I GRECI
Che un popolo forte e bene addestrato possa vincere un popolo pacifico e indifeso è abbastanza comprensibile; che per esempio i Cretesi fossero stati sopraffatti dalla violenta irruzione dei Micenei non desta meraviglia. Più difficile da comprendere sono i motivi della sconfitta di un popolo bellicoso e abilissimo come quello acheo. Probabilmente esso fu attaccato in un momento di particolare difficoltà: i nuovi invasori trovarono un nemico logorato dalla lunghissima guerra di Troia. Era stata infatti questa una prova che aveva messo a duro cimento la tenacia di tanti valorosi , aveva decimato le loro schiere , aveva compromesso le loro risorse , aveva invelenito l’animo dei più, aveva disperso molti giovani attirate da avventure lontano dalla patria, aveva insomma dissanguato in ogni senso un popolo guerriero per eccellenza.
Ma la guerra di Troia aveva soprattutto accentuato quei motivi di attrito tra i vari principi che gia esistevano, più o meno evidenti, anche prima del conflitto.. La discordia era sempre stata una caratteristica dell’organizzazione politica greca, fondata su una base federativa per sua natura eternamente instabile. Ogni principe, ogni entità politica per quanto piccola avevano spesso una pretesa tale di autonomia , anche militare da compromettere l’equilibrio di tutta la coalizione greca. Questo male cronico, sempre pericoloso, diventava addirittura mortale in tempo di guerra, specie se essa era combattuta contro avversari accanitamente decisi alla vittoria. Fu quello appunto che capitò agli Achei quando vennero a confronto con i bellicosi Dori . Ma non va dimenticato un altro motivo dal quale può essere dipesa la sconfitta degli Achei, anche se alla mentalità moderna può sembrare irrilevante : i Dori avevano armi migliori . Nella storia dei popoli, del resto, è tutt’altro che raro l’esempio di vittorie conseguite in gran parte grazie all’uso di armi più perfezionate. I Dori avevano armi di ferro; specie le loro lance erano per quel tempo micidiali strumenti di guerra. Le armi di bronzo degli Achei, per quanto usate con estremo ardore e perizia, non potevano resistere al confronto. A tutto ciò si aggiunga che i nuovi invasori avevano le medesime origini degli Achei, appartenevano alla stessa stirpe indoeuropea , provenivano come loro dal nord , parlavano una lingua molto simile , ma soprattutto erano parimenti bellicosi e tenaci, avevano insomma anch’essi la stoffa dei conquistatori . Facendo riferimento alla prima occupazione della Grecia, si è soliti parlare di invasione dorica, ma è necessario precisare che sebbene i Dori fossero superiori per numero e in valore, la massa degli invasori comprendeva rappresentanti di almeno altri due popoli, gli Eoli e gli Ioni.
Quando gli Achei sentirono su di se l’inevitabilità della sconfitta, quando videro crollare, distrutte dal nemico, le rocche delle loro gloriose città, quando piansero spenta la superba potenza di Micene, di Tirino e delle altre città dal fulgido passato, quando capirono che il loro mondo era per sempre finito, distrutto, scomparso cercarono in ogni modo di sfuggire alla schiavitù. Molti riuscirono a imbarcarsi sulle veloci navi, testimoni di tanta gloria passata, e si dispersero per le vie del mare. Alcuni di essi approdarono sulle coste asiatiche, altri ancora più lontano, in paesi sconosciuti e qualche volta ostili. Quelli che rimasero attaccati alla loro terra subirono ogni sorta di oppressione, ma poco a poco si fusero con il popolo conquistatore. La storia tornava a ripetersi: spettava ora agli Achei, civilizzati un tempo dai Cretesi, farsi strumento di evoluzione a vantaggio dei nuovi vincitori. L’impresa di civilizzazione si presentò subito ardua, quasi disperata. Talmente disastroso era stato lo sconvolgimento della conquista dorica, che sarebbero stati necessari ben quattro secoli, dal 1200 all’800 a.C., perché il cosiddetto “ Medioevo ellenico” potesse venire superato. Alla fine, i Dori, sulle rovine di una gloriosa civiltà che essi stessi avevano distrutto, con l’aiuto dei vinti seppero costruirne un’altra ancora più grande.
La nuova civiltà si chiamò “ Ellenica” dal nome che i Greci davano a tuti i popoli legati alla loro medesima stirpe, gli Elleni, anche se stanziati nelle diverse regioni. Elleni erano i Dori del Peloponneso, della Focile, della Locride; Elleni erano gli Achei dell’Argolide; Elleni gli Eoli della Boezia e dell’Arcadia ; Elleni gli Ioni dell’Attica e dell’Eubea.
Elleni erano anche tutti coloro che, partiti dalla loro grande patria “ Ellas”, erano andati a stabilirsi in altre terre bagnate dal mediterraneo e dal Mar Nero. Alle prime migrazioni degli Achei, conseguenti all’invasione dorica, altre infatti ne erano seguite da parte di tutti i popoli ellenici.
