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venerdì 14 dicembre 2012

Sardegna


SARDEGNA
Preistoria:
Fino a qualche anno fa la Sardegna era considerata priva di frequentazione umana prima del Neolitico, per il suo isolamento geografico dalla penisola nel corso del Pleistocene; in seguito alle prime ricerche di O. Cornaggia Castiglioni, che risalgono alla fine degli anni settanta, e a quelle tuttora in corso da parte di F. martini, sono stati segnalati numerosi complessi su scheggia e su ciottoli attribuiti al Paleolitico inferiore. Tali sono per esempio i siti di Sa Coa e de Sa Multa vicino a Laerru, tipologicamente collegato al Clactoniano prerissiano peninsulare, o i manufatti raccolti nella regione dell’Anglona, in Sicilia settentrionale, lungo il Riu Altana, e quelli nel bacino di Laerru-Perfugas attribuiti al Protocharentiano o Tayaziano rissiano come anche l’industria di Sa Pedrosa-Pantalinu. Al paleolitico superiore, e in particolare a un generico Epigravettiano, sono stati riferiti gli scarsi manufatti rinvenuti a Grotta Corbeddu vicino Nuoro. Durante il Neolitico  un ruolo importante devono avere avuto i giacimenti di ossidiana specialmente del Monte Arci, che alimentò certamente un vasto commercio verso le regioni circostanti. Recenti ricerche hanno consentito di ricostruire lo sviluppo delle facies neolitiche dell’isola; quella di Ozieri, della seconda metà del IV Millennio a C:, si caratterizza per una ricca cultura materiale e per la comparsa delle caratteristiche sepolture ipogeiche (domus de janas). Da ora in poi la Sardegna è stabilmente inserita in circuiti di scambio che coinvolgono sia il Mediterraneo occidentale (è forte l’influsso della facies del bicchiere campaniforme, nell’Eneolitico), sia quello orientale (come dimostrano i numerosi frammenti micenei trovati nell’Età del bronzo e i vasi sardi rinvenuti a Creta nello stesso periodo).
Agli inizi del II millennio a.C. si data la comparsa dei nuraghi, caratteristiche costruzioni a torre che punteggiano il paesaggio della campagna sarda; intorno a essi si sviluppano ampi villaggi, pozzi e fonti sacre e altri elmenti tipici  di una società complessa, fino ad arrivare  alle manifestazioni d’arte (bronzistica) della prima età del ferro.
Storia:
Verso il secolo VIII, gruppi di Fenici, soprattutto Cartaginesi, si insediarono  sulle zone costiere, in particolare quelle meridionali e orientali, dove fondarono Caralis (Cagliari), Nora, Tharros, ecc. mentre i Sardi si ritiravano all’interno. I Focesi, a loro volta, fondarono Olbia, ma la loro penetrazione in Sardegna si arrestò dopo la battaglia combattuta nelle acque di Alalia (c.a 535 a.C.)  contro Etruschi e Cartaginesi i quali, anche se sconfitti, riuscirono ad affermarsi nell’isola, specialmente i primi che estesero gradualmente  la loro penetrazione . La stessa Roma rinunciò a commerciare nell’isola in base ad un trattato stipulato con Cartagine nel 348 a.C.; tuttavia scoppiarono frequenti le rivolte degli indigeni sardi insofferenti della dominazione straniera.
