SICILIA
Preistoria:
Manufatti tipologicamente
simili a quelli dei complessi su ciottolo del Paleolitico inferiore sono stati
rinvenuti fin dagli anni sessanta in diverse località dell’isola: in provincia
di Agrigento (Torre di Monterosso, Capo Rossello) e tra Menfi e Sciacca
(Bertolino di mare, Contrada cavar retto). Più recentemente, complessi su
scheggia, sempre riferiti al Paleolitico inferiore, sono stati rinvenuti in provincia di Catania lungo il Dittaino e il
Simeto e vicino a Ragusa. Per molti di questi rinvenimenti si tratta di
complessi numericamente limitati e in
situazioni crono stratigrafiche non chiaramente definibili. Se la presenza di facies su ciottolo e su scheggia del
paleolitico inferiore in Sicilia appare finora indiziata più dal ripetersi di
ritrovamenti che da un loro sicuro inquadramento geologico, non sembra potersi
affermare altrettanto per quanto riguarda il Paleolitico medio, finora non
documentato, mentre più numerosi sono i complessi riferiti al Paleolitico
superiore e al Mesolitico. Alle fasi
antiche del Paleolitico superiore
(Aurignaziano) è attribuita l’industria
di Fontana Nuova (Ragusa9; all’Epigravettiano antico sono riferiti i siti di
Canicattini Bagni (Siracusa) e di Grotta Niscemi (Palermo); all’Epigravettiano
evoluto il riparo San Corrado (Siracusa) e la grotta Mangiapane
(Trapani) Più rappresentato
appare l’Epigravettiano finale con
numerosi siti: il riparo San basilio e la grotta di San Teodoro (Messina) dove
sono state scavate quattro importanti sepolture
con ocra, la grotta Corruggi e la grotta Giovanna (Siracusa) ,
quest’ultima con molte manifestazioni d’arte mobiliare su blocchi e lastre di calcare con motivi incisi a carattere prevalentemente
geometrico e più raramente naturalistico, la grotta dell’Acqua Fitusa
(Agrigento), la grotta di Cala dei genovesi a Lavanzo e i livelli basali della
grotta dell’Uzzo (Trapani). A questa fase sono attribuite le raffigurazioni di
animali incise nella grotta di Cala dei Genovesi mentre la scena complessa con
personaggi umani e alcuni animali incisa su un masso della grotta dell’Addaura
(Palermo) può essere di diverse età, e secondo alcuni va attribuita al
mesolitico. Altre raffigurazioni di animali (cervidi, equidi e bovidi),
pressappoco coave a quelle citate, sono note in diverse altre grotte (Niscemi,
Za Minica, Puntali,Racchio) . Il Mesolitico è infine soprattutto attestato alla
grotta dell’Uzzo, dove sono state rinvenute, tra l’altro, una decina di
sepolture doppie e singole, di neonati, bambini e adulti, datate con metodi
radiometrici a un periodo compreso tra l’8000 e il 7300 a.C. circa.
Copiosissimi sono i resti appartenenti al Neolitico, che dimostrano
l’importante ruolo avuto in tale periodo dalla Sicilia per la sua posizione al
centro del Mediterraneo. Da ricordare, fra le altre, le colture neolitiche di
Stentinello e di Diana. A partire dal terzo millennio a.C. si diversificano gli
aspetti culturali delle Eolie e della Sicilia Nord-orientale, della Sicilia
sud-orientale e di quella occidentale. Un fenomeno particolarmente importante è
costituito dal manifestarsi di influenze della facies del bicchiere
campaniforme, soprattutto nella zona della Conca d’Oro la facies eoliana di
capo Graziano iniziano a essere attestati contatti stabili con il mondo egeo,
particolarmente ricchi anche nelle facies isolana di Castelluccio. Molto
importanti sono i villaggi con architettura evoluta del successivo periodo di
Thapsos e, nel Bronzo tardo, l’imponente “megaron” di Pantalica. Con l’età del
Ferro lo sviluppo dell’isola verso forme complesse di organizzazione
socio-politica viene interrotto dalla fondazione di colonie greche nella parte
orientale e fenicie in quella occidentale.
