venerdì 14 dicembre 2012
Etica e Morale
Ci sono due termini, etica e morale, che spesso vengono utilizzati come sinonimi, ma che tali non sono. Il terminemorale riguarda il comportamento umano e tradizionalmente è stato applicato per denotare le azioni associate al bene o al male. La morale di una società e' l'insieme delle consuetudini che sono state elevate a livello di norme per fornire un quadro di riferimento per la collettività. Il concetto di moralità varia nel tempo e nello spazio. Per esempio, in tempi antichi, l'omosessualità', la poligamia e il maschilismo erano fenomeni non solo abituali, ma gli individui che li praticavano godevano di stima e venivano ritenuti soggetti di buona moralità. Alcune etnie eliminavano i bambini malformati e questo faceva parte della loro quotidianità, così come la schiavitù. La Chiesa Cattolica non battezzava i bambini che nascevano morti, perché non li riteneva degni. La morale, insomma, nasce per l'imposizione di un determinato gruppo rispetto ad un altro. Quello che ha maggiore forza politica, religiosa o ideologica impone i suoi valori e la sua maniera di concepire la vita, il bene e il male, il giusto e lo sbagliato, agli altri. Così la “brava persona” seguirà le direttrici stabilite senza discuterle. L'individuo "morale" ha una identità indottrinata che reprime la sua capacità di elaborazione critica e di libera scelta, permettendo che la sua mente venga sequestrata da indicazioni esterne. Ad esempio da norme imposte come assolute da Governi, da religioni o da altre istituzioni. L'etica (dal greco ἦθος,"èthos") e' definita in genere quella parte della filosofia che studia la morale da una prospettiva umana, tenendo in conto i concetti di autonomia, bontà, equità, solidarietà e uguaglianza di genere. L'etica si realizza quando l'individuo esercita la capacità di pensare, di fermarsi prima di agire e di chiedersi il perché deve seguire una determinata regola (ETICA da e-teos, dove teos non sta ad indicare il DIO, di qualunque religione si parli, ma il DIO INTERIORE di ciascuno di noi, il DAIMON o meglio l’EU-DAIMON = IL BUON DEMONE, di Socrate). Questa mediazione riflessiva tra l'individuo e la norma, in cui si fa uso del pensiero critico, dà origine all'etica. Se l'etica comporta la riflessione e l'interiorizzazione perché sia autentica, la morale esige solo il rispetto di una norma. Se si vuole essere etici e' necessario essere disponibili, occasionalmente, a divenire immorali. La morale non può essere portata avanti da uomini liberi, necessita di semplici esecutori, seguaci. Al contrario dell'etica che ha bisogno solo di uomini liberi. La LIBERTA’ e' allora il discrimino tra etica e morale: la libertà e' l'essenza dell'etica, la sottomissione è l’essenza della morale. L’essere etico è allora più difficile che essere morale, visto che comporta l'uso del raziocinio per dirimere qualsiasi tipo di situazione conflittuale. E' anche molto difficile che un individuo etico si discosti dalla sua etica, vorrebbe dire andar contro i suoi stessi principi razionali. E' invece molto più facile trovare individui morali che falliscono rispetto alla loro morale, che mostrino una doppiezza di vita e che agiscano nell'ipocrisia. Un esempio tipico del"predicare bene e razzolare male" e' quello della Chiesa cattolica e quello dei suoi servi e nostri acerrimi nemici dell’opus dei. E' a favore dei metodi democratici, ma i propri gerarchi sono selezionati con metodi dittatoriali; e' a favore della trasparenza nell'amministrazione delle risorse pubbliche, ma le sue finanze non sono sottoposte a controlli statali; promuove campagne contro la pena di morte, ma nelle sue norme e nel Catechismo non la esclude; e' contraria alla discriminazione, ma emargina le donne nelle gerarchie e nella gestione del potere; si dichiara contraria alle tecniche di fecondazione assistita, ma la Cei e' pronta a battersi per il mantenimento della legge italiana che la regolamenta per timore che ne arrivi una più liberale. Se su argomenti tanto complessi come quelli della bioetica, dall'eutanasia all'aborto, dalla clonazione alla ricerca scientifica con gli embrioni, si vogliono avere risposte sincere, c'è bisogno di cercare persone etiche. Per sentirsi ripetere un sermone imparato a memoria basta una persona morale. « Il primo passo nell'evoluzione dell'etica è un senso di solidarietà con altri esseri umani »
Razzismo
razzismo Concezione fondata sul presupposto che esistano razze umane biologicamente e storicamente superiori ad altre razze. È alla base di una prassi politica volta, con discriminazioni e persecuzioni, a garantire la 'purezza' e il predominio della 'razza superiore'.
RAZZISMO - APPROFONDIMENTOdi Sergio Parmentola
In senso stretto, il razzismo, come teoria della divisione biologica dell'umanità in razze superiori e inferiori, è un fenomeno relativamente recente. È antichissima, invece, la tendenza a discriminare i 'diversi' (nazioni, culture, classi sociali inferiori), e la principale funzione del razzismo, in tutte le varianti, fu sempre di giustificare qualche forma di discriminazione o oppressione.Xenofobia ed etnocentrismo in età antica e modernaFin dall'antichità molti popoli o gruppi sociali tesero a chiudersi agli altri, escludendo o discriminando i diversi, con un atteggiamento che si può definire xenofobo o etnocentrico più che razzista in senso proprio, per la mancanza di un esplicito riferimento a una superiorità biologica: i fondamenti della propria presunta superiorità erano linguistici, culturali, religiosi. Greci e romani definivano 'barbari' i popoli che non parlavano la loro lingua (bar-bar indicava onomatopeicamente il loro balbettio incomprensibile); l'Europa cristiana perseguitò e ghettizzò per secoli gli ebrei, accusati dell'uccisione di Cristo. Una prima forma di razzismo biologico si presentò dopo la scoperta dell'America, per giustificare lo sfruttamento schiavistico di indios e africani deportati: nel 16° sec. J. Ginés de Sepúlveda distingueva gli uomini (spagnoli) dagli homunculi (indios), simili all'uomo, ma in realtà inferiori e bestiali.Il razzismo nell'età contemporaneaLa prima teoria 'scientifica' della differenziazione biologica dell'umanità in razze fu la classificazione in base al colore della pelle operata da C. Linneo nel 1735. Il testo che diede un impulso decisivo alla diffusione delle idee razziste fu il Saggio sull'ineguaglianza delle razze umane (1853-55) di J.-A. de Gobineau, che sostenne la superiorità biologica e spirituale della razza ariana germanica. Per H.S. Chamberlain (I fondamenti del 19° secolo, 1900) la storia era un'eterna lotta tra ariani, razza spiritualmente nobile, ed ebrei, ignobili e meschini. L'antiebraismo religioso si era trasformato in antisemitismo razzista, diffuso in gran parte d'Europa, dalla Russia dei pogrom alla Francia dell'affaire Dreyfus. Anche l'evoluzionismo di C. Darwin fu strumentalizzato per cercare di avvalorare le tesi razziste sostenendo che il dominio imperialistico sul mondo dimostrerebbe la superiorità biologica della razza bianca, più adatta ad affrontare la lotta per la vita e la selezione naturale. Inoltre, furono condotte misurazioni antropometriche che avrebbero dovuto rivelare la maggior intelligenza, vitalità e moralità della razza bianca e furono avanzate teorie eugenetiche che invitavano a preservare i caratteri migliori della razza impedendo il meticciato e la riproduzione degli individui peggiori. C. Lombroso, infine, sostenne che gli italiani meridionali sono biologicamente più predisposti alla delinquenza dei settentrionali.
Negli Stati Uniti, nonostante l'abolizione della schiavitù (1865), i neri continuarono a essere discriminati, nonché perseguitati dal terrorismo del Ku-Klux-Klan, fino al 1964, quando un'ondata di manifestazioni antirazziste ottenne il divieto di ogni legge discriminatoria. Ciononostante l'emarginazione sociale, dei neri come degli ispanici, non è ancora del tutto scomparsa.
L'espressione più tragica del razzismo si ebbe nella Germania nazista (1933-45). A. Hitler, che con A. Rosenberg (Il mito del 20° secolo, 1930) riprese le idee di Chamberlain, cercò di realizzare la supremazia della razza ariana riducendo in schiavitù gli slavi ed eliminando gli ebrei, considerati "subumani". La "soluzione finale", decisa durante la Seconda guerra mondiale, portò allo sterminio nei Lager di 6 milioni di ebrei. Anche l'Italia fascista adottò leggi razziali (1938) e contribuì alla deportazione nei Lager degli ebrei italiani. Il nazismo praticò anche l'eugenetica, sterilizzando o eliminando i malati di mente. Nel dopoguerra, la decolonizzazione liberò molti popoli dall'oppressione coloniale, ma non impedì l'affermazione di regimi segregazionisti, come l'apartheid in Sudafrica, dove la minoranza bianca costrinse la maggioranza nera a vivere segregata nei bantustan. La condanna dell'onu e dell'opinione pubblica mondiale e le battaglie dell'African national congress di N. Mandela portarono all'abolizione dell'apartheid (1990), ma nel mondo continuano a verificarsi situazioni di discriminazione o emarginazione, come quelle degli aborigeni in Oceania o degli indios nel Chiapas messicano. In Europa e in Italia rigurgiti di razzismo si sono ripresentati a fine secolo con le massicce immigrazioni dai paesi più poveri, nonostante gli immigrati costituiscano una risorsa preziosa per il Vecchio Continente. Ha provocato orrore la ripresa negli anni Novanta di pratiche di pulizia etnica, che si speravano scomparse con la fine del nazismo, nella ex Iugoslavia che hanno coinvolto serbi, croati e albanesi del Kosovo. Massacri provocati da conflitti etnici si sono verificati anche in altri continenti, come tra gli hutu e i tutsi in Ruanda (1994).L'infondatezza del razzismoI più recenti studi di genetica (L. Cavalli Sforza) dimostrano che le differenze tra le razze sono minime, inferiori a quelle tra gli individui di una stessa razza, e soprattutto che l'intelligenza è uguale in tutte le razze. L'umanità deriva da un unico ceppo che dall'Africa si diffuse nei vari continenti, rafforzando in ogni ambiente i caratteri più adatti e dividendosi pertanto in tipi differenti. L'ONU condannò il razzismo con la Dichiarazione sulla razza dell'UNESCO (1950) e con una Convenzione del 1965 che definì discriminazione razziale ogni differenza, esclusione e restrizione dalla parità dei diritti in base a razza, colore della pelle e origini nazionali ed etniche. Nel 2000 il 21 marzo fu proclamato giornata mondiale contro il razzismo, in memoria dell'eccidio di 69 neri nel 1960 a Sharpeville (Sudafrica). Organizzazioni umanitarie non governative, come SOS Razzismo, nata in Francia ma operante in tutto il mondo, anche in Italia (dal 1989), si battono per sconfiggere il razzismo e ogni forma di discriminazione. Da anni l'Unione Europea invita con direttive gli Stati membri a dotarsi di leggi antidiscriminazione.
Sicilia
SICILIA
Preistoria:
Manufatti tipologicamente
simili a quelli dei complessi su ciottolo del Paleolitico inferiore sono stati
rinvenuti fin dagli anni sessanta in diverse località dell’isola: in provincia
di Agrigento (Torre di Monterosso, Capo Rossello) e tra Menfi e Sciacca
(Bertolino di mare, Contrada cavar retto). Più recentemente, complessi su
scheggia, sempre riferiti al Paleolitico inferiore, sono stati rinvenuti in provincia di Catania lungo il Dittaino e il
Simeto e vicino a Ragusa. Per molti di questi rinvenimenti si tratta di
complessi numericamente limitati e in
situazioni crono stratigrafiche non chiaramente definibili. Se la presenza di facies su ciottolo e su scheggia del
paleolitico inferiore in Sicilia appare finora indiziata più dal ripetersi di
ritrovamenti che da un loro sicuro inquadramento geologico, non sembra potersi
affermare altrettanto per quanto riguarda il Paleolitico medio, finora non
documentato, mentre più numerosi sono i complessi riferiti al Paleolitico
superiore e al Mesolitico. Alle fasi
antiche del Paleolitico superiore
(Aurignaziano) è attribuita l’industria
di Fontana Nuova (Ragusa9; all’Epigravettiano antico sono riferiti i siti di
Canicattini Bagni (Siracusa) e di Grotta Niscemi (Palermo); all’Epigravettiano
evoluto il riparo San Corrado (Siracusa) e la grotta Mangiapane
(Trapani) Più rappresentato
appare l’Epigravettiano finale con
numerosi siti: il riparo San basilio e la grotta di San Teodoro (Messina) dove
sono state scavate quattro importanti sepolture
con ocra, la grotta Corruggi e la grotta Giovanna (Siracusa) ,
quest’ultima con molte manifestazioni d’arte mobiliare su blocchi e lastre di calcare con motivi incisi a carattere prevalentemente
geometrico e più raramente naturalistico, la grotta dell’Acqua Fitusa
(Agrigento), la grotta di Cala dei genovesi a Lavanzo e i livelli basali della
grotta dell’Uzzo (Trapani). A questa fase sono attribuite le raffigurazioni di
animali incise nella grotta di Cala dei Genovesi mentre la scena complessa con
personaggi umani e alcuni animali incisa su un masso della grotta dell’Addaura
(Palermo) può essere di diverse età, e secondo alcuni va attribuita al
mesolitico. Altre raffigurazioni di animali (cervidi, equidi e bovidi),
pressappoco coave a quelle citate, sono note in diverse altre grotte (Niscemi,
Za Minica, Puntali,Racchio) . Il Mesolitico è infine soprattutto attestato alla
grotta dell’Uzzo, dove sono state rinvenute, tra l’altro, una decina di
sepolture doppie e singole, di neonati, bambini e adulti, datate con metodi
radiometrici a un periodo compreso tra l’8000 e il 7300 a.C. circa.