Migrazioni ora più intense , ora più rade, ma quasi ininterrotte per secoli.
I motivi di una così vasta dispersione furono molteplici: la prepotenza delle classi dominanti, la scarsità di terre da coltivare in confronto alla popolazione in continuo aumento, le avversità climatiche, i raccolti scarsi e anche la necessità di cercare altre basi commerciali per ampliare i traffici marittimi. A tutto ciò si aggiunga quello spirito di avventura che era una spiccata caratteristica dei popoli greci.
Le “ colonie” , cosi si chiamavano quegli innumerevoli centri di migrazione ellenica, pur essendo completamente autonome erano tuttavia gelose della loro origine e a essa tenacemente vollero rimaner legate , non solo per motivi di interesse , ma soprattutto per amor della patria d’origine , che essi chiamavano “ metropoli” .
Ogni partenza dalla terra natale era caratterizzata dalla cerimonia del fuoco sacro: il corteo dei coloni partenti si recava ad accendere una fiamma al fuoco che sempre ardeva sull’ara di ogni città ; trasportava nella nuova colonia e conservata perennemente accesa, quella fiamma sarebbe stata il simbolo di un legame imperituro verso la città di origine , segno di una complessità di tradizioni sociali e religiose che non sarebbero mai state tradite o dimenticate..
Colo passare dei secoli , la diffusione delle colonie divenne un fenomeno politico e sociale di vastissime proporzioni . Si pensi che le sole colonie elleniche in Italia, diffuse soprattutto in Calabria , Sicilia e Campania , presero il nome di “ Magna Grecia”, cioè Grande Grecia: Agrigento, Siracusa, Messina, Taranto, Reggio, Crotone, Sibari, Cuma, per ricordare solo le più importanti in Italia, non erano che isole culturali della grande patria ellenica; in esse rivivevano le medesime tradizioni, si respirava la stessa civiltà.
<tutta la Grecia non era che una federazione di tante città-stato, le “polis” , completamente libere e autonome in se stesse. Erano si legate da una comune, forte coscienza nazionale, sempre alimentata del ricordo delle stesse origini etniche, dal fatto di parlare la stessa lingua, di avere le stesse usanze, di credere nelle stesse divinità, tuttavia ciò non impediva il contemporaneo sussistere di un geloso senso di indipendenza politica, un attaccamento alla propria “polis” profondamente radicato e convinto. Lo spirito separatista dei greci aveva si la sua principale ragione d’essere nello spiccatissimo senso di libertà di questo popolo, ma era inevitabilmente legato anche alla configurazione stessa del territorio, tutto diviso da catene montuose che rendevano difficili le comunicazioni tra una regione e l’altra della Grecia e favoriva invece i traffici per mare.
Ciascuna città, e il limitato territorio che la circondava, era dunque una città e uno stato nello stesso tempo, tutte le poleis formavano l’Ellade; gli altri erano semplicemente degli stranieri, dei “barbari”. I traffici tra le varie città greche e tra queste e il resto del mondo allora conosciuto, che avevano avuto periodi di crisi profonda nei secoli successivi all’invasione dorica, tornarono a svilupparsi enormemente, specie verso l’Asia Minore, in modo particolare a partire dalla metà dell’VIII secolo a.C. Tutte le città costiere erano dotate di ampi porti nei quali le navi mercantili potevano trovare sicuri ormeggi e i loro proprietari le migliori occasioni per scambi di ogni genere. I Greci importavano oro e altri metalli preziosi, ferro, lana, legno, cuoio ed esportavano vino, olio e molti manufatti di grande valore artistico. Tra essi bellissimi erano i vasi decorati, di cui i Greci erano insuperabili creatori; la creta finemente modellata in forme varie e armoniose veniva poi arricchita di pitture raffiguranti personaggi e avvenimenti dell’affascinante mitologia greca o scene della vita di ogni giorno. Si deve anche a queste opere stupende infatti se noi oggi possiamo conoscere meglio la vita di quel tempo , le attività di quei popoli. Sappiamo per esempio, che attraverso le pitture decorative, quanta parte avesse nella vita greca lo scambio commerciale, quanta animazione regnasse nei porti greci, sempre pieni di traffici. Uno dei porti più famosi era il Pireo, il porto di Atene. E si deve certo anche al vitale commercio che in esso si sviluppò se questa città greca divenne quel centro di cultura immortale che ancor oggi noi ammiriamo.