Storia:
Abitata anticamente da Siculi, Sicani ed Elimi
(rispettivamente nelle zone orientali, occidentali e nord occidentali) , la
Sicilia si aprì presto a insediamenti di coloni fenici e, più tardi, dal 734 a C. in poi secondo Tucidide, anche greci, attratti dai suoi porti, dalle
sue miniere e dalla fertilità del suo territorio.
I Fenici, soprattutto cartaginesi,
si stabilirono nella parte occidentale dove fondarono Panormo, Solunto e Mozia
che, in un primo momento, furono soltanto empori commerciali: ciò permise una
stretta alleanza tra i Cartaginesi e gli indigeni Elimi , i cui centri
principali erano invece Segesta, Erice ed Entella. Vere città,, e subito molto
popolose, divennero invece gli insediamenti coloniali dei Greci nella parte
orientale, tra cui notevoli furono Nasso, Lentini e Catana fondate dai Calcidesi, Siracusa fondata dai Corinzi (circa 734 a.C.), Magara
Iblea fondata dai Magaresi e Gela
fondata da Rodiesi e Cretesi (circa
690 a.C.).
Megara Ibrea e gela a loro
volta crearono poi, rispettivamente , Selinunte e (circa 582) Agrigento. Le
colonie greche non costituirono mai un’unità politica e anzi furono spesso in
guerra tra loro: tuttavia divennero subito molto prospere (ne sono
testimonianza i grandi monumenti dell’epoca) e stabilirono intense relazioni
commerciali con le città dell’Italia meridionale, con Cartagine e, dal secolo
VI a.C. anche con Roma.
La struttura sociale di
ciascuna città che favoriva la classe dei proprietari terrieri, discendenti
degli antichi colonizzatori, a danno del proletariato, composto invece da
gruppi indigeni e dagli immigrati recenti, fu però causa di lunghe lotte
intestine risolte, all’inizio del secolo VI a.C. con l’avvento dei regimi
tirannici, il primo dei quali fu quello di Panezio
a Lentini (circa608). Importanti
furono la tirannide di Falaride
ad Agrigento, e soprattutto, quella di Ippocrate
(498-491) a gela, che costituì un forte stato nella zona occidentale dell’isola
in cui il suo successore , Geleone,
incluse anche Siracusa, città che, da questo momento, divenne la più importante
dell’Occidente greco. Nel 480 Gelone, anche con forze navali di Agrigento ,
bloccò a Imera un’offensiva dei cartaginesi escludendoli così per lungo tempo
dall’isola. Nel 474 Gerone, suo fratello e successore, sconfisse gli Etruschi
nelle acque di Cuma ed estese poi la sua influenza anche sul mondo greco
dell’Italia meridionale: questo espansionismo siracusano fu però fermato da un
moto insurrezionale dei Siculi guidato
da Ducezio (450) e, più tardi (415-413), dalla famosa spedizione di Sicilia
promossa da Atene che vedeva minacciati i suoi commerci con gli Etruschi dal
rapido sviluppo della potenza siracusana.
L’impresa si risolse per Atene con un disastro, ma anche Siracusa ne
uscì indebolita: ne approfittò Cartagine che riprese i tentativi di
penetrazione in Sicilia investendo, tra il 408 e il 405, citta fiorenti come
Selinunte, Imera, Agrigento, Gela che vennero in parte distrutte.
L’avvento di Dionigi
il tiranno a Siracusa (405)
valse però a salvare l’ellenismo della Sicilia dai cartaginesi che si ridussero
gradualmente al possesso della sola parte occidentale dopo una lotta durata,
con varie vicende (tra cui la spedizione in Africa di Agatocle, tiranno di Siracusa, nel 310 e l’intervento di Pirro nel 278)quasi due secoli. Dopo
la I guerra punica (241) la zona cartaginese della Sicilia divenne provincia
romana; in essa, nel 212, Roma, sconfitta Siracusa che, per combattere la
potenza romana si era alleata a Cartagine, incorporò anche lo stato Siracusano
estendendo così il suo dominio su tutta l’isola.