Copiosissimi sono i resti appartenenti al Neolitico, che dimostrano
l’importante ruolo avuto in tale periodo dalla Sicilia per la sua posizione al
centro del Mediterraneo. Da ricordare, fra le altre, le colture neolitiche di
Stentinello e di Diana. A partire dal terzo millennio a.C. si diversificano gli
aspetti culturali delle Eolie e della Sicilia Nord-orientale, della Sicilia
sud-orientale e di quella occidentale. Un fenomeno particolarmente importante è
costituito dal manifestarsi di influenze della facies del bicchiere
campaniforme, soprattutto nella zona della Conca d’Oro la facies eoliana di
capo Graziano iniziano a essere attestati contatti stabili con il mondo egeo,
particolarmente ricchi anche nelle facies isolana di Castelluccio. Molto
importanti sono i villaggi con architettura evoluta del successivo periodo di
Thapsos e, nel Bronzo tardo, l’imponente “megaron” di Pantalica. Con l’età del
Ferro lo sviluppo dell’isola verso forme complesse di organizzazione
socio-politica viene interrotto dalla fondazione di colonie greche nella parte
orientale e fenicie in quella occidentale.
Storia:
Abitata anticamente da Siculi, Sicani ed Elimi
(rispettivamente nelle zone orientali, occidentali e nord occidentali) , la
Sicilia si aprì presto a insediamenti di coloni fenici e, più tardi, dal 734 a C. in poi secondo Tucidide, anche greci, attratti dai suoi porti, dalle
sue miniere e dalla fertilità del suo territorio.
I Fenici, soprattutto cartaginesi,
si stabilirono nella parte occidentale dove fondarono Panormo, Solunto e Mozia
che, in un primo momento, furono soltanto empori commerciali: ciò permise una
stretta alleanza tra i Cartaginesi e gli indigeni Elimi , i cui centri
principali erano invece Segesta, Erice ed Entella. Vere città,, e subito molto
popolose, divennero invece gli insediamenti coloniali dei Greci nella parte
orientale, tra cui notevoli furono Nasso, Lentini e Catana fondate dai Calcidesi, Siracusa fondata dai Corinzi (circa 734 a.C.), Magara
Iblea fondata dai Magaresi e Gela
fondata da Rodiesi e Cretesi (circa
690 a.C.).
Megara Ibrea e gela a loro
volta crearono poi, rispettivamente , Selinunte e (circa 582) Agrigento. Le
colonie greche non costituirono mai un’unità politica e anzi furono spesso in
guerra tra loro: tuttavia divennero subito molto prospere (ne sono
testimonianza i grandi monumenti dell’epoca) e stabilirono intense relazioni
commerciali con le città dell’Italia meridionale, con Cartagine e, dal secolo
VI a.C. anche con Roma.
La struttura sociale di
ciascuna città che favoriva la classe dei proprietari terrieri, discendenti
degli antichi colonizzatori, a danno del proletariato, composto invece da
gruppi indigeni e dagli immigrati recenti, fu però causa di lunghe lotte
intestine risolte, all’inizio del secolo VI a.C. con l’avvento dei regimi
tirannici, il primo dei quali fu quello di Panezio
a Lentini (circa608). Importanti
furono la tirannide di Falaride
ad Agrigento, e soprattutto, quella di Ippocrate
(498-491) a gela, che costituì un forte stato nella zona occidentale dell’isola
in cui il suo successore , Geleone,
incluse anche Siracusa, città che, da questo momento, divenne la più importante
dell’Occidente greco. Nel 480 Gelone, anche con forze navali di Agrigento ,
bloccò a Imera un’offensiva dei cartaginesi escludendoli così per lungo tempo
dall’isola. Nel 474 Gerone, suo fratello e successore, sconfisse gli Etruschi
nelle acque di Cuma ed estese poi la sua influenza anche sul mondo greco
dell’Italia meridionale: questo espansionismo siracusano fu però fermato da un
moto insurrezionale dei Siculi guidato
da Ducezio (450) e, più tardi (415-413), dalla famosa spedizione di Sicilia
promossa da Atene che vedeva minacciati i suoi commerci con gli Etruschi dal
rapido sviluppo della potenza siracusana.
L’impresa si risolse per Atene con un disastro, ma anche Siracusa ne
uscì indebolita: ne approfittò Cartagine che riprese i tentativi di
penetrazione in Sicilia investendo, tra il 408 e il 405, citta fiorenti come
Selinunte, Imera, Agrigento, Gela che vennero in parte distrutte.
L’avvento di Dionigi
il tiranno a Siracusa (405)
valse però a salvare l’ellenismo della Sicilia dai cartaginesi che si ridussero
gradualmente al possesso della sola parte occidentale dopo una lotta durata,
con varie vicende (tra cui la spedizione in Africa di Agatocle, tiranno di Siracusa, nel 310 e l’intervento di Pirro nel 278)quasi due secoli. Dopo
la I guerra punica (241) la zona cartaginese della Sicilia divenne provincia
romana; in essa, nel 212, Roma, sconfitta Siracusa che, per combattere la
potenza romana si era alleata a Cartagine, incorporò anche lo stato Siracusano
estendendo così il suo dominio su tutta l’isola.
Le città siciliane, a
esclusione della fedele Messina, furono sottoposte al pagamento di un tributo,
ma mantennero una notevole autonomia interna. Roma favorì e sfruttò la
produzione del grano che importava in conto tributo per le proprie necessità
alimentari. Sulle estese tenute lavoravano masse di schiavi che si ribellarono in
due occasioni, nel 136-132 e nel 1°4-100 a.C.. La Sicilia dovette subire le
ruberie e le malversazioni del pro pretore Verre; Cesare le concesse il diritto
latino, mentre Augusto, che la annoverò tra le provincie senatoriali, vi
rafforzò il dominio romano e ne risollevò le condizioni economiche gravemente
compromesse durante la guerra civile quando Sesto Pompeo l’aveva occupata e
staccata da Roma. In età imperiale la Sicilia continuò nelle condizioni di vita
tradizionali, con le sue città aventi differenti rapporti con Roma, ancora
attive nell’artigianato e nei commerci: esse però non recuperarono più lo
splendore di un tempo. Con la Constitutio
Antoniniana del 212, anche i siciliani ottennero la cittadinanza romana al
pari di tutti gli abitanti dell’impero romano. Nella suddivisione in diocesi e
province operata da Diocleziano, la Sicilia fu attribuita alla diocesi italiciana e costituì provincia a sé Col
tempo la Cerialicoltura fu meno redditizia e l’isola ne sofferse anche nei
commerci.
Dai Bizantini agli Aragonesi:
La generale decadenza
dell’Occidente romano colpì a fondo l’isola e la espose a una serie di rovinose
incursioni e all’occupazione, dapprima parziale (Lilibeo 440), poi totale
(468), da parte dei Vandali stanziati in Africa e, dopo la conquista di Cartagine,
divenuti una grande potenza marinara. La dominazione vandalica, duramente
vessatoria (anche in campo religioso, i Vandali ariani non diedero pace ai
cattolici, provocando la rovina di una ormai antica élite culturale) , fu
abbattuta da Odoacre tra il 476 e il 486; ma già nel 491 succedette la
dominazione degli Ostrogoti di Teodorico, che tuttavia concesse al re dei
Vandali Guntamondo, suo genero , la base di Lilibeo.
L’età Ostrogotica (491-535)
riportò nell’isola una relativa tranquillità, effetto della politica
conciliante di Teodorico; militarmente presidiata ma non colonizzata, la
Sicilia riassunse il suo antico ruolo di grande riserva di grano e di chiave
del commercio mediterraneo, da cui trassero beneficio soprattutto i
latifondisti (laici e ecclesiastici). Dalla Sicilia ebbe inizio la riconquista
imperiale dell’Italia promossa da Giustiniano (535) che già aveva abbattuto il
regno dei Vandali in Africa; Belisario la occupò in sette mesi con poche forze
e senza incontrare serie resistenze e di là, passato lo Stretto di Messina,
proseguì l’avanzata lungo la penisola. Durante la guerra greco-gotica (535-553)
l’isola divenne un valido baluardo militare (che Totila cercò invano di
prendere verso il 550), e come tale fu governata durante i tre secoli e più del
dominio Bizantino. Staccata dal resto dell’Italia, fu sottoposta direttamente
all’imperatore, che nominava per essa dapprima un governatore civile e uno
militare, poi, riuniti i poteri, un unico governatore militare, lo stratego del tema di Sicilia. La
militarizzazione, sempre più accentuata da Bisanzio per esigenze di difesa in
rapporto alla progressiva avanzata degli Arabi in Africa nel secolo VI, incise
profondamente sulle condizioni generali dell’isola: mortificò l’economia
cittadina e rurale, sconvolse la distribuzione demografica, aggravò la
pressione dell’autorità bizantina col suo rigore fiscale e la sua intolleranza
religiosa (l’eresia monotelica nel secolo VII, quella iconoclastica ne secolo
VIII misero a dura prova i cattolici, raccolti intorno al vescovo di Siracusa),
e lingua, cultura, costumi greci penetrarono largamente. A questa seconda
ellenizzazione della Sicilia si connette
il progetto di Costante II di fare
dell’isola il centro dell’impero, con il breve trasferimento della
capitale da Cpostantinopoli a Siracusa
(663-668). I siciliani reagirono a più riprese a questa politica ora
passivamente ora sostenendo vari tentativi
di governatori bizantini di
sottrarsi al potere imperiale , e fu appunto la secessione di un’ufficiale bizantino, Eufemio, che provocò, richiesto, l’intervento degli arabi (827) e
la loro progressiva occupazione . Già apparsi più volte sin dalla metà del
secolo VII come corsari, gli Arabi intrapresero l’invasione della Sicilia per iniziativa dell’emiro aghlabita di Kairuan (Tunisi),
Ziadet Allah, sollecitato dal ribelle Eufemio , dando all’impresa carattere di
guerra santa. Aspramente contrastati, ne vennero a capo solo agli inizi del
secolo X, conquistando via via Mazara (827), Palermo (832), Messina (842), Enna
(859), Siracusa (878), Taormina (902). L’isola fu sottoposta al governo di un emiro , rappresentante degli
Aghlabiti di Kairuan poi (dal 910) dei
Fatimiti del Cairo e infine dagli Ziriti loro vassalli in Tunisia; ma già
verso la metà del secolo X l’emirato divenne
un principato ereditario e di fatto indipendente, e per circa un secolo,
sotto i Kalbiti, la Sicilia risorse
dalla sua lunga decadenza. La popolazione cristiana (come gli ebrei) ebbe il
consueto statuto imposto dagli Arabi nei paesi conquistati: libertà religiosa,
ma a prezzo di una speciale tassazione (non troppo gravosa), ma non
sopportabile da gruppi economicamente più deboli, che passarono perciò
all’islamismo). La colonizzazione, più attiva all’ovest (val di Mazara) che a
sud est (val di Noto) e a nord est (Val Demone) , si stabilì con metodi e
risultati diversi da luogo a luogo e gravò in misura diversa sugli isolani. Non
mancarono, specie nella val Demone, rivolte ma, non appoggiate adeguatamente da
interventi bizantini , furono tutte represse. Gli Arabi diedero uno
straordinario impulso all’agricoltura (frazionamento di latifondi, introduzione
di nuove colture, come il gelso, il cotone, l’arancio, il dattero e la canna da
zucchero), all’artigianato (tessuti di seta e di cotone), al commercio ( con la
sua maggiore base a Palermo), e la Sicilia, come la Spagna, divenne un centro
d’irradiazione della civiltà intellettuale e artistica islamica, che diede
tuttavia i suoi frutti più cospicui solo dopo la fine della dominazione.
A indebolirla e farla crollare
contribuirono soprattutto le croniche rivalità tra i vari signori locali, delle
quali seppero approfittare nella prima
metà del secolo XI i Bizantini (spedizione di Giorgio Maniace nella Sicilia
orientale, 1038-40), nella seconda metà, con progressivi e definitivi successi,
i Normanni già affermati nell’Italia meridionale e sorretti nella loro
iniziativa antimusulmana dal patrocinio della Chiesa romana, rianimata dallo
spirito della riforma e avviata all’apogeo gregoriano. L’intervento normanno fu
agevolato dall’appello del signore di Catania Ibn ath-Thumna in contesa col
signore di Agrigento e la riconquista cristiana dell’isola, a opera di Ruggero I d’Altavilla (con il concorso,
discontinuo, del fratello Roberto il Guiscardo),, si iniziò con la presa di
Messina (1061) e si concluse con quella di Noto (1091). Catania cadde nel 1071,
Palermo nel 1072, Trapani nel 1077, Taormina nel 1079.
