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lunedì 15 aprile 2013

PULSANO, ABBAZIA DI SANTA MARIA


N° 9) Itinerari , luoghi della fede
PULSANO, ABBAZIA DI SANTA MARIA
L’ABBAZIA DEDICATA A Santa Maria è su un vasto altopiano. Attorno 24 eremi, con celle e angoli di culto collegati tra loro da una rete di stradine e sentieri scoscesi ricavati nella roccia.

In uno scenario di rocce grigie che s’affacciano in strapiombi profondi oltre 200 metri, su un massiccio roccioso a guardia del golfo pugliese di Manfredonia, si trova l’Abbazia di Santa Maria di Pulsano. A circa nove chilometri a sud-ovest dal centro abitato di Monte Sant’Angelo, in provincia di Foggia, l’abbazia fu costruita nel VI secolo sul colle di Pulsano per volere del papa monaco San Gregorio Magno ed è stata nei secoli meta di religiosi che si sono dedicati alla contemplazione e all’ascesi.
La chiesa abbaziale: Edificata sui resti di un antico edificio pagano, l’Abbazia di Santa Maria di Pulsano è parzialmente ricavata da una grotta naturale che fa da abside ed è circondata da robuste mura perimetrali. La chiesa, in stile romanico, mette insieme la sapienza dell’uomo e la grandezza della natura. Nel 1129, San Giovanni Scalcione da Matera arriva in questo luogo per fondare un ordine di eremiti, uomini che sceglievano l’isolamento per dedicarsi alla preghiera. Secondo la leggenda, il santo costruì l’edificio, in stile romanico, proprio dove gli aveva indicato la Vergine apparendogli in sogno. Qui sono conservate le reliquie dei martiri Lorenzo, Ippolito, Nicandro e Valeriano, traslate da Papa Alessandro III, pellegrino al Gargano nel 1177. Nel XII secolo, l’abbazia conosce il momento di massimo splendore, divenendo uno dei monasteri più potenti d’Italia meridionale, grazie anche alle consistenti donazioni dei benefattori, tra i quali anche sovrani come Ruggero II d’Altavilla e Federico II, e fu inoltre famoso centro miniaturistico. Fino al 1966, vi è stata conservata un’icona medioevale della Madonna con Bambino, in seguito rubata.
All’interno, sugli alti pilastri della navata unica con volta a botte interrotta da grandi archi trasversali, alcune decorazioni scultoree raffiguranti aquile, teste umani e altri animali. Dinanzi all’altare è collocata un’antichissima mensa quadrata, uno dei pochi esempi di altari bizantini ancora presenti in Italia. Sotto di esso furono conservate per sette secoli le ossa di San Giovanni Abate e sono ancora custoditi i resti mortali di altri santi monaci pulsanesi in particolare del Beato Giovanni da Siponto detto il buono. Oggi, davanti all’altare si trovano un coro ligneo ed una iconostasi, necessari, rispettivamente, per la recita del divino ufficio  e per la celebrazione della messa bizantina secondo il rito di San Giovanni Crisostomo.
I monaci, così, possono celebrare  rituali antichi  ma sempre nuovi, nella Puglia bizantina e cattolica che è culla naturale sia della liturgia  orientale che di quella latina.
Carico di spiritualità: “ Qui gli uomini si fermano per cercare Dio”, spiega padre Piero Distante, 51 anni, da due priore dell’abbazia (2013) , dove, in un clima di raccoglimento e silenzio, vivono cinque monaci secondo la regola benedettina del raccoglimento, del lavoro e dell’accoglienza. La giornata è ritmata dalla preghiera: iniziano con il mattutino alle 6, la lectio divina, le lodi alle 7,30, alle 12,30 l’ora media, alle 18,30 il canto del vespro. La messa il martedì, il venerdì e la domenica. “E poi manteniamo la struttura, lavoriamo l’orto, abbiamo gli animali. Il nostro stare qui è un segno. Il monachesimo nella chiesa continua quel servizio di pastore che Cristo ha affidato a Pietro. Il nostro stare qui è una scelta personale ma che si apre al mondo: durante la Quaresima e l’Avvento, i monaci organizzano, la domenica pomeriggio, incontri biblici aperti a tutti.
