SIKHISMO (Sikh)
Il fondatore del sikhismo, Nanak (1469-1539),
nasce a Talwandi (nell’attuale Pakistan) nel 1469. È figlio di funzionari che
appartengono alla casta degli kshatriya (guerrieri), ma nella sottocasta
dei bedi (nome che identifica le famiglie kshatriya che conoscono
e studiano le scritture vediche). Lavora come contabile, ma si interessa
all’Islam e al sufismo. Nel 1498, mentre fa il bagno in un fiume, ha
un’esperienza mistica. Gli amici lo pensano annegato, ma il quarto giorno
riappare affermando che Dio gli è apparso e lo ha incaricato di una missione
religiosa; dovrà insegnare che “davanti a Dio non c’è indù, non c’è musulmano”
ma soltanto carità, servizio e preghiera. Da allora, percorre il subcontinente
indiano e i paesi vicini – si sarebbe spinto fino a Sri Lanka, alla Mecca, a
Baghdad – in quattro lunghi viaggi, che – se hanno senza dubbio una qualche
realtà storica – costituiscono pure il mito di fondazione del sikhismo. Negli
anni 1520, esausto per i lunghi viaggi, Nanak si stabilisce a Kartarpur, dove
raduna un buon numero di discepoli (in lingua punjabi sikh), e dove
muore nel 1539.
Nella tradizione di Nanak, la nozione di guru è
fondamentale, e ancora oggi per essere considerati sikh è necessario
riconoscere il lignaggio dei primi dieci guru, da Nanak fino a Gobind Singh
(1666-1708). Il secondo guru, Angad (1504-1552), e il terzo, Amar Das
(1479-1574) perfezionano il processo di separazione della comunità sikh sia
dall’induismo, sia dalle confraternite sufi. Al servizio di questa nuova
religione, il quarto guru Ram Das (1531 o 1534-1581) fonda nel Punjab la città
santa di Amritsar, e pone le basi per un’alleanza con il potere politico mogul
che avrà peraltro varie traversie. Il suo successore, il quinto guru Arjun
(1563-1606), raccoglie gli scritti dei predecessori – e di altri “santi” indù e
musulmani – nell’Adi Granth, e lancia un ambizioso programma di
costruzioni a Amritsar e di proselitismo. È vittima del suo stesso successo:
insospettito dal crescente potere dei sikh, il quarto imperatore mughal
dell’India (1605-1627) – Jahangir (1569-1627) – lo fa arrestare. Arjun muore in
carcere nel 1606. Il figlio e sesto guru, Hargobind (1595-1644), è una figura
importante nel processo di trasformazione del sikhismo da movimento che aveva
avuto accenti pacifisti in religione che dispone di un vero e proprio esercito,
e i cui membri diventano leggendari per il valore militare. Sotto la guida di
Har Rai (1630-1661), Hari Kishan o Krishen (1656-1664: morto a soli otto anni e
tuttavia, secondo la tradizione sikh, già prodigioso per erudizione e
saggezza), Tegh Bahadur (1621-1675) e infine Gobind Singh, i sikh si oppongono
o tentano di venire a patti – con alterne fortune – con l’impero mogul. Alla
morte del decimo guru, Gobind Singh, in un periodo di grande confusione
politica e militare, la comunità decide di non riconoscere un nuovo guru; il
libro sacro Adi Granth funge da guru con il nome di Guru Granth Sahib.
Per cento anni, dal 1699 al 1799, la comunità
sikh ortodossa (khalsa) vive un periodo di confusione e di divisioni,
cui pone termine una personalità forte, Ranjit Singh (1780-1839), che non solo
riconcilia le diverse fazioni ma riesce a farsi riconoscere come sovrano del
Punjab nel 1799. Regna per quarant’anni; sei anni dopo la sua morte, nel 1845,
gli inglesi entrano nel Punjab e nel 1849 lo annettono all’India. La comunità
sikh, nella sua maggioranza, non si oppone agli inglesi, ma stabilisce rapporti
di collaborazione: molti sikh si arruolano nell’esercito britannico, dove
rinnovano la fama militare che si erano conquistati in India nel XVII secolo.