Una vigorosa controffensiva
dell’emiro Ben Avert, contemporanea
all’azione che impegnava i Normanni del Guiscardo contro i Bizantini, ritardò
di alcuni anni la conclusione dell’impresa: Siracusa cadde solo nel 1085,
seguita da Agrigento e infine da Noto.
Ruggero, che aveva preso il
titolo di gran conte di Sicilia , s’impadronì anche di Malta , mentre, dopo la
morte del Guiscardo , riusciva ad
imporsi anche su i domini normanni del
continente.
Vassallo del papa e legato
apostolico (1098), Ruggero andava predisponendo la riorganizzazione della
Sicilia, quando morì (1101) e la sua opera fu continuata dalla vedova Adelaide prima per il
primogenito Simone (morto fanciullo nel 1105), poi per il cadetto Ruggero II finché ebbe l’età per
governare personalmente (1113). Questo principe orientalizzante , tra il basileus bizantino e il sultano, animato
da sconfinate ambizioni e dotato di
insigni qualità politiche e militari, riuscì a realizzare con ogni mezzo
l’unità dei domini normanni insulari e continentali, a fondare uno stato
fortemente accentrato e ad ottenere dall’anti papa Anacleto II il titolo di re
di Sicilia (1130). Ruggero II introdusse in Sicilia il regime feudale, ma
istituzionalizzò, e seppe imporre, sui signori feudali e sulle comunità
autonome il superiore potere del re ,
esercitato da una gerarchia di
funzionari (iusticiarii, e camerarii) e temperato dal consiglio della Magna
curia. Analogamente, garantì la libertà religiosa e le consuetudini
proprie dei gruppi latini, arabi, bizantini, ebraici esistenti nel regno,
tenendo però ben fermo il principio che sovrasta su tutti l’assoluta sovranità
del re . La tolleranza religiosa consentì al re ed ai suoi successori di
scegliere collaboratori qualificati d’ogni nazione e religione. L’isola conobbe
allora una vigorosa ripresa economica, agricola artigianale e commerciale, frutto del concorso di
esperienze diverse, e correlativamente , lo Stato normanno di Sicilia e la sua
capitale Palermo, divennero il centro di un vero e proprio impero che si
estendeva dalla Campania e dall’Abruzzo all’Africa settentrionale e aveva un ruolo primario nel Mediterraneo.
Ruolo anche culturale , poiché nel regno fiorivano tra l’altro la scuola medica di Salerno, il monastero benedettino
latino di Montecassino e i monasteri basiliani greci, sorgevano monumenti
espressivi di un originale sintesi stilistica , e per Ruggero II lavorava uno
dei maggiori geografi medievali, al-Idrisì (Edrisi) .
Sotto il figlio e successore di Ruggero II, Guglielmo I (1154-66,
molto inferiore sotto ogni aspetto al padre, il regno attraverso periodi di
crisi, scontrandosi con il papato, con l’imperatore Bizantino Manuele I
Commeno, con Federico Barbarossa e subendo rivolte baronali. Ne uscì salvo, ma meno
per le inconsulte severità del re (soprannominato il Malo) che per la solidità
delle sue strutture e la leale opera di governo di ministri quali Maione di
bari, Matteo d’Aiello e l’inglese Riccardo Palmer, vescovo di Siracusa. Ma i
nuovi e più gravi torbidi sconvolsero la Sicilia alla morte di Guglielmo I,
durante il quinquennio di reggenza della vedova margherita di Navarra per il
figlio Guglielmo II (1166-1189), che
parve abbandonare la politica di
equanimità nei confronti dei diversi elementi etnici e religiosi per imporre la
supremazia di nuovi elementi francesi. Con l’avvento del governo personale di
Guglielmo II tuttavia, e grazie alla collaborazione di Matteo d’Aiello e di
Gualtiero Ophtamil , un inglese, arcivescovo di Palermo, ritornò la pace e la Sicilia rifiorì anche se il re, mosso da
inattuabili ambizioni, vide fallire le sue temerarie iniziative di conquista in
Egitto contro il Saladino e nella Grecia bizantina contro Andronico I Comneno e
Alessio II Angelo ( 1185).
Guglielmo II, il buono, la cui
personalità aveva affascinato indistintamente tutti i sudditi, morì mentre la
sua flotta partecipava brillantemente alla III Crociata. Privo di figli, gli
succedette la zia Costanza, figlia
di Ruggero II, dal 1186 moglie di Enrico VI di Svevia figlio ed erede di
Federico Barbarossa. Ciò significava consegnare il regno all’impero germanico e rompere il
tradizionale vincolo col papato, irriducibile avversario degli svevi e
intollerante della loro egemonia in Italia. La successione venne contrastata da
una forte frazione della popolazione ,
che portò al trono un cugino di
Guglielmo, Tancredi conte di Lecce
(1189-94) ; ma dopo che Enrico VI succedette al Barbarossa (1190) e intraprese
la conquista del regno della moglie. Tancredi nonostante alcuni successi, andò
perdendo terreno e alla sua morte
l’imperatore , sostenuto dai genovesi e dai Pisani e da alcuni baroni
siciliani, stroncò la resistenza , raccolta intorno alla vedova e al figlio di
Tancredi, Guglielmo III, e fu
incoronato re a Palermo (Natale 1194); seguì poco dopo un’altra insurrezione,
che Enrico VI represse ferocemente, poco prima della sua prematura morte (Messina, 1197) .
Nell’età normanna era maturata
in Sicilia una cultura composita, eppure
originale, alla quale avevano portato i propri contributi, stimolate dalla
monarchia , le diverse comunità, romana, araba e bizantina, ciascuna secondo il
suo genio;allora come non mai l’isola apparve il luogo ideale d’incontro e di
intesa tra le grandi tradizioni civili del Mediterraneo; il duomo di Monreale
rappresenta forse con maggiore e più immediata evidenza questa sintesi di
valori. L’età degli Svevi, iniziata con Enrico VI sotto il segno della violenza
, proseguì nell’incertezza con vistosi episodi di anarchia, durante l’infanzia
e l’adolescenza dell’erede di Enrico VI e di Costanza, Federico II
(1194-1250); l’aspirazione di papa Innocenzo III, che il giovane svevo dovesse
avere, come i re normanni, soltanto il regno di Sicilia e non l’impero, apparve
presto irrealizzabile e Federico II riunì sul suo capo le
corone di Sicilia, di Germania, d’Italia e dell’impero ( e,con la sua crociata,
di Gerusalemme). Malgrado la molteplicità e la complessità dei problemi che la
sua posizione gli imponeva, Federico II dedicò la massima cura al regno di Sicilia,
che considerava il cardine dell’impero. Piegate le resistenze baronali e
cittadine, domata una ribellione di Arabi (che cessarono da allora di essere
una comunità influente), con le costituzioni
di Melfi (1231) portò a compimento l’ordinamento assolutistico,
centralizzato e burocratico del regno instaurato dai re normanni . Se Palermo
divenne un’ancor più splendida capitale, residenza prediletta dell’imperatore e
centro culturale eminente, l’isola, nonostante l’intensa attività economica, in
particolare quella mercantile e marinara, fu sottoposta a vessazioni fiscali
(tributi, monopoli ecc.) per sostenere
le spese di magnificenza e soprattutto quella per la guerra logorante di
Federico II contro il papato e i Comuni.
Scomparso Federico II, la
continuazione della dinastia sveva nel regno, impersonata da Manfredi, figlio naturale
dell’imperatore, reggente prima per l’erede legittimo Corrado IV, poi per il figlio di questo Corradino e infine egli
stesso re (1258), incontrò l’implacabile opposizione del papato, finché Urbano
IV investì nel regno Carlo d’Angiò,
fratello di Luigi IX di Francia e conte di Provenza (1265), che con l’appoggio
di tutta l’Italia guelfa conquistò con le armi il regno, auspice Clemente IV.
Manfredi cadde nella decisiva battaglia di Benevento (1266); Corradino,
sconfitto a Tagliacozzo, fu giustiziato (1268).
La catastrofe degli svevi
commosse i siciliani e provocò anche una sollevazione antifrancese e
un’effimera resistenza all’occupazione di Carlo d’Angiò, per cui questi
mantenne nei confronti dei siciliani un atteggiamento di severa diffidenza.
Stabilì il governo a Napoli, anteponendola a Palermo, distribuì un gran numero
di feudi a signori francesi, favorì nei
confronti dei siciliani, mercanti e banchieri stranieri (molti fiorentini, i grandi sostenitori del
guelfismo) . A questi motivi di risentimento si accompagnava l’azione segreta
di una fazione filosveva (o ghibellina) che faceva capo a Pietro III re d’Aragona il quale, avendo sposato Costanza, figlia
di Manfredi rivendicava i diritti di
questa al regno . In questo quadro il 31 marzo
1282 a Palermo scoppiò l’insurrezione
dei Vespri, che divampò in breve in tutta l’isola, e poco dopo Pietro
III, sbarcato con forze aragonesi a
Trapani, portò a termine la liberazione della Sicilia dai francesi. Ma prima
che il distacco della Sicilia , dominio aragonese, dal mezzogiorno della
penisola , dominio angioino , fosse definitivamente compiuto e riconosciuto, si combatté la
ventennale guerra detta dei Vespri
(1282-1302), conclusa con una pace
di compromesso (Caltabellotta, 1302: Carlo II d’Angiò riconobbe a Federico
II, fratello di Giacomo II re d’Aragona, la sovranità sulla Sicilia , ma a
titolo vitalizio e con il nome di re di Trinacria); poi, rotto il compromesso,
le ostilità si riaprirono e continuarono ad intermittenza fino al 1372, quando Giovanna I d’Angiò,
regina di Napoli, rinunciò ad ogni rivendicazione sull’isola a favore di Federico III d’Aragona
(1355-77) .
La questione della Sicilia trascendeva gli interessi italiani : il suo
possesso, nel mezzo del Mediterraneo, costituiva la base di una egemonia mercantile ed economico politica , ambita, disputata e
parzialmente ottenuta da Bizantini, Arabi, Normanni, Svevi, Angioini
(o Francesi) e infine Aragonesi, e il papato, a sua
volta avverso a ogni egemonia che potesse compromettere la sua libertà, non poteva non vigilare sulla
sorte dell’isola (per di più formalmente sotto la sua alta sovranità). Perciò
la guerra dei Vespri e i suoi strascichi ebbero riflessi in oriente , in tutta
l’Italia, in Francia, nella Penisola Iberica. Sotto la dinastia aragonese
sopravvissero le istituzioni di Federico
II di Svevia, ma venne dato un ruolo più rilevante al Parlamento ( diviso in
tre bracci: ecclesiastico, militare o feudale, demaniale o rappresentante delle
città libere, direttamente dipendenti dal re) . Dal punto di vista economico
sociale e culturale vi fu una graduale
recessione: ricostituzione di latifondi a beneficio di grandi signori,
decadimento dei ceti rurali più modesti e della borghesia delle città,
insicurezza per continue guerre , deterioramento dell’ordine pubblico. A ciò si
aggiunse come aggravante una progressiva perdita dell’indipendenza: le corone
d’Aragona e di Sicilia, tradizionalmente separate anche se talvolta cinte dalla
stessa persona, furono definitivamente unite a partire dal regno di Martino II
(1409-10), malgrado l’unanime opposizione
dei due partiti nobiliari (i Latini e i Catalani), che dagli scorci del
secolo XIV tenevano l’isola sotto
l’incubo delle loro lotte e i sovrani, Maria e martino il Giovane, sotto
una ricattatoria tutela. L’unione delle corone instaurò in Sicilia il governo
dei viceré, il primo dei quali fu l’infante Giovanni di Panafiel (1415-16),
figlio di Giovanni re di castiglia, d’Aragona e di Sardegna, che fu inviato,
invano, alla successione ed al trono.
La Sicilia costituì una valida
base per Alfonso V il Magnanimo nella sua conquista del regno di Napoli contro
Renato, l’ultimo degli Angioini (1435-42) e sotto quel re, che fino alla sua
morte (1458) ricompose l’antica unità del Mezzogiorno insulare e continentale
d’Italia, l’isola ebbe qualche beneficio economico e culturale (come
l’università di Catania) . Fu trascurata affatto dai suoi successori Giovanni
II (1458-79) e Ferdinando il Cattolico (1479-1516), che col compimento
dell’unità spagnola e con la conquista
del Napoletano realizzava un grande
impero mediterraneo. Ma ormai l’importanza del Mediterraneo stesso era alla vigilia del suo declino.
