geronimo

venerdì 14 dicembre 2012

Sicilia


SICILIA
Preistoria:
Manufatti tipologicamente simili a quelli dei complessi su ciottolo del Paleolitico inferiore sono stati rinvenuti fin dagli anni sessanta in diverse località dell’isola: in provincia di Agrigento (Torre di Monterosso, Capo Rossello) e tra Menfi e Sciacca (Bertolino di mare, Contrada cavar retto). Più recentemente, complessi su scheggia, sempre riferiti al Paleolitico inferiore, sono stati rinvenuti  in provincia di Catania lungo il Dittaino e il Simeto e vicino a Ragusa. Per molti di questi rinvenimenti si tratta di complessi numericamente  limitati e in situazioni crono stratigrafiche non chiaramente definibili. Se la presenza di facies su ciottolo e su scheggia del paleolitico inferiore in Sicilia appare finora indiziata più dal ripetersi di ritrovamenti che da un loro sicuro inquadramento geologico, non sembra potersi affermare altrettanto per quanto riguarda il Paleolitico medio, finora non documentato, mentre più numerosi sono i complessi riferiti al Paleolitico superiore  e al Mesolitico. Alle fasi antiche del Paleolitico  superiore (Aurignaziano)  è attribuita l’industria di Fontana Nuova (Ragusa9; all’Epigravettiano antico sono riferiti i siti di Canicattini Bagni (Siracusa) e di Grotta Niscemi (Palermo); all’Epigravettiano evoluto il riparo San Corrado (Siracusa) e la grotta Mangiapane
(Trapani) Più rappresentato appare  l’Epigravettiano finale con numerosi siti: il riparo San basilio e la grotta di San Teodoro (Messina) dove sono state scavate quattro importanti sepolture  con ocra, la grotta Corruggi e la grotta Giovanna (Siracusa) , quest’ultima con molte manifestazioni d’arte mobiliare  su blocchi e lastre di calcare  con motivi incisi a carattere prevalentemente geometrico e più raramente naturalistico, la grotta dell’Acqua Fitusa (Agrigento), la grotta di Cala dei genovesi a Lavanzo e i livelli basali della grotta dell’Uzzo (Trapani). A questa fase sono attribuite le raffigurazioni di animali incise nella grotta di Cala dei Genovesi mentre la scena complessa con personaggi umani e alcuni animali incisa su un masso della grotta dell’Addaura (Palermo) può essere di diverse età, e secondo alcuni va attribuita al mesolitico. Altre raffigurazioni di animali (cervidi, equidi e bovidi), pressappoco coave a quelle citate, sono note in diverse altre grotte (Niscemi, Za Minica, Puntali,Racchio) . Il Mesolitico è infine soprattutto attestato alla grotta dell’Uzzo, dove sono state rinvenute, tra l’altro, una decina di sepolture doppie e singole, di neonati, bambini e adulti, datate con metodi radiometrici a un periodo compreso tra l’8000 e il 7300 a.C. circa. Copiosissimi sono i resti appartenenti al Neolitico, che dimostrano l’importante ruolo avuto in tale periodo dalla Sicilia per la sua posizione al centro del Mediterraneo. Da ricordare, fra le altre, le colture neolitiche di Stentinello e di Diana. A partire dal terzo millennio a.C. si diversificano gli aspetti culturali delle Eolie e della Sicilia Nord-orientale, della Sicilia sud-orientale e di quella occidentale. Un fenomeno particolarmente importante è costituito dal manifestarsi di influenze della facies del bicchiere campaniforme, soprattutto nella zona della Conca d’Oro la facies eoliana di capo Graziano iniziano a essere attestati contatti stabili con il mondo egeo, particolarmente ricchi anche nelle facies isolana di Castelluccio. Molto importanti sono i villaggi con architettura evoluta del successivo periodo di Thapsos e, nel Bronzo tardo, l’imponente “megaron” di Pantalica. Con l’età del Ferro lo sviluppo dell’isola verso forme complesse di organizzazione socio-politica viene interrotto dalla fondazione di colonie greche nella parte orientale e fenicie in quella occidentale.

