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giovedì 5 dicembre 2013

RELIGIONE INDUISTA

RELIGIONI   INDUISTE


La storia religiosa dell’India comprende: la religione VEDICA , le religioni ETERODOSSE rispetto al nucleo Vedico e l’Induismo .
Per Religione Vedica  s’intende la fase più antica , orientata dai Veda, scritti sacri risalenti almeno al secolo X a.C., e dai loro commentari interpretativi, che sono i BRAHMANA (SECOLO X-VII a. C.)  e le UPANISAD (dal secolo VI a.C.) .
Le religioni eterodosse ( rifiuto dei principi ortodossi di una religione , chi si scosta dall’ortodossia di pretese dottrine religiose non ortodosse) sorgono in seguito alla crisi della religione Vedica  (dopo il secolo VI a.C.)  le più importanti sono il BUDDHISMO e il GIANISMO, entrambe nate nell’India settentrionale.
Per INDUISMO si intende la religione, formalmente ortodossa, che continua la religione Vadica  dopo la crisi del secolo VI. Tuttavia  sostanzialmente  è una saturazione e una reinterpretazione del politeismo Vedico; e non è neppure una continuazione unitaria, ma una quantità di formazioni religiose identificate, per lo più, con i rispettivi maestri o fondatori e contraddistinte dalla divinità specifica assunta come principio fondamentale.
La religione Vadica è un politeismo che si forma dall’incontro  di popoli di cultura indo europea  con culture di tipo superiore, gia orientate in senso politeistico ( culto di più divinità)
Nella fase più antica non aveva templi: ciò denota la mancanza di concetto di un luogo comune di culto, a contrassegno e a edificazione di una determinata unità politico culturale. Non c’è mai stata in effetti nella tradizione indiana una concezione precisa del culto pubblico. L’unità politica era data dal re di un singolo territorio ; i culti connessi con l’esercizio della regalità tenevano il posto di un culto pubblico. Pubblici semmai erano i sacerdoti (Bramani) e a essi era affidata l’unità culturale della nazione indiana.  Questa si riconosceva come tale (arya) , a prescindere dalle suddivisioni territoriali, in un complesso costituito da tre caste: dei Bramani, che forniva i sacerdoti , dei Kshatriya, fornitrice di guerrieri e di re,  e la Vaisya, in cui erano compresi tutti i produttori di beni economici.
L’appartenenza a una delle tre caste arya e lo stato fuori casta (paria) , riservato alle popolazioni indigene, era religiosamente giustificato dalla teoria dell’esistenza (Samsara) come reincarnazione, per la quale si nasceva in una condizione piuttosto che in un'altra in ragione del Karman, ossia dei meriti o demeriti acquisiti in una vita precedente . per avere la qualifica di Arya, comunque non bastava nascere in una casta, ma bisognava rinascere mediante un’iniziazione conseguita presso un bramano, nel corso di alcuni anni intorno all’età pubere. L’iniziazione, che oltre ai riti comprendeva un’adeguata istruzione religiosa, conferiva il titolo di dvija (due volte nato) e rendeva l’indiano adulto , in grado cioè di compiere il rituale domestico (Grhya) una volta formatasi una famiglia. Ma la sua integrazione completa nella società si aveva quando  diventava uno Yajamana (sacrificante) , ossia acquisiva il diritto di celebrare i riti srauta, più strettamente legati al culto degli dei, e cioè alla religione nazionale .
La cerimonia di installazione sul proprio terreno di tre fuochi, celebrata da quattro bramani gli dava questo diritto. Una volta sacrificante , egli poteva intervenire  di sua iniziativa nel campo  d’azione degli dei nazionali, sia pure sempre con la mediazione di un sacerdote  sacrificatore materiale ( adhauaruu).
Nell’ideologia indiana l’integrazione sociale consisteva nell’inserimento nella vita individuale , nello rta , l’ordine cosmico. Il sacrificio agli dei garantiva e promuoveva questo inserimento, in quanto collegava l’azione umana a quella divina , che era appunto espressione di rta . Lo rta stesso può essere inteso come una sublimazione, in chiave cosmica del comportamento rituale  ( si noti la parentela linguistica tra vedico, rta e latino ritus) .