La polis non sempre ebbe la medesima forma di governo . All’inizio della dominazione dorica essa era comandata da un re da cui tutto dipendeva ; era pertanto una monarchia , cioè governo di uno solo (monos=uno) . Nel periodo più intenso dei ricchi traffici commerciali e col sorgere di una classe economica potente , il governo della città passo nelle mani di un gruppo di aristocratici (aristoi=migliori) ; la monarchia lasciava in tal modo il posto all’aristocrazia, che quando era rappresentata da pochi era detta anche oligarchia (oligio=pochi) . Ma la storia greca è la prima che ci presenta anche un tipo di governo nuovo , sconosciuto agli altri popoli del tempo, la democrazia, cioè il governo del popolo (demos=popolo). Ciò avvenne in Grecia quando, aumentato il generale benessere, il popolo prese consapevolezza di se stesso, della proprio dignità, della propria capacità di governarsi senza bisogno di intermediari. La democrazia non fu una conquista facile per i Greci, come non lo sarà mai per nessun popolo, ma proprio per questo fu sicuramente una tappa di alta civiltà, un preciso punto di riferimento per la storia dei millenni futuri di tutti i popoli.
Gli avvenimenti storici della Grecia non sono che un complesso intreccio di vicende riguardanti ciascuna polis. Ognuna di esse ebbe una sua storia, propri personaggi, particolari vicende. Tuttavia le lotte intestine che spesso le dilaniarono, le accanite guerre combattute per conquistare la supremazia sulle altre , in una parola le loro miserie e le loro grandezze possono essere conosciute attraverso le vicende di due città più delle altre e potenti e famose., Sparta e Atene . La loro storia è, in definitiva, l’immagine della storia di tutte.
Sparta e Atene rappresentano ancora oggi due modi diversi di concepire la vita: aristocratica e statica nei suoi ordinamenti la prima: democratica e sempre pronta ad adeguare le strutture politico sociali alle mutevoli situazioni storiche la seconda.
SPARTA:
Prima dell’invasione dorica, Sparta era un modesto villaggio di pastori e contadini. I Dori li vinsero, nonostante il loro valore nel difendersi , li assoggettarono e crearono subito un ferreo sistema di divisione sociale del quale coloro che appartenevano al ceppo originario costituivano il gradino più basso, la casta degli iloti , veri e propri schiavi senza alcun diritto e oppressi da ogni sorta di doveri. Al sommo dominava la casta degli spartiati , costituita da Dori vincitori, e poi dai loro discendenti . A essi solamente erano concessi tutti i diritti; erano perciò i soli veri cittadini di Sparta cui spettasse per diritto di governare, cioè eleggere e essere eletti alle varie cariche dello stato. Solo a essi inoltre era concesso l’uso delle armi : in tal modo i vinti mai avrebbero potuto ribellarsi e minacciare la loro supremazia. Casta intermedia era quella dei perieci; erano questi in genere gli abitanti dei dintorni della città che subito si erano assoggettati ai Dori, ottenendo in cambio una forma di libertà, priva però di qualsiasi diritto di governo dello stato. I perieci rappresentavano la classe produttrice: artigiani, commercianti, lavoratori liberi, agricoltori.
Ogni membro della società spartana era strettamente legato alla propria condizione, che mai avrebbe potuto cambiare; per questo erano tra l’altro proibiti i matrimoni tra persone appartenenti a caste diverse: i trasgressori di questa legge, se scoperti venivano puniti con estrema crudeltà.
Crudele e dura, del resto, era tutta la vita di Sparta. Crudele per gli Iloti, gli infimi, contro i quali tutto era permesso; crudele per i perieci , duramente tassati dai dominatori, che non di rado giungevano a depredarli di ogni cosa, specie in occasione di guerre che richiedessero molto denaro; crudele infine per gli stessi spartiati che si assoggettavano a un regime di vita durissima pur di diventare soldati capaci di sopportare ogni prova più difficile. Triste e crudele fu insomma tutta la vita di questa città, eternamente tesa alla conquista di una supremazia che mai riuscì a raggiungere , eternamente chiusa in se stessa nel timore di venir meno a quel suo ideale di forza che si dimostrò alla fine la sua più fatale debolezza. Per dare un idea della forza oppressiva dei dominatori saranno eloquenti alcuni dati: su 10 mila spartiati vi erano circa 100 mila perieci e 200 mila iloti. E per capire fino a che punto gli spartiati fossero duri anche con i propri figli basterà ricordare che essi uccidevano tutti i neonati deformi o che presentassero qualche difetto fisico che impedisse loro di diventare ottimi soldati. Inoltre toglievano fin dai sette anni i figli alla famiglia e li educavano all’uso delle armi. Giustamente fu detto che Sparta non era che una grande caserma. I giovanetti venivano sottoposti ad ogni genere di prova: fame e sete, gelo o canicola, esercizi fisici e con le armi fino allo stremo delle forze; e per ogni minima infrazione il principale castigo era costituito da una buona bastonatura. Solo così essi pensavano, il corpo si sarebbe irrobustito e l’animo si sarebbe preparato ai duri cimenti della guerra..
