N 7) Itinerari, luoghi della fede
SANTA CATERINA DEL
SASSO
A picco sul lago, abbarbicato
su uno strapiombo di parete rocciosa, è senza dubbi un luogo ideale per
meditare e ritrovarsi.
Su una parete rocciosa a picco
sulla riva lombarda del Lago Maggiore, in una terra di borghi e castelli di
antiche signorie, si trova l’eremo di Santa Caterina del Sasso. A dominare,
custodito dalla montagna scavata, è il silenzio, fratello dell’acqua e delle
pietre.
Un po’ di storia: Secondo la tradizione, l’eremo è stato fondato da
Alberto Besozzi, un ricco mercante originario del paese di Arolo che 900 anni
fa, mentre attraversava il lago rimase vittima di un nubifragio. Pensando di
non avere più speranza di salvezza, invocò l’aiuto divino e promise che avrebbe
cambiato vita, facendo un voto a Santa Caterina d’Alessandria, alla quale era
molto devoto.
Unico sopravvissuto da quel
naufragio, nel corso del quale morirono tutti i suoi compagni. Alberto approdò
a una piccola insenatura nei pressi di Leggiuno , tra Ispra e Laverno, dov’era
situato un sasso attaccato alla costa denominato “Ballarò”, in riferimento alla
sua instabilità.
Qui visse da eremita per
trentacinque anni. Nel 1195, durante una pestilenza, gli abitanti di Arolo si
rivolsero, in cerca di aiuto, all’eremita, che in cambio della grazia chiese la
costruzione del sacello di Santa Caterina, visibile ancora oggi sul fondo della
chiesa. Alla morte del beato Alberto, nel 1205, da ogni parte del lago la gente
proveniva per invocare la grazia e guarigioni.
Dopo un primo periodo storico,
durante il quale a soggiornarvi furono i domenicani, dal 1314 al 1645 guidarono
l’eremo i frati del convento milanese di Sant’Ambrogio ad Nemus, sostituiti dai
carmelitani fino al 1770. Dal 1970, l’eremo, di proprietà della provincia di Varese
è abitato dagli oblati benedettini. Il
complesso monumentale raccoglie tre diversi nuclei spirituali: il convento
meridionale, il Conventino, e la chiesa di Santa Caterina.
Il convento meridionale: Qui nel XVI secolo erano stati realizzati
alcuni locali e alcune camere per ospitare i pellegrini che volevano
pernottare.
Ma il fatto che le donne
dovessero attraversare gli edifici monastici per andare in chiesa provocò l’ira
di Papa Gregorio III che emanò una scomunica, che fu tolta solo nel 1574.
In quell’occasione furono dati
quattro mesi di tempo per costruire la nuova strada che conduceva alla chiesa,
senza passare per il monastero. L’intero edificio si sviluppa attorno ad un
nucleo più antico che corrisponde all’odierna aula capitolare: si tratta di una
sala gotica del XIV secolo, dove tra le finestre campeggia una crocifissione
con Sant’Ambrogio e Santa Caterina. Un dipinto del 1439 raffigura Sant’Eligio
che guarisce un cavallo con un ginocchio fratturato, affiancato dal patrono
degli animali Sant’Antonio Abate, con il caratteristico bastone con la
campanula, il fuoco ed il suino.
Anche gli affreschi, così come
l’intero eremo, sembrano sospesi tra il lago e il cielo.
Il conventino: L’edificio risalente al XIV secolo, anticamente
ospitava a pian terreno la cucina. Il
convento meridionale è collegato alla chiesa da un porticato sul quale è
raffigurata la cosiddetta “ danza
macabra”, con dieci scene che ricordano la fugacità della vita e le cose
terrene, e come la morte può apparire
in tutti gli stadi della vita, con le persone più diverse.
Tra i personaggi raffigurati,
un senatore, un mercante, un cortigiano, un frate , un vescovo e un cardinale,
tutti alle prese con la realtà improvvisa della morte, illuminata però dalla
resurrezione di Cristo. La tematica è cara alla spiritualità seicentesca, e
affonda le sue radici nel pietismo popolare del nord Europa nei secoli XIV- e
XV : le scene sottolineano l’uguaglianza degli uomini di fronte alla fine della
vita, comprensibile solo alla luce del mistero cristiano.
La chiesa che contiene altre chiese: La chiesa risale alla fine del
XVI secolo , ossia il periodo di massimo fervore edilizio dell’eremo, e per
realizzarla sono stati fusi edifici storici che erano presenti da prima: le tre
cappelle, tutte orientate verso dove nasce il sole e dedicate a Santa Caterina
a San Nicola e a Santa Maria Nova, sono parte absidali di chiese preesistenti.
Nel presbiterio spicca la raffigurazione di un affollato paradiso con il Padre
Eterno e gli angeli. Nei costoloni, quattro medaglioni con raffigurazione del
vecchio testamento (Mosè, Giosuè, Gedeone e Aronne) e, nelle vele, i quattro
padri della chiesa latina accostati ai quattro evangelisti con relativi
simboli: Sant’Ambrogio e San Giovanni con l’aquila, Sant’Agostino con San luca
e il bue, San Girolamo con San Matteo e l’angelo e San Gregorio Magno con San
Marco e il leone.
