SARDEGNA
Preistoria:
Fino a qualche anno fa la
Sardegna era considerata priva di frequentazione umana prima del Neolitico, per
il suo isolamento geografico dalla penisola nel corso del Pleistocene; in
seguito alle prime ricerche di O. Cornaggia Castiglioni, che risalgono alla
fine degli anni settanta, e a quelle tuttora in corso da parte di F. martini,
sono stati segnalati numerosi complessi su scheggia e su ciottoli attribuiti al
Paleolitico inferiore. Tali sono per esempio i siti di Sa Coa e de Sa Multa
vicino a Laerru, tipologicamente collegato al Clactoniano prerissiano
peninsulare, o i manufatti raccolti nella regione dell’Anglona, in Sicilia
settentrionale, lungo il Riu Altana, e quelli nel bacino di Laerru-Perfugas
attribuiti al Protocharentiano o Tayaziano rissiano come anche l’industria di
Sa Pedrosa-Pantalinu. Al paleolitico superiore, e in particolare a un generico
Epigravettiano, sono stati riferiti gli scarsi manufatti rinvenuti a Grotta
Corbeddu vicino Nuoro. Durante il Neolitico
un ruolo importante devono avere avuto i giacimenti di ossidiana
specialmente del Monte Arci, che alimentò certamente un vasto commercio verso
le regioni circostanti. Recenti ricerche hanno consentito di ricostruire lo
sviluppo delle facies neolitiche dell’isola; quella di Ozieri, della seconda
metà del IV Millennio a C:, si caratterizza per una ricca cultura materiale e
per la comparsa delle caratteristiche sepolture ipogeiche (domus de janas). Da
ora in poi la Sardegna è stabilmente inserita in circuiti di scambio che
coinvolgono sia il Mediterraneo occidentale (è forte l’influsso della facies
del bicchiere campaniforme, nell’Eneolitico), sia quello orientale (come
dimostrano i numerosi frammenti micenei trovati nell’Età del bronzo e i vasi
sardi rinvenuti a Creta nello stesso periodo).
Agli inizi del II millennio
a.C. si data la comparsa dei nuraghi,
caratteristiche costruzioni a torre che punteggiano il paesaggio della campagna
sarda; intorno a essi si sviluppano ampi villaggi, pozzi e fonti sacre e altri
elmenti tipici di una società complessa,
fino ad arrivare alle manifestazioni
d’arte (bronzistica) della prima età del ferro.
Storia:
Verso il secolo VIII, gruppi di
Fenici, soprattutto Cartaginesi, si insediarono sulle zone costiere, in particolare quelle
meridionali e orientali, dove fondarono Caralis (Cagliari), Nora, Tharros, ecc.
mentre i Sardi si ritiravano
all’interno. I Focesi, a loro volta, fondarono Olbia, ma la loro
penetrazione in Sardegna si arrestò dopo la battaglia combattuta nelle acque di
Alalia (c.a 535 a.C.) contro Etruschi
e Cartaginesi i quali, anche se sconfitti, riuscirono ad affermarsi
nell’isola, specialmente i primi che estesero gradualmente la loro penetrazione . La stessa Roma
rinunciò a commerciare nell’isola in base ad un trattato stipulato con
Cartagine nel 348 a.C.; tuttavia scoppiarono frequenti le rivolte degli indigeni
sardi insofferenti della dominazione straniera.
