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martedì 19 marzo 2013

EREMI DELLA MAJELLA


n° 5) Itinerari, luoghi della Fede

EREMI DELLA MAJELLA
Gli eremi della Majella sono quasi 100, nascosti in remoti anfratti, in solitari valloni o sulle pendici delle rigogliose montagne del Parco nazionale, in Abruzzo

Francesco Petrarca la chiamava Domus Christi, casa di Cristo. E con i suoi quaranta luoghi di culto, la montagna della Majella è una zona decisamente abitata dalla spiritualità. Sono soprattutto gli eremi, spesso nascosti in anfratti difficilmente raggiungibili, a punteggiare di fede le rocce racchiuse nei confini del parco nazionale. La sua area si raccoglie attorno al grande massiccio calcareo che gli da il nome, alle montagne del Morrone a occidente e, a oriente, attorno ai monti Pizi e Porrara. L’Abruzzo, con i suoi quasi 100 eremi, custodisce un patrimonio di straordinaria bellezza, che testimonia una forte esperienza religiosa eremitica. Ma il maggior numero di siti è sul versante occidentale della montagna, lungo le vallate di Santo Spirito e dell’Orfento.
Una storia antica: “L’isolamento e l’inaccessibilità dei profondi valloni che solcano la Majella, ha profondamente inciso sulla spiritualità degli abitanti dei suoi villaggi” spiega Nicola Cimini, direttore del parco Nazionale della Majella: “sono iniziati, annuncia, i lavori di sistemazione dei sentieri e della segnaletica informativa (2013) per l’allestimento di totem, e l’avviamento di un corso di formazione per gli operatori turistici che accompagnano i visitatori sugli eremi”.
La vocazione spirituale di questa zona ha origini antichissime, ma a compiere una vera e propria ristrutturazione degli eremi fu, nel XIII secolo, Pietro da Morrone, futuro papa Celestino V.
Sulle orme di Pietro da Morrone: Nato a Isernia nel 1215, dopo un breve periodo trascorso nel monastero di Santa Maria in Faifoli, Pietro fugge alla ricerca della solitudine estrema. Studierà e prenderà i voti a Roma per poi lasciarla, nel 1241, e ritirarsi alle pendici del Morrone, in una grotta vicino a una chiesetta dedicata alla Madonna. In questo luogo la sua santità richiama molti discepoli, desiderosi di condividere, con lui la vita eremitica. Ma il desiderio di solitudine è più forte, e nel 1246 decise di dirigersi proprio sulla Majella, dove comincia a dimorare nell’eremo di Santo Spirito, vicino a Roccamorice. Qui rimane, tranne alcuni periodi, per circa cinquant’anni. E’ in quello di Sant’Onofrio , invece che il 17 luglio 1294 lo raggiunge la notizia del suo pontificato, al quale rinuncia, lo stesso anno , per rivestire il saio da eremita fino alla fine dei suoi giorni.
Il custode del Santarello: L’eremo di San Bartolomeo fu costruito in un periodo anteriore al Mille, e qui Pietro da Morrone visse in preghiera dal 1274 al 1276. Dal momento che la sua fama faceva accorrere migliaia di fedeli, il futuro papa decise di spostarsi in un luogo più difficoltoso da raggiungere, nell’allora impenetrabile valle dell’Orfento. Inserito in uno scenario arido, l’eremo è accessibile mediante una scala ricavata nella roccia, che porta a una balconata rocciosa alla fine della quale si trova la chiesa. Sulla facciata ci sono affreschi risalenti al XIII secolo.
All’interno, su un semplice altare è posta una statua ritraente San Bartolomeo . Sulla parete sinistra, invece una vaschetta raccoglie acqua che i devoti ritengono miracolosa. La statua di San Bartolomeo, chiamata affettuosamente “il santarello” poiché molto leggera, tiene in mano una lama estraibile che gira per le case dei devoti come una reliquia itinerante.
Il Romitario di San Giovanni: E’ il luogo dove, per quasi nove anni, dal 1284 al 1293, Pietro da Morrone, insieme a pochi discepoli, condusse vita completamente isolata, nella valle dell’Orfento. Posto a 1227 metri di altezza sulla parete di un’aspra valle, era raggiungibile solo con una passerella di legno che, una volta tolta, lo rendeva inaccessibile. Oggi rimane la parte eremitica dell’antico convento: un tempo vi erano le cellette dei monaci, una chiesetta e una foresteria per i pellegrini. Per accedervi il visitatore è costretto a strisciare per terra per alcuni metri.
La casa madre dell’ordine dei Celestini: Quello di Santo Spirito, risalente al XI secolo, è il più grande eremo celestinanio, . Vi dimorò prima papa Vittore III, nel 1053, che vi costruì una chiesa, e poi , nel 1246, Pietro da Morrone, che fece edificare un oratorio con la prima cella.
Alla fondazione della chiesa è legato un racconto leggendario secondo il quale uno stuolo di angeli e santi apparve al santo eremita, assieme a San Giovanni evangelista che, in splendide vesti sacerdotali, si mise a celebrare messa sulle povere pietre dell’altare..
Il nucleo originario dell’eremo è scavato nella roccia e si trova nella parte bassa della chiesa: il portale in legno, così come la statua di San Michele Arcangelo e il tabernacolo, risalgono al 1894, quando la chiesa fu riaperta al culto. Fu allora che vennero ricollocate al suo interno le opere che erano state spostate nella chiesa di Roccamorice: un busto di papa Celestino V, una statua di Cristo in legno e i dipinti raffiguranti la Madonna, la discesa dello Spirito santo  nel Cenacolo, San Giuseppe e Sant’Elena. Sull’altare di fondo della chiesa è ancora visibile l’affresco della Pietà dipinto nel 1737 dal pittore locale Domenico Gizzonio. Vicino alla foresteria, che si sviluppa su tre piani, si trovano i trentuno gradini della Scala santa, interamente scavata nella montagna, che conduce a due grandi balconate rocciose e all’oratorio della Maddalena, ricavato nello sperone interno alla balconata.
Sant’Onofrio al Morrone: La leggenda narra che Sant’Onofrio, figlio del re di persia, scontò le sue colpe chiuso in una grotta, dove tutt’ora i credenti giungono per poggiarsi nella cosiddetta “Culla di Sant’Onofrio” , giaciglio del Santo la cui tradizione attribuisce capacità curative per febbre e dolori addominali. L’eremo, che si trova a circa 700 metri di altezza e si raggiunge attraverso una scalinata scavata nella pietra, ha un oratorio con la volta azzurra coperta di stelle. Alle pareti vi sono pregiati affreschi duecenteschi raffiguranti la Vergine con il Bambino, i busti di tre santi, un ritratto dello stesso papa Celestino e la Crocifissione di Cristo.
Secondo la tradizione, quando Pietro Morrone fu raggiunto dalla notizia della sua elezione, vide il Crocifisso accennare con il capo e solo allora pronunciò queste parole: “Do il mio assenso ai voti del sacro collegio ed accetto il sommo pontificato. Mi aiuti il signore a portare il gravissimo giogo”.
Al piano superiore sono visitabili gli alloggi, oggi adibiti a sedi di ritiri spirituali, e la terrazza da cuimi fedeli lanciano sassi nel precipizio, simboleggiando la volontà di allontanare le tentazioni.