Le città siciliane, a
esclusione della fedele Messina, furono sottoposte al pagamento di un tributo,
ma mantennero una notevole autonomia interna. Roma favorì e sfruttò la
produzione del grano che importava in conto tributo per le proprie necessità
alimentari. Sulle estese tenute lavoravano masse di schiavi che si ribellarono in
due occasioni, nel 136-132 e nel 1°4-100 a.C.. La Sicilia dovette subire le
ruberie e le malversazioni del pro pretore Verre; Cesare le concesse il diritto
latino, mentre Augusto, che la annoverò tra le provincie senatoriali, vi
rafforzò il dominio romano e ne risollevò le condizioni economiche gravemente
compromesse durante la guerra civile quando Sesto Pompeo l’aveva occupata e
staccata da Roma. In età imperiale la Sicilia continuò nelle condizioni di vita
tradizionali, con le sue città aventi differenti rapporti con Roma, ancora
attive nell’artigianato e nei commerci: esse però non recuperarono più lo
splendore di un tempo. Con la Constitutio
Antoniniana del 212, anche i siciliani ottennero la cittadinanza romana al
pari di tutti gli abitanti dell’impero romano. Nella suddivisione in diocesi e
province operata da Diocleziano, la Sicilia fu attribuita alla diocesi italiciana e costituì provincia a sé Col
tempo la Cerialicoltura fu meno redditizia e l’isola ne sofferse anche nei
commerci.
Dai Bizantini agli Aragonesi:
La generale decadenza
dell’Occidente romano colpì a fondo l’isola e la espose a una serie di rovinose
incursioni e all’occupazione, dapprima parziale (Lilibeo 440), poi totale
(468), da parte dei Vandali stanziati in Africa e, dopo la conquista di Cartagine,
divenuti una grande potenza marinara. La dominazione vandalica, duramente
vessatoria (anche in campo religioso, i Vandali ariani non diedero pace ai
cattolici, provocando la rovina di una ormai antica élite culturale) , fu
abbattuta da Odoacre tra il 476 e il 486; ma già nel 491 succedette la
dominazione degli Ostrogoti di Teodorico, che tuttavia concesse al re dei
Vandali Guntamondo, suo genero , la base di Lilibeo.
L’età Ostrogotica (491-535)
riportò nell’isola una relativa tranquillità, effetto della politica
conciliante di Teodorico; militarmente presidiata ma non colonizzata, la
Sicilia riassunse il suo antico ruolo di grande riserva di grano e di chiave
del commercio mediterraneo, da cui trassero beneficio soprattutto i
latifondisti (laici e ecclesiastici). Dalla Sicilia ebbe inizio la riconquista
imperiale dell’Italia promossa da Giustiniano (535) che già aveva abbattuto il
regno dei Vandali in Africa; Belisario la occupò in sette mesi con poche forze
e senza incontrare serie resistenze e di là, passato lo Stretto di Messina,
proseguì l’avanzata lungo la penisola. Durante la guerra greco-gotica (535-553)
l’isola divenne un valido baluardo militare (che Totila cercò invano di
prendere verso il 550), e come tale fu governata durante i tre secoli e più del
dominio Bizantino. Staccata dal resto dell’Italia, fu sottoposta direttamente
all’imperatore, che nominava per essa dapprima un governatore civile e uno
militare, poi, riuniti i poteri, un unico governatore militare, lo stratego del tema di Sicilia. La
militarizzazione, sempre più accentuata da Bisanzio per esigenze di difesa in
rapporto alla progressiva avanzata degli Arabi in Africa nel secolo VI, incise
profondamente sulle condizioni generali dell’isola: mortificò l’economia
cittadina e rurale, sconvolse la distribuzione demografica, aggravò la
pressione dell’autorità bizantina col suo rigore fiscale e la sua intolleranza
religiosa (l’eresia monotelica nel secolo VII, quella iconoclastica ne secolo
VIII misero a dura prova i cattolici, raccolti intorno al vescovo di Siracusa),
e lingua, cultura, costumi greci penetrarono largamente. A questa seconda
