LE ORIGINI DELL’UOMO
Dai più antichi ominidi all’Homo sapiens. Ecco cosa sappiamo delle tappe percorse dalla nostra specie durante l’evoluzione.
Antenati: il viaggio dell’uomo è cominciato 6 milioni di anni fa. Oggi i paleontologi possono tracciarlo con una certa precisione. Proprio come possono essere ricostruite le facce dei nostri predecessori.
Sei milioni di anni fa in Africa orientale la foresta si era in parte ritirata. Per lasciare una serie di isole verdi, grandi boscaglie ricche di cibo, separate fra loro da distese coperte da alti steli d’erba. Le scimmie antropomorfe che da tempo prosperavano nella zona, per passare da un isola di foresta all’altra dovettero uscire allo scoperto, e attraversare queste distese bruciate dal sole, dove i leopardi erano in agguato.
Per guardarsi intorno, al di sopra delle erbe, alcune scimmie impararono a camminare per lunghi tratti sui soli arti inferiori. Così potevano scorgere oltre gli steli d’erba ingiallita eventuali pericoli, vigilare sulla prole. Muovendosi in gruppo, gli adulti erano anche capaci di brandire bastoni e lanciare sassi per la difesa collettiva. I camminatori più abili potevano vivere più a lungo, fare più figli e garantirne la crescita. Il loro Dna passava in questo modo ai posteri, migliorando e fissando di generazione in generazione la caratteristica della deambulazione eretta.
E’ così che gli antropologi spiegano l’origine del bipedismo, l’adattamento più importante dell’evoluzione umana, quel lungo processo che ha visto nascere e poi estinguersi una ventina di “ominidi” fino alla permanenza sulla Terra di uno solo, l’Homo sapiens: cioè la nostra specie . “La locomozione bipede lasciò le mani libere per il trasporto del cibo, oggetti e figli piccoli” spiega Giorgio Manzi, paleoantropologo dell’Università La sapienza di Roma.
“Mani adatte a una presa di precisione, che consentiva una migliore manipolazione di oggetti, e alla fabbricazione di strumenti di pietra, che potevano percuotere e quindi staccare schegge da ciottoli. Del resto, la manualità, in un circolo virtuoso, fu il presupposto dello sviluppo del cervello”. Calcolando attraverso il Dna mitocondriale la “distanza genetica” fra le varie specie di scimmie antropomorfe e l’uomo moderno, la biologia molecolare ha stabilito che la separazione delle due linee evolutive (quella che ha portato ai gorilla e agli scimpanzè odierni e l’altra a noi) avvenne proprio 6 milioni di anni fa .
I paleontologi, dando ragione a Charles Darwin sull’intuizione delle origini africane dell’uomo dallo stesso ramo che ha dato origine alle scimmie antropomorfe ( che hanno forma, atteggiamenti e comportamenti d’uomo) , stanno anche confermando l’affidabilità di questo orologio molecolare . Mancano ancora dati definitivi, ma in Africa sono state trovate tre specie fossili molto antiche collocabili nella famiglia degli ominidi, i primati bipedi di cui anche noi uomini sapiens facciamo parte.
Il primo di questo ominidi è l’Ardipithecus kadabba, trovato in Etiopia e di età compresa fra i,8 5,2 e 5milioni di anni. Il secondo è l’Orrorin tugenensis, scoperto in Kenia. Il terzo sarebbe addirittura vissuto oltre 6,5 milioni di ani fa. Si tratta del Sahelanthropus tchadensis, scoperto in Chad. “Studi recenti effettuati con la Tac su un cranio quasi completo di Sahelanthropus sembrano confermare l’appartenenza alla famiglia degli ominidi”. Uno di questi tre pre-ominidi potrebbe essere quello che per primo ha imparato a camminare eretto, dando origine alla linea evolutiva che poi ha portato ai sapiens.
