n°
5) Itinerari, luoghi della Fede
EREMI DELLA MAJELLA
Gli
eremi della Majella sono quasi 100, nascosti in remoti anfratti, in solitari
valloni o sulle pendici delle rigogliose montagne del Parco nazionale, in
Abruzzo
Francesco
Petrarca la chiamava Domus Christi, casa di Cristo. E con i suoi quaranta
luoghi di culto, la montagna della Majella è una zona decisamente abitata dalla
spiritualità. Sono soprattutto gli eremi, spesso nascosti in anfratti
difficilmente raggiungibili, a punteggiare di fede le rocce racchiuse nei
confini del parco nazionale. La sua area si raccoglie attorno al grande
massiccio calcareo che gli da il nome, alle montagne del Morrone a occidente e,
a oriente, attorno ai monti Pizi e Porrara. L’Abruzzo, con i suoi quasi 100
eremi, custodisce un patrimonio di straordinaria bellezza, che testimonia una
forte esperienza religiosa eremitica. Ma il maggior numero di siti è sul
versante occidentale della montagna, lungo le vallate di Santo Spirito e dell’Orfento.
Una storia antica: “L’isolamento e
l’inaccessibilità dei profondi valloni che solcano la Majella, ha profondamente
inciso sulla spiritualità degli abitanti dei suoi villaggi” spiega Nicola
Cimini, direttore del parco Nazionale della Majella: “sono iniziati, annuncia,
i lavori di sistemazione dei sentieri e della segnaletica informativa (2013)
per l’allestimento di totem, e l’avviamento di un corso di formazione per gli
operatori turistici che accompagnano i visitatori sugli eremi”.
La
vocazione spirituale di questa zona ha origini antichissime, ma a compiere una
vera e propria ristrutturazione degli eremi fu, nel XIII secolo, Pietro da
Morrone, futuro papa Celestino V.
Sulle orme di
Pietro da Morrone: Nato
a Isernia nel 1215, dopo un breve periodo trascorso nel monastero di Santa
Maria in Faifoli, Pietro fugge alla ricerca della solitudine estrema. Studierà
e prenderà i voti a Roma per poi lasciarla, nel 1241, e ritirarsi alle pendici
del Morrone, in una grotta vicino a una chiesetta dedicata alla Madonna. In
questo luogo la sua santità richiama molti discepoli, desiderosi di
condividere, con lui la vita eremitica. Ma il desiderio di solitudine è più
forte, e nel 1246 decise di dirigersi proprio sulla Majella, dove comincia a
dimorare nell’eremo di Santo Spirito,
vicino a Roccamorice. Qui rimane, tranne alcuni periodi, per circa
cinquant’anni. E’ in quello di
Sant’Onofrio , invece che il 17 luglio 1294 lo raggiunge la notizia del
suo pontificato, al quale rinuncia, lo stesso anno , per rivestire il saio da
eremita fino alla fine dei suoi giorni.
Il custode del
Santarello: L’eremo
di San Bartolomeo fu costruito
in un periodo anteriore al Mille, e qui Pietro da Morrone visse in preghiera
dal 1274 al 1276. Dal momento che la sua fama faceva accorrere migliaia di
fedeli, il futuro papa decise di spostarsi in un luogo più difficoltoso da
raggiungere, nell’allora impenetrabile valle dell’Orfento. Inserito in uno
scenario arido, l’eremo è accessibile mediante una scala ricavata nella roccia,
che porta a una balconata rocciosa alla fine della quale si trova la chiesa.
Sulla facciata ci sono affreschi risalenti al XIII secolo.
All’interno,
su un semplice altare è posta una statua ritraente San Bartolomeo . Sulla
parete sinistra, invece una vaschetta raccoglie acqua che i devoti ritengono
miracolosa. La statua di San Bartolomeo, chiamata affettuosamente “il
santarello” poiché molto leggera, tiene in mano una lama estraibile che
gira per le case dei devoti come una reliquia itinerante.
Il Romitario di San
Giovanni: E’ il luogo dove, per quasi nove anni,
dal 1284 al 1293, Pietro da Morrone, insieme a pochi discepoli, condusse vita
completamente isolata, nella valle dell’Orfento. Posto a 1227 metri di altezza
sulla parete di un’aspra valle, era raggiungibile solo con una passerella di
legno che, una volta tolta, lo rendeva inaccessibile. Oggi rimane la parte
eremitica dell’antico convento: un tempo vi erano le cellette dei monaci, una
chiesetta e una foresteria per i pellegrini. Per accedervi il visitatore è
costretto a strisciare per terra per alcuni metri.
La casa madre
dell’ordine dei Celestini: Quello
di Santo Spirito, risalente al XI secolo, è il più grande eremo celestinanio, .
Vi dimorò prima papa Vittore III,
nel 1053, che vi costruì una chiesa, e poi , nel 1246, Pietro da Morrone, che
fece edificare un oratorio con la prima cella.
Alla
fondazione della chiesa è legato un racconto leggendario secondo il quale
uno stuolo di angeli e santi apparve al santo eremita, assieme a San Giovanni
evangelista che, in splendide vesti sacerdotali, si mise a celebrare messa
sulle povere pietre dell’altare..