ellenizzazione della Sicilia si connette
il progetto di Costante II di fare
dell’isola il centro dell’impero, con il breve trasferimento della
capitale da Cpostantinopoli a Siracusa
(663-668). I siciliani reagirono a più riprese a questa politica ora
passivamente ora sostenendo vari tentativi
di governatori bizantini di
sottrarsi al potere imperiale , e fu appunto la secessione di un’ufficiale bizantino, Eufemio, che provocò, richiesto, l’intervento degli arabi (827) e
la loro progressiva occupazione . Già apparsi più volte sin dalla metà del
secolo VII come corsari, gli Arabi intrapresero l’invasione della Sicilia per iniziativa dell’emiro aghlabita di Kairuan (Tunisi),
Ziadet Allah, sollecitato dal ribelle Eufemio , dando all’impresa carattere di
guerra santa. Aspramente contrastati, ne vennero a capo solo agli inizi del
secolo X, conquistando via via Mazara (827), Palermo (832), Messina (842), Enna
(859), Siracusa (878), Taormina (902). L’isola fu sottoposta al governo di un emiro , rappresentante degli
Aghlabiti di Kairuan poi (dal 910) dei
Fatimiti del Cairo e infine dagli Ziriti loro vassalli in Tunisia; ma già
verso la metà del secolo X l’emirato divenne
un principato ereditario e di fatto indipendente, e per circa un secolo,
sotto i Kalbiti, la Sicilia risorse
dalla sua lunga decadenza. La popolazione cristiana (come gli ebrei) ebbe il
consueto statuto imposto dagli Arabi nei paesi conquistati: libertà religiosa,
ma a prezzo di una speciale tassazione (non troppo gravosa), ma non
sopportabile da gruppi economicamente più deboli, che passarono perciò
all’islamismo). La colonizzazione, più attiva all’ovest (val di Mazara) che a
sud est (val di Noto) e a nord est (Val Demone) , si stabilì con metodi e
risultati diversi da luogo a luogo e gravò in misura diversa sugli isolani. Non
mancarono, specie nella val Demone, rivolte ma, non appoggiate adeguatamente da
interventi bizantini , furono tutte represse. Gli Arabi diedero uno
straordinario impulso all’agricoltura (frazionamento di latifondi, introduzione
di nuove colture, come il gelso, il cotone, l’arancio, il dattero e la canna da
zucchero), all’artigianato (tessuti di seta e di cotone), al commercio ( con la
sua maggiore base a Palermo), e la Sicilia, come la Spagna, divenne un centro
d’irradiazione della civiltà intellettuale e artistica islamica, che diede
tuttavia i suoi frutti più cospicui solo dopo la fine della dominazione.
A indebolirla e farla crollare
contribuirono soprattutto le croniche rivalità tra i vari signori locali, delle
quali seppero approfittare nella prima
metà del secolo XI i Bizantini (spedizione di Giorgio Maniace nella Sicilia
orientale, 1038-40), nella seconda metà, con progressivi e definitivi successi,
i Normanni già affermati nell’Italia meridionale e sorretti nella loro
iniziativa antimusulmana dal patrocinio della Chiesa romana, rianimata dallo
spirito della riforma e avviata all’apogeo gregoriano. L’intervento normanno fu
agevolato dall’appello del signore di Catania Ibn ath-Thumna in contesa col
signore di Agrigento e la riconquista cristiana dell’isola, a opera di Ruggero I d’Altavilla (con il concorso,
discontinuo, del fratello Roberto il Guiscardo),, si iniziò con la presa di
Messina (1061) e si concluse con quella di Noto (1091). Catania cadde nel 1071,
Palermo nel 1072, Trapani nel 1077, Taormina nel 1079.
Una vigorosa controffensiva
dell’emiro Ben Avert, contemporanea
all’azione che impegnava i Normanni del Guiscardo contro i Bizantini, ritardò
di alcuni anni la conclusione dell’impresa: Siracusa cadde solo nel 1085,
seguita da Agrigento e infine da Noto.
Ruggero, che aveva preso il
titolo di gran conte di Sicilia , s’impadronì anche di Malta , mentre, dopo la
morte del Guiscardo , riusciva ad
imporsi anche su i domini normanni del
continente.