Dai venti ai sessanta anni il cittadino spartano era soldato in ogni momento della sua vita: comune era il cibo, identici erano i vestiti, uguali gli orari della sveglia, delle esercitazioni militari e del riposo. La cultura che veniva impartita ai giovani soldati spartani era assai modesta: un po’ di lettura e di scrittura, qualche canzone di guerra; i più fortunati potevano avere il permesso di suonare qualche semplicissimo strumento musicale. Ideale supremo per Sparta infatti non era la cultura, non le arti o le scienze, ma unicamente la potenza e la gloria della patria; unica ambizione combattere e morire per essa.
In verità, gloria militare alla loro patria gli Spartani non mancarono di darne: sottomisero la Messenia , conquistarono parte dell’Argolide , tennero testa per un lunghissimo periodo all’Arcadia, furono riconosciuti come la più importante potenza di tutti i membri della lega che comprendeva gli stati del Peloponneso ( lega peloponnesica) .
L’organizzazione politica di Sparta viene attribuita dalla tradizione allo spartiata Licurgo , vissuto intorno al IX secolo avanti Cristo. Lo stato era governato da due re, i quali avevano così modo di controllarsi a vicenda. Le loro mansioni erano prevalentemente militari. Per le questioni civili erano affiancati da un consiglio speciale, al quale essi stessi dovevano sottostare. Era questo la “ gerusia), una assemblea di 28 membri, i “gerenti” tutti con più di 61 anni di età (geros=anziano) , e tutti capifamiglia. Era la gerusia che proponeva le leggi a un assemblea di popolo detta “apella”, cui potevano ovviamente partecipare esclusivamente gli spartiati. L’assemblea popolare poteva approvare o respingere le leggi, ma non discuterle. In compenso poteva eleggere ogni anno cinque ispettori, gli “efori”, dotati di ampi poteri di vigilanza su tutto l’operato del governo e sulla organizzazione della città.
ATENE:
Il popolo invasore stanziatosi nell’Attica, e quindi anche in Atene, era quello degli Ioni. Le origini di Atene non differivano molto da quelle di tutte le altre città greche: sorta non lontano dal mare sulle falde del monte Imetto, essa viveva prevalentemente di agricoltura e pastorizia . All’origine, più che una vera città essa non era che un insieme di piccoli villaggi , circa una dozzina , prossimi l’uno all’altro. La svolta decisiva fu segnata per Atene dall’intensificarsi dei commerci. Situato in una posizione assai favorevole, il porto del Pireo divenne in pochi decenni uno dei più attivi centri di traffico di tutto il mediterraneo.
La ricchezza in tal modo aumentò rapidamente . Atene andò via via perdendo il suo aspetto contadino e pastorale per assumere quello di grande città cosmopolita. Questa maggiore agiatezza ebbe, tra l’altro, due conseguenze molto importanti. Prima di tutto Atene divenne il centro egemone di tutta l’Attica , la quale si configurò come un unico stato unitario. In secondo luogo, la ricchezza più diffusa non solo trasformò le condizioni sociali di tutto il popolo, aumentando il generale benessere, ma finì anche per mutare inevitabilmente l’organizzazione politica: i re vennero sostituiti da un governo oligarchico costituito da pochi grandi proprietari che avevano nelle proprie mani la potenza economica della città. Gli “eupatridi”, così venivano chiamati questi nobili personaggi , si servivano, per amministrare lo Stato , di nove “arconti” , scelti tra i personaggi più potenti e abili della loro stessa classe politica. Le funzioni di governo degli arconti sono grosso modo paragonabili a quelle dei ministri di uno stato moderno: la guerra e le alleanze, il culto, i problemi di organizzazione interna e cosi via . In più essi avevano anche il compito di emanare le leggi. Rimanevano in carica un anno e passavano quindi a far parte, per tutto il resto della loro vita, dell’”areopago” cioè l’assemblea degli eupatridi.
Era questo il massimo organismo dello stato . A esso spettava nominare gli arconti, controllare il loro operato, far sentire il proprio peso nelle circostanze politiche e civili più delicate. Un’organizzazione di tal genere divenne alla lunga insopportabile al popolo, che sentiva di essere l’elemento produttivo più importante, senza avere in cambio un corrispettivo di potere nelle decisioni politiche. Senza contare che gli arconti si erano sempre tenacemente rifiutati di scrivere ben chiare e di rendere a tutti note le leggi da essi stessi create. Ciò provocava nel cittadino il giustificato sospetto che i detentori del potere non volessero concedere agli altri sufficienti garanzie di giustizia; i governati intuivano che non poteva essere disinteressato il comportamento dei governanti, i quali maneggiavano le leggi a proprio insindacabile piacimento .
