RELIGIONI INDUISTE
La storia religiosa dell’India
comprende: la religione VEDICA , le
religioni ETERODOSSE rispetto al
nucleo Vedico e l’Induismo .
Per Religione Vedica s’intende
la fase più antica , orientata dai Veda,
scritti sacri risalenti almeno al secolo X a.C., e dai loro commentari
interpretativi, che sono i BRAHMANA (SECOLO X-VII a. C.) e le UPANISAD (dal secolo VI a.C.) .
Le religioni eterodosse ( rifiuto dei principi ortodossi di una
religione , chi si scosta dall’ortodossia di pretese dottrine religiose non
ortodosse) sorgono in seguito alla crisi della religione Vedica (dopo il secolo VI a.C.) le più importanti sono il BUDDHISMO e il GIANISMO, entrambe nate
nell’India settentrionale.
Per INDUISMO si intende la religione, formalmente ortodossa, che
continua la religione Vadica dopo la
crisi del secolo VI. Tuttavia
sostanzialmente è una saturazione
e una reinterpretazione del politeismo Vedico; e non è neppure una
continuazione unitaria, ma una quantità di formazioni religiose identificate,
per lo più, con i rispettivi maestri o fondatori e contraddistinte dalla
divinità specifica assunta come principio fondamentale.
La religione Vadica è un
politeismo che si forma dall’incontro di
popoli di cultura indo europea con culture
di tipo superiore, gia orientate in senso politeistico ( culto di più divinità)
Nella fase più antica non aveva
templi: ciò denota la mancanza di concetto di un luogo comune di culto, a
contrassegno e a edificazione di una determinata unità politico culturale. Non
c’è mai stata in effetti nella tradizione indiana una concezione precisa del
culto pubblico. L’unità politica era data dal re di un singolo territorio ; i
culti connessi con l’esercizio della regalità tenevano il posto di un culto
pubblico. Pubblici semmai erano i sacerdoti (Bramani) e a essi era affidata
l’unità culturale della nazione indiana.
Questa si riconosceva come tale (arya)
, a prescindere dalle suddivisioni territoriali, in un complesso costituito da
tre caste: dei Bramani, che forniva
i sacerdoti , dei Kshatriya,
fornitrice di guerrieri e di re, e la
Vaisya , in cui erano compresi tutti i produttori di beni
economici.
L’appartenenza a una delle tre
caste arya e lo stato fuori casta (paria)
, riservato alle popolazioni indigene, era religiosamente giustificato dalla
teoria dell’esistenza (Samsara) come
reincarnazione, per la quale si nasceva in una condizione piuttosto che in
un'altra in ragione del Karman,
ossia dei meriti o demeriti acquisiti in una vita precedente . per avere la
qualifica di Arya, comunque non bastava nascere in una casta, ma bisognava
rinascere mediante un’iniziazione conseguita presso un bramano, nel corso di
alcuni anni intorno all’età pubere. L’iniziazione, che oltre ai riti
comprendeva un’adeguata istruzione religiosa, conferiva il titolo di dvija (due volte nato) e rendeva
l’indiano adulto , in grado cioè di compiere il rituale domestico (Grhya) una volta formatasi una
famiglia. Ma la sua integrazione completa nella società si aveva quando diventava uno Yajamana (sacrificante) , ossia acquisiva il diritto di celebrare i
riti srauta, più strettamente legati
al culto degli dei, e cioè alla religione nazionale .
La cerimonia di installazione sul
proprio terreno di tre fuochi, celebrata da quattro bramani gli dava questo
diritto. Una volta sacrificante , egli poteva intervenire di sua iniziativa nel campo d’azione degli dei nazionali, sia pure sempre
con la mediazione di un sacerdote
sacrificatore materiale ( adhauaruu).
Nell’ideologia indiana
l’integrazione sociale consisteva nell’inserimento nella vita individuale ,
nello rta , l’ordine cosmico. Il
sacrificio agli dei garantiva e promuoveva questo inserimento, in quanto
collegava l’azione umana a quella divina , che era appunto espressione di rta . Lo rta stesso può essere inteso
come una sublimazione, in chiave cosmica del comportamento rituale ( si noti la parentela linguistica tra
vedico, rta e latino ritus) .
Rta è flusso vitale ( è la vita stessa , a cui si contrappone,con
l’arresto, la morte) , ma incanalato nel giusto comportamento e questo a sua volta è un’astrazione dal
comportamento storico , che nell’ideologia indiana è pura illusione (Mayà).