Storia:
Abitata anticamente da Siculi, Sicani ed Elimi (rispettivamente nelle zone orientali, occidentali e nord occidentali) , la Sicilia si aprì presto a insediamenti di coloni fenici e, più tardi, dal 734 a C. in poi secondo Tucidide, anche greci, attratti dai suoi porti, dalle sue miniere e dalla fertilità del suo territorio.
I Fenici, soprattutto cartaginesi, si stabilirono nella parte occidentale dove fondarono Panormo, Solunto e Mozia che, in un primo momento, furono soltanto empori commerciali: ciò permise una stretta alleanza tra i Cartaginesi e gli indigeni Elimi , i cui centri principali erano invece Segesta, Erice ed Entella. Vere città,, e subito molto popolose, divennero invece gli insediamenti coloniali dei Greci nella parte orientale, tra cui notevoli furono Nasso, Lentini e Catana fondate dai Calcidesi, Siracusa fondata dai Corinzi (circa 734 a.C.), Magara Iblea fondata dai Magaresi e Gela fondata da Rodiesi e Cretesi (circa 690 a.C.).
Megara Ibrea e gela a loro volta crearono poi, rispettivamente , Selinunte e (circa 582) Agrigento. Le colonie greche non costituirono mai un’unità politica e anzi furono spesso in guerra tra loro: tuttavia divennero subito molto prospere (ne sono testimonianza i grandi monumenti dell’epoca) e stabilirono intense relazioni commerciali con le città dell’Italia meridionale, con Cartagine e, dal secolo VI a.C. anche con Roma.
La struttura sociale di ciascuna città che favoriva la classe dei proprietari terrieri, discendenti degli antichi colonizzatori, a danno del proletariato, composto invece da gruppi indigeni e dagli immigrati recenti, fu però causa di lunghe lotte intestine risolte, all’inizio del secolo VI a.C. con l’avvento dei regimi tirannici, il primo dei quali fu quello di Panezio a Lentini (circa608). Importanti  furono la tirannide di Falaride ad Agrigento, e soprattutto, quella di Ippocrate (498-491) a gela, che costituì un forte stato nella zona occidentale dell’isola in cui il suo successore , Geleone, incluse anche Siracusa, città che, da questo momento, divenne la più importante dell’Occidente greco. Nel 480 Gelone, anche con forze navali di Agrigento , bloccò a Imera un’offensiva dei cartaginesi escludendoli così per lungo tempo dall’isola. Nel 474 Gerone, suo fratello e successore, sconfisse gli Etruschi nelle acque di Cuma ed estese poi la sua influenza anche sul mondo greco dell’Italia meridionale: questo espansionismo siracusano fu però fermato da un moto insurrezionale dei Siculi guidato da Ducezio (450) e, più tardi (415-413), dalla famosa spedizione di Sicilia promossa da Atene che vedeva minacciati i suoi commerci con gli Etruschi dal rapido sviluppo della potenza siracusana.  L’impresa si risolse per Atene con un disastro, ma anche Siracusa ne uscì indebolita: ne approfittò Cartagine che riprese i tentativi di penetrazione in Sicilia investendo, tra il 408 e il 405, citta fiorenti come Selinunte, Imera, Agrigento, Gela che vennero in parte distrutte.
L’avvento di Dionigi  il tiranno a Siracusa  (405) valse però a salvare l’ellenismo della Sicilia dai cartaginesi che si ridussero gradualmente al possesso della sola parte occidentale dopo una lotta durata, con varie vicende (tra cui la spedizione in Africa di Agatocle, tiranno di Siracusa, nel 310 e l’intervento di Pirro nel 278)quasi due secoli. Dopo la I guerra punica (241) la zona cartaginese della Sicilia divenne provincia romana; in essa, nel 212, Roma, sconfitta Siracusa che, per combattere la potenza romana si era alleata a Cartagine, incorporò anche lo stato Siracusano estendendo così il suo dominio su tutta l’isola.