Da Vicereame all’unione allo
Stato Italiano:
Scaduta a vicereame la Sicilia
reagì. Nel 1516 Palermo insorse contro il viceré Ugo di Moncada, nel 1517 fu scoperta la congiura di Gian Luca
Squarcialupo e nel 1523 si ebbe la cospirazione
capeggiata dai fratelli Imperatore. Ma dopo che con la vittoria di Pavia
la potenza della Spagna dilagò in tutt’Italia , anche la nobiltà siciliana così
fieramente gelosa della sua indipendenza
finì col piegarsi e assumere un atteggiamento filospagnolo . D’altra
parte, se alla lunga il dominio spagnolo fu causa di conseguenze negative per
l’isola (introduzione dell’inquisizione , diminuzione delle autonomie locali ,
eccessivo fiscalismo ), servì anche a frenare , almeno in parte , lo strapotere
baronale e a combattere il brigantaggio
per cui fu inizialmente sopportato con relativa facilità anche dal popolo. Con
l’aggravarsi delle condizioni interne
della Spagna peggiorarono però
anche le condizioni della Sicilia. La decadenza
economica si accrebbe e scoppiarono nuove rivolte: tra le molte, quella di
Palermo (1647), capeggiata da Giuseppe d’Alessi che riuscì a far sollevare il
popolo e a cacciare per qualche tempo i
viceré, e quella di Messina (1674), dove la cittadinanza costrinse alla fuga la
guarnigione spagnola e resistette con l’aiuto della Francia sino al 1678 quando
Luigi XIV, accordatosi con Carlo II nella Pace di Nimega, abbandonò la
rivolta alla dura repressione spagnola. Con la pace di Utrecht (1713 , conclusione
della guerra di successione spagnola) la Sicilia passò, con titolo regio, a
Vittorio Amedeo II, duca di Savoia, ma poco dopo (1718), tolta al suo nuovo
Signore, fu assegnata all’Austria e in tal modo riunita al Napoletano. Nel
1734, infine sempre unita al Mezzogiorno ebbe con Carlo III di Borbone un nuovo
autonomo sovrano che ricostituì il Regno delle Due Sicilie mantenendo però ordinamenti separati nelle
due diverse regioni. Iniziò allora un
periodo di riforme che vide in Domenico
Caracciolo, viceré dal 1781 al 1786, il suo più illuminato rappresentante.
Ma il programma di unificazione politica e amministrativa , urtando contro i
privilegi del baronaggio e del
Parlamento, fu considerato un attentato alle libertà dell’isola e fin’ col
suscitare opposizione anche tra la gente comune. L’isola rimase comunque ai
Borbone di Spagna anche nei periodi in cui essi perdettero il continente (1799
e 1806-15) per l’intervento delle armi francesi, e nel 1811, auspice l’inglese
Bentinck, che la teneva praticamente sotto tutela ebbe una sua Costituzione
liberale. Quando però Ferdinando I riprese l’antico disegno di dare effettiva
unità al duplice regno abolendo (1815) la Costituzione appena concessa e le
libertà e franchigie più antiche, l’ostilità verso la monarchia riprese più
aperta e decisa. Da qui il moto separatista
del 1820, la sollevazione di Palermo del 1831 e l’insurrezione del 1848
che proclamò la decadenza dei Borbone , offrì la corona dell’isola a Ferdinando
Maria di Savoia e fu domata solo nel maggio del 1849. Di qui, anche
l’accoglienza che trovò Garibaldi nell’isola e la sua rapida liberazione
conclusa con il plebiscito del 21 ottobre 1860 da cui venne proclamata l’unione
alla monarchia costituzionale di Vittorio Emanuele II.
L’arretratezza delle condizioni
economiche e sociali dell’isola, che fu all’origine di gravi agitazioni come l’insurrezione di
Palermo (1866) e i moti dei fasci siciliani repressi nel 1894 con lo stato
d’assedio, fu esasperata dalla crisi dell’agricoltura e dalla conseguente emigrazione dei contadini . Dopo la I guerra
mondiale la situazione peggiorò e il
malcontento portò la popolazione ad
accogliere il sistema autarchico
fascista rivelatosi tutt’altro che risolutivo .
Dallo sbarco Anglo Americano e
con la ripresa della vita politica dell’intero paese la Sicilia, pur di
sottrarsi alla prospettiva socialista, e fidando nella collocazione geografica
che le avrebbe concesso privilegi nei
rapporti internazionali, scelse la via del separatismo. Il fenomeno mafioso
trovò in tal modo ampia possibilità d’espressione , avvalendosi di una potente
organizzazione terroristica che contrabbandava le azioni di brigantaggio per
iniziative politiche.
Il 15 maggio 1946 veniva
istituita la regione e l’isola era così
inserita di fatto nella vita del
paese e metre il fenomeno
separatista subiva una seria battuta
d’arresto pur continuando a sussistere sotto il non meno grave aspetto clientelare , fortemente
condizionante dello sviluppo politico
sociale dell’isola, il problema della
mafia si ramificava in gran parte della penisola.
Palermo
PALERMO
Il
nucleo originario di Palermo
fu fondato nel corso dei secoli VIII-VI a.C. dai Fenici ed ebbe il nome di Ziz
(fiore) come appare da una antica moneta. Nel 480 a.C., durante la guerra fra
Cartagine e Imera, e successivamente nel 406 e nel 391, nel porto di Panormus
(tutto porto) trovò rifugio la flotta punica. Il siracusano Ermocrate
tentò di conquistare Palermo nel 408, ma la città, tranne che per la
breve occupazione di Pirro (276), rimase
nell’orbita cartaginese fino alla conquista romana del 254 a.C. Falliti i
successivi tentativi di
Asdrubale , che marciò sulla città con gli elefanti e fu sconfitto da Cecilio
Metello e di Amilcare Barca, che per quattro anni
rimase accampato minacciosamente su un’altura sovrastante la città, Palermo
divenne un fiorente municipio e nel 20
a.C. Augusto
vi istituì una colonia. Lo stesso fecero più tardi Vespasiano e Adriano.
Caduta in possesso di Genserico,
di Odoacre
(476) e quindi Teodorico (493), nel 535 fu conquistata e restituita all’impero
Bizantino da Belisario. Occupata da Totila nel 549, ritornò Bizantina
nel 552 per opera di Nersete e rimase tale fino all’831,
quando gli Arabi la conquistarono dopo un lunghissimo assedio che
ridusse la popolazione da 70ooo a 3000 abitanti.
Balarm (questo è il nome arabo) riprese floridezza solo intorno
alla metà del secolo X. Nel 948, sotto la dinastia dei Banu Kalb, Palermo fu
eletta capitale dell’emirato indipendente di Sicilia; la sua popolazione
raggiunse in poco tempo i 300.000 abitanti . Al dominio Arabo succedette quello
normanno, dopo la conquista della città fatta da Ruggero I d’Altavilla
(1072); Ruggero II nel 1130 nel duomo di Palermo cinse la corona di re
di Sicilia e dichiarò Palermo capitale del regno: la città toccò uno
straordinario splendore e Federico II (1208) ne fece un grande
centro culturale. Gli Angioini trasferirono a Napoli la capitale del regno
(1266), ma al loro malgoverno pose fine la rivolta dei Vespri Siciliani (31
marzo 1282) a seguito della quale la città si eresse a libero comune e chiese aiuto alla casa di Aragona. Le violente
lotte civili scoppiate nel corso del secolo XVI finirono con il favorire il
predominio di un’unica famiglia nobile, quella dei Chiaramonte, estintasi la
quale Ferdinando I il Giusto nel 1412 annetté definitivamente Palermo
e tutta la Sicilia alla corona di Aragona. Al dominio spagnolo il
popolo Palermitano si ribellò violentemente nel 1647 (15-22 agosto), capeggiato
da Giuseppe
d’Alessi; due anni più tardi una congiura della borghesia, guidata da
Giuseppe Pesce, cercò di eliminare il viceré Giovanni d’Austria. Dopo
il breve regno di Vittorio Amedeo di Savoia
(1713-18), a cui la Sicilia pervenne con il trattato di Utrecht, a
seguito del trattato dell’Aia l’isola e
il suo centro principale passarono a Carlo VI d’Austria; nel 1735 Carlo
III di Borbone giurò a Plermo la
Copstituzione del Regno. Nel 1799 e nel 1806 il popolo palermitano accolse
favorevolmente Ferdinando III che, cacciato da Napoli, trasferì la propria
corte a Palermo e ridiede alla città l’antico ruolo di capitale . La
soppressione della Costituzione nel 1815 accese però violenti sentimenti
antiborbonici che portarono ai moti del
1820: la giunta di governo che ne uscì, presieduta dal principe Paternò, fu
abbattuta dalle truppe Napoleoniche di Pepe e di Colletta.
Dopo la sollevazione carbonara
di Domenico
Di Marco , scoppiò violenta la rivoluzione del 1848; il 27 maggio 1860 finalmente
Garibaldi con i Mille liberò la città. I Borbone capitolarono il 6 giugno e il 21 ottobre il popolo
palermitano votò l’annessione al regno d’Italia.
Nella seconda guerra mondiale
la città subì alcuni bombardamenti; gli Alleati vi entrarono il 24 luglio 1943.
Sardegna
SARDEGNA
Preistoria:
Fino a qualche anno fa la
Sardegna era considerata priva di frequentazione umana prima del Neolitico, per
il suo isolamento geografico dalla penisola nel corso del Pleistocene; in
seguito alle prime ricerche di O. Cornaggia Castiglioni, che risalgono alla
fine degli anni settanta, e a quelle tuttora in corso da parte di F. martini,
sono stati segnalati numerosi complessi su scheggia e su ciottoli attribuiti al
Paleolitico inferiore. Tali sono per esempio i siti di Sa Coa e de Sa Multa
vicino a Laerru, tipologicamente collegato al Clactoniano prerissiano
peninsulare, o i manufatti raccolti nella regione dell’Anglona, in Sicilia
settentrionale, lungo il Riu Altana, e quelli nel bacino di Laerru-Perfugas
attribuiti al Protocharentiano o Tayaziano rissiano come anche l’industria di
Sa Pedrosa-Pantalinu. Al paleolitico superiore, e in particolare a un generico
Epigravettiano, sono stati riferiti gli scarsi manufatti rinvenuti a Grotta
Corbeddu vicino Nuoro. Durante il Neolitico
un ruolo importante devono avere avuto i giacimenti di ossidiana
specialmente del Monte Arci, che alimentò certamente un vasto commercio verso
le regioni circostanti. Recenti ricerche hanno consentito di ricostruire lo
sviluppo delle facies neolitiche dell’isola; quella di Ozieri, della seconda
metà del IV Millennio a C:, si caratterizza per una ricca cultura materiale e
per la comparsa delle caratteristiche sepolture ipogeiche (domus de janas). Da
ora in poi la Sardegna è stabilmente inserita in circuiti di scambio che
coinvolgono sia il Mediterraneo occidentale (è forte l’influsso della facies
del bicchiere campaniforme, nell’Eneolitico), sia quello orientale (come
dimostrano i numerosi frammenti micenei trovati nell’Età del bronzo e i vasi
sardi rinvenuti a Creta nello stesso periodo).
Agli inizi del II millennio
a.C. si data la comparsa dei nuraghi,
caratteristiche costruzioni a torre che punteggiano il paesaggio della campagna
sarda; intorno a essi si sviluppano ampi villaggi, pozzi e fonti sacre e altri
elmenti tipici di una società complessa,
fino ad arrivare alle manifestazioni
d’arte (bronzistica) della prima età del ferro.
Storia:
Verso il secolo VIII, gruppi di
Fenici, soprattutto Cartaginesi, si insediarono sulle zone costiere, in particolare quelle
meridionali e orientali, dove fondarono Caralis (Cagliari), Nora, Tharros, ecc.
mentre i Sardi si ritiravano
all’interno. I Focesi, a loro volta, fondarono Olbia, ma la loro
penetrazione in Sardegna si arrestò dopo la battaglia combattuta nelle acque di
Alalia (c.a 535 a.C.) contro Etruschi
e Cartaginesi i quali, anche se sconfitti, riuscirono ad affermarsi
nell’isola, specialmente i primi che estesero gradualmente la loro penetrazione . La stessa Roma
rinunciò a commerciare nell’isola in base ad un trattato stipulato con
Cartagine nel 348 a.C.; tuttavia scoppiarono frequenti le rivolte degli indigeni
sardi insofferenti della dominazione straniera.