In un mondo così concepito , gli
dei, che come ogni politeismo sono forme
del mondo , vengono rappresentati non tanto per la loro essenza (come si converrebbe a forme di un mondo
statico) , quanto per la loro azione, quale espressione di rta. Lo sforzo
teologico indiano , più che a fissare i tratti
individuali degli dei , si è rivolto a rilevarne i possibili interventi
e le occasioni in cui essi si realizzano
. Queste occasioni da accidentali (o naturali) si fanno necessarie (o
culturali) in quanto determinate dallo
rta, l’ordine universale, e dal rito sacrificale che è rta esso stesso o lo promuove. Lo rta trascende anche gli dei
.
Non c’è un dio che fissa lo rta;
non c’è un re degli dei , alla cui volontà si debba adeguare l’ordine del
mondo. Si trova, si, un dio, Indra ,
che rappresenta la sovranità, ma non la esercita nel senso di un re
dell’universo. E del resto, per altri
aspetti, la sovranità è rappresentata anche da un altro dio, Veruna . Ne risulta un pantheon senza
gerarchia; la sua organizzazione procede, invece, per raggruppamenti divini che
corrispondono , in genere, alle divinità che sono chiamate in causa nelle medesime occasioni.
Un raggruppamento fondamentale è
quello che divide gli dei in Deva e
Asura , in risposta evidentemente a una concezione ambigua della divinità,
o dell’ambiguità sostanziale delle occasioni d’intervento divino (crisi e
superamento) . A volte un raggruppamento divino viene formalmente giustificato
da una genealogia comune: è il caso degli Adita ( i figli di Aditi, una specie
di Grande Madre primordiale) che comprendono, insieme ad altri, Veruna e Mitra.
Una forma minima di raggruppamento è la
coppia ; d’importanza fondamentale per l’edificazione dello rta è la coppia
Mitra Veruna: mitra lo promuove e Veruna ne punisce i trasgressori
imprigionandoli nei suoi lacci. Di grande importanza è nella religione vedica
il rito sacrificale che, in riferimento allo rta, sembra addirittura
trascendere gli dei che ne sono i destinatari. Il sacrificio stesso è concepito
comeun dio: è il caso di Agni, fuoco
sacrificale e mediatore tra uomini e dei , e di Soma , bevanda sacrificale e divinità a un tempo. La
divinizzazione del sacrificio apparentemente è uno sviluppo in senso
politeistico, ma in realtà si muove in senso contrario. Da al sacrificio un
valore assoluto che non potrebbe avere finché resta nei limiti di uno strumento
di comunicazione tra uomini e dei. E’ strumento se si distinguono da esso gli
dei che se ne giovano; non lo è più quando la sua natura e quella degli
dei vengono identificate. Fornire al
sacrificio un valore assoluto significa rilevarne l’autonomia rispetto agli dei
e agli uomini, e significa snaturare il rapporto tra i destinatari dell’azione
rituale , gli dei , e gli esecutori del rito, gli uomini.
La differenza fra dei e
uomini si riduce alle due rispettive
forme d’esistenza; per il resto gli dei dipendono dalla forza che il sacrificio conferisce loro e gli uomini dalla capacità che hanno di sacrificare . E’
in questi termini che la religione vedica nello sviluppo ulteriore orientato
dai Brakmana . Se il politeismo è
fondamentale l’individuazione della forza che il sacrificio conferisce agli dei quali che siano. Se in un
politeismo e pure fondamentale stabilire
la posizione degli uomini
rispetto agli dei , per la religione indiana diviene fondamentale stabilire la posizione degli uomini rispetto al rito
sacrificale . Per quanto riguarda gli dei , al di là delle singole
qualifiche si cercò la sostanza di cui
erano fatti e questa fu concepita
come brahman
, conferito dal rito sacrificale. Per quanto riguarda gli uomini , fu
gradualizzato il loro accesso al sacrificio
e fu riservata l’azione sacrificale
vera e propria a sacerdoti
manipolatori del brahman detti appunto
bramani. Tuttavia ora non basta più ne il grado di sacrificante ne la
mediazione del sacrificatore. L’uomo deve trovare in se , mediante
l’ascesi un calore ( tapas) interiore,
capace di conferire efficacia al sacrificio. Si delinea la crisi del politeismo vedico : a che cosa servono
gli dei se essi stessi traggono sostanza dal rito ? Non servono neppure a
definire un universo, dal momento che
questo universo si fonda , nella nuova ideologia indiana , non tanto sulla loro
esistenza quanto sulla retta (ora: rituale) amministrazione di forze
impersonali. Il colpo di grazia al politeismo
vedico sarà dato dalla successiva speculazione delle Upanisad : l’uomo, capace di produrre Tapas, viene posto al centro
dell’universo e questo, prima
rappresentato dal complesso delle divinità, è ormai risolto nell’essenza delle divinità, ossia nel loro
Brahman.
