un fiume, con una cavità naturale, con un lago, in genere con tutto ciò che provenisse dalle profondità terrestri.
Il massimo dio Inca, creatore del mondo  e padrone di ogni cosa , presente dovunque, era “Appu- Kon-Ticci-Wiracocha” .
Egli assumeva  di volta in volta forme  umane o d’animali per essere costantemente vicino alla sua gente. Immediatamente dopo, nella gerarchia divina veniva il secondo protettore dell’impero, “  Inti” , il sole, ritenuto padre di tutti  gli Inca . Anche il mare e il tuono venivano adorati come incarnazione di grandi e potenti forze della natura.
Le cerimonie religiose erano frequenti e costantemente accompagnate dalla musica , sia nella sua forma strumentale  che in quella vocale. Gli strumenti più diffusi erano i tamburi, di vario genere e di diversa grandezza, e i sonagli ricavati  da metalli e dagli oggetti più disparati. Non mancavano anche gli strumenti a fiato, pur essendo in numero minore; i più diffusi erano la conchiglia forata e il flauto. I templi, spesso ricchi d’oro, contenevano tesori d’immenso valore.
Un modo tipico per adorare con più fervore il dio sole era quello di seguire l’ombra da esso proiettata su uno speciale orologio solare formato da una pietra sormontata da un cono, la così detta “ Intiwarana” .
Particolare culto era riservato ai morti , in quanto la persona del trapassato diveniva , con la morte , quasi una divinità. Questo culto derivava probabilmente anche dal fatto che i Peruviani antichi erano capaci di imbalsamare i cadaveri. La forma che il più delle volte  veniva data alla mummia, ricorda la posizione del bimbo nel grembo materno.
Contrariamente a quanto avviene presso quasi tutti i popoli , gli Inca festeggiavano non la nascita del figlio, ma il secondo compleanno. Era infatti in quella occasione che gli veniva imposto il nome. La vita dei bambini era dura : dovevano aiutare i genitori nei lavori domestici . Solo i figli dei nobili avevano dei veri maestri, gli “ amautas”. La principale virtù degli insegnanti non era tanto la cultura quanto la saggezza.
Le vesti e le suppellettili degli Inca sorprendono ancora per la loro eleganza. Desta meraviglia inoltre  la raffinatissima arte orafa , di cui gli Inca conoscevano  le più sottili tecniche. Oltre ai metalli sapevano  lavorare anche le pietre preziose. Collane stupende , in cui ricorre spesso la rana , simbolo di fertilità bracciali ricchi di fantasia e perfino raffinati oggetti da toilette sono stati scoperti nelle antiche tombe inca. Monili e vasellame prezioso appartenevano naturalmente all’aristocrazia, che ne faceva uso non solo nelle grandi occasioni  ma quotidianamente.
Incredibile è l’architettura inca, ma ancor più sorprendente essa ci appare quando consideriamo che gli antichi Peruviani non conoscevano ne carri, ne animali da traino, non conoscevano l’uso del ferro per modellare i blocchi, ed erano assolutamente a loro sconosciute sia la livella che la sqadra. Nonostante questa mancanza di strumenti la connessione fra i vari blocchi sovrapposti a formare le varie costruzioni è talmente perfetta che sarebbe, per esempio,  arduo riuscir a infilare la lama di un coltello tra un blocco e l’altro. Sconosciuti erano anche l’arco e la colonna ma ugualmente armoniose , grandiose ed imponenti erano le antiche costruzioni inca, di cui ancor oggi rimangono  rovine stupende . Le opere di ingegneria inca , tutt’ora ammirate e studiate per la loro arditezza, presentano spesso proporzioni colossali: 5200 chilometri di strade;acquedotti che attraversano le montagne con lunghe gallerie scavate nella viva roccia; ponti sospesi nel vuoto per superare i valloni larghi anche 50 metri; lunghissime mura ciclopiche che al tempo della loro edificazione dovevano raggiungere altezze incredibili. Tutto ciò prende maggior risalto quando si pensi che tutte le costruzioni inca furono edificate  in luoghi impervi, quasi inaccessibili. La città fortezza di Machu-Picchu , per esempio, venne costruita a ben 2400 metri sul livello del mare, a cavallo di una catena montuosa. Le sue innumerevoli scalinate mettono in comunicazione le varie parti della città situate a quote diverse. Il complesso grandioso e pauroso allo stesso tempo, da l’idea di un opera colossale di difesa.