La pala dell’altare maggiore è datata 1612 e
porta la firma del milanese Giovanni Battista de Avocatis: raffigura San
Nicolao da Mira e il beato Alberto Besozzi che assistono al mistico matrimonio
di Santa Caterina con la corona regale e ai piedi gli strumenti del martirio,
avvenuto nel 307.
Il sacello di Santa Caterina: E’ il cuore del primo nucleo del
santuario, ed è qui che dal 1535 sono custodite le reliquie del beato Alberto. Costruito ad un livello più basso del resto
della chiesa, secondo la leggenda era di dimensioni identiche al sepolcro di
Santa Caterina sul monte Sinai. E’ adornato di affreschi dal gusto
popolare, risalenti al XVI secolo, e raffiguranti il trasporto del corpo della
santa da parte degli angeli, le sue nozze mistiche fra Sant’Ambrogio, San
Gregorio Magno e Sant’Agostino. Qui si trova la fotografia più antica di Santa
Caterina del Sasso: un affresco del XVI secolo che ritrae il convento
all’epoca: una volta vi era più spazio e c’era una parte verde sospesa a picco
sul lago, crollata per l’erosione degli agenti atmosferici. Da una parte del
dipinto si intravede il beato Alberto che si affaccia da una finestra e cala
dalla parte rocciosa un cestino per ricevere le elemosine dei pescatori,
necessarie alla sopravvivenza durante il suo eremitaggio.
La cappella dei sassi: E’
quella dedicata al beato Alberto Besozzi, e si chiama così perché all’inizio
del XVI secolo cinque macigni pesanti due tonnellate si staccarono dalla parete
rocciosa sovrastante, alta circa venti metri rimanendo miracolosamente sospesi
nel vuoto, impigliati nella volta. Gli enormi massi oggi non sono più presenti
perché rimossi nel 1983.
Un ascensore da record: Spostandosi verso l’alto dell’eremo, si
arriva in cima mediante una scalinata. Qui si trova un vero e proprio gioiello
di ingegneria: si tratta di un ascensore da guinness dei primati, realizzato
scavando nella roccia un pozzo di sei metri di diametro e cinquantuno di
profondità. La presenza dell’ascensore rende l’eremo accessibile ad anziani e
disabili, ma chi lo desidera si può
cimentare nella salita di 268scalini, costruiti dai frati nel Medioevo e oggi
percorsi da circa duecentomila turisti che ogni anno vengono qui, come
racconta il priore padre Roberto Commoli (2013). “ C’è il turista che viene
perché il posto è bello, un vero incanto della natura a dir la verità, ma c’è
gente che cerca Dio” , spiega. E queste persone “si riconoscono perché si
vedano meno, si defilano, vanno in chiesa, si raccolgono, cercano la
solitudine”. Chi viene qui vuole “incontrare il mondo monastico”, ma l’eremo
accoglie anche piccoli gruppi, per i quali, aggiunge il monaco benedettino,
nonostante gli spazi ridotti, organizziamo momenti di raccoglimenti, adorazioni
eucaristiche. Molti fedeli vengono per la messa
festiva e spesso, conclude, ospitiamo gruppi provenienti dalle
parrocchie dei dintorni.
Storie di vita monastica:
Possono essere sacerdoti o laici, e seguono la regola benedettina senza
dover necessariamente diventare membri di un monastero dell’ordine di San
Benedetto. La parola “oblato” deriva
dal latino e significa “ offerto”,
in riferimento al fatto che queste persone dedicano la vita a Dio e al suo
servizio. Prestano testimonianza di fede, sono legati alla comunità di
preghiera del monastero e devono perciò farsi carico, ciascuno per la sua
parte, dei problemi della comunità monastica nelle loro preghiere e nelle loro
azioni. Nell’eremo di Santa Caterina del Sasso vivono sette oblati, di cui
quattro donne. La regola, dettata nel 534 da San benedetto da Norcia, che fece
tesoro anche di una breve esperienza personale di vita eremitica, si snoda
attraverso la preghiera, comune e personale, e il lavoro: il motto, infatti è
“ora et labora”.
L’Officina di Santa ILDEGARDA:
All’interno dell’eremo si trova un erboristeria che mira a rivalutare
la figura della santa Ildegarda di Bingen, mistica, profeta, scienziata e primo
grande medico della Germania. Collegando l’antico ed il moderno, preservando lo
spirito scientifico di Ildegarda, proclamata dottore della chiesa lo scorso
ottobre da Papa Benedetto XVI, senza
tradire le ricette antiche sono state selezionate piante e metodi per ottenere
prodotti naturali dai cosmetici agli unguenti.
All’interno della farmacia medioevale ispirata alla badessa benedettina
del XII secolo, tra la musica e la luce delle vetrate il viandante respira
un’atmosfera di altri tempi, e tra gli aromi tonifica corpo e spirito.
Come giungere all’eremo:
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