Vassallo del papa e legato
apostolico (1098), Ruggero andava predisponendo la riorganizzazione della
Sicilia, quando morì (1101) e la sua opera fu continuata dalla vedova Adelaide prima per il
primogenito Simone (morto fanciullo nel 1105), poi per il cadetto Ruggero II finché ebbe l’età per
governare personalmente (1113). Questo principe orientalizzante , tra il basileus bizantino e il sultano, animato
da sconfinate ambizioni e dotato di
insigni qualità politiche e militari, riuscì a realizzare con ogni mezzo
l’unità dei domini normanni insulari e continentali, a fondare uno stato
fortemente accentrato e ad ottenere dall’anti papa Anacleto II il titolo di re
di Sicilia (1130). Ruggero II introdusse in Sicilia il regime feudale, ma
istituzionalizzò, e seppe imporre, sui signori feudali e sulle comunità
autonome il superiore potere del re ,
esercitato da una gerarchia di
funzionari (iusticiarii, e camerarii) e temperato dal consiglio della Magna
curia. Analogamente, garantì la libertà religiosa e le consuetudini
proprie dei gruppi latini, arabi, bizantini, ebraici esistenti nel regno,
tenendo però ben fermo il principio che sovrasta su tutti l’assoluta sovranità
del re . La tolleranza religiosa consentì al re ed ai suoi successori di
scegliere collaboratori qualificati d’ogni nazione e religione. L’isola conobbe
allora una vigorosa ripresa economica, agricola artigianale e commerciale, frutto del concorso di
esperienze diverse, e correlativamente , lo Stato normanno di Sicilia e la sua
capitale Palermo, divennero il centro di un vero e proprio impero che si
estendeva dalla Campania e dall’Abruzzo all’Africa settentrionale e aveva un ruolo primario nel Mediterraneo.
Ruolo anche culturale , poiché nel regno fiorivano tra l’altro la scuola medica di Salerno, il monastero benedettino
latino di Montecassino e i monasteri basiliani greci, sorgevano monumenti
espressivi di un originale sintesi stilistica , e per Ruggero II lavorava uno
dei maggiori geografi medievali, al-Idrisì (Edrisi) .
Sotto il figlio e successore di Ruggero II, Guglielmo I (1154-66,
molto inferiore sotto ogni aspetto al padre, il regno attraverso periodi di
crisi, scontrandosi con il papato, con l’imperatore Bizantino Manuele I
Commeno, con Federico Barbarossa e subendo rivolte baronali. Ne uscì salvo, ma meno
per le inconsulte severità del re (soprannominato il Malo) che per la solidità
delle sue strutture e la leale opera di governo di ministri quali Maione di
bari, Matteo d’Aiello e l’inglese Riccardo Palmer, vescovo di Siracusa. Ma i
nuovi e più gravi torbidi sconvolsero la Sicilia alla morte di Guglielmo I,
durante il quinquennio di reggenza della vedova margherita di Navarra per il
figlio Guglielmo II (1166-1189), che
parve abbandonare la politica di
equanimità nei confronti dei diversi elementi etnici e religiosi per imporre la
supremazia di nuovi elementi francesi. Con l’avvento del governo personale di
Guglielmo II tuttavia, e grazie alla collaborazione di Matteo d’Aiello e di
Gualtiero Ophtamil , un inglese, arcivescovo di Palermo, ritornò la pace e la Sicilia rifiorì anche se il re, mosso da
inattuabili ambizioni, vide fallire le sue temerarie iniziative di conquista in
Egitto contro il Saladino e nella Grecia bizantina contro Andronico I Comneno e
Alessio II Angelo ( 1185).
Guglielmo II, il buono, la cui
personalità aveva affascinato indistintamente tutti i sudditi, morì mentre la
sua flotta partecipava brillantemente alla III Crociata. Privo di figli, gli
succedette la zia Costanza, figlia
di Ruggero II, dal 1186 moglie di Enrico VI di Svevia figlio ed erede di
Federico Barbarossa. Ciò significava consegnare il regno all’impero germanico e rompere il
tradizionale vincolo col papato, irriducibile avversario degli svevi e
intollerante della loro egemonia in Italia. La successione venne contrastata da
una forte frazione della popolazione ,
che portò al trono un cugino di
Guglielmo, Tancredi conte di Lecce
(1189-94) ; ma dopo che Enrico VI succedette al Barbarossa (1190) e intraprese
la conquista del regno della moglie. Tancredi nonostante alcuni successi, andò
perdendo terreno e alla sua morte
l’imperatore , sostenuto dai genovesi e dai Pisani e da alcuni baroni
siciliani, stroncò la resistenza , raccolta intorno alla vedova e al figlio di
Tancredi, Guglielmo III, e fu
incoronato re a Palermo (Natale 1194); seguì poco dopo un’altra insurrezione,
che Enrico VI represse ferocemente, poco prima della sua prematura morte (Messina, 1197) .