Le città siciliane, a esclusione della fedele Messina, furono sottoposte al pagamento di un tributo, ma mantennero una notevole autonomia interna. Roma favorì e sfruttò la produzione del grano che importava in conto tributo per le proprie necessità alimentari. Sulle estese tenute lavoravano masse di schiavi che si ribellarono in due occasioni, nel 136-132 e nel 1°4-100 a.C.. La Sicilia dovette subire le ruberie e le malversazioni del pro pretore Verre; Cesare le concesse il diritto latino, mentre Augusto, che la annoverò tra le provincie senatoriali, vi rafforzò il dominio romano e ne risollevò le condizioni economiche gravemente compromesse durante la guerra civile quando Sesto Pompeo l’aveva occupata e staccata da Roma. In età imperiale la Sicilia continuò nelle condizioni di vita tradizionali, con le sue città aventi differenti rapporti con Roma, ancora attive nell’artigianato e nei commerci: esse però non recuperarono più lo splendore di un tempo. Con la Constitutio Antoniniana del 212, anche i siciliani ottennero la cittadinanza romana al pari di tutti gli abitanti dell’impero romano. Nella suddivisione in diocesi e province operata da Diocleziano, la Sicilia fu attribuita alla diocesi italiciana e costituì provincia a sé Col tempo la Cerialicoltura fu meno redditizia e l’isola ne sofferse anche nei commerci.
Dai Bizantini agli Aragonesi:
La generale decadenza dell’Occidente romano colpì a fondo l’isola e la espose a una serie di rovinose incursioni e all’occupazione, dapprima parziale (Lilibeo 440), poi totale (468), da parte dei Vandali stanziati in Africa e, dopo la conquista di Cartagine, divenuti una grande potenza marinara. La dominazione vandalica, duramente vessatoria (anche in campo religioso, i Vandali ariani non diedero pace ai cattolici, provocando la rovina di una ormai antica élite culturale) , fu abbattuta da Odoacre tra il 476 e il 486; ma già nel 491 succedette la dominazione degli Ostrogoti di Teodorico, che tuttavia concesse al re dei Vandali Guntamondo, suo genero , la base di Lilibeo.
L’età Ostrogotica (491-535) riportò nell’isola una relativa tranquillità, effetto della politica conciliante di Teodorico; militarmente presidiata ma non colonizzata, la Sicilia riassunse il suo antico ruolo di grande riserva di grano e di chiave del commercio mediterraneo, da cui trassero beneficio soprattutto i latifondisti (laici e ecclesiastici). Dalla Sicilia ebbe inizio la riconquista imperiale dell’Italia promossa da Giustiniano (535) che già aveva abbattuto il regno dei Vandali in Africa; Belisario la occupò in sette mesi con poche forze e senza incontrare serie resistenze e di là, passato lo Stretto di Messina, proseguì l’avanzata lungo la penisola. Durante la guerra greco-gotica (535-553) l’isola divenne un valido baluardo militare (che Totila cercò invano di prendere verso il 550), e come tale fu governata durante i tre secoli e più del dominio Bizantino. Staccata dal resto dell’Italia, fu sottoposta direttamente all’imperatore, che nominava per essa dapprima un governatore civile e uno militare, poi, riuniti i poteri, un unico governatore militare, lo stratego del tema di Sicilia. La militarizzazione, sempre più accentuata da Bisanzio per esigenze di difesa in rapporto alla progressiva avanzata degli Arabi in Africa nel secolo VI, incise profondamente sulle condizioni generali dell’isola: mortificò l’economia cittadina e rurale, sconvolse la distribuzione demografica, aggravò la pressione dell’autorità bizantina col suo rigore fiscale e la sua intolleranza religiosa (l’eresia monotelica nel secolo VII, quella iconoclastica ne secolo VIII misero a dura prova i cattolici, raccolti intorno al vescovo di Siracusa), e lingua, cultura, costumi greci penetrarono largamente. A questa seconda ellenizzazione  della