A scuola di Icone: L’Abbazia, racconta padre Piero, è visitata da diverse migliaia di persone all’anno, maggiormente in estate e in primavera. Ma tutto l’anno è attiva una scuola di iconografia pensata per avvicinare all’immenso patrimonio teologico-spirituale delle icone, giovani ed adulti desiderosi di impararne la simbologia e il significato teologico. Sotto la direzione di maestri iconografici “diamo la possibilità di conoscere l’arte sacra”, spiega padre Piero , perché “ attraverso i segni, l’orante non solo contempla, ma è partecipe. Nell’iconografia, la prospettiva è inversa perché il punto di fuga non è in fondo ma davanti: è il cuore di chi contempla”.
Gli eremi: Nei pressi dell’Abbazia, che nella foresteria può ospitare qualche pellegrino per brevi periodi, si trovano numerosi eremi (per ora ne sono stati censiti 24) alcuni dei quali collocati in luoghi davvero inaccessibili, che sono stati il “Luogo del cuore” del Fondo Ambiente Italiano (FAI) più votato del 2011. Arrivare agli eremi “ è impegnativo” spiega padre Piero. “ giungere sul luogo vuol dire conoscere  la vita delle persone che sono state li. E finire per confrontarsi con Dio e sul posto che ha nella nostra vita”.  Queste celle ricavare dalle grotte sono state, nei secoli, abitate da monaci certamente in comunicazione tra loro: alcuni degli eremi, inoltre, sono affrescati e collegati da scalinate e sentieri e da una vera e propria rete idrica composta da canali scavati nella roccia per convogliare le acque. Da qui sono passati i Saraceni con le loro incursioni, ma anche diversi ordini monastici. “ Questi eremi, racconta padre Piero, sono la testimonianza di una ricerca che continua ancora e del primato di Dio nella vita dell’uomo.
 Chi viene è animato dal desiderio di inseguire Cristo, dall’amore e dalla libertà, perché chi non è libero si sentirà sempre prigioniero di quello che il mondo offre. Se non ci si libera di tutte le catene che ci porta indietro, non si può rimanere qui.
Il più antico: Quello dedicato a San Gregorio Magno, il grande monaco-papa fondatore del monachesimo in terra garganica,, è forse il più antico luogo di eremitaggio sul colle di Pulsano. E’ costituito da un ampia cavità naturale e fino a pochi anni fa era abbandonato e adoperato come stalla dai pastori della zona.
Grazie al lavoro dei volontari , nel 1995 è stato ripulito e ripristinato a luogo di preghiera e di meditazione. Attualmente è impiegato per celebrazioni, conferenze e accoglienza di gruppi.
Una rete di canali: All’eremo di San Michele Arcangelo si accede dal piccolo piazzale antistante la chiesa. E’ costituito da tre locali comunicanti, scavati nella roccia, destinati a celle per gli eremiti, e da una cappella in muratura che si affaccia su uno strapiombo. Se della piccola cappella restano solo le strutture murarie laterali, nelle celle è possibile osservare una rete di piccoli canali scavati nella roccia per convogliare le acque: un vero e proprio gioiello, una testimonianza singolare del recupero e dell’utilizzo prezioso dell’acqua. In quest’ eremo avrebbe soggiornato San Francesco d’Assisi nel 1216 e, nel 1295, San Celestino V.
In fondo al vallone: Formato da due vani ricavati in parte da una cavità naturale e in parte da murature, l’eremo di San Nicola presenta due ingressi scavati nella roccia.
All’interno dello stipite di uno di essi, è scolpita una grossa croce greca con al centro un’altra più piccola. Sulle pareti, vi sono resti di affreschi, tra cui una Annunciazione della Vergine e una Crocifissione con religiosi, un monaco e un abate inginocchiati in adorazione.
La macina ricavata dalla roccia: Costruito a 400 metri di altezza, si affaccia su un abisso ed è un po’ più distante dall’abbazia. Questo eremo si chiama così perché in uno dei locali che lo formano ospita una macina ricavata nella roccia e una cisterna destinata a raccogliere l’acqua piovana, intercettata tramite una rete di canali incavati nella roccia. Le lunghe mura perimetrale e gli spiazzi antistanti fanno intendere che doveva essere uno dei principali eremi della comunità monastica allora presente, come luogo di culto, di abitazione, di coltivazione e di produzione e conservazione alimentare. Vi è anche un altare in pietra sul quale si apre una nicchia scavata nella roccia, e i resti di un affresco dell’Immacolata Concezione, di San Giovanni Battista e lo Spirito Santo in forma di colomba.

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