Il progresso economico e civile si dimostrò anche in questa circostanza decisivo . Il numero di ateniesi che andavano acquistando peso e influenza nell’economia della città diventava sempre più massiccio; più determinante si dimostrava la presenza di nuovi ricchi nella vita pubblica. A tal punto che gli eupatridi capirono di non poter perpetuare un sistema egemonico privo di un minimo di controllo da parte del popolo. La stesura delle leggi e la loro pubblicazione fu opera, nel 620 a .C. dell’arconte Dracone : era il primo significativo passo verso una giustizia più sicura e rappresentò una conquista incoraggiante per chi con fatica e impegno aveva contribuito alla grandezza della medesima patria, alla sua ricchezza materiale e al suo prestigio.
Dovettero tuttavia trascorrere ancora trent’anni prima che venissero riconosciuti a tutti gli Atenesi, indistintamente, i fondamentali diritti politici, prima che tutto il popolo fosse considerato partecipe della vita pubblica. Contrariamente a quanto si potrebbe supporre la nuova conquista fu opera di un eupatride , Solone ; uomo accorto e saggio che vedeva lontano nell’avvenire della sua patria. Egli infatti capì che una partecipazione più ampia al governo della ricchezza e del benessere comune, anziché indebolire avrebbe rafforzato la potenza ateniese. Solone vide giusto; l’avvenire gli dette ragione, a riprova di quanto fosse più proiettata nel futuro la classe dirigente ateniese in confronto a quella spartana e quanto fosse più di essa attenta al mutare degli eventi.
Secondo il nuovo ordinamento, tutta la cittadinanza era divisa in quattro classi, che si differenziavano fra loro unicamente per il censo, cioè le diverse condizioni economiche; la prima era la classe dei ricchi proprietari, la seconda e la terza erano le classi dei proprietari medi, la quarta quella dei piccoli proprietari e dei salariati. Le classi atenesi non erano chiuse come le caste spartane; i membri delle classi inferiori infatti potevano , arricchendo, entrare a far parte di quelle superiori . Per tutti quelli che raggiungevano un censo elevato esisteva la possibilità di accedere alle alte cariche dello Stato, qualunque fosse la loro origine.
Unico privilegio rigidamente mantenuto dalla classe più elevata era quello di poter nominare gli arconti. Ma a questa supremazia si contrapponeva un correttivo di notevole peso: era tolta ai nove arconti la facoltà di emanare leggi. Il compito legislativo passava definitivamente ad altri organismi: le assemblee delle classi. La prima, detta “bulé” era composta da 400 cittadini scelti tra le prime classi ; compito di questa specie di senato era quello di proporre leggi. L’approvazione di esse spettava alla seconda e più vasta assemblea, la “ ecclesia” , formata da tutto il popolo . Non era ancora uno stato democratico vero e proprio, ma certo l’esperienza rappresentava una tappa decisiva verso ulteriori traguardi di libertà. Non sarà utile ricordare che da tutta questa organizzazione restavano esclusi gli schiavi, che, sebbene non conducessero una vita miserrima come quelli di Sparta, anche in Atene erano ai margini della società, senza diritti di alcun genere e gravati da tutti i doveri imposti lordai prepotenti padroni. Li illuminava tuttavia la speranza di poter conquistare un giorno la libertà; regolamenti precisi infatti consentivano a uno schiavo di potersi riscattare e di godere così degli stessi diritti di tutti gli altri cittadini. Questa concessione sarebbe stata inconcepibile a Sparta.
Il governo democratico di Atene fu qualche volta interrotto dai cosi detti “tiranni” . Esempio famoso resta quello di Pisistrato, che dal 561 al 527 a .C. governò senza tenere conto delle leggi esistenti . Il suo potere politico fu tuttavia privo di eccessi e caratterizzato dalla saggezza e dall’equilibriuo. Pisistrato favorì le opere di pace, incoraggiò i commerci dando vita ad una potente flotta mercantile, rese ancora più ricca e ammirata la sua città, favorì le classi più povere. Perfino le opere d’arte ebbero modo di ricevere un grandioso impulso durante i 34 anni del suo potere assoluto.
Fedele all’idea che a situazioni nuove dovevano essere offerti nuovi e più adatti ordinamenti politici, la classe dirigente ateniese, per opera dell’arconte Clistere , varò nel 509 a .C. un ordinamento democratico vero e proprio: le classi furono abolite e vennero sostituiteda dieci tribù, da ciascuna delle quali erano estratti a sorte 50 cittadini che formavano la nuova bulé; il governo passò dagli arconti a questa assemblea di 500 membri che governava per mezzo di gruppi costituiti da dieci persone per turni di 36 giorni. L’ecclesia manteneva il suo diritto di approvare le leggi. Chi avesse tentato di sovvertire l’ordine democratico per impadronirsi del potere sarebbe stato mandato in esilio per dieci anni.
Fu quella di Clistere la riforma politica definitiva: alle lotte intestine tra le varie classi si sostituì ben presto una gara di civile competizione che favorì tutte le attività, da quelle commerciali a quelle artistiche.