Ma la vera star della paleontologia, a circa un anno dalla sua straordinaria descrizione sulla rivista Sience, è attualmente Ardi, una femmina di Ardipithecus ramidus, specie gia in parte conosciuta, ma questo nuovo esemplare fossile sembra collocarsi proprio nel momento del passaggio dagli antenati delle scimmie antropomorfe agli ominidi. Scoperta nella media valle dell’Awash, Ardi visse 4,4 milioni di anni fa. Il gruppo di ricercatori diretto da Tim White, dell’Università di Berkeley, da 30 anni ricercatore sul campo in Etiopia, grazie a questo scheletro ben conservato ha potuto definirne tratti e caratteristiche. A giudicare dalla crescita delle ossa , si tratta di una femmina di 14 anni, alta 120 cm , con un peso stimato di 50 chili. Il cervello era di soli 300 cm cubici, cioè meno di un quinto di quello di una ragazza attuale.. Le gambe sono corte, ma gia adatte all’andatura bipede, come dimostra anche il bacino, gia abbastanza largo. I suoi piedi però presentano ancora l’alluce divaricato , come nelle scimmie .Le braccia e le dita erano lunghe e i polsi rigidi, per consentirle di arrampicarsi bene sugli alberi. Confrontando le ossa fossili di maschi e femmine di Ardipithecus ramidus trovati in varie campagne di scavo, lo scienziato ha concluso che i maschi erano solo poco più grandi delle femmine.
Ciò significa che nelle comunità di questo pre-ominide i rapporti sessuali non erano regolati dall’harem (un maschio grande con molte femmine, come nei gorilla), ma le relazioni sessuali erano promiscue, come fra gli attuali bonobo o scimpanzè pigmei, dove una femmina può accoppiarsi con diversi maschi. Le femmine di bonobo, come quelle umane, possono accoppiarsi tutto l’anno, non solo durante il calore. E ciò favorisce rapporti sociali. Le femmine scelgono i maschi più altruisti, quelli che donano cibo, che a volte esse passano ai loro piccoli.
Se, come sostengono le più attuali teorie paleontropologiche, lo sviluppo del cervello iniziò “ dai piedi”, ossia dal modo di camminare, le orme fossili trovate diversi anni fa a Laetoly, in Tanzania, da Mary Leakey, capostipite con il marito Louis di una dinastia di cacciatori di fossili, provano che circa 3,6 milioni di anni fa sono i piedi degli ominidi (forse quelli della specie Australopithecus afarensis) erano simili a quelli dell’uomo attuale, non più scimmieschi come li aveva Ardi. Lo scheletro fossile di Lucy, la celebre donna scimmia (Afarensis) scoperta in Etiopia dal paleoantropologo americano Donald Johanson, manca delle estremità inferiori, ma le ossa delle gambe e il bacino dimostrano che la stazione eretta 3,2 milioni di anni fa era acquisita: gli ominidi si muovevano quasi sempre in quella posizione, non solo per alcuni tratti. All’epoca le foreste si erano quasi del tutto ritirate e in Africa Orientale si era diffusa la savana.
Il bipedismo quindi non doveva essere più solo una variante della locomozione per passare da una macchia di foresta a un’altra, ma un adattamento fisso. L’Australopithecus afarensis aveva un cervello di 500 cm cubici , gia più grande di quello di uno scimpanzè. Secondo le teorie più accreditate , l’albero della evoluzione a quell’epoca si divise in due rami principali. “ Da una parte” spiega Anna Alessandrello, paleontologadel Museo di Storia naturale di Milano “comparvero ominidi dotati sul cranio di cresta sagittale, dove si inserivano forti muscoli masticatori e muniti di mascelle possenti per triturare cibi vegetali coriacei, come le noci. Dall’altra, la dentatura e le mascelle rimasero leggere, ma si sviluppala scatola cranica.
Il primo di questi due rami principali era occupato da ominidi come Australopithecus aethiopicus (vissuto nelle attuali Etiopia e Tanzania) e dell’Australopithecus boisei (Tanzania e Kenia) . Infine, dall’Australopithecus robustus (Sudafrica). Quest’ultimo però, secondo altri, discenderebbe dall’Australopithecus africanus, di poco posteriore all’afarensis.