Nell’età normanna era maturata
in Sicilia una cultura composita, eppure
originale, alla quale avevano portato i propri contributi, stimolate dalla
monarchia , le diverse comunità, romana, araba e bizantina, ciascuna secondo il
suo genio;allora come non mai l’isola apparve il luogo ideale d’incontro e di
intesa tra le grandi tradizioni civili del Mediterraneo; il duomo di Monreale
rappresenta forse con maggiore e più immediata evidenza questa sintesi di
valori. L’età degli Svevi, iniziata con Enrico VI sotto il segno della violenza
, proseguì nell’incertezza con vistosi episodi di anarchia, durante l’infanzia
e l’adolescenza dell’erede di Enrico VI e di Costanza, Federico II
(1194-1250); l’aspirazione di papa Innocenzo III, che il giovane svevo dovesse
avere, come i re normanni, soltanto il regno di Sicilia e non l’impero, apparve
presto irrealizzabile e Federico II riunì sul suo capo le
corone di Sicilia, di Germania, d’Italia e dell’impero ( e,con la sua crociata,
di Gerusalemme). Malgrado la molteplicità e la complessità dei problemi che la
sua posizione gli imponeva, Federico II dedicò la massima cura al regno di Sicilia,
che considerava il cardine dell’impero. Piegate le resistenze baronali e
cittadine, domata una ribellione di Arabi (che cessarono da allora di essere
una comunità influente), con le costituzioni
di Melfi (1231) portò a compimento l’ordinamento assolutistico,
centralizzato e burocratico del regno instaurato dai re normanni . Se Palermo
divenne un’ancor più splendida capitale, residenza prediletta dell’imperatore e
centro culturale eminente, l’isola, nonostante l’intensa attività economica, in
particolare quella mercantile e marinara, fu sottoposta a vessazioni fiscali
(tributi, monopoli ecc.) per sostenere
le spese di magnificenza e soprattutto quella per la guerra logorante di
Federico II contro il papato e i Comuni.
Scomparso Federico II, la
continuazione della dinastia sveva nel regno, impersonata da Manfredi, figlio naturale
dell’imperatore, reggente prima per l’erede legittimo Corrado IV, poi per il figlio di questo Corradino e infine egli
stesso re (1258), incontrò l’implacabile opposizione del papato, finché Urbano
IV investì nel regno Carlo d’Angiò,
fratello di Luigi IX di Francia e conte di Provenza (1265), che con l’appoggio
di tutta l’Italia guelfa conquistò con le armi il regno, auspice Clemente IV.
Manfredi cadde nella decisiva battaglia di Benevento (1266); Corradino,
sconfitto a Tagliacozzo, fu giustiziato (1268).
La catastrofe degli svevi
commosse i siciliani e provocò anche una sollevazione antifrancese e
un’effimera resistenza all’occupazione di Carlo d’Angiò, per cui questi
mantenne nei confronti dei siciliani un atteggiamento di severa diffidenza.
Stabilì il governo a Napoli, anteponendola a Palermo, distribuì un gran numero
di feudi a signori francesi, favorì nei
confronti dei siciliani, mercanti e banchieri stranieri (molti fiorentini, i grandi sostenitori del
guelfismo) . A questi motivi di risentimento si accompagnava l’azione segreta
di una fazione filosveva (o ghibellina) che faceva capo a Pietro III re d’Aragona il quale, avendo sposato Costanza, figlia
di Manfredi rivendicava i diritti di
questa al regno . In questo quadro il 31 marzo
1282 a Palermo scoppiò l’insurrezione
dei Vespri, che divampò in breve in tutta l’isola, e poco dopo Pietro
III, sbarcato con forze aragonesi a
Trapani, portò a termine la liberazione della Sicilia dai francesi. Ma prima
che il distacco della Sicilia , dominio aragonese, dal mezzogiorno della
penisola , dominio angioino , fosse definitivamente compiuto e riconosciuto, si combatté la
ventennale guerra detta dei Vespri
(1282-1302), conclusa con una pace
di compromesso (Caltabellotta, 1302: Carlo II d’Angiò riconobbe a Federico
II, fratello di Giacomo II re d’Aragona, la sovranità sulla Sicilia , ma a
titolo vitalizio e con il nome di re di Trinacria); poi, rotto il compromesso,
le ostilità si riaprirono e continuarono ad intermittenza fino al 1372, quando Giovanna I d’Angiò,
regina di Napoli, rinunciò ad ogni rivendicazione sull’isola a favore di Federico III d’Aragona
(1355-77) .