Atene, rifulse in ogni campo, ma soprattutto divenne centro di altissima cultura. Alla civiltà ateniese tutto l’occidente guarda ancora oggi come alla culla delle proprie origini. Perché questa fiamma non si spegnesse ma continuasse a risplendere più vivida, gli ateniesi favorirono in ogni modo l’educazione dei giovani. Un’educazione completa, che unisse all’allenamento fisico l’arricchimento dello spirito.
Fino a 17 anni il giovane restava presso la propria famiglia, e allo stesso tempo frequentava la scuola, diretta da educatori saggi e sensibili ai problemi dei giovani. Gli insegnamenti principali e ai quali veniva dedicato più a tempo erano la lingua greca , la poesia, la musica, la danza, la ginnastica. Il servizio militare durava tre anni, dai 17 ai 20. Sebbene non raggiungesse la durezza di quello spartano, serviva ottimamente a irrobustire il corpo, per prepararlo ai cimenti della guerra. Quando tornava a casa dal servizio militare il giovane entrava con pieno diritto nel mondo civile e politico. Anche per Atene, come per moltissime altre città greche, venne il momento della grande prova, quello in cui fu necessario difendere con l’indipendenza politica la stessa civiltà ellenica. Tanta fortuna commerciale, tanto fulgore di cultura non poteva infatti non provocare le invidie della più grande potenza prossima alla Grecia, cioè quella dell’impero persiano.
Quando, stanca di sopportare le angherie dei Persiani, minacciata seriamente nei suoi traffici commerciali, la colonia di Mileto, situata sulle coste dell’Asia Minore, si ribellò e con lei si rivoltarono le altre colonie vicine. Atene accolse l’invocazione di aiuto delle città sorelle e inviò la sua flotta. Dopo un iniziale successo greco, però, Dario, imperatore dei Persiani, riuscì a occupare e distruggere Mileto. La partita sembrava conclusa, fu invece solo l’inizio della vera guerra. Prendendo a pretesto il diritto di castigare Atene ed Eretria che avevano aiutato Mileto, Dario decise di distruggere la loro potenza. Due anni durarono i preparativi per inviare un forte esercito sullo stesso suolo greco allo scopo di prendere Atene alla spalle. La Tracia e la Macedonia furono occupate, ma l’ambizioso progetto fu fatto naufragare da una tempesta che danneggiò gravemente la flotta persiana. Dario non si diede per vinto; ricostruì la sua potenza navale e decise di attaccare Atene sbarcando direttamente dall’Attica.
La guerra era alle porte di Atene, il pericolo incombeva mortale. Milziade, il più accorto dei dieci Ateniesi preposti all’organizzazione militare, gli “ strateghi”, quando ebbe conoscenza che i Persiani , dopo avere distrutto Eritrea, stavano sbarcando nella pianura di Maratona, decise di agire senza indugi. Con 10 mila uomini, mille dei quali della città di Platea, marciò contro il nemico, che stava ancora sbarcando le truppe, si schierò in posizione dominante davanti a esso e accennò ad attaccare. Non appena il nemico si mosse, potente di circa 40 mila soldati, Milziade diede ordine al centro del suo schieramento di ripiegare lentamente e alle ali di compiere una manovra aggirante, a tenaglia. La lotta si accese subito accanita, ma i Greci moltiplicarono le loro forze spinti dalla disperazione, ben sapendo infatti che cosa sarebbe successo alle loro famiglie se il nemico avesse avuto il sopravvento. I Persiani, costretti in un luogo troppo angusto, finirono con l’essere danneggiati dal loro stesso numero, e si lasciarono cogliere dal terrore quando la battaglia era ancora aperta a ogni soluzione. Dapprima indietreggiarono con lentezza, poi volsero precipitosamente in fuga fino alle navi. I Greci li incalzarono e ne fecero strage senza pietà. Questo avvenne nell’anno 490 a .C. Ma se anche la battaglia di Maratona si era conclusa vittoriosamente, la guerra non era finita..
Dopo 10 anni , Serse, figlio di Dario poteva contare sul più numeroso esercito mai visto, 400 mila soldati e sulla più grande flotta, mille navi. Il pericolo che si presentava era talmente grave che tutte le città greche, senza eccezioni, si impegnarono a compiere ogni sforzo per battere insieme il comune nemico.