Nel 238 a.C., indebolitasi Cartagine per la sconfitta subita nella I guerra punica, Roma approfittò di una rivolta dei mercenari cartaginesi in Sardegna e occupò l’isola strappandola agli avversari. Da questo momento la Sardegna  divenne una delle maggiori riserve di grano  dello stato romano. Nel 226 a.C. essa fu eretta a provincia insieme alla Corsica . I romani continuarono a lungo a trattarla come una terra di conquista senza concederle, per tutta l’età repubblicana nessuna città libera: numerose perciò furono le rivolte degli indigeni sardi e degli immigrati punici, tra cui particolarmente violente  quelle organizzate da latifondista cartaginese Amsicora (216 a.C.) e quella del 178 a.C. che fu domata da Sempronio Gracco con riduzione in schiavitù di decine di migliaia di uomini riversati nelle campagne  d’Italia. Alla fine del secolo II a.C. le sommosse ebbero fine, ma la resistenza a Roma continuò a manifestarsi nell’interno attraverso il brigantaggio. Cesare concesse a Cagliari i diritti civili romani mentre Turris Libissonis (Porto Torres), Sulci e Tharros divennero colonie. Durante l’impero la Sardegna fu separata dalla Corsica e amministrata come provincia imperiale: essa andò lentamente romanizzandosi, pur conservando caratteristiche sue proprie e più tardi, altrettanto lentamente si cristallizzò. Verso il 455 i Vandali, guidati da Genserico, iniziarono l’occupazione, che però, non avendo carattere stanziale, non lasciò tracce evidenti. Dopo meno di un secolo ritornò sotto l’amministrazione imperiale in seguito alla vittoriosa spedizione contro i Vandali (533-534) di Belisario, generale di Giustiniano. L’imperatore provvide a insediarvi un comando militare per la difesa e un giudice per l’amministrazione. Il dominio, fisicamente oppressivo ed incurante del benessere locale, aggravò la decadenza già in atto e lasciò l’isola esposta a scorrerie invasioni e distruzioni operate dai Goti, dai Longobardi e soprattutto dagli Arabi che infestarono per secoli le coste. Mentre il potere di Bisanzio diveniva un diritto privo di efficacia, la mancanza di difesa fece emergere altre forze: si formarono lentamente i giudicati, che di fatto agirono come Stati indipendenti e furono caratteristici dell’isola. La loro origine è piuttosto controversa. La gravità delle incursioni aveva indotto i Bizantini a riunire tutti i poteri nelle mani del giudice, ma la conformazione geografica ne intralciò gli interventi. Per ovviare all’inconveniente qualcuno suppone che abbia nominato dei delegati, i quali avrebbero usurpato le sue prerogative. Altri vogliono che il decentramento sia avvenuto per elezione popolare. I documenti più antichi risalgono al secolo XI. Allora l’isola era divisa in quattro giudicati: di Cagliari, di Arborea, di Gallura e di Torres. Essi assicurarono al Paese il periodo più prospero, favorendo il riordinamento amministrativo e istituzionale, la promulgazione delle leggi , il fiorire dell’agricoltura, dell’artigianato , dell’industria mineraria e degli scambi marittimi , incrementati con l’aiuto di Genova  e di Pisa, che svolsero un ruolo importante nello sviluppo dell’isola, pur contribuendo con la loro rivalità a rinfocolare le lotte  e il gioco degli interessi , complicati dalla pretesa di sovranità della Chiesa per una concessione di Carlo magno.  Fino ad allora i Papi si erano limitati a esigere un giuramento di fedeltà o a inviare un legato; ma ormai (secolo XIII) l’isola rischiava di essere travolta  dallo scatenarsi degli appetiti , non solo di Genova e Pisa , che con le guerre cominciavano a smembrare i giudicati , ma anche dell’impero  (Federico II e suo figlio Enzo, Roberto d’Asburgo), degli Angiò dei Malaspina, senza contare le aggressioni arabe. Forse nel timore di perdere  del tutto i diritti, Bonifacio VIII compì un gesto destinato  a sconvolgere la struttura politica e a distruggere ogni autonomia dell’isola, cedendola  a Giacomo II d’Aragona (1297) . Il possesso effettivo fu preso più tardi dall’infante Alfonso , che iniziò (1323) una dura guerra di conquista e, imposto l’ordinamento feudale, vi trapiantò la nobiltà catalana.
Il dispotismo dei nuovi venuti e l’attaccamento all’autonomia e alle libere istituzioni suscitarono profondi risentimenti nella popolazione. La prima a sollevarsi fu Sassari (1325) , seguita da altri centri,con l’aiuto dei Doria di Genova, dei Malaspina di Lunigiana, dei Pisani; ma fu attorno ai giudici di Arborea che si raccolse la più strenua resistenza:
Mariano IV liberò la fascia occidentale, grosso modo da Sassari a Cagliari, con una guerra proseguita dai figli Ugone III prima, ed Eleonora poi, la famosa giudicessa d’Arborea autrice della Carta de Logu (1395), la raccolta di leggi tanto apprezzata dall’aragonese Alfonso il Magnanimo, che la estese a tutta l’isola allorché, assoggettatala interamente, volle rinnovarne l’amministrazione. Non per questo la dominazione divenne più tollerabile per il dispotismo catalano, la povertà dell’economia, l’aggravio fiscale, l’incuria dei governatori. La sconfitta subita dai Sardi a Macomer (1478) segnò la fine dei tentativi per la libertà. Il passaggio alla Spagna unita (1479) non mutò la situazione. Ferdinando il Cattolico, preoccupato di consolidare il dominio, soffocò le autonomie, impose una legislazione livellatrice, concesse la preminenza alla nobiltà spagnola, ostacolò i contatti con il continente italiano. Le lunghe guerre di Carlo V peggiorarono le condizioni. L’amministrazione spagnola, desiderosa di trarne vantaggi immediati, lasciò mano libera alla nobiltà catalana e aragonese, impoverì le campagne e depresse le attività cittadine tanto che si verificò un regresso demografico, accentuato dalla malaria e dalle pestilenze della prima metà del secolo XVII.