La questione della Sicilia trascendeva gli interessi italiani : il suo
possesso, nel mezzo del Mediterraneo, costituiva la base di una egemonia mercantile ed economico politica , ambita, disputata e
parzialmente ottenuta da Bizantini, Arabi, Normanni, Svevi, Angioini
(o Francesi) e infine Aragonesi, e il papato, a sua
volta avverso a ogni egemonia che potesse compromettere la sua libertà, non poteva non vigilare sulla
sorte dell’isola (per di più formalmente sotto la sua alta sovranità). Perciò
la guerra dei Vespri e i suoi strascichi ebbero riflessi in oriente , in tutta
l’Italia, in Francia, nella Penisola Iberica. Sotto la dinastia aragonese
sopravvissero le istituzioni di Federico
II di Svevia, ma venne dato un ruolo più rilevante al Parlamento ( diviso in
tre bracci: ecclesiastico, militare o feudale, demaniale o rappresentante delle
città libere, direttamente dipendenti dal re) . Dal punto di vista economico
sociale e culturale vi fu una graduale
recessione: ricostituzione di latifondi a beneficio di grandi signori,
decadimento dei ceti rurali più modesti e della borghesia delle città,
insicurezza per continue guerre , deterioramento dell’ordine pubblico. A ciò si
aggiunse come aggravante una progressiva perdita dell’indipendenza: le corone
d’Aragona e di Sicilia, tradizionalmente separate anche se talvolta cinte dalla
stessa persona, furono definitivamente unite a partire dal regno di Martino II
(1409-10), malgrado l’unanime opposizione
dei due partiti nobiliari (i Latini e i Catalani), che dagli scorci del
secolo XIV tenevano l’isola sotto
l’incubo delle loro lotte e i sovrani, Maria e martino il Giovane, sotto
una ricattatoria tutela. L’unione delle corone instaurò in Sicilia il governo
dei viceré, il primo dei quali fu l’infante Giovanni di Panafiel (1415-16),
figlio di Giovanni re di castiglia, d’Aragona e di Sardegna, che fu inviato,
invano, alla successione ed al trono.
La Sicilia costituì una valida
base per Alfonso V il Magnanimo nella sua conquista del regno di Napoli contro
Renato, l’ultimo degli Angioini (1435-42) e sotto quel re, che fino alla sua
morte (1458) ricompose l’antica unità del Mezzogiorno insulare e continentale
d’Italia, l’isola ebbe qualche beneficio economico e culturale (come
l’università di Catania) . Fu trascurata affatto dai suoi successori Giovanni
II (1458-79) e Ferdinando il Cattolico (1479-1516), che col compimento
dell’unità spagnola e con la conquista
del Napoletano realizzava un grande
impero mediterraneo. Ma ormai l’importanza del Mediterraneo stesso era alla vigilia del suo declino.