Sicilia si connette il progetto di Costante II di fare dell’isola il centro dell’impero, con il breve trasferimento della capitale  da Cpostantinopoli a Siracusa (663-668). I siciliani reagirono a più riprese a questa politica ora passivamente ora sostenendo vari tentativi  di governatori bizantini  di sottrarsi al potere imperiale , e fu appunto la secessione di un’ufficiale  bizantino, Eufemio, che provocò, richiesto, l’intervento degli arabi (827) e la loro progressiva occupazione . Già apparsi più volte sin dalla metà del secolo VII come corsari, gli Arabi intrapresero l’invasione  della Sicilia per iniziativa  dell’emiro aghlabita di Kairuan (Tunisi), Ziadet Allah, sollecitato dal ribelle Eufemio , dando all’impresa carattere di guerra santa. Aspramente contrastati, ne vennero a capo solo agli inizi del secolo X, conquistando via via Mazara (827), Palermo (832), Messina (842), Enna (859), Siracusa (878), Taormina (902). L’isola fu sottoposta  al governo di un emiro , rappresentante degli Aghlabiti di Kairuan poi (dal 910) dei Fatimiti del Cairo e infine dagli Ziriti loro vassalli in Tunisia; ma già verso la metà del secolo X l’emirato divenne  un principato ereditario e di fatto indipendente, e per circa un secolo, sotto i Kalbiti, la Sicilia risorse dalla sua lunga decadenza. La popolazione cristiana (come gli ebrei) ebbe il consueto statuto imposto dagli Arabi nei paesi conquistati: libertà religiosa, ma a prezzo di una speciale tassazione (non troppo gravosa), ma non sopportabile da gruppi economicamente più deboli, che passarono perciò all’islamismo). La colonizzazione, più attiva all’ovest (val di Mazara) che a sud est (val di Noto) e a nord est (Val Demone) , si stabilì con metodi e risultati diversi da luogo a luogo e gravò in misura diversa sugli isolani. Non mancarono, specie nella val Demone, rivolte ma, non appoggiate adeguatamente da interventi bizantini , furono tutte represse. Gli Arabi diedero uno straordinario impulso all’agricoltura (frazionamento di latifondi, introduzione di nuove colture, come il gelso, il cotone, l’arancio, il dattero e la canna da zucchero), all’artigianato (tessuti di seta e di cotone), al commercio ( con la sua maggiore base a Palermo), e la Sicilia, come la Spagna, divenne un centro d’irradiazione della civiltà intellettuale e artistica islamica, che diede tuttavia i suoi frutti più cospicui solo dopo la fine della dominazione.
A indebolirla e farla crollare contribuirono soprattutto le croniche rivalità tra i vari signori locali, delle quali seppero approfittare  nella prima metà del secolo XI i Bizantini (spedizione di Giorgio Maniace nella Sicilia orientale, 1038-40), nella seconda metà, con progressivi e definitivi successi, i Normanni già affermati nell’Italia meridionale e sorretti nella loro iniziativa antimusulmana dal patrocinio della Chiesa romana, rianimata dallo spirito della riforma e avviata all’apogeo gregoriano. L’intervento normanno fu agevolato dall’appello del signore di Catania Ibn ath-Thumna in contesa col signore di Agrigento e la riconquista cristiana dell’isola, a opera di Ruggero I d’Altavilla (con il concorso, discontinuo, del fratello Roberto il Guiscardo),, si iniziò con la presa di Messina (1061) e si concluse con quella di Noto (1091). Catania cadde nel 1071, Palermo nel 1072, Trapani nel 1077, Taormina nel 1079.
Una vigorosa controffensiva dell’emiro Ben Avert, contemporanea all’azione che impegnava i Normanni del Guiscardo contro i Bizantini, ritardò di alcuni anni la conclusione dell’impresa: Siracusa cadde solo nel 1085, seguita da Agrigento  e infine da Noto.
Ruggero, che aveva preso il titolo di gran conte di Sicilia , s’impadronì anche di Malta , mentre, dopo la morte  del Guiscardo , riusciva ad imporsi  anche su i domini normanni del continente.