Serse pensò, come aveva fatto suo padre, di prendere Atene dal nord; e fu più fortunato di lui. Al passo delle Termopili, nonostante l’eroico sacrificio di Leonida e dei suoi 300 spartani , il suo esercito con manovra aggirante riuscì a passare e a dilagare nell’Attica, fino ad Atene, che venne saccheggiata. Ma l’ateniese Temistocle aveva piena fiducia nella flotta ancora intatta. Era più modesta di quella Persiana , contava infatti solo 370 navi, ma era di quella più agile alla manovra. Si trattava di indurre il nemico alla battaglia nel luogo più favorevole. Con abile tattica Temistocle riuscì nell’intento: attirò la flotta persiana nello stretto braccio di mare compreso tra l’isola di Salamina e le coste dell’Attica. Qui giunto il momento propizio, con assalti rapidi e mortali, le navi greche riuscirono a distruggere le mastodontiche e lenti navi persiane. Mentre Serse assisteva costernato allo spettacolo, la sua flotta veniva letteralmente fatta a pezzi. La Grecia aveva vinto ancora, e questa volta in modo definitivo. Le guerre che furono vittoriosamente combattute dai Greci l’anno seguente, infatti , non furono che la logica conclusione della grande vittoria di Salamina. Sebbene tutte le città greche avessero contribuito alla vittoria, Atene venne, e a ragione, giudicata la potenza decisiva del conflitto. E come potenza guida essa venne considerata dalla prima lega stabile delle città greche , la lega di Delo.
Nel mezzo secolo che seguì la vittoria sui Persiani, Atene raggiunse il massimo vertice del suo splendore. Riedificata più bella di prima, dotata di nuove e più sicure difese, accresciuta nel numero dei suoi abitanti, rifiorì a nuova vita in tutti i campi dell’umana attività. Ciò grazie anche al fatto che, come guerra aveva avuto la fortuna di avere saggi condottieri, così in pace godette di una guida sicura e illuminata, Pericle . Il suo governo segnò il periodo d’oro non solo della città, ma della Grecia stessa. La pace ch’egli perseguì tenacemente con tutti i nemici vecchi e recenti garantì a tutta la Grecia un’espansione commerciale mai prima conosciuta.
La ricchezza favorì l’arte in ogni sua espressione: vennero eretti templi immortali, come il Partendone, furono incoraggiati pittori, scultori, architetti, venne favorito ogni genere di studio e di ricerca. Rinacque e si esaltò il gusto e l’amore per ogni cosa bella.
I grandi artisti e pensatori di quest’epoca sono ancora oggi considerati come i massimi ingegni di tutti i tempi, e ciò soprattutto perché seppero per primi esaltare l’uomo: l’uomo diventò per essi il più importante soggetto di analisi e di studio. Ma i Greci ebbero anche il gusto della vita raffinata e sfarzosa: le ricchezze, del resto, favorivano una vita più comoda. Ricche vesti erano portate da uomini e donne, specie di queste ultime con dovizia di lussuosi ornamenti. Abitazioni ricche di pitture, di sculture, di vasi dalla linea elegante e dalla decorazione perfetta sorgevano nei luoghi più ameni. Gli innumerevoli dei dell’Olimpo greco venivano onorati con splendidi templi, nella costruzione e nell’abbellimento dei quali si cimentavano gli ingegni più alti e gli artisti più raffinati. Sulla piazza principale, “ l’agorà”, si affacciavano splendidi palazzi, degna corona all’intensa animazione che regnava attorno.
In gran conto venivano tenute le “ sibille”, donne che predicevano il futuro, ma quasi sempre con parole che si prestavano a una duplice interpretazione. Erano molti coloro che evitavano di intraprendere qualsiasi impresa prima di avere consultato la sibilla più famosa del momento. Il popolo invece si divertiva con la lotta dei galli. I più raffinati apprezzavano il teatro, in cui si recitavano tragedie e commedie rimaste immortali.
Ma il popolo di attrazione che godeva forse più di ogni altro l’incondizionata ammirazione dei più, erano i giochi nazionali. Si trattava di incontri aperti a tutti i giovani delle città Greche e che si svolgevano in diversi periodi e in diverse località. I più famosi sono rimasti quelli olimpici, così detti dal nome della città di Olimpia, dove si svolgevano a intervalli di quattro anni. Durante i giochi cessavano perfino le immancabili guerre tra le varie città greche rivali..
Le guerre purtroppo non cessarono del tutto. La lunghissima guerra nel Peloponneso finì col prostrare a tal punto le eterne rivali Sparta e Atene che non si risollevarono più, anzi finirono preda del conquistatore di turno: Filippo II di Macedonia, che nella battaglia di Cheronea (338 a .C.) pose fine all’indipendenza greca.. E proprio a Cheronea comincia a splendere l’estro di Alessandro, figlio di Filippo, che appena diciottenne mise in rotta il battaglione dei Tebani.
Nel 336 a .C. , alla morte del padre, superando difficoltà dinastiche Alessandro iniziò il consolidamento del regno di Macedonia che sotto la sua guida conobbe maestosità e vittorie inimmaginabili. Questo giovane sovrano, di fulgida intelligenza accoppiata a instancabile vitalità e a sicuro talento militare, ebbe maestri d’eccezione: Leonida lo istruì sui fondamenti delle discipline militari; Lisimaco lo educò alle lettere; Aristotele gli trasmise parte della sua immensa cultura scientifica, storica e geografica e gli insegnò anche rudimenti di morale, retorica e politica..