Il periodo migliore fu il regno di Filippo II (1556-98) per le riforme dell’amministrazione  e della giustizia più rispettose dei diritti sardi, per i provvedimenti in favore dell’agricoltura e dell’economia, per la difesa della vita civile (furono costruite torri costiere contro le scorrerie dei pirati), per le iniziative culturali. Tristissimo invece, per il malgoverno impotente, corrotto e fiscale, il regno di Carlo II(m. 1700)seguito, per la successione, da lotte interne tra austrofiti e francofoli e dalla guerra. I trattati di Utrecht (1713) e di Rastatt (1714) assegnarono l’isola all’Austria, ma la Spagna non si rassegnò e tentò la riconquista . Sconfitta dalla quadruplice Alleanza ( Francia, Inghilterra, Austria, Olanda) col Trattato di Londra (1718) dovette rinunciare definitivamente a favore di Vittorio Amedeo II di Savoia, che prese possesso della Sardegna  (1720) inviando il barone di Sant-Remy con il titolo di vice ré. Ebbero inizio allora alcune riforme , continuate con più ampio respiro  da Carlo Emanuele III (1730-73) per dare vita all’industria, rianimare l’agricoltura, riordinare l’amministrazione e la giustizia, imitare i privilegi, soprattutto del clero. Le strutture feudali, che tuttavia persistevano , cominciarono a destare insofferenze e fermenti, specialmente  dopo lo scoppio della Rivoluzione  a Parigi (1789). Il malcontento non impedì però che i rami del parlamento , gli stamenti, raccogliessero truppe locali e sventassero i tentativi di sbarco della flotta francese (1792-93). In compenso della fedeltà chiesero al re riforme  costituzionali . Il rifiuto provocò una rivolta che, nata a Cagliari (1793) , dilagò in tutta l’isola  scacciando i Piemontesi. Il moto tuttavia mantenne un carattere economico  e sociale più che politico : fu volto contro i grandi feudatari  e non contro  la sovranità dei Savoia, che anzi furono accolti esuli (1799) . La lotta antifeudale  si acuì nel 1795 con la spedizione contro i maggiorenti di Sassari; ma le grandi  famiglie , costretto alla fuga Gian Maria Angioj capo dei rivoluzionari, predominarono nonostante  il ripetersi delle sommosse . Carlo felice , prima come viceré poi come re, cercò di sanare le contese  con quelle riforme  che i suoi principi antiquati gli permisero. Più innovatrici invece quelle di Carlo Alberto: abolizione dei diritti feudali (1835) e, su richiesta del parlamento sardo, parità di diritti col Piemonte (1847). L’insorgere di altri gravi problemi  minimizzò i miglioramenti. Questi divennero più sensibili solo dopo l’unità d’Italia (1861) , favoriti da uno sfruttamento minerario più intenso, dalla costruzione di ferrovie, da incentivi industriali. Ciononostante il progresso era lento anche per l’accentramento politico e amministrativo non sempre consono agli interessi isolani.
Nel primo dopoguerra vi fu un tentativo per una maggiore autonomia. Di tale necessità si rese interprete il Partito Sardo d’Azione, costituito durante  un congresso di combattenti a Oristano, alla vigilia delle elezioni del 1921, ma il fascismo pose fine  alle speranze e presunse di risolvere il problema  con la costruzione del centro minerario di Carbonia (1938) e di alcune bonifiche. L’ultima guerra e i bombardamenti lasciarono l’isola prostrata. Il ritorno della pace e della democrazia con il ripristino dei partiti, tra cui quello Sardo d’Azione, alimentarono la speranza di trovare la via del progresso nell’autonomia, finalmente concessa dalla legge costituzionale del 26 febbraio 1948, che sanzionò la nascita della regione autonoma sarda a statuto speciale, con capoluogo Cagliari. In questo nuovo clima fu approntato il Piano di Rinascita (1958).

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