Nel 238 a.C., indebolitasi
Cartagine per la sconfitta subita nella I guerra punica, Roma approfittò di una
rivolta dei mercenari cartaginesi in Sardegna e occupò l’isola strappandola
agli avversari. Da questo momento la Sardegna
divenne una delle maggiori riserve di grano dello stato romano. Nel 226 a.C. essa fu
eretta a provincia insieme alla Corsica . I
romani continuarono a lungo a trattarla come una terra di conquista senza
concederle, per tutta l’età repubblicana nessuna città libera: numerose perciò
furono le rivolte degli indigeni sardi e degli immigrati punici, tra cui
particolarmente violente quelle organizzate
da latifondista cartaginese Amsicora (216 a.C.) e quella del 178 a.C. che fu
domata da Sempronio Gracco con riduzione in schiavitù di decine di
migliaia di uomini riversati nelle campagne
d’Italia. Alla fine del secolo II a.C. le sommosse ebbero fine, ma la
resistenza a Roma continuò a manifestarsi nell’interno attraverso il
brigantaggio. Cesare concesse a Cagliari i diritti civili romani mentre Turris
Libissonis (Porto Torres), Sulci e Tharros divennero colonie. Durante l’impero
la Sardegna fu separata dalla Corsica e amministrata come provincia imperiale:
essa andò lentamente romanizzandosi, pur conservando caratteristiche sue
proprie e più tardi, altrettanto lentamente si cristallizzò. Verso il 455 i Vandali, guidati da Genserico,
iniziarono l’occupazione, che però, non avendo carattere stanziale, non lasciò
tracce evidenti. Dopo meno di un secolo ritornò sotto l’amministrazione
imperiale in seguito alla vittoriosa spedizione contro i Vandali (533-534) di
Belisario, generale di Giustiniano. L’imperatore provvide a insediarvi un
comando militare per la difesa e un giudice per l’amministrazione. Il dominio,
fisicamente oppressivo ed incurante del benessere locale, aggravò la decadenza
già in atto e lasciò l’isola esposta a scorrerie invasioni e distruzioni
operate dai Goti, dai Longobardi e soprattutto dagli Arabi che infestarono per secoli
le coste. Mentre il potere di Bisanzio diveniva un diritto privo di efficacia,
la mancanza di difesa fece emergere altre forze: si formarono lentamente i
giudicati, che di fatto agirono come Stati indipendenti e furono caratteristici
dell’isola. La loro origine è piuttosto controversa. La gravità delle
incursioni aveva indotto i Bizantini a riunire tutti i poteri nelle mani del
giudice, ma la conformazione geografica ne intralciò gli interventi. Per
ovviare all’inconveniente qualcuno suppone che abbia nominato dei delegati, i
quali avrebbero usurpato le sue prerogative. Altri vogliono che il
decentramento sia avvenuto per elezione popolare. I documenti più antichi
risalgono al secolo XI. Allora l’isola era divisa in quattro giudicati: di
Cagliari, di Arborea, di Gallura e di Torres. Essi assicurarono al Paese il
periodo più prospero, favorendo il riordinamento amministrativo e
istituzionale, la promulgazione delle leggi , il fiorire dell’agricoltura,
dell’artigianato , dell’industria mineraria e degli scambi marittimi ,
incrementati con l’aiuto di Genova e di
Pisa, che svolsero un ruolo importante nello sviluppo dell’isola, pur
contribuendo con la loro rivalità a rinfocolare le lotte e il gioco degli interessi , complicati dalla
pretesa di sovranità della Chiesa per una concessione di Carlo magno. Fino ad allora i Papi si erano limitati a
esigere un giuramento di fedeltà o a inviare un legato; ma ormai (secolo XIII)
l’isola rischiava di essere travolta
dallo scatenarsi degli appetiti , non solo di Genova e Pisa , che con le
guerre cominciavano a smembrare i giudicati , ma anche dell’impero (Federico II e suo figlio Enzo, Roberto
d’Asburgo), degli Angiò dei Malaspina, senza contare le aggressioni arabe.
Forse nel timore di perdere del tutto i
diritti, Bonifacio VIII compì un gesto destinato a sconvolgere la struttura politica e a
distruggere ogni autonomia dell’isola, cedendola a Giacomo II d’Aragona (1297) . Il possesso
effettivo fu preso più tardi dall’infante Alfonso , che iniziò (1323) una dura
guerra di conquista e, imposto l’ordinamento feudale, vi trapiantò la nobiltà
catalana.
Il dispotismo dei nuovi venuti
e l’attaccamento all’autonomia e alle libere istituzioni suscitarono profondi
risentimenti nella popolazione. La prima a sollevarsi fu Sassari (1325) ,
seguita da altri centri,con l’aiuto dei Doria di Genova, dei Malaspina di
Lunigiana, dei Pisani; ma fu attorno ai giudici di Arborea che si raccolse la
più strenua resistenza:
Mariano IV liberò la fascia
occidentale, grosso modo da Sassari a Cagliari, con una guerra proseguita dai
figli Ugone III prima, ed Eleonora poi, la famosa giudicessa d’Arborea autrice
della Carta de Logu (1395), la raccolta
di leggi tanto apprezzata dall’aragonese Alfonso il Magnanimo, che la estese a
tutta l’isola allorché, assoggettatala interamente, volle rinnovarne
l’amministrazione. Non per questo la dominazione divenne più tollerabile per il
dispotismo catalano, la povertà dell’economia, l’aggravio fiscale, l’incuria
dei governatori. La sconfitta subita dai Sardi a Macomer (1478) segnò la fine
dei tentativi per la libertà. Il passaggio alla Spagna unita (1479) non mutò la
situazione. Ferdinando il Cattolico, preoccupato di consolidare il dominio,
soffocò le autonomie, impose una legislazione livellatrice, concesse la
preminenza alla nobiltà spagnola, ostacolò i contatti con il continente
italiano. Le lunghe guerre di Carlo V peggiorarono le condizioni. L’amministrazione
spagnola, desiderosa di trarne vantaggi immediati, lasciò mano libera alla
nobiltà catalana e aragonese, impoverì le campagne e depresse le attività
cittadine tanto che si verificò un regresso demografico, accentuato dalla
malaria e dalle pestilenze della prima metà del secolo XVII.
Il periodo migliore fu il
regno di Filippo II (1556-98) per le riforme dell’amministrazione e della giustizia più rispettose dei diritti
sardi, per i provvedimenti in favore dell’agricoltura e dell’economia, per la difesa
della vita civile (furono costruite torri costiere contro le scorrerie dei
pirati), per le iniziative culturali. Tristissimo invece, per il malgoverno
impotente, corrotto e fiscale, il regno di Carlo II(m. 1700)seguito, per la
successione, da lotte interne tra austrofiti e francofoli e dalla guerra. I
trattati di Utrecht (1713) e di Rastatt (1714) assegnarono l’isola all’Austria,
ma la Spagna non si rassegnò e tentò la riconquista . Sconfitta dalla
quadruplice Alleanza ( Francia, Inghilterra, Austria, Olanda) col Trattato di
Londra (1718) dovette rinunciare definitivamente a favore di Vittorio Amedeo II
di Savoia, che prese possesso della Sardegna
(1720) inviando il barone di Sant-Remy con il titolo di vice ré. Ebbero
inizio allora alcune riforme , continuate con più ampio respiro da Carlo Emanuele III (1730-73) per dare vita
all’industria, rianimare l’agricoltura, riordinare l’amministrazione e la
giustizia, imitare i privilegi, soprattutto del clero. Le strutture feudali,
che tuttavia persistevano , cominciarono a destare insofferenze e fermenti,
specialmente dopo lo scoppio della
Rivoluzione a Parigi (1789). Il
malcontento non impedì però che i rami del parlamento , gli stamenti,
raccogliessero truppe locali e sventassero i tentativi di sbarco della flotta
francese (1792-93). In compenso della fedeltà chiesero al re riforme costituzionali . Il rifiuto provocò una
rivolta che, nata a Cagliari (1793) , dilagò in tutta l’isola scacciando i Piemontesi. Il moto tuttavia
mantenne un carattere economico e sociale
più che politico : fu volto contro i grandi feudatari e non contro
la sovranità dei Savoia, che anzi furono accolti esuli (1799) . La lotta
antifeudale si acuì nel 1795 con la
spedizione contro i maggiorenti di Sassari; ma le grandi famiglie , costretto alla fuga Gian Maria
Angioj capo dei rivoluzionari, predominarono nonostante il ripetersi delle sommosse . Carlo felice ,
prima come viceré poi come re, cercò di sanare le contese con quelle riforme che i suoi principi antiquati gli permisero.
Più innovatrici invece quelle di Carlo Alberto: abolizione dei diritti feudali
(1835) e, su richiesta del parlamento sardo, parità di diritti col Piemonte
(1847). L’insorgere di altri gravi problemi
minimizzò i miglioramenti. Questi divennero più sensibili solo dopo
l’unità d’Italia (1861) , favoriti da uno sfruttamento minerario più intenso,
dalla costruzione di ferrovie, da incentivi industriali. Ciononostante il
progresso era lento anche per l’accentramento politico e amministrativo non
sempre consono agli interessi isolani.
Nel primo dopoguerra vi fu un
tentativo per una maggiore autonomia. Di tale necessità si rese interprete il
Partito Sardo d’Azione, costituito durante
un congresso di combattenti a Oristano, alla vigilia delle elezioni del
1921, ma il fascismo pose fine alle
speranze e presunse di risolvere il problema
con la costruzione del centro minerario di Carbonia (1938) e di alcune
bonifiche. L’ultima guerra e i bombardamenti lasciarono l’isola prostrata. Il
ritorno della pace e della democrazia con il ripristino dei partiti, tra cui
quello Sardo d’Azione, alimentarono la speranza di trovare la via del progresso
nell’autonomia, finalmente concessa dalla legge costituzionale del 26 febbraio
1948, che sanzionò la nascita della regione autonoma sarda a statuto speciale,
con capoluogo Cagliari. In questo nuovo clima fu approntato il Piano di
Rinascita (1958).
Cagliari storia
CAGLIARI
Sorto probabilmente nel secolo
IX a.C. come insediamento fenicio,
l’abitato di Cagliari si sviluppò notevolmente a partire dal secolo VII a.C.
grazie all’attiva presenza dei Cartaginesi
che fecero della città un’importante base commerciale.
Con il 238 a.C. (anno in cui
passò nelle mani dei Romani) ebbe
inizio l’espansione latina
nell’isola; nel 48 a.C. fu eretta a municipio da Giulio Cesare. Con la
diffusione del cristianesimo nell’isola Cagliari fu innalzata (314) a sede
vescovile; l’occupazione dei Vandali nel
455 non spense l’attività religiosa e monastica della città. La conquista Bizantina (534) avvenne da parte delle
truppe di Giustiniano in una fase di sensibile decadenza e di impoverimento
causato anche dalla continua minaccia da parte di Goti, Longobardi e di altre popolazioni. Il controllo di Bisanzio divenne nel corso dei secoli
soltanto formale. Questo fatto è particolarmente evidente nel periodo (secolo
VIII-IX) della più intensa influenza saracena sulla città , frequentemente
saccheggiata e devastata. Per circa due secoli, fino al 1258, Cagliari fu così
capitale dell’omonimo giudicato, il cui dissolvimento fu segnato dalla
conquista da parte dei Pisani che vi
edificarono (1270) un imponente sistema di fortificazione (il Castrum Kallaris) in posizione tale da dominare l’abitato. L’occupazione pisana
coincise con un periodo di espansione economica
e di sviluppo artistico , particolarmente evidente nel campo
architettonico. La conquista Aragonese ebbe come antecedente la nomina a re di Sardegna , da parte di
Bonifacio VIII, di Giacomo II d’Aragona (1297) . La conquista della città
tuttavia fu attuata solo nel 1326 dopo
un assedio durato due anni. Dal 1355 fu per volontà di Pietro IV d’Aragona sede
del parlamento sardo. Alla dominazione aragonese subentrò nel 1708 quella austriaca, dopo il cannoneggiamento e
la successiva occupazione da parte della
flotta britannica che conquistò la città
per cederla all’arciduca d’Austria.
Nel 1718 Cagliari fu ceduta ai Savoia
che ne presero possesso due anni dopo
facendone la sede di un proprio viceré.
Nel 1793 resistette ad un assedio francese
e dal 1799 al 1814 fu residenza della famiglia sabauda , fuggita dal
Piemonte in seguito all’avanzata
Napoleonica . Nel 1862 furono abbattute le mura
e altre fortificazioni difensive per cui la città perse la sua
funzione di piazzaforte.
Durante la seconda guerra
mondiale subì danni per i ripetuti
bombardamenti aerei. Che causarono numerose vittime. Nel 1943 fu occupata dalla
truppe alleate.
martedì 20 novembre 2012
La Famiglia (nel diritto italiano)
Famiglia nel diritto italiano

La famiglia è disciplinata dal codice civile del 1942. In origine le norme scritte dal Legislatore erano improntate sul comune senso della famiglia ereditato nel corso dei secoli. Al centro della famiglia è collocato il padre-marito a cui tutti gli altri erano gerarchicamente sottoposti (madre, figli). Nella visione tradizionale della famiglia soltanto i figli legittimi godevano della tutela giuridica nella trasmissione del cognome e del patrimonio di famiglia. Erano esclusi dal concetto di famiglia tutti i figli nati al di fuori del matrimonio. Questa interpretazione tradizionale è stata progressivamente modificata ed adeguata alla società moderna, dapprima nella Costituzione del 1948 e successivamente tramite le leggi speciali di riforma del diritto di famiglia. La più importante è senza dubbio la riforma del 1975.