Vassallo del papa e legato apostolico (1098), Ruggero andava predisponendo la riorganizzazione della Sicilia, quando morì (1101) e la sua opera fu continuata  dalla vedova Adelaide prima per il primogenito Simone (morto fanciullo nel 1105), poi per il cadetto Ruggero II finché ebbe l’età per governare personalmente (1113). Questo principe orientalizzante , tra il basileus bizantino e il sultano, animato da sconfinate  ambizioni e dotato di insigni qualità politiche e militari, riuscì a realizzare con ogni mezzo l’unità dei domini normanni insulari e continentali, a fondare uno stato fortemente accentrato e ad ottenere dall’anti papa Anacleto II il titolo di re di Sicilia (1130). Ruggero II introdusse in Sicilia il regime feudale, ma istituzionalizzò, e seppe imporre, sui signori feudali e sulle comunità autonome  il superiore potere del re , esercitato da una gerarchia  di funzionari (iusticiarii, e camerarii)  e temperato dal consiglio della Magna  curia. Analogamente, garantì la libertà religiosa e le consuetudini proprie dei gruppi latini, arabi, bizantini, ebraici esistenti nel regno, tenendo però ben fermo il principio che sovrasta su tutti l’assoluta sovranità del re . La tolleranza religiosa consentì al re ed ai suoi successori di scegliere collaboratori qualificati d’ogni nazione e religione. L’isola conobbe allora una vigorosa ripresa economica, agricola artigianale  e commerciale, frutto del concorso di esperienze diverse, e correlativamente , lo Stato normanno di Sicilia e la sua capitale Palermo, divennero il centro di un vero e proprio impero che si estendeva dalla Campania e dall’Abruzzo all’Africa settentrionale  e aveva un ruolo primario nel Mediterraneo. Ruolo anche culturale , poiché nel regno fiorivano  tra l’altro la scuola  medica di Salerno, il monastero benedettino latino di Montecassino e i monasteri basiliani greci, sorgevano monumenti espressivi di un originale sintesi stilistica , e per Ruggero II lavorava uno dei maggiori geografi medievali, al-Idrisì (Edrisi) .
Sotto il figlio e successore di Ruggero II, Guglielmo I (1154-66, molto inferiore sotto ogni aspetto al padre, il regno attraverso periodi di crisi, scontrandosi con il papato, con l’imperatore Bizantino Manuele I Commeno, con Federico Barbarossa e subendo rivolte baronali. Ne uscì salvo, ma meno per le inconsulte severità del re (soprannominato il Malo) che per la solidità delle sue strutture e la leale opera di governo di ministri quali Maione di bari, Matteo d’Aiello e l’inglese Riccardo Palmer, vescovo di Siracusa. Ma i nuovi e più gravi torbidi sconvolsero la Sicilia alla morte di Guglielmo I, durante il quinquennio di reggenza della vedova margherita di Navarra per il figlio Guglielmo II (1166-1189), che parve abbandonare la politica  di equanimità nei confronti dei diversi elementi etnici e religiosi per imporre la supremazia di nuovi elementi francesi. Con l’avvento del governo personale di Guglielmo II tuttavia, e grazie alla collaborazione di Matteo d’Aiello e di Gualtiero Ophtamil , un inglese, arcivescovo di Palermo, ritornò la pace  e la Sicilia rifiorì anche se il re, mosso da inattuabili ambizioni, vide fallire le sue temerarie iniziative di conquista in Egitto contro il Saladino e nella Grecia bizantina contro Andronico I Comneno e Alessio II Angelo ( 1185).
Guglielmo II, il buono, la cui personalità aveva affascinato indistintamente tutti i sudditi, morì mentre la sua flotta partecipava brillantemente alla III Crociata. Privo di figli, gli succedette la zia Costanza, figlia di Ruggero II, dal 1186 moglie di Enrico VI di Svevia figlio ed erede di Federico Barbarossa. Ciò significava consegnare il regno  all’impero germanico e rompere il tradizionale vincolo col papato, irriducibile avversario degli svevi e intollerante della loro egemonia in Italia. La successione venne contrastata da una forte frazione  della popolazione , che portò al trono un cugino  di Guglielmo, Tancredi conte di Lecce (1189-94) ; ma dopo che Enrico VI succedette al Barbarossa (1190) e intraprese la conquista del regno della moglie. Tancredi nonostante alcuni successi, andò perdendo terreno  e alla sua morte l’imperatore , sostenuto dai genovesi e dai Pisani e da alcuni baroni siciliani, stroncò la resistenza , raccolta intorno alla vedova e al figlio di Tancredi, Guglielmo III, e fu incoronato re a Palermo (Natale 1194); seguì poco dopo un’altra insurrezione, che Enrico VI represse ferocemente, poco prima della sua prematura morte  (Messina, 1197) .
