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mercoledì 13 ottobre 2010

GLI AFRICANI


GLI  AFRICANI

L’Africa è tuttora considerata un continente rimasto per lungo tempo selvaggio il quale, fatta eccezione per l’Egitto , non ha dato in antico validi apporti al progresso dell’umanità. Questo concetto errato nacque per ignoranza e per convenienza   nel 1700 , e fu per la prima volta messo in dubbio verso la fine del secolo scorso, con le prime grandi esplorazioni . Le straordinarie meraviglie di civiltà dimenticate vennero allora alla luce e fu evidente che , al di là delle influenze dei Romani, degli Egizi e degli Arabi, l’Africa aveva una storia sua , costruita da genti negre , ricca di vicende e carica di apporti originali  e fecondi.  Si vide che , a ragione nell’antichità classica l’Africa fu considerata la culla della civiltà e della cultura. Del resto, anche i navigatori del tardo Medioevo  e del primo Rinascimento  ci hanno lasciato descrizioni colme di meraviglia sulla civiltà e l’organizzazione sociale di molte popolazioni africane.
Come di popolò l’Africa? E’ un problema complesso , ben lontano da una definitiva soluzione. Dai documenti fornitici dagli scavi e dalle ricerche si può affermare che il popolamento  iniziò dalla preistoria , attraverso quattro grandi fasi . I resti fossili più antichi del tipo negro, rinvenuti a Kartum e a Timbuctù, fanno risalire  al mesolitico l’avvento della razza negra.. Le epoche anteriori ci hanno lasciato resti di Protoaustraloidi, di Protoboscimani, di Protomediterranei.
Queste razze dobbiamo considerarle africane o provenienti da altre terre? Sulla loro origine sono possibili congetture soltanto, che ogni studioso è pronto a sostenere con appassionate, ma non esaurienti argomentazioni. Sta di fatto che tutti e tre i gruppi hanno lasciato tracce profonde. Dal loro incrocio ebbero origine numerosi tipi umani, tuttora identificabili in Africa. La mescolanza delle razze e delle civiltà aumentò quando in Africa giunsero negri di varie zone del nord e lentamente affermarono la loro supremazia al centro e al sud. Molte tribù conservano nel patrimonio di leggende il ricordo di queste remotissime e misteriose migrazioni, accompagnate da un’epica lotta di difesa e di conquista.
Dai Romani fin quasi ai giorni nostri, il Sahara è stato considerato una landa sconfinata di sabbie sterili. Ma le scoperte di resti di animali, gli alberi sopravvissuti dove la vita è quasi inesistente, le tracce umane hanno fatto concludere che nella preistoria il Sahara era una pianura fertile, in cui l’uomo fece la sua comparsa alla fine del quaternario.
Le prime creazioni artigianali dimostrano che le civiltà preistoriche fiorirono contemporaneamente qui in Europa. Tra l’8000 e il 6000 a.C. compaiono gli Europoidi, di cui sono incerte le origini i quali vivevano cacciando e raccogliendo ciò che la terra dava. Poco più tardi , l’avvento di un gruppo negroide segna l’inizio delle costruzioni lacustri e dell’agricoltura. L’invasione dei popoli pastori (probabilmente giunti dall’est), che si succedettero a ondate per circa  5000 anni , introdusse l’allevamento del bestiame. Verso il 2000 a.C. i primi segni dell’aridità si fecero sentire nel territorio sahariano. Contemporaneamente alle calamità naturali , la civiltà dei Tassili subì l’invasione del “ popolo dei carri” , che verso il 1200 a.C. fecero conoscere la ruota . L’uso di cavalcare , più tardi rispetto all’Asia , risale al 600 a.C.
Fra l’8000 e il 6000 a.C. il Sahara, favorito da un periodo di abbondanti piogge , visse la sua età d’oro . L’abbondanza dei frutti selvatici, la ricchezza della fauna richiamò una vera corrente migratoria. Seguendo le grandi vallate, le comunità umane si stanziarono qui forse più numerose che in qualsiasi altra regione della terra.
Le attività erano molto varie. I pescatori, forse giunti dall’alto Nilo, costruivano villaggi lacustri, vivendo di una fauna acquatica ricchissima: molluschi, pesci e perfino coccodrilli e ippopotami. I cacciatori s’inoltravano nell’interno seguendo giraffe, struzzi, elefanti, specie che sono oggi confinate nella savana. Più tardi i raccoglitori di frutta si fecero agricoltori e col giungere dei popoli pastori impararono ad allevare il bestiame.