La scultura Inca si esprimeva prevalentemente nella costruzione di recipienti di forma bizzarra e spesso suggestiva. Più caratteristico è forse quello definito “ariballo”, così denominato perché simile al vaso greco che porta lo stesso nome. Si tratta di un recipiente dalla forma tronco conica che porta nella parte superiore un collo molto slanciato, terminante in una svasatura a forma di corolla, e nella parte inferiore una base a cono rovesciato. E’ logico capire che simili vasi stavano eretti solo se infissi in appositi sostegni o appoggiati l’uno all’altro oppure immersi nella sabbia. Servivano come contenitori di cibi  o bevande. L’arte inca si sbizzarriva  anche nella costruzione di ciotole dotate di piedistallo e coperchio, vasi a forma di bottiglia con uno o due manici, recipienti che imitavano  figure di persone o di animali. Un aspetto importante  dell’arte inca è la decorazione , quasi sempre dipinta, dei recipienti . In essa prevalgono motivi geometrici  e figure stilizzate di alcuni animali . I colori dominanti sono: arancio, giallo, rosso-bruno, nero.
Una trattazione a parte meritano  le ormai famose sculture  di Chavin. Si tratta di opere localizzate  in un centro della montagne andine settentrionali., Chavin de Huantar, che fu uno dei maggiori centri dell’antica civiltà inca. Queste sculture, dall’aspetto grottesco e dalla mole spesso notevole, hanno una loro strana caratteristica: qualsiasi persona o animale  in esse rappresentato porta una bocca da felino . Tale presenza è avvolte addirittura ossessiva : compare dovunque; su ogni parte del corpo dell’animale scolpito , sulla coda di un rettile, sul becco di uccelo, sulla testa , sulla schiena, sui piedi, dovunque insomma. E’ logico pertanto dedurre che questa particolarità  abbia avuto un significato magico-religioso. Forse a questa bocca continuamente ricorrente , che poteva essere di gatto, di puma, di lince, o di qualsiasi altro felino, erano attribuiti poteri sovrumani , e per questa ragione  veniva riprodotta in ogni occasione.
L’unica forma di scrittura  conosciuta dagli Inca , se di scrittura si può parlare, era quella dei “quipu” , sistema basato sull’annodamento di cordicelle. Dalla varietà dei colori di esse e dalla diversa posizione dei nodi, gli inca riuscivano ad interpretare i messaggi . Le lingue parate erano essenzialmente due: il “ Quechua e l’Aymara” . Sembra certo che in lingua Quechua  esistesse una letteratura  di notevole valore e consistenza ; peccato che di essa si abbaino scarsi documenti.
Quelli che abbiamo però sono sufficienti a dare un idea  dell’importanza che la lingua e la letteratura avevano  presso gli Inca. Esisteva prima di tutto un personaggio addetto alla conservazione  delle notizie storiche riguardanti lo stato; il suo nome era “ ufficiale dei nodi” . Vi erano poi anche quei poeti che noi chiamiamo rapsodi, cioè recitatori di canti epici di produzione propria o altrui  ; la figura del rapsodo inca, detto “ amauta” , aveva però anche dei significati più strettamente religiosi. Cantore più profano  era invece l’ “haravec” , che si spostava continuamente di città in città.
La storia Inca conobbe diversi periodi  di espansione  e raggiunse il suo massimo splendore e la sua massima potenza con l’Inca Pachacuti, verso la metà del 1400. Durante il regno del suo successore  si avvertirono i primi sintomi della decadenza e verso il 1500 ll’arrivo degli Spagnoli, la crisi era già gravissima. I conquistatori , giunti nell’impero Inca, intorno al 1530, approfittarono delle discordie di due imperatori rivali e, ingannando entrambi, riuscirono ad avere il sopravvento  sulla popolazione locale . Il 6 novembre 1532 vi fu un fatto di sangue  che segnò la fine ultima dell’impero: Pizzarro, il comandante spagnolo, attirò in un imboscata l’Inca Atahualpa e sterminò i suoi guerrieri. L’Inca fu risparmiato , ma posto in prigione. Per essere liberato egli promise a PizzarrO un tesoro favoloso. Il comandante spagnolo ancora una volta lo ingannò: dopo avere ricevuto il riscatto lo fece strangolare.
Tramontava così l’impero millenario, ricco di arte e civiltà che si era sviluppato nella cornice stupenda delle Ande.

Nessun commento:

Posta un commento