Nell’età normanna era maturata in Sicilia  una cultura composita, eppure originale, alla quale avevano portato i propri contributi, stimolate dalla monarchia , le diverse comunità, romana, araba e bizantina, ciascuna secondo il suo genio;allora come non mai l’isola apparve il luogo ideale d’incontro e di intesa tra le grandi tradizioni civili del Mediterraneo; il duomo di Monreale rappresenta forse con maggiore e più immediata evidenza questa sintesi di valori. L’età degli Svevi, iniziata con Enrico VI sotto il segno della violenza , proseguì nell’incertezza con vistosi episodi di anarchia, durante l’infanzia e l’adolescenza dell’erede  di Enrico VI e di Costanza, Federico II (1194-1250); l’aspirazione di papa Innocenzo III, che il giovane svevo dovesse avere, come i re normanni, soltanto il regno di Sicilia e non l’impero, apparve presto irrealizzabile  e Federico II riunì sul suo capo le corone di Sicilia, di Germania, d’Italia e dell’impero ( e,con la sua crociata, di Gerusalemme). Malgrado la molteplicità e la complessità dei problemi che la sua posizione gli imponeva, Federico II dedicò la massima cura al regno di Sicilia, che considerava il cardine dell’impero. Piegate le resistenze baronali e cittadine, domata una ribellione di Arabi (che cessarono da allora di essere una comunità influente), con le costituzioni di Melfi (1231) portò a compimento l’ordinamento assolutistico, centralizzato e burocratico del regno instaurato dai re normanni . Se Palermo divenne un’ancor più splendida capitale, residenza prediletta dell’imperatore e centro culturale eminente, l’isola, nonostante l’intensa attività economica, in particolare quella mercantile e marinara, fu sottoposta a vessazioni fiscali (tributi, monopoli ecc.)  per sostenere le spese di magnificenza e soprattutto quella per la guerra logorante di Federico II contro il papato e i Comuni.
Scomparso Federico II, la continuazione della dinastia sveva nel regno, impersonata da Manfredi, figlio naturale dell’imperatore, reggente prima per l’erede legittimo Corrado IV, poi per il figlio di questo Corradino e infine egli stesso re (1258), incontrò l’implacabile opposizione del papato, finché Urbano IV investì nel regno Carlo d’Angiò, fratello di Luigi IX di Francia e conte di Provenza (1265), che con l’appoggio di tutta l’Italia guelfa conquistò con le armi il regno, auspice Clemente IV. Manfredi cadde nella decisiva battaglia di Benevento (1266); Corradino, sconfitto a Tagliacozzo, fu giustiziato (1268).
La catastrofe degli svevi commosse i siciliani e provocò anche una sollevazione antifrancese e un’effimera resistenza all’occupazione di Carlo d’Angiò, per cui questi mantenne nei confronti dei siciliani un atteggiamento di severa diffidenza. Stabilì il governo a Napoli, anteponendola a Palermo, distribuì un gran numero di feudi  a signori francesi, favorì nei confronti dei siciliani, mercanti e banchieri stranieri  (molti fiorentini, i grandi sostenitori del guelfismo) . A questi motivi di risentimento si accompagnava l’azione segreta di una fazione filosveva (o ghibellina) che faceva capo a Pietro III re d’Aragona il quale, avendo sposato Costanza, figlia di Manfredi rivendicava i diritti  di questa al regno . In questo quadro il 31 marzo  1282 a Palermo scoppiò l’insurrezione  dei Vespri, che divampò in breve in tutta l’isola, e poco dopo Pietro III, sbarcato con forze aragonesi  a Trapani, portò a termine la liberazione della Sicilia dai francesi. Ma prima che il distacco della Sicilia , dominio aragonese, dal mezzogiorno della penisola , dominio angioino , fosse definitivamente compiuto  e riconosciuto, si combatté la ventennale  guerra detta dei Vespri (1282-1302), conclusa con una pace  di compromesso (Caltabellotta, 1302: Carlo II d’Angiò riconobbe a Federico II, fratello di Giacomo II re d’Aragona, la sovranità sulla Sicilia , ma a titolo vitalizio e con il nome di re di Trinacria); poi, rotto il compromesso, le ostilità si riaprirono e continuarono ad intermittenza  fino al 1372, quando Giovanna I d’Angiò, regina di Napoli, rinunciò ad ogni rivendicazione  sull’isola a favore di Federico III d’Aragona (1355-77) .