Rta è flusso vitale  ( è la vita stessa , a cui si contrappone,con l’arresto, la morte) , ma incanalato nel giusto comportamento  e questo a sua volta è un’astrazione dal comportamento storico , che nell’ideologia indiana  è pura illusione (Mayà).
In un mondo così concepito , gli dei, che come ogni politeismo  sono forme del mondo , vengono rappresentati non tanto per la loro essenza  (come si converrebbe a forme di un mondo statico) , quanto per la loro azione, quale espressione di rta. Lo sforzo teologico indiano , più che a fissare i tratti  individuali degli dei , si è rivolto a rilevarne i possibili interventi e le occasioni in cui essi  si realizzano . Queste occasioni da accidentali (o naturali) si fanno necessarie (o culturali) in quanto determinate  dallo rta, l’ordine universale, e dal rito sacrificale che è rta esso stesso  o lo promuove. Lo rta trascende anche gli dei .
Non c’è un dio che fissa lo rta; non c’è un re degli dei , alla cui volontà si debba adeguare l’ordine del mondo. Si trova, si, un dio, Indra , che rappresenta la sovranità, ma non la esercita nel senso di un re dell’universo. E  del resto, per altri aspetti, la sovranità è rappresentata anche da un altro dio, Veruna . Ne risulta un pantheon senza gerarchia; la sua organizzazione procede, invece, per raggruppamenti divini che corrispondono , in genere, alle divinità che sono chiamate in causa  nelle medesime occasioni.
Un raggruppamento fondamentale è quello che divide gli dei in Deva e Asura , in risposta evidentemente a una concezione ambigua della divinità, o dell’ambiguità sostanziale delle occasioni d’intervento divino (crisi e superamento) . A volte un raggruppamento divino viene formalmente giustificato da una genealogia comune: è il caso degli Adita ( i figli di Aditi, una specie di Grande Madre primordiale) che comprendono, insieme ad altri, Veruna e Mitra. Una forma minima  di raggruppamento è la coppia ; d’importanza fondamentale per l’edificazione dello rta è la coppia Mitra Veruna: mitra lo promuove e Veruna ne punisce i trasgressori imprigionandoli nei suoi lacci. Di grande importanza è nella religione vedica il rito sacrificale che, in riferimento allo rta, sembra addirittura trascendere gli dei che ne sono i destinatari. Il sacrificio stesso è concepito comeun dio: è il caso di Agni, fuoco sacrificale e mediatore tra uomini e dei , e di Soma , bevanda sacrificale e divinità a un tempo. La divinizzazione del sacrificio apparentemente è uno sviluppo in senso politeistico, ma in realtà si muove in senso contrario. Da al sacrificio un valore assoluto che non potrebbe avere finché resta nei limiti di uno strumento di comunicazione tra uomini e dei. E’ strumento se si distinguono da esso gli dei che se ne giovano; non lo è più quando la sua natura e quella degli dei  vengono identificate. Fornire al sacrificio un valore assoluto significa rilevarne l’autonomia rispetto agli dei e agli uomini, e significa snaturare il rapporto tra i destinatari dell’azione rituale , gli dei , e gli esecutori del rito, gli uomini.
La differenza fra dei e uomini  si riduce alle due rispettive forme d’esistenza; per il resto gli dei dipendono  dalla forza che il sacrificio  conferisce loro e gli uomini  dalla capacità che hanno di sacrificare . E’ in questi termini che la religione  vedica nello sviluppo ulteriore orientato dai Brakmana . Se il politeismo è fondamentale l’individuazione della forza che il sacrificio  conferisce agli dei quali che siano. Se in un politeismo e pure fondamentale stabilire  la posizione degli uomini  rispetto agli dei , per la religione indiana  diviene fondamentale stabilire  la posizione degli uomini rispetto al rito sacrificale . Per quanto riguarda gli dei , al di là delle singole qualifiche  si cercò la sostanza di cui erano fatti  e questa fu concepita come  brahman , conferito dal rito sacrificale. Per quanto riguarda gli uomini , fu gradualizzato il loro accesso al sacrificio  e fu riservata l’azione sacrificale  vera e propria  a sacerdoti manipolatori  del brahman  detti appunto bramani. Tuttavia ora non basta più ne il grado di sacrificante ne la mediazione del sacrificatore. L’uomo deve trovare in se , mediante l’ascesi  un calore ( tapas) interiore, capace di conferire efficacia al sacrificio. Si delinea la crisi del politeismo vedico : a che cosa servono gli dei se essi stessi traggono sostanza dal rito ? Non servono neppure a definire  un universo, dal momento che questo universo si fonda , nella nuova ideologia indiana , non tanto sulla loro esistenza quanto sulla retta (ora: rituale) amministrazione di forze impersonali. Il colpo di grazia al politeismo  vedico sarà dato dalla successiva speculazione delle Upanisad : l’uomo, capace di produrre Tapas, viene posto al centro dell’universo  e questo, prima rappresentato dal complesso delle divinità, è ormai risolto  nell’essenza delle divinità, ossia nel loro Brahman.