La famiglia nella Costituzione italiana
La famiglia è descritta con precisione nell'articolo 29 della Costituzione secondo cui:
"La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio." (art.29 Cost. II comma)
Con questa norma il Legislatore riconosce alla famiglia il ruolo ereditato dal diritto naturale, il quale preesiste alla disciplina dell'ordinamento giuridico. Nel secondo comma dell'articolo 29 della Costituzione il Legislatore modernizza la definizione della famiglia, specificando l'uguaglianza tra i coniugi:
"Il matrimonio è ordinato sull'uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell'unità familiare." (art.29 Cost. II comma)
Come si può facilmente interpretare, pur nei limiti a "garanzia dell'unità familiare", il ruolo del padre perde il suo carattere di centralità e di supremazia. Entrambi i coniugi hanno pari uguaglianza morale e giuridica. Questa nuova interpretazione trova ampia conferma nel successivo articolo 30 della Costituzione:
"E` dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio." (art.30 Cost. I comma)
Oltre ad assegnare i medesimi doveri e diritti ad entrambi i genitori, la parità dei coniugi, il primo comma dell'articolo 30 parifica espressamente la posizione giuridica dei figli nati all'interno e al di fuori del matrimonio.
L'art.31 della Costituzione il Legislatore riconosce alla famiglia di gruppo sociale primario dell'organizzazione sociale ed impone allo Stato il compito di proteggere e tutelare la famiglia:
"La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose." (art. 31 Cost. I comma)
Le norme costituzionali sulla famiglia hanno ridisegnato la famiglia nel diritto italiano, conferendo a quest'ultima importanti elementi di novità rispetto al passato e alla tradizione. Il processo di modernizzazione dell'istituto sarà ulteriormente portato avanti nella riforma del 1975 ed in quelle successive sotto il profilo dell'uguaglianza dei coniugi e della tutela dei figli. Con le nuove riforme la tutela dell'unità familiare viene subordinata al diritto della persona e alla tutela dei soggetti più deboli. In tal modo saranno introdotti nel diritto italiano alcuni strumenti, inizialmente non previsti nel diritto di famiglia, come il divorzio, la separazione e l'interruzione volontaria di gravidanza.
Sant'Agostino
Poesia di Sant'Agostino
LA MORTE NON È NIENTE
La morte non è niente.
Sono solamente passato dall'altra parte:
è come fossi nascosto nella stanza accanto.
Io sono sempre io e tu sei sempre tu.
Quello che eravamo prima l'uno per l'altro lo siamo ancora.
Chiamami con il nome che mi hai sempre dato, che ti è familiare;
LA MORTE NON È NIENTE
La morte non è niente.
Sono solamente passato dall'altra parte:
è come fossi nascosto nella stanza accanto.
Io sono sempre io e tu sei sempre tu.
Quello che eravamo prima l'uno per l'altro lo siamo ancora.
Chiamami con il nome che mi hai sempre dato, che ti è familiare;
parlami nello stesso modo affettuoso che hai sempre usato.
Non cambiare tono di voce, non assumere un'aria solenne o triste.
Continua a ridere di quello che ci faceva ridere,
di quelle piccole cose che tanto ci piacevano
quando eravamo insieme.
Prega, sorridi, pensami!
Il mio nome sia sempre la parola familiare di prima:
pronuncialo senza la minima traccia d'ombra o di tristezza.
La nostra vita conserva tutto il significato che ha sempre avuto:
è la stessa di prima, c'è una continuità che non si spezza.
Perché dovrei essere fuori dai tuoi pensieri e dalla tua mente, solo perché sono fuori dalla tua vista?
Non sono lontano, sono dall'altra parte, proprio dietro l'angolo.
Rassicurati, va tutto bene.
Ritroverai il mio cuore,
ne ritroverai la tenerezza purificata.
Asciuga le tue lacrime e non piangere, se mi ami:
il tuo sorriso è la mia pace.
Non cambiare tono di voce, non assumere un'aria solenne o triste.
Continua a ridere di quello che ci faceva ridere,
di quelle piccole cose che tanto ci piacevano
quando eravamo insieme.
Prega, sorridi, pensami!
Il mio nome sia sempre la parola familiare di prima:
pronuncialo senza la minima traccia d'ombra o di tristezza.
La nostra vita conserva tutto il significato che ha sempre avuto:
è la stessa di prima, c'è una continuità che non si spezza.
Perché dovrei essere fuori dai tuoi pensieri e dalla tua mente, solo perché sono fuori dalla tua vista?
Non sono lontano, sono dall'altra parte, proprio dietro l'angolo.
Rassicurati, va tutto bene.
Ritroverai il mio cuore,
ne ritroverai la tenerezza purificata.
Asciuga le tue lacrime e non piangere, se mi ami:
il tuo sorriso è la mia pace.
giovedì 8 novembre 2012
Bari
BARI
Centro di probabile origine illirica e prosperosa città
sotto i Greci, ottenne da Roma la dignità di municipium e l’unione alla tribù Claudia. Passata quindi sotto la
dominazione dei Goti fu in seguito contesa da
Bizantini e Longobardi e più volte saccheggiata e distrutta.
Conquistata dai Saraceni di Calabria (840) e liberata
trent’anni dopo da Ludovico II nell’875 passò all’imperatore d’Oriente che la
fece sede di un governatore generale (catapano)
con cui intendeva rafforzare il
proprio dominio nelle puglie .
Salvata a opera dei Veneziani
di Pietro Orseolo II da un nuovo assalto dei Saraceni (1002) , tentò inutilmente più volte di
scuotere il duro dominio Bizzantino
finché nel 1075 cadde in potere dei Normanni per mano di Roberto il
Guiscardo. A lungo contesa , prima da Boemondo e Ruggero e poi tra Grimoaldo e
Ruggero II, fu conquistata da Lotario II
(1136) e infine completamente distrutta da Guglielmo I il Malo (1156) .
Ricostruita dopo dieci anni e
fiorente sotto gli Svevi decadde di
nuovo con gli Angioini ; nel secolo
XV passò agli Aragonesi poi (1464)
ai duchi di Milano che vi tennero
splendida corte con Isabella di Aragona (1502.24) e Bona Sforza (1524-57),
quindi agli Spagnoli (1558) che tenendola per circa due secoli la oppressero
con gravami fiscali e malgoverno provocandone la decadenza .
Nel secolo XVIII dopo l’ascesa
al trono di Napoli della dinastia Borbone
, Bari come tutta la Puglia , cominciò a riprendersi grazie a riforme
decisive.
Dopo essere stata saccheggiata
dalle truppe del Cardinale Ruffo (1799) la città fu occupata dai Francesi nel 1806 ed ebbe un nuovo
impulso con G. Murat (1813).
Ritornata ai Borbone nel 1815,
entrò a far parte dello stato Italiano nel 1860.
Puglia
PUGLIA
Preistoria:
Tra le regioni italiane la
Puglia è forse una tra le più note, per
varietà di ambienti e per intensità di ricerche , per quanto riguarda la
preistoria del suo popolamento. I più
antichi complessi litici , riferibili a una fase arcaica del Paleolitico
inferiore italiano, si concentrano per lo più nel Gargano, dove sono state
rinvenute industrie attribuite all’Acheuleano antico (Forchione A e Masseria
Tiberio, A) , alla foce del torrente Romandato e nella foresta Umbra, dove
manufatti su ciottoli si trovano in associazione con materiali di aspetto clactoniano e
industrie definite Protolevallois. Una facies più evoluta dell’Acheuleano è
nota in diversi siti del Gargano, tra cui citiamo la serie di Forchione B e C.
Particolare importanza rivestono i livelli inferiori del riparo esterno di Grotta Paglicci in cui è stato rinvenuto
un Acheuleano superiore o finale.. Ancora di incerta attribuzione sono le
industrie su scheggia con caratteri arcaici, forse di età rissiana, nella
grotta dell’Alto e quelle rinvenute nei livelli inferiori di Grotta Romanelli
(Otranto), che potrebbero essere riferite alla fase più antica del Musteriano
pugliese, con strumenti spessi, elementi Quison e punte di Tayac; se non una
fase finale dell’Acheuleano, come
potrebbe indicare, tra l’altro, la presenza in questo complesso su calcare, di
un bifacciale. Alla stessa fase sono riferite
anche le industrie della Grotta del Cavallo (liv. M). di Uluzzo © e
dello strato 2 di Paglicci.
Industrie generalmente più piatte
e di tecnica Levallois, attribuibili a un Musteriano di fase più recente, sono
quelle provenienti dal Cavallo, da Grotta Bernardini, da Grotta Spagnoli e
dagli strati soprastanti lo strato 2 di Paglicci. Un aspetto particolare del
Musteriano pugliese e dato dall’utilizzazione
Cavallo (L), Bernardini (D), Uluzzo C (G) e Serra Cicora (F-B) vicino
Lecce, delle valve di una conchiglia, la Callista Chione, per la preparazione
di strumenti, analogamente a quanto avviene
altrove in Italia: alla grotta dei Moscerini (lazio) e ai Balzi Rossi di
Grimaldi (Liguria). Di particolare interesse è un femore umano neandertaliano
rinvenuto nei depositi Musteriani nella grotta di Santa Croce (Bari) . Le fasi
arcaiche del paleolitico superiore
(Uluzianoe Protoaurignaziano<9 sono bene attestate, in particolare la
prima, con datazione comprese tra oltre 32.000
e 29.000 a.C. circa : Cavallo, Uluzzo C, Bernardini, Parabita, serra
Cicora, Torre testa (Brindisi), Foresta Umbra, San pietro in Maida, Falce del
Viaggipo (Bari) . La lunga sequenza del Paleolitico superiore di Grotta
paglicci inizia con livelli Aurignaziani , recentemente individuati. Seguono
diverse fasi del Gravettiano, con datazioni C14 comprese fra 22.770 a.C. e
18.210 a.C., dell’Epigravettiano antico, presente, oltre a paglicci con
datazioni comprese tra 17.650 a.C. e
15.150 a.C., in diverse altre grotte e ripari come per esempio nella Grotta
delle Veneri di Parabita, a Taurisano (c14; 14.50//150 a.C. -13650//300 a.C.)
Grotta delle Mura , Cipolliane Bocca
cesira; nell’Epigravettiano evoluto noto
per esempio alle Cipolliane , alla Zinzolusa
e a Paglicci (con datazioni C14 13.320//220 – 13.510//220 a.C.) e
dell’Epigravettiano finale presente oltre che a Paglicci (con datazione C14 tra
12870//210 e 9490//220 a.C.), in numerose altre grotte, tra le quali si
ricordano la Grotta delle Mura e di Santa Croce (Bari), le Cipolliane,
Taurisano, Ugento e Grotta Romanelli, quest’ultima con datazione C14 comprese tra 9980//520 e 7100//100 a.C..
Alcune sepolture sono state rinvenute
negli strati gravettiani e dell’Epigravettiano finale, importanti
manifestazione di arte parietale
(raffigurazioni di cavalli e di mani in positivo e in negativo) sono state
riferite al Gravettiano o all’Epigravettiano antico, mentre l’arte mobiliare di Grotta Paglicci è presente in diversi
livelli compresi tra il Gravettiano evoluto e l’Epigravettiano finale.
La Puglia ètra le poche
regioni italiane che presentano inoltre reperti del Neolitico antico della
cultura della ceramica impressa, presenti in varie stazioni preistoriche, quali
Coppa Nevigata, Francavilla Fontana, Pulo di Molfetta, Isole Tremiti e altri
centri. Ai successivi stadi del neolitico appartengono i ritrovamenti di Grotta
scaloria, Ostuni, Molfetta, Masseria La Quercia, la Grotta Zinzolusa, Marina di
Novaglie, Scoglio del Tonno e quelli della grotta di Porto Badisco, di
eccezionale interesse per le pitture parietali neolitiche conservate nel suo
interno. Coi tempi eneolitico le maggiori novità culturali sono date dalla
presenza di sepolture in tombe a grotti cella, come quelle rinvenute a Cellino
San marco, Laterza e in altre località. Oltre che alla diffusione del
megalitismo, di cui testimoniano le numerose pietre fitte e vari dolmen.
A quest’epoca appartengono
molti ritrovamenti che dimostrano l’esistenza di rapporti col mondo egeo, i
quali proseguono nella media e tarda età del Bronzo, epoca cui si datano alcuni importanti abitati costieri (come la
stessa Coppa Nevigata), Scoglio del Tonno e Torre Castelluccia) con resti di fortificazioni,
che hanno restituito copiose quantità di ceramiche micenee o di imitazioni.
All’età finale del Bronzo sono inoltre datati numerosi ripostigli.
Storia:
In epoca storica la Puglia fu
abitata da genti illiriche e, sulle
coste, da coloni greci. Le guerre
sannitiche aprirono a Roma la
conquista totale dell’Apulia. Alcune città guidate da Taranto approfittarono
del successo di Annibale a Canne per
ribellarsi, ma le armi romane schiacciarono l’insurrezione. Con la divisione
Augustea Apulia e Calabria costituirono la II regione comprendente anche il
Vulture e parte del Molise.