Sbarazzatosi dei parenti che gli insidiavano il trono, si fece nominare stratega al congresso panellenico di Corinto (335 a .C.), poi sottomise popoli ribelli nel nord della Macedonia e sconfisse gli Illiri, spingendosi sino al Danubio. Indi represse l’insurrezione dei Greci radendo al suolo Tebe, ma risparmiando Atene.
Trionfando sulla Grecia preparò la spedizione in Asia, progettata da suo padre. Nel 334 a .C., affidata la Macedonia a una reggenza, attraversò l’Ellesponto con quarantamila fanti e cinquemila cavalieri, di cui solo una metà Macedoni e il resto fornito dalle città greche, ad eccezione di Sparta.
Sulle sponde del fiume Granico affrontò e sconfisse il terribile esercito persiano, imponendo così la propria egemonia in tutta l’Asia Minore, e liberando le città greche della Ionia , dove instaurò regimi democratici in luogo delle oligarchie filo persiane. Riprese la marcia verso l’interno e a Gordio risolse l’enigma del nodo gordiano: un oracolo aveva predetto il domino nell’Asia Minore a chi avesse sciolto il nodo complicatissimo che congiungeva il giogo al timone di un carro reale custodito nel tempio di Zeus.
Alessandro lo recise di netto con la spada, mostrando comunque una certa aderenza nella veridicità della profezia. Valicò il Tauro e ad Isso (333 a .C.) affrontò l’esercito di Dario III sconfiggendolo; Dario si rifugiò a babilonia ma Alessandro ne catturò i familiari (madre, moglie e tre figli), che secondo una tradizione persiana seguivano il monarca in battaglia.. Rifiutando le offerte di pace dello sconfitto, che comprendevano anche la mano di sua figlia, Alessandro si trovò aperta la porta dell’Oriente ma temendo un azione alle spalle volle prima occupare le coste del Mediterraneo orientale; sottomise perciò in successione Siria, Palestina ed Egitto penetrando nel deserto libico sino al tempio di Ammone. I sacerdoti egizi lo nominarono “figlio di Dio”, titolo riservato ai faraoni. In Egitto fondò la città di Alessandria (332 a .C.) che sarebbe divenuta il fulcro della cultura ellenistica. Nel 331 a .C. riprese la via dell’Oriente inoltrandosi in Persia: varcati il Tigre e l’Eufrate a Gaugamela sconfisse definitivamente l’esercito approntato da Dario e fece occupare Babilonia e Susa, entrando di persona a Persepoli , che venne poi data alle fiamme. Liberatosi da una congiura di nobili macedoni, fece giustiziare Besso, un generale persiano che aveva detronizzato ed ucciso Dario. La campagna contro la Persia può dirsi conclusa e dal quel momento la storia gli dispensa il titolo con il quale è arrivato fino a noi: Alessandro Magno.
Intorno alla sua persona si cominciò a creare il mito dell’invincibilità, del re supremo, espressione vivente della divinità; ma questo instancabile condottiero non sembrava accontentarsi di quanto si li ottenuto. Preparò una nuova spedizione e con essa si mosse ancora una volta verso Oriente.. Penetrando in India sottomise le provincie periferiche dell’impero persiano e conquistò la Pertia , l’Incarnia e la Battana , dove fondò la città di Bucefala, dedicata al suo cavallo preferito.
Nella sua avanzata nella valle dell’Indo attivò una politica di equilibrio tra il suo alleato Tassila e Poro, da lui sconfitto; sempre combattendo arrivò al fiume Infasi manifestando la volontà di proseguire ma i soldati, stremati, minacciando un ammutinamento lo costrinseroa desistere ed a invertire la marcia. Riprese così la via del ritorno attraverso l’interno , mentre Nearco con la flotta si incaricò di esplorare le coste.
Nel 324 a .C. giunse trionfalmente a Susa e pose mano alla riorganizzazione dell’impero. L’anno dopo, metre stava progettando una spedizione in Arabia , morì di febbre malarica . E’ il 13 giugno del 323 a .C..
Così a soli 33 anni , si spense il più grande conquistatore della storia antica ; l’uomo, che , da solo, era partito incarnando la lotta e la riscossa dell’Occidente e che aveva cercato di unire insieme, sotto una stessa corona, tutto il mondo conosciuto.
Lui morto, il suo impero non gli sopravvisse; i suoi generali se ne divisero le terre e le provincie, fondando regni diversi e vanificando il suo sogno di unire Oriente e Occidente.
LE OLIMPIADI
Iniziate nel 776 a .C., le olimpiadi si arricchirono via via di discipline sportive nuove:
680 a.C. : corsa delle bighe, delle quadriglie e corsa a cavallo su una distanza di m. 4600
520 a:C. : “oplitodromo” (corsa di 384 metri su percorso di guerra da effettuarsi con equipaggiamento bellico.