Il secondo ramo ci interessa più da vicino: era occupato dall’Homo habilis (trovato in Tanznia e datato 1,8 milioni di anni fa) . L’habilis fu infatti il primo costruttore di utensili di pietra, con la tecnologia detta di “ modo 1 (Olduvaiano antico) Aveva un cervello di 650 cm cubici e rispetto agli ominidi che l’avevano preceduto aveva una scatola cranica sviluppata ma mascelle relativamente meno potenti, perché la sua dieta era diventata onnivora: comprendeva cioè, una buona base di carne. Se la procurava facendo lo “spazzino”, cioè scacciando iene e altri predatori dalle carcasse degli animali morti, agendo in gruppo. I suoi grossi utensili di pietra servivano soprattutto a rompere ossa per mangiare il midollo, molto nutritivo. Secondo Meave Leakey, paleantropologa del Museo nazionale del Kenia a Nairobi, l’habilis avrebbe come antenato non l’Australopithecus afarensis, ma il Kenyanthropus platyops: il cranio di quest’ultimo, che lei stessa trovò sulle sponde del lago Turkana, ha la faccia piatta, mentre quella dell’afarensis era ancora proiettata in avanti. Avrebbe cioè caratteristiche simili a quelle dell’Homo habilis, e più ancora dell’Homo rudolfensis, dal cervello di 750 cm cubici e anch’egli costruttore di utensili. Un altro ominide importante scoperto in Kenia dal clan Laekey è il cosiddetto “ragazzo del Turkana” , della specie Homo ergaster. Alto 1,70 m , probabilmente era un cacciatore vero e proprio. Costruiva strumenti più complessi detti “tipo 2” (Olduvaiano evoluto). A forma di grosse mandorle , erano bifacciali, cioè uguali davanti e dietro, segno che la specie aveva acquisito la nozione di simmetria. Del resto, il suo cervello aveva raggiunto 850 centimetri cubici.
Ma gia circa 1,7 milioni di anni fa l’intraprendente genere homo era uscito dall’Africa e arrivato in Georgia , come dimostrano gli ominidi trovati in loco e battezzati Homo georicus. Poco meno di un milione di anni dopo , 800 mila anni fa, giunse in Europa l’Homa antecessor è il nome dato al cranio “italiano” di Ceprano, vicino a Roma , e ai numerosi resti trovati ad Atapuerca (Spagna) . Il suo cervello era ormai di 1000 cm cubici. “Si diversificòin rami secondari, a causa di evoluzioni geografiche” spiega il paleoantropologico . “ L’uomo eretto, uno di questi rami , fu l’ominide caratteristico dell’Asia, con un cervello che arrivava a 1300 cm cubici. L’Homo heidelbergensis quello dell’Europa , con un cervello di 1600 cm cubici “ Da lui circa 200.000 anni fa è disceso l’uomo di Neanderthal. In Africa, dall’Homo ergaster nello stesso periodo emerse l’Homo sapiens.
Questa datazione è confermata dagli studi genetici sui gruppi umani oggi esistenti (che hanno tra loro differenze minime nel Dna), così da giustificare solo 200 mila anni trascorsi dall’esistenza di una “Eva africana”. Alcuni paleontologi ritengono che alla base del filone che portò da una parte al sapiens e dall’altra al Neanderthal vi fosse l’Homo antecessor, altri l’Homo heidelbergensis.
L’Homo sapiens uscì dall’Africa e dilagò in Asia, Medio Oriente e in Europa, mettendo fuori giuco l’uomo di Neanderthal che si estinse, non prima che fra le due specie sorelle vi fossero incroci. Non solo l’Homo sapiens provocò anche l’estinzione dell’Homo erectus, che a Giava era riuscito a sopravvivere fino a 30 mila anni fa. E probabilmente anche quella di un discendente di erectus, l’Homo floresiensis, scopeto fossile nel 2004 nell’isola di Flores, fra Indonesia e Australia: un ominide che era divenuto “nano” (era alto un metro) a causa del suo isolamento geografico, un pò come gli elefanti preistorici nani della Sicilia. Questo ominide, soprannominato anche hobbit per le sue dimensioni, visse fino a circa 11 mila anni fa.