Per la sua posizione
geografica invidiabile, in comunicazione con le provincie orientali
dell’impero, la Puglia romanizzata ebbe
un notevole sviluppo economico e il benessere e la pace sociale furono
mantenuti fino alla caduta dell’impero romano d’Oriente (476), allorché
subentrò la giurisdizione bizantina esercitata
da un catapano. Il dominio bizantino fu contrastato dai Longobardi a cui seguirono i Franchi,
i Saraceni, i Veneziani. Guerre, assedi, devastazioni, regimi fiscali
oppressivi e corrotti si avvicendarono con effetti rovinosi per la popolazione,
che più volte tentò di liberarsene ribellandosi. La più nota ribellione fu
quella promossa da Melo da Bari, che assoldò mercenari normanni (1016) e tentò,
ma inutilmente, di scacciare i
Bizantini. L’impresa riuscì invece ai Normanni d’Altavilla, che crearono nella
regione la contea di Melfi o di Puglia, affidata da un’assemblea di guerrieri a
Guglielmo Braccio di ferro (1043). Nel 1059 Roberto il Guiscardo ottenne da
papa Niccolò II, con l’accordo di Melfi, l’investitura e il titolo di duca di
Calabria e di Puglia in cambio di un atto di vassallaggio e di eventuali aiuti
militari. Il destino della regione ormai era legato a quello dell’Italia
meridionale avviata a unità politica, quantunque i Venziani tentassero di
impedire la formazione di uno stato
forte affacciato sul basso adriatico. Sotto gli Altavilla e gli Svevi (dal 1194) la Puglia godette di speciali
privilegi e di una certa autonomia amministrativa: Bari era un porto attivo per
i traffici con l’Oriente; Melfi era tanto importante e sicura che i papi la
scelsero come sede per solenni concili e qui fu emanata la raccolta di leggi di
Federico II per il regno di Sicilia, detta appunto Costituzione di Melfi
(1231). Il grande imperatore Svevo soggiornò spesso nella regione e, non
sfuggendogliene l’importanza strategica, la fortificò.
Dalla metà del secolo XIII la
Puglia, divisa nei tre giustizierati di Capitanata, terra di bari e
Terrad’Otranto decadde e subì passivamente l’alternarsi dei dominatori: gli Angioini dal 1266, gli Aragonesi dal
1442, gli Spagnoli dal 1504 e, dopo il breve periodo degli Asburgo (1714-38), i
Borbone.
La rigida struttura feudale
imposta dagli Angioini e mantenuta in seguito, la prevalenza dei latifondi e la
correlativa povertà dell’agricoltura, la scarsità di centri cittadini
economicamente e culturalmente aperti determinarono una struttura sociale
anomala, caratterizzata dalla divisione delle classi estreme: l’aristocrazia
baronale e la plebe (nell’assoluta maggioranza rurale) povera e ignorante.
L’assenza del ceto medio spense l’apporto della Puglia alla vita del regno fino
a tutto il Risorgimento. Dopo l’unità anche in quelle terre povere si sviluppò
il fenomeno del brigantaggio, nato soprattutto dalla delusione delle
popolazioni agricole che avevano sperato in un immediato sollievo dagli stenti
secolari.
Campobasso
CAMPOBASSO
Assai incerte sono le notizie
circa il periodo di fondazione della città e la sua storia nella fase
precedente il basso Medioevo.
Allo stesso modo solo ipotesi
si avanzano circa l’origine del suo nome, probabilmente derivato dal fatto che
il centro si è sviluppato nella piana sottostante l’altura che domina
l’abitato. Secondo altri, il nome deriverebbe, per la sua origine feudale, da campus vassorum, ovvero sede dei vassi o
vassalli.
Possedimento dei Monforte, fu
nel secolo XV coinvolta in ripetute
guerre in seguito alle quali essi speravano di rendersi indipendenti dai
sovrani aragonesi. Questi ultimi riuscirono invece negli ultimi anni del secolo
a stabilire con Ferdinando II un completo controllo sulla città, che fu
successivamente venduta ad Andrea di capua, capitano generale del papa Giulio
II.
Divenuta nel secolo XVI
dominio di ferrante Gonzaga e dei suoi
discendenti, passò ai Carafa nel 1688 e nel 1727 fu ottenuta mediante pagamento
da un gruppo di notabili locali che avviarono metodi oligarchici di governo.
Occupata il 13 ottobre 1943
dalle truppe anglo-americane, che la contesero ai Tedeschi fu teatro di strenui
combattimenti.
Dal dicembre 1963 Campobasso è
capoluogo della ventesima regione d’Italia.
Molise
MOLISE
Anticamente abitato dai
Sanniti dai quali derivò il nome di Sannio, il territorio del Molise, dopo le
devastazioni dei Goti (535-553), nel 570
fu annesso al ducato longobardo di Benevento.
Il secolo X vide il
consolidamento di alcune signorie feudali dopo la divisione del ducato di
Benevento(847).
Sorsero con le contee di
Venafro (964), di larino (975), di Trivento (992) e agli inizi del secolo XI di
Bjano, Isernia, Campomarino, sulle quali , con l’aiuto dei Normanni, prevalse
più tardi (circa 1053) quella di Bojano.
Primo signore fu Rodolfo; tra
i suoi successori, Ugo II (1128-68) nel 1144 assunse il titolo di conte,ma,
venuto a contesa con Ruggero II di Sicilia, dovette cedergli alcuni feudi.
In seguito ad una serie di
matrimoni fra le due case, l’integrità del Molise fu però conservata fino al secolo XIII, quando la contea passò a
Tommaso di Segni, conte di Celano. Costui la cedette a sua volta a Federico II:
dal 1221 al 1538 fu quindi sede con la Terra di lavoro di un giustiziar iato e intorno al 1531 fu
aggregata alla Capitanata .
Eretto in provincia autonoma
nel 1806, fu aggregato a Larino nel 1811 da G. Murat.
Durante la seconda guerra
mondiale fu scelto dagli alleati per lo sbarco sulle coste italiane che avvenne
a termopoli. Dal 1963 il Molise è regione autonoma.
Napoli
NAPOLI
Il nucleo originario sorse probabilmente sull’isolotto di
Megaride, su cui fu poi eretto Castel dell’Ovo, e alla base della collina di
Pizzofalcone, estendendosi poi in età greca
e in età romana repubblicana, più a nord est.
Neapolis (in greco città
nuova) sarebbe stata preceduta da una paleopolis (città vecchia) e da una Parthenope, fondazione di greci, presenti sul golfo fin dal secolo VII a.C. ma, il problema di
natura archeologica, rimane aperto. Certo concorsero alla formazione della
città esuli da Cuma, occupata dai Sanniti nel secolo V a.C.. Di origine
comunque greca, Napoli entrò nell’orbita romana nella seconda metà del secolo
IV a.C. e rimase fedele a Roma
contro Pirro e contro Annibale. Eretta a municipio (90 a.C.) fu coinvolta nelle guerre civili del secolo I
a.C. e ne riportò gravi danni. In età imperiale , fu largamente favorita dagli
imperatori e sviluppò le sue risorse di importante scalo marittimo, di sbocco
di un ampio retroterra e di centro
culturale .
Odoacre vi confinò l’ultimo
imperatore d’Occidente, Romolo Augustolo,
nella suntuosa villa di Lucullo. Conquistata dagli Ostrogoti (493), solo alla
fine della guerra greco-gotica passò dopo gravi sofferenze all’amministrazione
bizantina (553) come capitale di un ducato
largamente autonomo. Durante l’età bizantina
(553-1137), sotto i duchi, alcuni al tempo stesso vescovi, Napoli riuscì
a salvaguardare la propria libertà più volte seriamente minacciata, oltre che
da sporadici interventi diretti dei sovrani nominali di Bisanzio, dai
Longobardi, dai Franchi, dagli Arabi e dal Papato, con una politica duttile e
tortuosa di alleanze e con un intensa operosità. Attaccata da Roberto il
Guiscardo (1077) , non sostenne la successiva spinta dei Normanni di Ruggero II
d’Altavilla, divenuto re di Sicilia, l’annesse dopo una lunga lotta al regno
(1139). La città si adattò lentamente
alla perdita dell’indipendenza di cui di fatto aveva sempre goduto e a
essere proposta a Palermo, capitale del regno, come capoluogo del principato di
Capua; apprezzò tuttavia alcune temperate libertà concesse da Guglielmo II il
Buono, e quando l’eredità normanna passò a Enrico VI di Svevia sostenne contro
di lui il normanno Tancredi di Lecce, e si arrese allo Svevo solo dopo una dura
resistenza, che pagò a caro prezzo (1194). Il governo illuminato di Federico II
non valse a riconciliare del tutto
Napoli con la nuova dinastia, che le anteponeva sempre Palermo, e
l’assoggettava a un pesante regime fiscale. Dopo la scomparsa di Federico II,
nonostante la tutela papale, finì col cedere a Manfredi (1256), che s’adoprò
per accattivarsene la popolazione. Ma sotto l’egida papale Carlo I d’Angiò
instaurò un nuovo regime sulla rovina
degli ultimi Svevi (Manfredi vinto e ucciso nella battaglia di Benevento, 1266;
Corradino vinto a Tagliacozzo e decapitato a Napoli, 1268), e quando con la
rivolta dei Vespri perdette la Sicilia, fece di Napoli la capitale del regno. E
capitale di regno la città rimase fino al 1860. Grazie a questo ruolo essa
acquistò prestigio, divenne un centro politico ed economico internazionale, un
polo d’attrazione della cultura, soprattutto al tempo di Roberto il Saggio; ma
pagò con sacrifici gravissimi questa sua crescita, oppressa da un fiscalismo
implacabile e segnata da un sempre più profondo squilibrio sociale tra
un’esigua minoranza privilegiata e una massa crescente di popolo economicamente
e socialmente di livello umilissimo, con classe media esigua e per di più
costituita soprattutto di forestieri (fiorentini, veneziani, provenzali, fiamminghi).
L’amministrazione cittadina (con i cosiddetti “seggi”, rappresentanze dei
quartieri) aveva, nei confronti della corte, autonomia e mezzi molto limitati
per andare incontro ai bisogni della popolazione, spesso anche colpita da
calamità naturali. La città tuttavia godeva di fama e ammirazione universale.
Agli Angioini, che dopo Roberto volsero in una decadenza spesso tragica,
subentrò per conquista Alfonso V d’Aragona dopo un lungo assedio /1442). Benché
politicamente e culturalmente all’avanguardia nell’Italia dell’Umanesimo e del
rinascimento, la dinastia Aragonese fu non meno impopolare di quella angioina,
soprattutto per l’invadenza di elementi catalani in tutti i settori più
importanti della vita cittadina, né valse a conquistarle il popolo la sua
magnificenza. La sua fine ingloriosa, dapprima all’arrivo di Carlo VIII di
Francia, che vi entrò senza colpo ferire come rivendicatore dei diritti degli Angioini (1495), e infine
all’ingresso di Consalvo di Cordava, che
prese possesso della città in nome di Ferdinando il Cattolico (1503),
dando inizio alla dominazione spagnola , non fu per nulla ostacolata dalla
popolazione, divenuta politicamente indifferente, ancorché sempre
sensibilissima alle suggestioni della regalità. La città ebbe da allora una
notevole espansione, soprattutto a seguito dell’immigrazione di genti dalle
campagne, ma vide anche momenti assai tristi: l’assedio del visconte di
Lautrec, Odet de Foix (1528), l’insurrezione di Masaniello contro il viceré Ponce de Léon (1647), il diffondersi di una pestilenza
(1656) che dimezzò la popolazione, la congiura del principe di Macchia (1701).
Nel corso della guerra di
successione spagnola, il viceré di Napoli passò agli Austriaci (1707-34) nella
persona di Carlo VI d’Austria ma nel 1734 Carlo III di Borbone, figlio di
Filippo V di Spagna, cacciò gli austriaci da Napoli e la città, di nuovo
capitale di un regno apparentemente autonomo, ebbe un periodo di straordinario
splendore , si arricchì di monumenti, vide fiorire le lettere e le arti e potè
godere della politica riformista e illuminata di Carlo III e del suo successore
Ferdinando IV e della loro alleanza con la nobiltà locale.
Venne riformata l’università,
istituita la cattedra di economia politica e fondata l’Accademia Ercolanense.
Furono costituiti la biblioteca detta poi nazionale e il Museo, l’accademia
delle scienze, l’officina dei papiri e il Collegio Militare. Dappertutto furono
attuate audaci riforme politico-sociali. Gli avvenimenti legati alla
rivoluzione francese ebbero vasta ripercussione anche nel regno di Napoli:
Ferdinando IV partecipò alla colizione
antifrancese del 1798 e mandò un suo esercito al comando dell’austriaco
Mack contro Championnet: le truppe francesi ebbero però la meglio e il 24
gennaio 1799 fu costituita la Repubblica Napoletana o Partenopea che resistette
solo cinque mesi e fu abbattuta dalle truppe del cardinale Ruffo.
Il 16 febbraio 1806 la Francia
reagì agli atteggiamenti antifrancesi di Ferdinando IV con l’occupazione di
Napoli: il re dovette riparare in Sicilia e a Napoli si insediarono Giuseppe
Bonaparte e Gioacchino Murat poi ( 1808) , che realizzarono molte e radicali
riforme (abolizione della feudalità introduzione dei codici napoleonici) e si assicurarono la collaborazione preziosa
e convinta di numerosi uomini politici come Cuoco, Gallo, Delfico e altri. Nel
1815, con la caduta di Napoleone e il congresso di Vienna, Ferdinando IV
rientrò in Napoli assumendo poco dopo (22 dicembre 1816) il titolo di
Ferdinando I re delle Due Sicilie.