La comune essenza divina aveva gia portato la riduzione del pantheon  ad un unico dio personificante  la forza sostanza brahmanica , Brama  .
Un ultimo passo fu qiello di identificare  l’essenza dell’uomo Atman  con l’essenza dell’universo .
Brama o il brahman . Quando ciò avvenne , scomparve ogni funzione del culto: l’uomo per mettersi in contatto con l’universo non ha più bisogno di comunicare con gli dei, basta che lo cerchi in se, nel proprio atman, mediante la meditazione  e l’ascesi  che divengono così l’ideale di vita religiosa; in pratica è la rinuncia (samnjasa)  alla vita mondana , gia prescritta dai brahmana) per l’ultima età dell’uomo   (dopo che egli ha ormai soddisfatto ai doveri sociali) , ma che adesso diventa un modo d’essere assoluto fondato sulla rinuncia ai fini di una liberazione (moksa) dell’esistenza,  come fenomeno doloroso, e a esso si ispirano le nuove religioni che rompono definitivamente con la tradizione vedica:: il buddismo  e il giainismo .
La tradizione politeistica  , peraltro sarà continuata sviluppando i temi dell’azione  divina ( sakti, potenza creatrice) e del giusto comportamento umano(dharma) : le diverse soluzioni hanno dato luogo a quel coacervo  di dottrine e di pratiche  culturali che si chiama globalmente induismo  .
La contraddizione  tra la natura permanente  di un dio e l’occasionalità del suo intervento, che aveva portato alla crisi il politeismo vedico , si risolve nell’identificazione di un signore dell’universo (Isvara) e delle sue molteplici manifestazioni (avatara). L’Isvara, fu dapprima Brama, la divina personificazione del brahman , ma poi si espresse in due divinità meno filosofiche, Visnu e  Siva , dando luogo alle due principali correnti dell’Induismo : il Visnuismo  e il Sivaismo .
Visnu era un antico dio  vedico , connesso con l’asse del mondo già alleato con Indra e adesso suo successore .
Siva costituisce una nuova interpretazione  del vedico, Rudra , dio del mondo selvaggio. Antiche e nuove divinità sono adesso venerate e giustificate come manifestazioni del signore universale , e, se femminili, come sue spose.
Un tentativo di sintesi  è pure dato dalla concezione di una Trimurti , ovvero di una triforme essenza divina , comprendente Brama, Siva, e Visnu . Riguardo al comportamento religioso , l’induismo presenta , a parte le scelte  tra Siva e Visnu , una grandissima varietà di livelli , ognuno identificato con un complesso di norme (dharma) , ognuna altrettanto valida e degna di rispetto , in quanto relativa alla presente esistenza di un individuo ( la differenza tra le esistenze essendo giustificata dalla condotta in una vita precedente) . C’è il livello della meditazione e dell’ascesi, ma anche il livello del semplice culto  degli dei. C’è il maestro, il santone, il guru, ma c’è anche chi acquista meriti senza dover ne capire  ne praticare le sue dottrine , purché lo veneri e gli fornisca cibo. C’è un misticismo , a livello della meditazione , che darà luogo al tantrismo  e alle pratiche Yoga, ma c’è anche un misticismo , a livello della religiosità popolare , che si esprime nella Bhakti, la devozione  amorosa assoluta per un Dio.

Dal secolo XI l’induismo dovette fronteggiare la prepotente avanzata  dell’Islam. Da un lato, allora si eresse a religione nazionale contro l’invasione arabo islamica e dall’altro produsse comunità ibride che cercarono di assimilare la nuova religione . Ma tali comunità non ebbero seguito, tranne che nel Punjad, dove si costituì la compagine nazionale dei Sikh.

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