Nel 238 a.C., indebolitasi
Cartagine per la sconfitta subita nella I guerra punica, Roma approfittò di una
rivolta dei mercenari cartaginesi in Sardegna e occupò l’isola strappandola
agli avversari. Da questo momento la Sardegna
divenne una delle maggiori riserve di grano dello stato romano. Nel 226 a.C. essa fu
eretta a provincia insieme alla Corsica . I
romani continuarono a lungo a trattarla come una terra di conquista senza
concederle, per tutta l’età repubblicana nessuna città libera: numerose perciò
furono le rivolte degli indigeni sardi e degli immigrati punici, tra cui
particolarmente violente quelle organizzate
da latifondista cartaginese Amsicora (216 a.C.) e quella del 178 a.C. che fu
domata da Sempronio Gracco con riduzione in schiavitù di decine di
migliaia di uomini riversati nelle campagne
d’Italia. Alla fine del secolo II a.C. le sommosse ebbero fine, ma la
resistenza a Roma continuò a manifestarsi nell’interno attraverso il
brigantaggio. Cesare concesse a Cagliari i diritti civili romani mentre Turris
Libissonis (Porto Torres), Sulci e Tharros divennero colonie. Durante l’impero
la Sardegna fu separata dalla Corsica e amministrata come provincia imperiale:
essa andò lentamente romanizzandosi, pur conservando caratteristiche sue
proprie e più tardi, altrettanto lentamente si cristallizzò. Verso il 455 i Vandali, guidati da Genserico,
iniziarono l’occupazione, che però, non avendo carattere stanziale, non lasciò
tracce evidenti. Dopo meno di un secolo ritornò sotto l’amministrazione
imperiale in seguito alla vittoriosa spedizione contro i Vandali (533-534) di
Belisario, generale di Giustiniano. L’imperatore provvide a insediarvi un
comando militare per la difesa e un giudice per l’amministrazione. Il dominio,
fisicamente oppressivo ed incurante del benessere locale, aggravò la decadenza
già in atto e lasciò l’isola esposta a scorrerie invasioni e distruzioni
operate dai Goti, dai Longobardi e soprattutto dagli Arabi che infestarono per secoli
le coste. Mentre il potere di Bisanzio diveniva un diritto privo di efficacia,
la mancanza di difesa fece emergere altre forze: si formarono lentamente i
giudicati, che di fatto agirono come Stati indipendenti e furono caratteristici
dell’isola. La loro origine è piuttosto controversa. La gravità delle
incursioni aveva indotto i Bizantini a riunire tutti i poteri nelle mani del
giudice, ma la conformazione geografica ne intralciò gli interventi. Per
ovviare all’inconveniente qualcuno suppone che abbia nominato dei delegati, i
quali avrebbero usurpato le sue prerogative. Altri vogliono che il
decentramento sia avvenuto per elezione popolare. I documenti più antichi
risalgono al secolo XI. Allora l’isola era divisa in quattro giudicati: di
Cagliari, di Arborea, di Gallura e di Torres. Essi assicurarono al Paese il
periodo più prospero, favorendo il riordinamento amministrativo e
istituzionale, la promulgazione delle leggi , il fiorire dell’agricoltura,
dell’artigianato , dell’industria mineraria e degli scambi marittimi ,
incrementati con l’aiuto di Genova e di
Pisa, che svolsero un ruolo importante nello sviluppo dell’isola, pur
contribuendo con la loro rivalità a rinfocolare le lotte e il gioco degli interessi , complicati dalla
pretesa di sovranità della Chiesa per una concessione di Carlo magno. Fino ad allora i Papi si erano limitati a
esigere un giuramento di fedeltà o a inviare un legato; ma ormai (secolo XIII)
l’isola rischiava di essere travolta
dallo scatenarsi degli appetiti , non solo di Genova e Pisa , che con le
guerre cominciavano a smembrare i giudicati , ma anche dell’impero (Federico II e suo figlio Enzo, Roberto
d’Asburgo), degli Angiò dei Malaspina, senza contare le aggressioni arabe.
Forse nel timore di perdere del tutto i
diritti, Bonifacio VIII compì un gesto destinato a sconvolgere la struttura politica e a
distruggere ogni autonomia dell’isola, cedendola a Giacomo II d’Aragona (1297) . Il possesso
effettivo fu preso più tardi dall’infante Alfonso , che iniziò (1323) una dura
guerra di conquista e, imposto l’ordinamento feudale, vi trapiantò la nobiltà
catalana.
Il dispotismo dei nuovi venuti
e l’attaccamento all’autonomia e alle libere istituzioni suscitarono profondi
risentimenti nella popolazione. La prima a sollevarsi fu Sassari (1325) ,
seguita da altri centri,con l’aiuto dei Doria di Genova, dei Malaspina di
Lunigiana, dei Pisani; ma fu attorno ai giudici di Arborea che si raccolse la
più strenua resistenza:
Mariano IV liberò la fascia
occidentale, grosso modo da Sassari a Cagliari, con una guerra proseguita dai
figli Ugone III prima, ed Eleonora poi, la famosa giudicessa d’Arborea autrice
della Carta de Logu (1395), la raccolta
di leggi tanto apprezzata dall’aragonese Alfonso il Magnanimo, che la estese a
tutta l’isola allorché, assoggettatala interamente, volle rinnovarne
l’amministrazione. Non per questo la dominazione divenne più tollerabile per il
dispotismo catalano, la povertà dell’economia, l’aggravio fiscale, l’incuria
dei governatori. La sconfitta subita dai Sardi a Macomer (1478) segnò la fine
dei tentativi per la libertà. Il passaggio alla Spagna unita (1479) non mutò la
situazione. Ferdinando il Cattolico, preoccupato di consolidare il dominio,
soffocò le autonomie, impose una legislazione livellatrice, concesse la
preminenza alla nobiltà spagnola, ostacolò i contatti con il continente
italiano. Le lunghe guerre di Carlo V peggiorarono le condizioni. L’amministrazione
spagnola, desiderosa di trarne vantaggi immediati, lasciò mano libera alla
nobiltà catalana e aragonese, impoverì le campagne e depresse le attività
cittadine tanto che si verificò un regresso demografico, accentuato dalla
malaria e dalle pestilenze della prima metà del secolo XVII.