Il
nucleo originario dell’eremo è scavato nella roccia e si trova nella parte
bassa della chiesa: il portale in legno, così come la statua di San Michele
Arcangelo e il tabernacolo, risalgono al 1894, quando la chiesa fu riaperta al
culto. Fu allora che vennero ricollocate al suo interno le opere che erano
state spostate nella chiesa di Roccamorice: un busto di papa Celestino V, una
statua di Cristo in legno e i dipinti raffiguranti la Madonna, la discesa dello
Spirito santo nel Cenacolo, San Giuseppe
e Sant’Elena. Sull’altare di fondo della chiesa è ancora visibile l’affresco
della Pietà dipinto nel 1737 dal pittore locale Domenico Gizzonio. Vicino alla
foresteria, che si sviluppa su tre piani, si trovano i trentuno gradini della
Scala santa, interamente scavata nella montagna, che conduce a due grandi
balconate rocciose e all’oratorio della Maddalena, ricavato nello sperone
interno alla balconata.
Sant’Onofrio
al Morrone: La leggenda narra che Sant’Onofrio, figlio del re di persia, scontò
le sue colpe chiuso in una grotta, dove tutt’ora i credenti giungono per
poggiarsi nella cosiddetta “Culla di
Sant’Onofrio” , giaciglio del Santo la cui tradizione attribuisce
capacità curative per febbre e dolori addominali. L’eremo, che si trova a circa
700 metri di altezza e si raggiunge attraverso una scalinata scavata nella
pietra, ha un oratorio con la volta azzurra coperta di stelle. Alle pareti vi
sono pregiati affreschi duecenteschi raffiguranti la Vergine con il Bambino, i
busti di tre santi, un ritratto dello stesso papa Celestino e la Crocifissione
di Cristo.
Secondo
la tradizione, quando Pietro Morrone fu raggiunto dalla notizia della sua
elezione, vide il Crocifisso accennare con il capo e solo allora pronunciò queste
parole: “Do il mio assenso ai voti del sacro collegio ed accetto il sommo
pontificato. Mi aiuti il signore a portare il gravissimo giogo”.
Al
piano superiore sono visitabili gli alloggi, oggi adibiti a sedi di ritiri
spirituali, e la terrazza da cuimi fedeli lanciano sassi nel precipizio,
simboleggiando la volontà di allontanare le tentazioni.
Una vita da Eremita: preghiera,
lavoro, digiuno
Nelle
valli della Majella, tra gli ermi scavati nelle pietre, hanno vissuto le loro
vite uomini straordinari . Di questi luoghi e degli eremiti abbiamo parlato con
l’antropologa Gabriella Marucci.
Chi erano gli
eremiti? Uomini
giudicati santi, che rinunciavano ai luoghi dell’aggregazione, alla vita
sociale e ai beni materiali per acquisire indipendenza totale. Erano giudicati
molto umili, vivevano in penitenza e in posti freddissimi, mangiavano e
dormivano il meno possibile, non prendevano ordini sacerdotali perché non si
ritenevano degni. Dopo la fine dell’impero romano, in una società completamente
disgregata, cosa potevano fare degli uomini per diventare guide di qualcun
altro? Rifiutare tutto quello che cercavano gli altri.
Come venivano
percepiti dagl’altri?
La Majella è una montagna sacra, la gente era attratta dalla sacralità della
montagna e della prepotenza della sua natura. Erano tempi durissimi, e le
persone venivano affascinate dalla fama di queste vite straordinarie e da
questi uomini con il dono della preveggenza, della profezia e della guarigione.
Pietro da Morrone era stato ordinato sacerdote e aveva fondato i celestiniani,
ma si allontanava sempre di più dal mondo. Quello era già un eremitismo
tardivo, sacerdotale e benedettino: il lavoro era importante, i monaci scavavano
canaline per lo smaltimento delle acque.
Come vivevano? Vi era chi stava solo e chi
viveva in piccoli cenobi, lavoravano, digiunavano molto, stavano in preghiera e
combattevano il demonio, quello delle tentazioni di ambizione, del lasciarsi
andare ai desideri umani. Pietro da Morrone era un uomo molto solitario, dalla
fortissima vocazione ascetica.
Come attrae i
pellegrini? Questi
sono luoghi angusti, immersi in una natura prepotente che mostra la grandezza
del creatore. Si percepisce che è un piccolo luogo sacro, abitato di uomini che
vivevano di meditazione: è impossibile sfuggire a questa sensazione. Qui
davvero, l’incontro con il soprannaturale è più facile.
Come arrivare al
parco: Per raggiungere il Parco nazionale della Majella in auto, provenendo da
Roma, imboccare la A24 Roma L’Aquila e la A25 Torano-Pescara, uscite di Pratola
Peligna, Bussi, Torre De’ Passeri, Alanno-Scafa da cui si prosegue verso i
paesi del massiccio con le strade statali 17,487,614,81,84. Provenendo da nord
percorrere la A14 fino a Pescara e proseguire verso l’interno con la A25. Il
versante orientale della Majella si raggiunge dalla Val di Sangro proseguendo
poi verso Casoli, oppure dall’uscita Pescara-Chieti proseguendo verso
Guardiagrele.
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