Sconvolta dalla rivoluzione
carbonara del 1820-21 Napoli ottenne da Ferdinando II, succeduto a Francesco I
(1830), la Costituzione. Malgrado la politica retriva dei suoi governanti, la
città vide un continuo progresso nel campo delle arti, delle lettere e della
tecnica (da Napoli salpò infatti il primo battello italiano a vapore e a Napoli
fu inaugurata nel 1839 la prima ferrovia della penisola, la Napoli-Portici) I
moti del 1848, in seguito ai quali la Costituzione fu revocata , prepararono la
liquidazione dei Borbone: il 7
settembre 1860 Garibaldi entrò in Napoli
e un plebiscito popolare sancì l’annessione della città al regno Sabaudo. Ulteriore prova di eroismo
diede la popolazione napoletana nel
corso della II guerra mondiale, quando ,
dopo più di centoventi bombardamenti
aerei, durante le quattro giornate di Napoli 28 settembre 1 ottobre
1943), costrinse il presidio tedesco alla capitolazione.
Ducato di Napoli:
Fu istituito nel 638
dall’esarca Eleuterio che per ristabilire il dominio di Bisanzio accentrò i poteri
civili e militari in un duca, sottoposto al patrizio o stratego di Sicilia. Il
ducato comprendeva agli inizi del secolo IX: Napoli, Cuma, Pozzuoli e Salerno.
Sin dalla sua istituzione fu coinvolto
in una lunga serie di guerre causate
dalla continua pressione del Longobardi
di Benevento , dei pontefici, degli imperatori bizantini e dei corsari saraceni , la cui prima
comparsa, dell’812, ebbe come conseguenza
la devastazione di Ponza e
Ischia. I Longobardi di Benevento , da parte loro, cinsero Napoli d’assedio per ben 5 volte
(822,831,832,836); dopo la seconda , essi portarono nella loro città quale
trofeo il corpo di San Gennaro.
Ma nell’836, a seguito di un
intervento saraceno invocato dai napoletani, furono costretti alla pace. Con Sergio I, conte di Cuma, il ducato che
in un primo tempo era stato elettivo divenne ereditario. Gli succedette il
figlio Gregorio III (864-870), al
cui fratello Atanasio, vescovo della
città, si deve se questa non fu distrutta dall’imperatore Ludovico II, quando
scese nell’Italia meridionale contro i Saraceni. Sergio II (870-877) parteggiò per i Longobardi e i Saraceni, così
che il fratello Atanasio II, vescovo di
Napoli, per istigazione del papa Giovanni VIII, lo accecò mandandolo poi in
prigione a Roma. Ma divenuto duca lo stesso Atanasio, per timore dei Bizantini
si alleò con i Saraceni e fu perciò scomunicato. Riconciliatosi poi col papa e
con l’aiuto dei Longobardi, riuscì a ridurre i musulmani sulle rive del Liri e
del Garigliano . Di qui poi furono scacciati da Gregorio IV (839-915), che si
avvalse dell’aiuto dei Capuani, dei Bizantini e degli Amalfitani.
Con i duchi successivi iniziò
la decadenza : a Giovanni II
(915-919) e Marino I (919-928)
succedette Giovanni III (928-968)
che acquisì benemerenze culturali, ma nel 955 si sottomise alle forze bizantine
inviate ad assediare la città. Marino II
(968-977) fu insignito dall’imperatore bizantino del titolo di “ imperiale antipato e patrizio”: ma
Sergio III (977-999) nel 981 fu costretto ad aprire la città a Ottone II di Sassonia; Sergio IV (1003-34),
incautamente intervenuto nelle vicende del principato di Capua, fu costretto ad
abbandonare la città a Pandolfo IV di Capua, favorito forse dagli stessi
Napoletani malcontenti di lui. Ma, grazie al favore dell’Imperatore Corrado II
e alla banda di mercenari normanni di Rainulfo Drengot, recuperò il ducato
(1030); i Napoletani tuttavia gli imposero come condizione della sua
restaurazione , un importante factum (1030), che garantiva a tutti i cittadini:
proprietà, libertà personale, libero commercio, rispetto degli stranieri,
rinuncia a fare guerra, pace e alleanze senza il consiglio della maggior parte
dei nobili napoletani.
Rainulfo Drengot fu compensato con la cessione del feudo di Aversa , che divenne in breve una ben munita fortezza . I successivi duchi
furono impegnati soprattutto a difendersi dai Normanni, che trovarono proprio
in Aversa una testa di ponte per la successiva immigrazione degli Altavilla., i conquistatori di tutto il
mezzogiorno . Attaccata da Roberto il Guiscardo, Napoli conservò la sua
indipendenza fino all’avvento di Ruggero II al regno di Sicilia , al quale il duca Sergio VII (ca 1121-37), dopo
avere resistito a due assedi, nel 1137 dovette cedere; gli fu poi leale
vassallo fino alla morte. Il ducato
entrò allora a far parte della monarchia
Normanna . I Napoletani dovettero consegnare
al re le chiavi della città (1139) che poté tuttavia conservare i suoi antichi privilegi come soggetta all’alta
sovranità dell’imperatore bizantino.
Regno di Napoli:
La vittoria ottenuta nel 1266
da Carlo I d’Angiò contro Manfredi segnò, col passaggio dell’Italia meridionale
agli Angioini, l’avvio di quel
processo di distacco della Sicilia dal continente che nel 1282 si concretizzò
nei Vespri Siciliani e nella successiva
separazione dell’isola dal regno Angioino . Oltre che capitale, Napoli dicenne
così il centro di gran lunga più importante
della nuova entità statale , nell’ambito della cui storia la fase angioina si protrae dal 1266 al 1442. Morto carlo I
nel 1285, gli succedette il figlio Carlo II, ma costui potè prendere possesso
del regno solo nel 1288, allorché gli Aragonesi, che lo avevano fatto
prigioniero, lo liberarono in seguito alla stipulazione del Trattato di
Camporeale. Proseguite fino al 1303, le ostilità tra regno napoletano e
Aragonesi per il possesso della Sicilia si chiusero con la costituzione in Sicilia di un regno di Trinacria in mano
agli Aragonesi. Nel corso di queste vicende gli interessi degli Aragonesi
furono più o meno apertamente difesi dai
pontefici Martino IV, Onorio IV, Niccolò IV e Bonifacio VII e ciò ebbe come
conseguenza, nel periodo successivo, un allineamento del regno napoletano sulle
posizioni papali.
Simili orientamenti
trovarono la loro più ampia
concretizzazione nel lungo regno di
Roberto (1309-43), che si oppose non solo nell’Italia meridionale, agli
interessi imperiali e, nel nome della più assoluta fedeltà al soglio
pontificio, favorì ovunque le correnti più intransigenti del guelfismo. Morto
Roberto, la corona passò alla nipote Giovanna I (1343-81), sotto il cui regno
esplose il conflitto per la successione
tra i seguaci di Carlo III di Durazzo e quelli di Luigi, duca d’Angiò.
Proseguita dai figli dei contendenti,
questa lotta portò al trono Ladislao di Durazzo (1386-1414) che si rifece alla
politica di Roberto. Al regno di Giovanna II (1414-35), ultima sovrana del ramo
Angiò-Durazzo, seguì, dopo un nuovo periodo di lotte, Alfonso I d’Aragona
(1442-58), che assunse per la prima volta il titolo di “ re delle due Sicilie!
E con cui ebbe inizio una successiva fase, quella aragonese appunto, della
storia del Regno. Nonostante le sue ambizioni di conquista nell’Italia
settentrionale , Alfonso operò per rilasciare economicamente e culturalmente il regno
dissanguato dalle precedenti
guerre e fece gravitare su Napoli
il resto dei suoi domini: Sicilia, Sardegna, Aragona e Baleari. Le complesse
vicende politiche della penisola
attrassero però nel regno di
Napoli il sovrano francese Carlo VIII, che, terminata nel febbraio 1495 la
conquista dello stato meridionale fu costretto
a risalire la penisola lasciando Napoli
a un successore di Alfonso, Ferdinando II. Occupato nel 1500 da Francesi
e Spagnoli, il regno fu nuovamente oggetto di contesa tra le due potenze che
non riuscirono a trovare un accordo,
situazione di cui si giovò la Spagna , che riuscì ad estendere il proprio potere all’intero territorio. A
caratterizzare la fase Spagnola (1504-1707)
contribuirono fattori politicamente
ed economicamente negativi quali la sclerotizzazione di classi parassitarie legati all’occupante , ma pronte a tributare
ad altri i propri favori pur di
mantenere inalterato il proprio potere .
A scuotere l’immobilismo
politico e la cristallizzazione degli squilibri sociali di questo periodo non valsero le celebri insurrezioni di Napoli
(rivolta di Masaniello, 1647) e di Messina (1674). Tra il 1707 e il 1734 il
regno fu dominato dagli Asburgo d’Austria , che videro nel 1713 rafforzato il proprio
potere in seguito alla stipulazione del trattato di Utrect,che, ponendo fine alla
guerra di successione spagnola ,
rafforzò l’influenza austriaca in Italia . Nel 1735 re Carlo III di Borbone ebbe, in seguito alla
stipulazione del trattato di Vienna , che pose fine alla guerra di successione
polacca , il diritto , per se e per i
propri successori, di esercitare il potere
della dinastia borbonica sul
regno napoletano. Il periodo che va dal
1734 al 1860 costituisce dunque , con le eccezioni della Repubblica
Napoletana e del periodo dell’influenza francese , la fase borbonica del regno.
Caratterizzato all’inizio da spinte progressiste, questo periodo vide in
seguito stemperarsi progressivamente le tensioni al rinnovamento, parallelamente al delinearsi
di un amministrazione sorda a qualsiasi
istanza popolare, e per contro, disponibile a far di tutto per perpetuare
quell’immobilismo politico , economico e sociale, che già dal tempo del dominio
spagnolo tanto aveva nuociuto alla causa dello sviluppo dello stato. Nel 1759 Carlo III di Borbone ebbe il regno di
Spagna e questa eventualità, prevista
dal trattato di Aquisgrana del 1748,
avrebbe dovuto, in base a quegli accordi , provocare l’ascesa al trono di Napoli di suo fratello Filippo. Carlo eluse però le clausole
accettate undici anni prima e riuscì a lasciare al figlio Ferdinando
la corona dell’Italia meridionale. Salito al trono come Ferdinando IV di Napoli
e III di Sicilia , questi proseguì la politica moderatamente illuministica
avviata dal suo predecessore su suggerimento del proprio consigliere Bernardo Tanucci che l’aveva seguito da Parma
a Napoli. Particolarmente nei confronti dei privilegi ecclesiastici Tanucci,
che rafforzò ulteriormente la propria influenza sulle decisioni della corona
sotto il regno di Ferdinando , agì con decisione espellendo, per esempio, i
gesuiti e requisendone i beni. La politica filo spagnola caldeggiata da
Tanucci irritò però gli Asburgo, che
aspiravano ad estendere ulteriormente l’influenza politica di Vienna sulla
penisola.
Maria Carolina d’Austria
riuscì ad ottenere nel 1776 l’allontanamento dello scomodo ministro e
l’allineamento di Napoli su posizioni filo asburgiche. Conseguenza di ciò fu la
fine del riformismo in politica interna e l’aperta conversione della corona a
quei criteri immobilistici e conservatori che, come s’è detto,
caratterizzarono, in una visione d’insieme, il dominio borbonico sull’Italia
Meridionale. All’effimera parentesi della Repubblica Napoletana (1799) seguì
quella dell’influenza francese , che si articolò in una fase di semplice
condizionamento politico napoleonico (1800-06), nel regno di Giuseppe Buonaparte (1806-08) e in
quello di Gioacchino Murat (1808-15)
.
Rientrato a Napoli nel 1815,
Ferdinando riebbe il proprio potere parallelamente al definitivo declino delle fortune
napoleoniche e l’anno seguente unificò anche formalmente la Sicilia e Regno di
Napoli dando vita al Regno delle due Sicilie (1816-60), alla testa del quale si
pose assumendo la denominazione di Ferdinando I.
Turbata dai moti popolari del
1820-21, l’ultima parte del regno di Ferdinando I fu caratterizzata
dall’adozione di drastiche misure repressive sulle quali, oltre che
sull’appoggio austriaco, la dinastia borbonica poneva ormai tutte le proprie
speranze di mantenersi al vertice dello
stato. Morto Ferdinando nel 1825, gli succedette il figlio Francesco I
(1825-30), che nel 1828 represse con estremo vigore i moti del Cilento.
Ferdinando II (1830-59) governò secondo
criteri impopolari che alienarono ulteriormente alla dinastia borbonica le
simpatie della popolazione , rafforzando
così i presupposti per il crollo che sotto il suo successore Francesco II
(1859-60), travolse, con la dinastia al potere, la stessa istituzione statale
dell’Italia meridionale.
Iscriviti a:
Post (Atom)