Di pari passo con queste attività si sviluppava una vera e propria industria della lavorazione della pietra . I bracciali e le collane trovati fra gli strumenti necessari alla vita agricola e pastorale sono fra i più belli e attestano quanto sia stato diffuso e raffinato anche allora il gusto per l’eleganza.
La ricchezza e la stupefacente varietà di stili delle pitture rupestri indicano che in questa regione confluirono e stanziarono a lungo stirpi diverse. Gli uomini “ dalla testa rotonda “ , forse negroidi, ci hanno lasciato la serie più antica , dove abbondano personaggi simili a bambole provvisti di corna e di coda , babbuini con la testa di cane e, in un secondo tempo, misteriose e spesso gigantesche figure bianche con le teste simili a caschi spaziali. Da questo ciclo, che pare legato a una misteriosa religione, mancano scene di caccia e di guerra. Abbondantissimi ne sono invece gli affreschi delle età successive, che forniscono una precisa documentazione per penetrare la spiritualità e le vicende storiche di un mondo perduto.
Questa grandiosa espressione d’arte fu continuata in epoca storica dai Boscimani,(gente della boscaglia; Termine di origine dotta per indicare i San, una delle popolazioni più arcaiche dell’Africa, fra le più antiche del mondo, che un tempo dovettero popolare gran parte dell’Africa meridionale) che sulle rocce del Basutoland si tramandarono le testimonianze drammatiche del loro coraggio, anche di fronte ai fucili dei bianchi.
L’arte strabiliante delle incisioni e degli affreschi rupestri trovò la massima affermazione in Africa, dove contiamo tre centri particolarmente ricchi: Orano, nell’Algeria del sud , il Fezzan , nella Libia , e il Tassili , in pieno Sahara. Un tempo “ sull’altopiano dei fiumi” (questo significa Tassili nella lingua dei Tuaregh) confluirono popoli dell’Africa e dell’Europa, e nello stesso scenario grandioso di guglie erose dalla sabbia e dal vento, di canyon tagliati dall’antico fiume, possiamo leggere la loro epopea di pace e di guerra. Animali giganteschi, taluni estinti da lungo tempo, incisi con vivo realismo, evocano un’aspra e ricca vita di caccia, e al tempo stesso le credenze misteriose che legavano l’uomo alla natura.
Gli animali, oggetto di venerazione, furono molti; li troviamo associati al segno magico di una spirale, mescolati a figure umane in potenti rappresentazioni di riti di cui ci sfugge il significato. Uomini con testa d’animale ci forniscono una delle tante prove che Egizi e nativi del Tassili furono in contatto per vari secoli che s’influenzarono a vicenda.
I primi colonizzatori giunsero a gruppi, portando con se pecore dalla coda torta e capre, come quelle allevate tutt’ora dai Tuaregh. Una successiva ondata migratoria  introdusse il bestiame grosso. I nuovi pastori viaggiavano a dorso di bue, seguiti dalle donne e dai bambini; dietro venivano le mandrie ed i cani. Da dove si mossero questi popoli?
Le splendide pitture rupestri del Tassili ci mostrano le fattezze eleganti delle loro donne, con l’acconciatura  a” pan di zucchero” tipica delle Senegalesi; teste e facce etiopiche attestano che vennero dall’est . La loro vita si imperniava sull’allevamento dei buoi. Eccoli, con le corna all’ingiù a foggia di lira o lunate, rappresentati con grande forza espressiva all’abbeverata o al ritorno dei pascoli o in attesa della mungitura. Grandi scene rievocano le battaglie per il possesso di un armento, oppure le battute di caccia al leone, all’ippopotamo, al rinoceronte. Tutte costituiscono una prova indiscutibile della ricchezza d’acqua del Sahara.
I pastori del Tassili costruivano capanne ovali, con vimini intrecciati ed erbe secche. Le drizzavano in mezzo ai recinti per il bestiame, chiusi da un muro a secco piuttosto alto, perché le bestie non lo scavalcassero. Talvolta il recinto era costituito  da un seguito di caverne con l’apertura ostruita. I pastori si spostavano da un luogo all’altro, seguendo il ciclo delle migrazioni stagionali delle mandrie  in cerca di pascolo. Macine e pestelli di pietra, rinvenuti in grande quantità, erano usati per il grano selvatico , che le donne, come fanno ancor oggi i popoli pastori , spigolavano. Non è escluso tuttavia che alcune comunità coltivassero cereali. La vita del villaggio è fissata anche nei suoi momenti di gioia nelle pitture  rupestri. Ecco alcune donne intente a pettinarsi , altre in cerchio che battono le mani e altre che danzano insieme agli uomini.