Il periodo migliore fu il
regno di Filippo II (1556-98) per le riforme dell’amministrazione e della giustizia più rispettose dei diritti
sardi, per i provvedimenti in favore dell’agricoltura e dell’economia, per la difesa
della vita civile (furono costruite torri costiere contro le scorrerie dei
pirati), per le iniziative culturali. Tristissimo invece, per il malgoverno
impotente, corrotto e fiscale, il regno di Carlo II(m. 1700)seguito, per la
successione, da lotte interne tra austrofiti e francofoli e dalla guerra. I
trattati di Utrecht (1713) e di Rastatt (1714) assegnarono l’isola all’Austria,
ma la Spagna non si rassegnò e tentò la riconquista . Sconfitta dalla
quadruplice Alleanza ( Francia, Inghilterra, Austria, Olanda) col Trattato di
Londra (1718) dovette rinunciare definitivamente a favore di Vittorio Amedeo II
di Savoia, che prese possesso della Sardegna
(1720) inviando il barone di Sant-Remy con il titolo di vice ré. Ebbero
inizio allora alcune riforme , continuate con più ampio respiro da Carlo Emanuele III (1730-73) per dare vita
all’industria, rianimare l’agricoltura, riordinare l’amministrazione e la
giustizia, imitare i privilegi, soprattutto del clero. Le strutture feudali,
che tuttavia persistevano , cominciarono a destare insofferenze e fermenti,
specialmente dopo lo scoppio della
Rivoluzione a Parigi (1789). Il
malcontento non impedì però che i rami del parlamento , gli stamenti,
raccogliessero truppe locali e sventassero i tentativi di sbarco della flotta
francese (1792-93). In compenso della fedeltà chiesero al re riforme costituzionali . Il rifiuto provocò una
rivolta che, nata a Cagliari (1793) , dilagò in tutta l’isola scacciando i Piemontesi. Il moto tuttavia
mantenne un carattere economico e sociale
più che politico : fu volto contro i grandi feudatari e non contro
la sovranità dei Savoia, che anzi furono accolti esuli (1799) . La lotta
antifeudale si acuì nel 1795 con la
spedizione contro i maggiorenti di Sassari; ma le grandi famiglie , costretto alla fuga Gian Maria
Angioj capo dei rivoluzionari, predominarono nonostante il ripetersi delle sommosse . Carlo felice ,
prima come viceré poi come re, cercò di sanare le contese con quelle riforme che i suoi principi antiquati gli permisero.
Più innovatrici invece quelle di Carlo Alberto: abolizione dei diritti feudali
(1835) e, su richiesta del parlamento sardo, parità di diritti col Piemonte
(1847). L’insorgere di altri gravi problemi
minimizzò i miglioramenti. Questi divennero più sensibili solo dopo
l’unità d’Italia (1861) , favoriti da uno sfruttamento minerario più intenso,
dalla costruzione di ferrovie, da incentivi industriali. Ciononostante il
progresso era lento anche per l’accentramento politico e amministrativo non
sempre consono agli interessi isolani.
Nel primo dopoguerra vi fu un
tentativo per una maggiore autonomia. Di tale necessità si rese interprete il
Partito Sardo d’Azione, costituito durante
un congresso di combattenti a Oristano, alla vigilia delle elezioni del
1921, ma il fascismo pose fine alle
speranze e presunse di risolvere il problema
con la costruzione del centro minerario di Carbonia (1938) e di alcune
bonifiche. L’ultima guerra e i bombardamenti lasciarono l’isola prostrata. Il
ritorno della pace e della democrazia con il ripristino dei partiti, tra cui
quello Sardo d’Azione, alimentarono la speranza di trovare la via del progresso
nell’autonomia, finalmente concessa dalla legge costituzionale del 26 febbraio
1948, che sanzionò la nascita della regione autonoma sarda a statuto speciale,
con capoluogo Cagliari. In questo nuovo clima fu approntato il Piano di
Rinascita (1958).
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