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giovedì 5 dicembre 2013

SIKHISMO (Sikh)

SIKHISMO  (Sikh)

Il fondatore del sikhismo, Nanak (1469-1539), nasce a Talwandi (nell’attuale Pakistan) nel 1469. È figlio di funzionari che appartengono alla casta degli kshatriya (guerrieri), ma nella sottocasta dei bedi (nome che identifica le famiglie kshatriya che conoscono e studiano le scritture vediche). Lavora come contabile, ma si interessa all’Islam e al sufismo. Nel 1498, mentre fa il bagno in un fiume, ha un’esperienza mistica. Gli amici lo pensano annegato, ma il quarto giorno riappare affermando che Dio gli è apparso e lo ha incaricato di una missione religiosa; dovrà insegnare che “davanti a Dio non c’è indù, non c’è musulmano” ma soltanto carità, servizio e preghiera. Da allora, percorre il subcontinente indiano e i paesi vicini – si sarebbe spinto fino a Sri Lanka, alla Mecca, a Baghdad – in quattro lunghi viaggi, che – se hanno senza dubbio una qualche realtà storica – costituiscono pure il mito di fondazione del sikhismo. Negli anni 1520, esausto per i lunghi viaggi, Nanak si stabilisce a Kartarpur, dove raduna un buon numero di discepoli (in lingua punjabi sikh), e dove muore nel 1539.
Nella tradizione di Nanak, la nozione di guru è fondamentale, e ancora oggi per essere considerati sikh è necessario riconoscere il lignaggio dei primi dieci guru, da Nanak fino a Gobind Singh (1666-1708). Il secondo guru, Angad (1504-1552), e il terzo, Amar Das (1479-1574) perfezionano il processo di separazione della comunità sikh sia dall’induismo, sia dalle confraternite sufi. Al servizio di questa nuova religione, il quarto guru Ram Das (1531 o 1534-1581) fonda nel Punjab la città santa di Amritsar, e pone le basi per un’alleanza con il potere politico mogul che avrà peraltro varie traversie. Il suo successore, il quinto guru Arjun (1563-1606), raccoglie gli scritti dei predecessori – e di altri “santi” indù e musulmani – nell’Adi Granth, e lancia un ambizioso programma di costruzioni a Amritsar e di proselitismo. È vittima del suo stesso successo: insospettito dal crescente potere dei sikh, il quarto imperatore mughal dell’India (1605-1627) – Jahangir (1569-1627) – lo fa arrestare. Arjun muore in carcere nel 1606. Il figlio e sesto guru, Hargobind (1595-1644), è una figura importante nel processo di trasformazione del sikhismo da movimento che aveva avuto accenti pacifisti in religione che dispone di un vero e proprio esercito, e i cui membri diventano leggendari per il valore militare. Sotto la guida di Har Rai (1630-1661), Hari Kishan o Krishen (1656-1664: morto a soli otto anni e tuttavia, secondo la tradizione sikh, già prodigioso per erudizione e saggezza), Tegh Bahadur (1621-1675) e infine Gobind Singh, i sikh si oppongono o tentano di venire a patti – con alterne fortune – con l’impero mogul. Alla morte del decimo guru, Gobind Singh, in un periodo di grande confusione politica e militare, la comunità decide di non riconoscere un nuovo guru; il libro sacro Adi Granth funge da guru con il nome di Guru Granth Sahib.
Per cento anni, dal 1699 al 1799, la comunità sikh ortodossa (khalsa) vive un periodo di confusione e di divisioni, cui pone termine una personalità forte, Ranjit Singh (1780-1839), che non solo riconcilia le diverse fazioni ma riesce a farsi riconoscere come sovrano del Punjab nel 1799. Regna per quarant’anni; sei anni dopo la sua morte, nel 1845, gli inglesi entrano nel Punjab e nel 1849 lo annettono all’India. La comunità sikh, nella sua maggioranza, non si oppone agli inglesi, ma stabilisce rapporti di collaborazione: molti sikh si arruolano nell’esercito britannico, dove rinnovano la fama militare che si erano conquistati in India nel XVII secolo. Nel 1873 è fondata la società Singh Sabha, con lo scopo di preservare e rivitalizzare i caratteri distintivi della religione sikh. Negli ultimi decenni dell’amministrazione inglese, per un complesso di ragioni (fra l’altro di carattere economico, perché le terre abitate da una maggioranza sikh si aspettano di ricevere – come compenso della loro fedeltà alla Corona inglese – aiuti economici in tempi di carestia che non sono concessi), le relazioni fra i sikh e autorità coloniale britannica peggiorano, fino alla dura repressione del 1919 (“massacro di Amritsar”). Ancora più tese – nonostante temporanee schiarite – sono le relazioni fra i sikh e l’India indipendente, a maggioranza induista. Il punto più basso di queste relazioni si raggiunge negli anni 1980, con l’uccisione di diversi leader sikh qualificati come “terroristi” dal governo, l’ingresso delle truppe indiane nel tempio di Amritsar (considerata una profanazione dai sikh) e il successivo assassinio del primo ministro Indira Gandhi (1917-1984) da parte delle sue guardie del corpo sikh.