Nel 1873 è fondata la società Singh Sabha, con lo scopo di preservare e
rivitalizzare i caratteri distintivi della religione sikh. Negli ultimi decenni
dell’amministrazione inglese, per un complesso di ragioni (fra l’altro di
carattere economico, perché le terre abitate da una maggioranza sikh si
aspettano di ricevere – come compenso della loro fedeltà alla Corona inglese –
aiuti economici in tempi di carestia che non sono concessi), le relazioni fra i
sikh e autorità coloniale britannica peggiorano, fino alla dura repressione del
1919 (“massacro di Amritsar”). Ancora più tese – nonostante temporanee
schiarite – sono le relazioni fra i sikh e l’India indipendente, a maggioranza
induista. Il punto più basso di queste relazioni si raggiunge negli anni 1980,
con l’uccisione di diversi leader sikh qualificati come “terroristi” dal
governo, l’ingresso delle truppe indiane nel tempio di Amritsar (considerata
una profanazione dai sikh) e il successivo assassinio del primo ministro Indira
Gandhi (1917-1984) da parte delle sue guardie del corpo sikh.
Anche a causa di queste difficoltà, fin dagli
inizi del XX secolo l’emigrazione sikh dall’India aveva assunto grandi
proporzioni. Oggi, fuori dell’India (dove rimangono diciannove milioni di
fedeli) vivono quasi un milione di sikh, di cui oltre quattrocentomila in Gran
Bretagna, trecentomila in Canada e centomila negli Stati Uniti. In Italia, i
sikh “etnici” indiani sono diverse migliaia (secondo la comunità, circa 25.000,
anche se osservatori esterni sono assai più prudenti e parlano di circa
diecimila residenti, cui si aggiungono lavoratori stagionali o che soggiornano
in Italia per qualche anno), impiegati per una parte significativa
nell’agricoltura e nell’industria lattiero-casearia, benché i primi sikh
emigrati in Italia si dedicassero in prevalenza a un’altra loro specialità, il
circo. Oggi sono presenti soprattutto nelle province di Cremona, Brescia,
Reggio Emilia, Parma, Mantova, Verona, attorno alla statale Pontina, a Sud di
Roma (fra Aprilia, Latina, San Felice Circeo e Terracina vivono stabilmente
quattrocento indiani di religione sikh, con un centro di culto in un tempio
nelle vicinanze di Aprilia), e nella zona di Arzignano, in provincia di
Vicenza, dove un centro di culto e una Associazione Gurudwara Shri Guru Nanak
Niwas sono state aperte nel comune di Castelgomberto.
Una casa colonica era stata originariamente
trasformata in gurdwara a Novellara, in provincia di Reggio Emilia, dove
un nuovo tempio è stato inaugurato il 1° ottobre 2000 alla presenza del
presidente della Commissione Europea, Romano Prodi. In quest’ultimo centro si
celebrano regolarmente le feste del calendario sikh, in particolare il Baisaki
Day (13 aprile) con la partecipazione sia di sikh “etnici” sia di sikh italiani
che si ispirano al movimento 3HO fondato da Yogi Bhajan (1929-2004). Questo
dovrebbe sciogliere ogni dubbio sul fatto che i sikh occidentali sono “veri”
sikh. Di fatto, la comunità internazionale sikh ha accolto i seguaci occidentali
di Yogi Bhajan e di altri maestri all’interno delle sue organizzazioni e dei
suoi congressi. Nella storia del sikhismo, del resto, accanto ai khalsa sikh
che accettano tutti i dettami e portano tutti i segni esteriori della fede,
altre “famiglie” di non-khalsa sikh e di gora sikh (“sikh
bianchi”) sono state riconosciute come parte della comunità nel senso
più ampio, fino a quando le loro differenze non diventano così radicali da
contraddire l’essenza stessa della fede.