La questione della Sicilia  trascendeva gli interessi italiani : il suo possesso, nel mezzo del Mediterraneo, costituiva la base  di una egemonia mercantile  ed economico politica , ambita, disputata e parzialmente ottenuta da Bizantini, Arabi, Normanni, Svevi, Angioini (o Francesi) e infine Aragonesi, e il papato, a sua volta avverso a ogni egemonia che potesse compromettere  la sua libertà, non poteva non vigilare sulla sorte dell’isola (per di più formalmente sotto la sua alta sovranità). Perciò la guerra dei Vespri e i suoi strascichi ebbero riflessi in oriente , in tutta l’Italia, in Francia, nella Penisola Iberica. Sotto la dinastia aragonese sopravvissero le istituzioni  di Federico II di Svevia, ma venne dato un ruolo più rilevante al Parlamento ( diviso in tre bracci: ecclesiastico, militare o feudale, demaniale o rappresentante delle città libere, direttamente dipendenti dal re) . Dal punto di vista economico sociale  e culturale vi fu una graduale recessione: ricostituzione di latifondi a beneficio di grandi signori, decadimento dei ceti rurali più modesti e della borghesia delle città, insicurezza per continue guerre , deterioramento dell’ordine pubblico. A ciò si aggiunse come aggravante una progressiva perdita dell’indipendenza: le corone d’Aragona e di Sicilia, tradizionalmente separate anche se talvolta cinte dalla stessa persona, furono definitivamente unite a partire dal regno di Martino II (1409-10), malgrado l’unanime opposizione  dei due partiti nobiliari (i Latini e i Catalani), che dagli scorci del secolo XIV tenevano l’isola sotto  l’incubo delle loro lotte e i sovrani, Maria e martino il Giovane, sotto una ricattatoria tutela. L’unione delle corone instaurò in Sicilia il governo dei viceré, il primo dei quali fu l’infante Giovanni di Panafiel (1415-16), figlio di Giovanni re di castiglia, d’Aragona e di Sardegna, che fu inviato, invano, alla successione ed al trono.
La Sicilia costituì una valida base per Alfonso V il Magnanimo nella sua conquista del regno di Napoli contro Renato, l’ultimo degli Angioini (1435-42) e sotto quel re, che fino alla sua morte (1458) ricompose l’antica unità del Mezzogiorno insulare e continentale d’Italia, l’isola ebbe qualche beneficio economico e culturale (come l’università di Catania) . Fu trascurata affatto dai suoi successori Giovanni II (1458-79) e Ferdinando il Cattolico (1479-1516), che col compimento dell’unità spagnola  e con la conquista del  Napoletano realizzava un grande impero mediterraneo. Ma ormai l’importanza del Mediterraneo  stesso era alla vigilia del suo declino.