Anche a causa di queste difficoltà, fin dagli inizi del XX secolo l’emigrazione sikh dall’India aveva assunto grandi proporzioni. Oggi, fuori dell’India (dove rimangono diciannove milioni di fedeli) vivono quasi un milione di sikh, di cui oltre quattrocentomila in Gran Bretagna, trecentomila in Canada e centomila negli Stati Uniti. In Italia, i sikh “etnici” indiani sono diverse migliaia (secondo la comunità, circa 25.000, anche se osservatori esterni sono assai più prudenti e parlano di circa diecimila residenti, cui si aggiungono lavoratori stagionali o che soggiornano in Italia per qualche anno), impiegati per una parte significativa nell’agricoltura e nell’industria lattiero-casearia, benché i primi sikh emigrati in Italia si dedicassero in prevalenza a un’altra loro specialità, il circo. Oggi sono presenti soprattutto nelle province di Cremona, Brescia, Reggio Emilia, Parma, Mantova, Verona, attorno alla statale Pontina, a Sud di Roma (fra Aprilia, Latina, San Felice Circeo e Terracina vivono stabilmente quattrocento indiani di religione sikh, con un centro di culto in un tempio nelle vicinanze di Aprilia), e nella zona di Arzignano, in provincia di Vicenza, dove un centro di culto e una Associazione Gurudwara Shri Guru Nanak Niwas sono state aperte nel comune di Castelgomberto.
Una casa colonica era stata originariamente trasformata in gurdwara a Novellara, in provincia di Reggio Emilia, dove un nuovo tempio è stato inaugurato il 1° ottobre 2000 alla presenza del presidente della Commissione Europea, Romano Prodi. In quest’ultimo centro si celebrano regolarmente le feste del calendario sikh, in particolare il Baisaki Day (13 aprile) con la partecipazione sia di sikh “etnici” sia di sikh italiani che si ispirano al movimento 3HO fondato da Yogi Bhajan (1929-2004). Questo dovrebbe sciogliere ogni dubbio sul fatto che i sikh occidentali sono “veri” sikh. Di fatto, la comunità internazionale sikh ha accolto i seguaci occidentali di Yogi Bhajan e di altri maestri all’interno delle sue organizzazioni e dei suoi congressi. Nella storia del sikhismo, del resto, accanto ai khalsa sikh che accettano tutti i dettami e portano tutti i segni esteriori della fede, altre “famiglie” di non-khalsa sikh e di gora sikh (“sikh bianchi”) sono state riconosciute come parte della comunità nel senso più ampio, fino a quando le loro differenze non diventano così radicali da contraddire l’essenza stessa della fede.
Nanak insegna che Dio è senza qualità (nirguna), ed è insieme creatore, sostegno e distruttore della vita. Se queste caratteristiche di Dio fanno parte della tradizione induista, è sotto l’influenza dell’Islam che Nanak ripete: “C’è un solo Dio”, e insiste sul fatto che Dio non può prendere forma umana. Pertanto, non c’è posto nel sikhismo per incarnazioni divine o avatara. Dio, creatore, è egli stesso l’autore della dualità e dell’illusione, in cui l’uomo rimane intrappolato divenendo così soggetto al ciclo delle reincarnazioni. Lo scopo dell’uomo è sfuggire a questo ciclo, divenendo uno con Dio. Per ottenere questo scopo, tre cose sono principalmente necessarie. Anzitutto, nessuno può ottenere la liberazione senza l’intermediazione di un guru. Dopo il decimo guru, tuttavia, come si è visto il sikhismo (almeno nella sua corrente principale) non ritiene più necessario un guru vivente, sostituito dagli insegnamenti dei primi dieci guru e dei loro predecessori contenuti nell’Adi Granth (così che il libro sacro diventa il vero guru per il tempo presente). In secondo luogo è necessario vivere una vita morale – evitare i vizi, rendere servizio alla comunità e ai poveri, lavorare onestamente, combattere quando è necessario con coraggio, astenersi dall’adorazione degli idoli e dalle pratiche superstiziose –, mentre non è necessario l’ascetismo (un aspetto della devozione indù rifiutato con forza dal fondatore). In terzo luogo, quotidianamente occorre un “ricordo” di Dio, sotto forma di ripetizione del suo nome (nam) anche attraverso il canto di inni (kirtan). A chi medita, particolarmente nelle prime ore del mattino, Dio si rivela come musica, luce, e via di liberazione.
Nel corso degli anni, si sono consolidate nella comunità sikh anche una serie di pratiche che ne definiscono l’identità, particolarmente con riferimento ai khalsa sikh. Khalsa significa, letteralmente, “puro”, e identifica il sikh che ha partecipato a una cerimonia di battesimo condotta da cinque sikh battezzati. Il 30 marzo 1699 il decimo guru Gobind Singh aveva infatti battezzato i primi cinque sikh, e si era fatto battezzare da loro. Per essere sikh non è necessario essere “battezzato” (esistono non-khalsa sikh ), ma la khalsa è considerata il segno della dedizione totale alla fede. A essa si accompagnano i “segni fisici della fede” (che sono più che simboli): le cinque “k”, cioè kesh (capelli lunghi raccolti in un turbante, obbligatorio per gli uomini e talora usato anche dalle donne), kangha (il pettine, segno di capelli raccolti in modo ordinato, a differenza della crescita “libera” e disordinata degli asceti induisti), kara (un braccialetto di ferro, che rappresenta il controllo morale nelle azioni e il ricordo costante di Dio), kacha (mutande o sottovesti di tipo allungato, simbolo dell’autocontrollo e della castità) e kirpan (spada cerimoniale, di cui oggi si sottolinea che è un simbolo religioso di fortezza e lotta contro l’ingiustizia, non un’arma). I khalsa sikh (e anche alcuni non-khalsa) usano come cognome, o aggiungono al cognome, Singh per gli uomini e Kaur per le donne.


I Dieci Guru del Sikhismo

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Nome
diventato guru il
data di nascita
data di morte
età
padre
madre
1
70
2
48
3
95
4
46
5
43
6
48
7
31

8
7
9
54
10
41



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