Nanak insegna che Dio è senza qualità (nirguna),
ed è insieme creatore, sostegno e distruttore della vita. Se queste
caratteristiche di Dio fanno parte della tradizione induista, è sotto
l’influenza dell’Islam che Nanak ripete: “C’è un solo Dio”, e insiste sul fatto
che Dio non può prendere forma umana. Pertanto, non c’è posto nel sikhismo per
incarnazioni divine o avatara. Dio, creatore, è egli stesso l’autore
della dualità e dell’illusione, in cui l’uomo rimane intrappolato divenendo
così soggetto al ciclo delle reincarnazioni. Lo scopo dell’uomo è sfuggire a
questo ciclo, divenendo uno con Dio. Per ottenere questo scopo, tre cose sono
principalmente necessarie. Anzitutto, nessuno può ottenere la liberazione senza
l’intermediazione di un guru. Dopo il decimo guru, tuttavia, come si è visto il
sikhismo (almeno nella sua corrente principale) non ritiene più necessario un
guru vivente, sostituito dagli insegnamenti dei primi dieci guru e dei loro
predecessori contenuti nell’Adi Granth (così che il libro sacro diventa
il vero guru per il tempo presente). In secondo luogo è necessario vivere una
vita morale – evitare i vizi, rendere servizio alla comunità e ai poveri,
lavorare onestamente, combattere quando è necessario con coraggio, astenersi
dall’adorazione degli idoli e dalle pratiche superstiziose –, mentre non è
necessario l’ascetismo (un aspetto della devozione indù rifiutato con forza dal
fondatore). In terzo luogo, quotidianamente occorre un “ricordo” di Dio, sotto
forma di ripetizione del suo nome (nam) anche attraverso il canto di
inni (kirtan). A chi medita, particolarmente nelle prime ore del
mattino, Dio si rivela come musica, luce, e via di liberazione.
Nel corso degli anni, si sono consolidate nella
comunità sikh anche una serie di pratiche che ne definiscono l’identità, particolarmente
con riferimento ai khalsa sikh. Khalsa significa, letteralmente,
“puro”, e identifica il sikh che ha partecipato a una cerimonia di battesimo
condotta da cinque sikh battezzati. Il 30 marzo 1699 il decimo guru Gobind
Singh aveva infatti battezzato i primi cinque sikh, e si era fatto battezzare
da loro. Per essere sikh non è necessario essere “battezzato” (esistono non-khalsa
sikh ), ma la khalsa è considerata il segno della dedizione totale
alla fede. A essa si accompagnano i “segni fisici della fede” (che sono più che
simboli): le cinque “k”, cioè kesh (capelli lunghi raccolti in un
turbante, obbligatorio per gli uomini e talora usato anche dalle donne), kangha
(il pettine, segno di capelli raccolti in modo ordinato, a differenza della
crescita “libera” e disordinata degli asceti induisti), kara (un
braccialetto di ferro, che rappresenta il controllo morale nelle azioni e il
ricordo costante di Dio), kacha (mutande o sottovesti di tipo allungato,
simbolo dell’autocontrollo e della castità) e kirpan (spada cerimoniale,
di cui oggi si sottolinea che è un simbolo religioso di fortezza e lotta contro
l’ingiustizia, non un’arma). I khalsa sikh (e anche alcuni non-khalsa)
usano come cognome, o aggiungono al cognome, Singh per gli uomini e Kaur per le
donne.
I Dieci Guru del Sikhismo
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Nome
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diventato guru il
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data di nascita
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data di morte
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età
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padre
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madre
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1
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70
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2
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48
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3
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95
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4
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46
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5
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43
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6
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48
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7
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31
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8
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7
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9
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54
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10
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41
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