Da Vicereame all’unione allo
Stato Italiano:
Scaduta a vicereame la Sicilia
reagì. Nel 1516 Palermo insorse contro il viceré Ugo di Moncada, nel 1517 fu scoperta la congiura di Gian Luca
Squarcialupo e nel 1523 si ebbe la cospirazione
capeggiata dai fratelli Imperatore. Ma dopo che con la vittoria di Pavia
la potenza della Spagna dilagò in tutt’Italia , anche la nobiltà siciliana così
fieramente gelosa della sua indipendenza
finì col piegarsi e assumere un atteggiamento filospagnolo . D’altra
parte, se alla lunga il dominio spagnolo fu causa di conseguenze negative per
l’isola (introduzione dell’inquisizione , diminuzione delle autonomie locali ,
eccessivo fiscalismo ), servì anche a frenare , almeno in parte , lo strapotere
baronale e a combattere il brigantaggio
per cui fu inizialmente sopportato con relativa facilità anche dal popolo. Con
l’aggravarsi delle condizioni interne
della Spagna peggiorarono però
anche le condizioni della Sicilia. La decadenza
economica si accrebbe e scoppiarono nuove rivolte: tra le molte, quella di
Palermo (1647), capeggiata da Giuseppe d’Alessi che riuscì a far sollevare il
popolo e a cacciare per qualche tempo i
viceré, e quella di Messina (1674), dove la cittadinanza costrinse alla fuga la
guarnigione spagnola e resistette con l’aiuto della Francia sino al 1678 quando
Luigi XIV, accordatosi con Carlo II nella Pace di Nimega, abbandonò la
rivolta alla dura repressione spagnola. Con la pace di Utrecht (1713 , conclusione
della guerra di successione spagnola) la Sicilia passò, con titolo regio, a
Vittorio Amedeo II, duca di Savoia, ma poco dopo (1718), tolta al suo nuovo
Signore, fu assegnata all’Austria e in tal modo riunita al Napoletano. Nel
1734, infine sempre unita al Mezzogiorno ebbe con Carlo III di Borbone un nuovo
autonomo sovrano che ricostituì il Regno delle Due Sicilie mantenendo però ordinamenti separati nelle
due diverse regioni. Iniziò allora un
periodo di riforme che vide in Domenico
Caracciolo, viceré dal 1781 al 1786, il suo più illuminato rappresentante.
Ma il programma di unificazione politica e amministrativa , urtando contro i
privilegi del baronaggio e del
Parlamento, fu considerato un attentato alle libertà dell’isola e fin’ col
suscitare opposizione anche tra la gente comune. L’isola rimase comunque ai
Borbone di Spagna anche nei periodi in cui essi perdettero il continente (1799
e 1806-15) per l’intervento delle armi francesi, e nel 1811, auspice l’inglese
Bentinck, che la teneva praticamente sotto tutela ebbe una sua Costituzione
liberale. Quando però Ferdinando I riprese l’antico disegno di dare effettiva
unità al duplice regno abolendo (1815) la Costituzione appena concessa e le
libertà e franchigie più antiche, l’ostilità verso la monarchia riprese più
aperta e decisa. Da qui il moto separatista
del 1820, la sollevazione di Palermo del 1831 e l’insurrezione del 1848
che proclamò la decadenza dei Borbone , offrì la corona dell’isola a Ferdinando
Maria di Savoia e fu domata solo nel maggio del 1849. Di qui, anche
l’accoglienza che trovò Garibaldi nell’isola e la sua rapida liberazione
conclusa con il plebiscito del 21 ottobre 1860 da cui venne proclamata l’unione
alla monarchia costituzionale di Vittorio Emanuele II.
L’arretratezza delle condizioni
economiche e sociali dell’isola, che fu all’origine di gravi agitazioni come l’insurrezione di
Palermo (1866) e i moti dei fasci siciliani repressi nel 1894 con lo stato
d’assedio, fu esasperata dalla crisi dell’agricoltura e dalla conseguente emigrazione dei contadini . Dopo la I guerra
mondiale la situazione peggiorò e il
malcontento portò la popolazione ad
accogliere il sistema autarchico
fascista rivelatosi tutt’altro che risolutivo .
Dallo sbarco Anglo Americano e
con la ripresa della vita politica dell’intero paese la Sicilia, pur di
sottrarsi alla prospettiva socialista, e fidando nella collocazione geografica
che le avrebbe concesso privilegi nei
rapporti internazionali, scelse la via del separatismo. Il fenomeno mafioso
trovò in tal modo ampia possibilità d’espressione , avvalendosi di una potente
organizzazione terroristica che contrabbandava le azioni di brigantaggio per
iniziative politiche.
Il 15 maggio 1946 veniva
istituita la regione e l’isola era così
inserita di fatto nella vita del
paese e metre il fenomeno
separatista subiva una seria battuta
d’arresto pur continuando a sussistere sotto il non meno grave aspetto clientelare , fortemente
condizionante dello sviluppo politico
sociale dell’isola, il problema della
mafia si ramificava in gran parte della penisola.
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