Forse nel passato dell’umanità ci fu davvero un giardino dell’Eden. Una piccola fascia d’Africa che permise al genere umano di superare un periodo in cui le condizioni di vita diventarono davvero dure. Secondo Curtis Marean dell’Istitute of Human Origins alla Arizzona University State: “Circa 195.000 anna fa il pianeta vide un calo di temperatura notevole, che corrispose all’inizio dell’ultima glaciazione. In Africa, la dove stava nascendo la specie dell’Homo sapiens, l’ambiente si trasformò in una area fredda e desertica, che non permetteva di trovare cibo a succicienza per la sopravvivenza dell’uomo. Ma con una eccezione. In prossimità di Pinnacle Point, a circa 400 km da Città del Capo (Sudafrica) le condizioni ambientali erano tali da permettere alle comunità che vi vivevano di trovare cibo in abbondanza. Questa ipotesi, che però non trova d’accordo l’intera comunità di paleoantropologi, è sostenuta dalla scoperta di strumenti (raschiatoi, asce, bulini) in numerose grotte dell’area, che dimostrerebbero, secondo Marean, che quei piccoli gruppi se la passavano tutto sommato bene, nonostante il cambiamento climatico che aveva investito il resto del continente. Secondo questa teoria, a diffondersi nel mondo e a dare origine all’uomo moderno sarebbe stata proprio questa comunità di sudafricani, “ scampata” alla catastrofe.
In oltre 100 anni di ricerche i paleontologi non hanno mai identificato nemmeno uno degli antenati dei nostri cugini, le grandi scimmie africane. Come mai? Secondo il paleontoloantropologo Yves Coppains, uno degli scopritori di Lucy, è probabile che qualcuno dei prescimpanze si nascondo nel nostro albero genealogico.
Risaliti sugli alberi. L’evoluzione infatti, non procede obbligatoriamente per “miglioramenti” (o cambiamenti che a noi sembrano tali) : le caratteristiche di una specie dipendono dalle condizioni ambientali innanzitutto. Non è così da escludere che qualcuno dei “nostri” antenati più antichi (come Sahelanthropus tchadensis, che secondo alcuni studi era gia in grado di camminare eretto, almeno per parte del suo tempo, oppure Ardipithecus kadabba, anch’egli contemporaneamente bipede e arborico), in realtà abbia abbandonato il bipedismo per “ risalire sugli alberi”, dando cosi origine al ramo evolutivo che ha portato alle nostre “cugine scimmie”.
Quanti millenni ha? Chiedi alla radio-datazione:
La radio-datazione (o datazione radiometrica) è un metodo che si basa sull’individuazione di particolari isotopi radioattivi all’interno del reperto o del sedimento in cui è stato trovato. Gli isotopi radioattivi hanno la caratteristica di essere atomi instabili e di decadere, andando verso una forma più stabile . Poiché il decadimento di ogni isotopo avviene secondo un “tempo di dimezzamento” noto e preciso, verificando la quantità dei prodotti di decadimento all’interno del campione è possibile stabilirne la datazione con una certa precisione.
Grazie a strumenti come lo spettometro di massa e le analisi degli atomi nel vuoto perfetto, la radiazione radiometrica può essere effettuata anche su campioni infinitamente piccoli, nell’ordine di qualche miliardesimo di grammo.
Carbonio 14: La più nota e consolidata tecnica di radio-datazione è quella cosiddettadel Carbonio 14 (il suo ideatore. Willard Frank Libby, vinse il premio Nobel del 1960), usata per materiali di origine organica come ossa e vegetali, anche carbonizzati o fossilizzati.
Il Carbonio 14 però consente di misurare un arco di temporale relativamente limitato: reperti inferiori ai 30 mila anni di età.
Tecniche analoghe si basano su isotopi radioattivi di altri elementi chimici. Una delle più precise, per esempio, è quella uranio-piombo capace di determinare periodi di miliardi di anni con margini di errori mimimi.
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