Fra le divinità adorate da questi popoli c’era il sole: Forse è una dea, o la sacerdotessa di una religione agreste, la splendida figura in corsa sotto una nube di chicchi, riprodotta in certi dipinti.
La fine della civiltà preistorica del Tassili coincise con un invasione dal nord. I nuovi popoli, cui l’uso del cavallo e del carro da guerra dava un’indubbia supremazia, costrinsero i pastori ad affrontare per la prima volta giavellotti e scudi. Ma furono davvero essi a vincere, oppure fu il mutamento quasi improvviso del clima a costringere i pastori alla ricerca di nuove terre? Non lo sappiamo: a quest’epoca le meravigliose testimonianze del Tassili cessano. Può darsi che gli invasori li abbiano asserviti, portandoli con se nell’avanzata verso il Niger. E’ qui infatti che vivono i Peul , il popolo pastore dalla pelle ramata, che dalle caratteristiche somatiche e dai costumi si direbbe disceso dagli abitatori del Tassili.
Dopo la conquista , il “ popolo dei carri” dovette lottare contro il clima: le piogge diminuivano e con il disseccarsi dei fiumi scomparirono pascoli e selvaggina. I dipinti lasciati lungo l’itinerario provano che queste popolazioni attraversarono tutto il Sahara e impararono presto a cavalcare.
ZIBABWE
Zibabwe, ossia “ la casa di pietra” come la chiamano gli indigeni, è un grandioso complesso di rovine di antiche costruzioni in pietra sulla sommità e a ridosso di una collina granitica, a picco per 100 metri su di una pianura selvaggia a nord del fiume Limpopo. Fu scoperta per caso da un cacciatore americano, che ne aveva sentito parlare da un missionario. Ma chi documentò la sensazionale scoperta e la rivelò al mondo fu il tedesco Carl Mauch , che organizzò una spedizione nel 1871 , sulla scorta dei racconti sentiti da un capo africano nella missione di un suo connazionale. Abbandonato nei pressi della meta dai portatori , egli fu soccorso dai Karanga. La forzata ospitalità presso questa tribù gli consentì di esplorare la zona . Le costruzioni colossali , in un paese di capanne e fango , le usanze arcaiche , i racconti che sentì convinsero il geologo d’aver scoperto il favoloso paese della regina di Saba, da dove proveniva l’oro usato per il tempio di Salomone. La voce che a Zimbabwe vi fosse un tesoro si diffuse rapidamente e prima che l’autorità potessero efficacemente intervenire , scavi clandestini e ufficiali apportarono enormi danni.
Zimbabwe fu abitata agli inizi del primo millennio a.C. da un popolo indigeno . Essa è solo uno dei 200 e più centri simili, sparsi nella Rodesia meridionale. Tutti questi complessi architettonici , costruiti in un periodo di 800 anni, documentano una fase della storia africana conclusasi prima della colonizzazione europea . Nel tipico recinto di  Zimbabwe, con  le capanne di fango , oggi del tutto scomparse, molte donne erano occupate a modellare del vasellame. Un artigianato trasmesso di madre in figlia in cui eccelso gli Shona.
Ci furono i primi abitanti di Zimbabwe? Quasi certamente i Boscimani, soggiogati nell,Età del ferro da un popolo invasore che si fuse in essi. Furono coltivatori e pastori  . Il bestiame era tenuto in pozzi rivestiti di pietra . L’agricoltura dava miglio, sorgo, legumi . Si coltivavano le pendici con terrazzamenti , si conosceva la concimazione e l’irrigazione . La ricchezza maggiore erano le miniere. I filoni auriferi si addentravano a picco nel sottosuolo; occorreva quindi scavare  cunicoli strettissimi e perciò il lavoro era svolto da donne e ragazze . La tragica frequenza delle frane nelle gallerie, scavate fino a otto metri  di profondità senza puntelli , è documentata dai ritrovamenti . Il minerale staccato con cunei e martelli di pietra , veniva portato al più vicino corso d’acqua dov’era scaldato ed immerso nell’acqua gelida perché liberasse l’oro . Scodello di legno servivano al lavaggio. I primi a sfruttare l’estrazione e il traffico dell’oro furono gli Shona , che giunti nella regione  verso il X o XI secolo , vi si stabilirono come conquistatori e per vivere più sicuri cinsero di mura di pietra le loro abitazioni .
