L’UNICO METODO, MORALMENTE SANO E INSIEME PRATICABILE, CHE SIA ACCESSIBILE A UN POPOLO OPPRESSO
Mentre frequentavo il Crozer, entrai anche in contatto per la prima volta con le tesi pacifista, ascoltando una conferenza del professore A. J. Muste. Il suo discorso mi lasciò profondamente commosso, ma tutt’altro che persuaso circa l’attuabilità di una simile impostazione. Come quasi tutti gli studenti del Crozer , avevo l’impressione che la guerra, pur non potendo mai essere un bene positivo o assoluto, potesse servire come bene negativo nel senso di impedire la diffusione e la crescita di una forza malvagia. Per quanto orribile sia, la guerra potrebbe essere preferibile alla resa a un sistema totalitario: Nazista, fascista o comunista.
In quel periodo ero arrivato quasi a perdere la speranza che l’Amore avesse il potere di risolvere i problemi sociali. Pensavo che il nostro problema della segregazione potesse essere risolto soltanto con una ribellione armata. Avevo la sensazione che l’etica cristiana dell’amore fosse riservata ai rapporti fra singoli individui: non riuscivo a vedere come potesse funzionare nei conflitti sociali.
Forse la mia fede nell’amore era stata temporaneamente scossa dalla filosofia di Nietzsche. Avevo letto parti della Genealogia della morale e La volontà di potenza per intero. La glorificazione che Nietzsche fa della potenza, secondo la sua teoria, ogni forma di vita esprime la volontà di potenza, nasce dal suo disprezzo per i comuni mortali. Nietzsche si scaglia contro l’intero edificio morale ebraico cristiano, le virtù della pietà e dell’umiltà, l’accento sulla vita ultraterrena, la posizione nei confronti della sofferenza, considerandolo una glorificazione della debolezza, un modo di chiamare virtù quel che nasce dalla necessità e dall’impotenza. La sua ipotesi è che si formi un superuomo destinato a superare l’uomo così come l’uomo ha superato la scimmia.
Poi una domenica pomeriggio andai a Filadelfia, per ascoltare un sermone del professore Morderai Johnson, rettore della Howard University, venuto a predicare nella Fellowship House di Filadelfia. Il professore Johnson era appena tornato da un viaggio in India, è parlò della vita e della dottrina del Mahatma Gandhi ,suscitando in me un forte interesse. Il suo messaggio fu cosi profondo ed elettrizzante che appena uscito dalla riunione comprai una mezza dozzina di libri sulla vita e le opere di Gandhi.
Come tutti, avevo sentito parlare di Gandhi, ma non lo avevo mai studiato sul serio. Leggendo rimasi affascinato dalle sue campagne di resistenza non violenta. In particolare mi commosse la sua Marcia del sale e i numerosi digiuni. Il concetto stesso di satyagraha (satya è la verità che equivale all’amore, e agraha è la forza: quindi satyagraha significa forza dell’amore, o forza della verità) aveva per me un significato profondo. A mano a mano che penetravo nella filosofia di Gandhi diminuiva di pari passo il mio scetticismo sulla potenza dell’amore: per la prima volta riuscii a comprenderne la possibile forza per riformare la società. Prima di leggere Gandhi, ero in procinto di concludere che l’etica di Gesù fosse efficace soltanto nei rapporti individuali. La filosofia del “ porgere l’altra guancia” e dell’ “ amate i vostri nemici” mi sembrava valere soltanto nel caso in cui i singoli individui entravano in conflitto con altri singoli individui: quando a trovarsi in conflitto erano gruppi razziali e i popoli , mi sembrava necessario adottare una posizione più realistica. Ma dopo avere letto Gandhi, compresi quanto fossi in errore.
Gandhi è stato probabilmente il primo nella storia a innalzare l’etica dell’amore predicata da Gesù al di sopra della paura e semplice interazione fra individui, considerandola una forza sociale potente ed efficace su larga scala. Per Gandhi l’amore era uno strumento potente per indurre trasformazioni della società e della collettività. Nella concezione Gandhiana, che esaltava l’amore e la non violenza, scoprivo il metodo per riformare la società che avevo tanto cercato.
Nella filosofia della resistenza non violenta propugnata da Gandhi trovavo quell’appagamento intellettuale e morale che non ero riuscito a trarre dall’utilitarismo di Bentham e di Mil, dai metodi rivoluzionari di Marx e di Lenin, dalla teoria dei contratti sociali di Hobbes, dall’ottimismo del superuomo di Nietzsche.
Quanto sopra è tratto dall’autobiografia di Martin Luther King
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Commento:
Ancora una volta King ci da un insegnamento magistrale su come impiegare la nostra vita nell’aiuto del prossimo, per ricavare più giustizia sociale senza intortarsi nella violenza come metodo di lotta politico sociale.
Ci fa capire che anche le convinzioni in noi radicate si possono cambiare o diversificare di fronte ad un atteggiamento che disarmerebbe chiunque, cioè l’Amore.
Questa parola è il concetto più alto che l’uomo possa esprimere, nella consapevolezza che in una società da sola, questa parola non può bastare a risolvere tutti i problemi. Ma però se sappiamo metterla in pratica per l’intero suo significato possiamo finalmente costruire qualcosa di buono.
Ancora una volta devo dire grazie a King e ad Gandhi per quello che ci hanno insegnato e lasciato in eredità.
A noi trarre beneficio da queste due grandi persone che hanno reso l’uomo meno cattivo.
Naturalmente rimane come insegnamento supremo quanto lasciatoci da Gesù. L’unico ad averci insegnato e messo in pratica, senza se e senza ma, l’insegnamento dell’Amore.
Evy
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