Da Vicereame all’unione allo Stato Italiano:
Scaduta a vicereame la Sicilia reagì. Nel 1516 Palermo insorse contro il viceré Ugo di Moncada, nel 1517 fu scoperta la congiura di Gian Luca Squarcialupo e nel 1523 si ebbe la cospirazione  capeggiata dai fratelli Imperatore. Ma dopo che con la vittoria di Pavia la potenza della Spagna dilagò in tutt’Italia , anche la nobiltà siciliana così fieramente gelosa della sua indipendenza  finì col piegarsi e assumere un atteggiamento filospagnolo . D’altra parte, se alla lunga il dominio spagnolo fu causa di conseguenze negative per l’isola (introduzione dell’inquisizione , diminuzione delle autonomie locali , eccessivo fiscalismo ), servì anche a frenare , almeno in parte , lo strapotere baronale  e a combattere il brigantaggio per cui fu inizialmente sopportato con relativa facilità anche dal popolo. Con l’aggravarsi delle condizioni interne  della Spagna peggiorarono  però anche le condizioni  della Sicilia. La decadenza economica  si accrebbe e scoppiarono  nuove rivolte: tra le molte, quella di Palermo (1647), capeggiata da Giuseppe d’Alessi che riuscì a far sollevare il popolo e a cacciare  per qualche tempo i viceré, e quella di Messina (1674), dove la cittadinanza costrinse alla fuga la guarnigione spagnola e resistette con l’aiuto della Francia sino al 1678 quando Luigi XIV, accordatosi con Carlo II nella Pace di Nimega, abbandonò la rivolta  alla dura repressione spagnola.  Con la pace di Utrecht (1713 , conclusione della guerra di successione spagnola) la Sicilia passò, con titolo regio, a Vittorio Amedeo II, duca di Savoia, ma poco dopo (1718), tolta al suo nuovo Signore, fu assegnata all’Austria e in tal modo riunita al Napoletano. Nel 1734, infine sempre unita al Mezzogiorno ebbe con Carlo III di Borbone un nuovo autonomo sovrano che ricostituì il Regno delle Due Sicilie  mantenendo però ordinamenti separati nelle due diverse regioni.  Iniziò allora un periodo di riforme che vide in Domenico Caracciolo, viceré dal 1781 al 1786, il suo più illuminato rappresentante. Ma il programma di unificazione politica e amministrativa , urtando contro i privilegi  del baronaggio e del Parlamento, fu considerato un attentato alle libertà dell’isola e fin’ col suscitare opposizione anche tra la gente comune. L’isola rimase comunque ai Borbone di Spagna anche nei periodi in cui essi perdettero il continente (1799 e 1806-15) per l’intervento delle armi francesi, e nel 1811, auspice l’inglese Bentinck, che la teneva praticamente sotto tutela ebbe una sua Costituzione liberale. Quando però Ferdinando I riprese l’antico disegno di dare effettiva unità al duplice regno abolendo (1815) la Costituzione appena concessa e le libertà e franchigie più antiche, l’ostilità verso la monarchia riprese più aperta e decisa. Da qui il moto separatista  del 1820, la sollevazione di Palermo del 1831 e l’insurrezione del 1848 che proclamò la decadenza dei Borbone , offrì la corona dell’isola a Ferdinando Maria di Savoia e fu domata solo nel maggio del 1849. Di qui, anche l’accoglienza che trovò Garibaldi nell’isola e la sua rapida liberazione conclusa con il plebiscito del 21 ottobre 1860 da cui venne proclamata l’unione alla monarchia costituzionale di Vittorio Emanuele II.
L’arretratezza delle condizioni economiche e sociali dell’isola, che fu all’origine  di gravi agitazioni come l’insurrezione di Palermo (1866) e i moti dei fasci siciliani repressi nel 1894 con lo stato d’assedio, fu esasperata dalla crisi dell’agricoltura  e dalla conseguente emigrazione  dei contadini . Dopo la I guerra mondiale  la situazione peggiorò e il malcontento portò la popolazione  ad accogliere il sistema autarchico  fascista rivelatosi tutt’altro che risolutivo .
Dallo sbarco Anglo Americano e con la ripresa della vita politica dell’intero paese la Sicilia, pur di sottrarsi alla prospettiva socialista, e fidando nella collocazione geografica che le avrebbe concesso privilegi  nei rapporti internazionali, scelse la via del separatismo. Il fenomeno mafioso trovò in tal modo ampia possibilità d’espressione , avvalendosi di una potente organizzazione terroristica che contrabbandava le azioni di brigantaggio per iniziative politiche.
Il 15 maggio 1946 veniva istituita la regione  e l’isola era così inserita  di fatto nella vita del paese  e metre il fenomeno separatista  subiva una seria battuta d’arresto  pur continuando a sussistere  sotto il non meno grave  aspetto clientelare , fortemente condizionante  dello sviluppo politico sociale  dell’isola, il problema della mafia si ramificava in gran parte della penisola.

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