Le mura di Zimbabwe, drizzate a secco fra enormi massi di granito , sono un’impresa senza precedenti nell’Africa meridionale . Quelle più possenti risalgono  al XV secolo , ed è probabile che la nuova tecnica sia stata introdotta dai Rozwi, un popolo negroide che nel 1400 occupò la città e ne fece la capitale di una ricca confederazione. L’esempio più sconcertante di questa architettura è la misteriosa Torre Conica : nessuno è finora riuscito a scoprire la via per entrarvi , né lo scopo per cui fu innalzata. La costruzione delle mura e delle torri era preceduta da un impresa colossale, che richiedeva un vero esercito di scalpellini , manovali, portatori d’acqua , raccoglitori di legname e cavatori di pietra . Per estrarre il granito occorreva arroventare la roccia e poi versarvi sopra l’acqua. Le pietre trasportate con le slitte e rifinite con cura , erano disposte in file gradualmente inclinate all’indietro, a partire da una trincea ben livellata . Due o quattro squadre di operai erigevano simultaneamente la facciata interna e quella esterna delle mura . La mancanza di linee diritte e di angoli retti fa pensare che non si conoscessero la riga e la squadra , ma certamente i Rozwi usarono livella e filo a piombo .
La collina di Zimbabwe era destinata alle cerimonie del culto . Su quest’altura furono seppelliti molti re , dopo che la sede del governo fu trasferita nelle abitazioni della vallata. Il luogo più sacro era il recinto orientale , in cui si trova una caverna dotata di una acustica speciale , sapientemente sfruttata dagli stregoni . Era li che il popoli si radunava per le preghiere collettive e forse per i sacrifici al Dio Mwari implorando la pioggia . Un Rozwi poteva rivolgersi a dio soltanto attraverso i grandi uomini  che “ vivevano nella sua casa” . Per questo i capi defunti venivano chiamati per nome durante la cerimonia . Si pensa che per ricordarli i Rozwi abbiano rappresentato simbolicamente i loro antenati con gli uccelli stilizzati, ritrovati appunto nel recinto orientale. A detta degli studiosi , un altro “registro degli antenati” , tuttora in uso presso i Venda, era costituito dalle punte di lancia di ferro o di bronzo dei capi , accuratamente conservate avvolte in pezzi di stoffa.
Il Mambo , ossia il re Rozwi sacro al pari di una divinità , viveva circondato da una primitiva magnificenza , sottratto a ogni contatto con il popolo . Abitava con le mogli e i familiari nel tempio , un complesso di costruzioni chiuso da alte mura . Si spostava attraverso passaggi nascosti e viaggiava attraverso i suoi domini in palanchino. I Mambo furono grandi cacciatori , costruttori di palazzi, indovini . L’ultimo Chrisamuru fu ucciso nel 1834  e suggellò con la sua fine la fierezza della propria stirpe : quando vide che l’unica possibilità di scampo all’invasione  era la fuga , si fece portare “nel luogo  delle zanne” dove erano più vive le memorie del suo popolo, e si lasciò fare a pezzi da un’orda di Ngoni.
La capitale fu distrutta : il bestiame , donne e giovani furono deportati nel Tanganica. Alcuni decenni dopo , i pochi superstiti , perduta la speranza di ricostruire la comunità , abbandonarono le rovine  e furono assorbiti da altre tribù . In meno di un secolo e mezzo  Zimbabwe , cuore di uno stato africano non meno importante  del Ghana o de Mali , divenne un enigma o piuttosto una tragedia dimenticata.
All’inizio del 1930 , a sud di Abu Simbel , è stata fatta una delle più sensazionali scoperte della storia dell’archeologia africana.  Scavi di prova su massicci tumuli lungo le rive del Nilo portarono in luce  le tombe del “ Gruppo X” , una misteriosa civiltà , nota attraverso scavi e documentazioni di antichi scrittori , ma non ancora ben identificata. Le tombe di Ballana o di Kostol , in gran parte saccheggiate dai predoni , fornirono preziose indicazioni sui rituali barbari e guerreschi di questo popolo , che nei primissimi secoli della nostra era ebbe ricchissimi scambi commerciali e culturali con l’Egitto romano e bizantino.
Quali sono le origini del “Gruppo X” ? Forse furono tribù guerriere nomadi provenienti dal deserto , ribelli alla conquista romana ; forse venivano da Meroe , antichissimo centro di civiltà  fra l’Atbara e il Nilo , ricacciati qui dalla conquista degli Abissini .