La comune essenza divina aveva
gia portato la riduzione del pantheon ad
un unico dio personificante la forza
sostanza brahmanica , Brama .
Un ultimo passo fu qiello di
identificare l’essenza dell’uomo Atman
con l’essenza dell’universo .
Brama o il brahman . Quando ciò
avvenne , scomparve ogni funzione del culto: l’uomo per mettersi in contatto
con l’universo non ha più bisogno di comunicare con gli dei, basta che lo
cerchi in se, nel proprio atman,
mediante la meditazione e l’ascesi che divengono così l’ideale di vita
religiosa; in pratica è la rinuncia (samnjasa)
alla vita mondana , gia prescritta dai brahmana) per l’ultima età
dell’uomo (dopo che egli ha ormai
soddisfatto ai doveri sociali) , ma che adesso diventa un modo d’essere
assoluto fondato sulla rinuncia ai fini di una liberazione (moksa) dell’esistenza, come fenomeno doloroso, e a esso si ispirano
le nuove religioni che rompono definitivamente con la tradizione vedica:: il buddismo e il giainismo .
La tradizione politeistica , peraltro sarà continuata sviluppando i temi
dell’azione divina ( sakti, potenza
creatrice) e del giusto comportamento umano(dharma) : le diverse soluzioni
hanno dato luogo a quel coacervo di dottrine
e di pratiche culturali che si chiama
globalmente induismo .
La contraddizione tra la natura permanente di un dio e l’occasionalità del suo
intervento, che aveva portato alla crisi il politeismo
vedico , si risolve nell’identificazione di un signore dell’universo (Isvara) e delle sue molteplici
manifestazioni (avatara). L’Isvara,
fu dapprima Brama, la divina personificazione del brahman , ma poi si espresse in
due divinità meno filosofiche, Visnu e Siva , dando luogo alle due principali
correnti dell’Induismo : il
Visnuismo e il Sivaismo .
Visnu era un antico dio vedico ,
connesso con l’asse del mondo già alleato con Indra e adesso suo successore .
Siva costituisce una nuova interpretazione
del vedico, Rudra , dio del mondo selvaggio. Antiche e nuove
divinità sono adesso venerate e giustificate come manifestazioni del signore
universale , e, se femminili, come sue spose.
Un tentativo di sintesi è pure dato dalla concezione di una Trimurti , ovvero di una triforme
essenza divina , comprendente Brama, Siva, e Visnu . Riguardo al comportamento
religioso , l’induismo presenta , a parte le scelte tra Siva e Visnu , una grandissima varietà di
livelli , ognuno identificato con un complesso di norme (dharma) , ognuna
altrettanto valida e degna di rispetto , in quanto relativa alla presente
esistenza di un individuo ( la differenza tra le esistenze essendo giustificata
dalla condotta in una vita precedente) . C’è il livello della meditazione e
dell’ascesi, ma anche il livello del semplice culto degli dei. C’è il maestro, il santone, il
guru, ma c’è anche chi acquista meriti senza dover ne capire ne praticare le sue dottrine , purché lo
veneri e gli fornisca cibo. C’è un misticismo , a livello della meditazione ,
che darà luogo al tantrismo e alle
pratiche Yoga, ma c’è anche un misticismo , a livello della religiosità
popolare , che si esprime nella Bhakti, la devozione amorosa assoluta per un Dio.
Dal secolo XI l’induismo dovette
fronteggiare la prepotente avanzata
dell’Islam. Da un lato, allora si eresse a religione nazionale contro
l’invasione arabo islamica e dall’altro produsse comunità ibride che cercarono
di assimilare la nuova religione . Ma tali comunità non ebbero seguito, tranne
che nel Punjad, dove si costituì la compagine nazionale dei Sikh.
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