La più sorprendente delle tombe di Ballana, è quella di Silko , il re dei Nuba, celebre per una serie di vittoriose campagne contro la tribù rivale dei Bemmi che premeva ai confini del suo territorio. Silko era disteso in una bara di legno , sotto un baldacchino di cui rimanevano ben pochi resti; portava l’armamento completo di un guerriero africano , con le insegne di comando e una pesante corona tempestata di pietre preziose. Nella cella accanto fu ritrovata la regina, circondata dagli schiavi e dalle dame di compagnia . La ricostruzione della tomba ci permette di immaginare come avvenivano le esequie e il rituale massacro , ereditato dalle usanze analoghe della vicina Meroe e praticato ancora recentemente  da qualche tribù  sudanese . Gli schiavi, destinati ad essere sepolti col loro padrone , portavano la corona del re e i suoi oggetti più preziosi . Cavalli e cammelli riccamente bardati venivano  condotti giù da una rampa nel cortile antistante le stanze funerarie e uccisi a colpi di scure ;accanto a essi erano sepolti i palafrenieri.
Tra gli imperi più potenti che fiorirono in Africa, e fondati da Africani, troviamo il Ghana. Le sue origini risalgono al trecento dopo Cristo, ma sono ancora avvolte nel mistero. Taluni studiosi sostengono che fu fondato dai Berberi e che vi si insediò, verso il secolo VIII, una stirpe negra. Nel mille quando era all’apice della potenza, aveva un immenso territorio, esteso dalle rive del Niger a ovest fino all’Atlantico, e terminava con il Sahara . Le sue relazioni commerciali erano fiorentissime: importava rame, sale , stoffe, broccati; esportava soprattutto polvere d’oro. E appunto Costa d’Avorio fu battezzata dai portoghesi questo territorio, oggetto di lotte accanite tra i vari stati colonialisti europei.
La capitale , Ghana o Kombi, secondo notizie attendibili era formata da due città, una musulmana e l’altra pagana, costruite su due colline. La città musulmana aveva splendide moschee e palazzi. Studiosi di gran fama vi si davano convegno, e vi si conduceva una vita raffinatissima. Le enormi ricchezze suscitarono la cupidigia dei vicini. Nei frequenti tentativi di conquista ebbero la meglio gli Almoravidi, che conquistarono la capitale e la misero a sacco nel 1076.
Gli Almoravidi, i monaci guerrieri negri, che avevano iniziato una spietata guerra santa contro le tribù refrattarie all’islamismo, dopo la presa di Kombi dominavano su un esteso territorio del Sudan. Molte popolazioni si ribellarono ed entrarono ben presto in lotta tra loro per la supremazia.
Dalla sanguinosa contesa  uscì vittorioso il Mali, che riuscì ad assicurarsi il controllo del paese dei Wangara, il più ricco di miniere d’oro. Le basi di questo nuovo impero furono poste dal capo Sundiata , che oltre a essere famoso per le campagne militari va ricordato perché tenne una saggia politica di pace, incoraggiando l’agricoltura e introducendo su vasta scala la coltivazione del cotone. Sotto Sauna, un ambizioso schiavo affrancato giunto al potere con un colpo di mano, il paese raggiunse il massimo della grandezza militare ed economica.
Con Mausa Musa, che conquistò il Songhai, l’impero del Mali ebbe un estensione grandissima; la sua influenza si dilatava praticamente su tutta l’Africa occidentale. Alla morte di quest’ultimo re cominciò la decadenza. Le ribellioni all’interno e ai confini si fecero sempre più frequenti, finché le varie città sottomesse riacquistarono l’indipendenza.
Mentre il Mali si disgregava, andava acquistando potenza il Songhai, che soppiantò lo stato rivale liberando Timbuctù, conquistata dai Tuareg. . L’ultimo grande impero africano raggiunse il massimo splendore nel 1400 con Askia il Grande. Con lui, che alle doti militari unica capacità eccezionali di amministratore, le città di un tempo conquistate dal mali, Gao, Walata, Djenne, diventarono importanti centri di cultura. Il suo splendido regno, che nessuno dei sovrani africani riuscì a eguagliare, fini dopo trentacinque anni quando i tre figli si ribellarono. Askia abdicò, pur di evitare la guerra civile, e lasciò una struttura di governo talmente solida che per sessant’anni riuscì a resistere alle pressioni interne ed esterne.
Neo 1592 i Marocchini conquistarono Timbuctù, ponendo fine all’impero. Per dare un idea dello sviluppo culturale raggiunto dall’Africa occidentale nel XVI secolo basti ricordare che nel sacco di Timbuctù andò distrutta una biblioteca fra le più grandi del tempo.
Il colpo decisivo alla civiltà negra fu inferto dal commercio degli schiavi. A quante migliaia ammontano gli uomini  deportati in terre lontane? E’ impossibile fare il calcolo esatto. Secondo un autorevole storico inglese prima del 1776 furono razziati almeno nove milioni di negri e portati in tutto il mondo, soprattutto nelle Americhe. Una recente inchiesta americana giudica questa cifra inferiore alla realtà.

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