Una vita da Eremita: preghiera, lavoro, digiuno
Nelle valli della Majella, tra gli ermi scavati nelle pietre, hanno vissuto le loro vite uomini straordinari . Di questi luoghi e degli eremiti abbiamo parlato con l’antropologa Gabriella Marucci.
Chi erano gli eremiti? Uomini giudicati santi, che rinunciavano ai luoghi dell’aggregazione, alla vita sociale e ai beni materiali per acquisire indipendenza totale. Erano giudicati molto umili, vivevano in penitenza e in posti freddissimi, mangiavano e dormivano il meno possibile, non prendevano ordini sacerdotali perché non si ritenevano degni. Dopo la fine dell’impero romano, in una società completamente disgregata, cosa potevano fare degli uomini per diventare guide di qualcun altro? Rifiutare tutto quello che cercavano gli altri.
Come venivano percepiti dagl’altri? La Majella è una montagna sacra, la gente era attratta dalla sacralità della montagna e della prepotenza della sua natura. Erano tempi durissimi, e le persone venivano affascinate dalla fama di queste vite straordinarie e da questi uomini con il dono della preveggenza, della profezia e della guarigione. Pietro da Morrone era stato ordinato sacerdote e aveva fondato i celestiniani, ma si allontanava sempre di più dal mondo. Quello era già un eremitismo tardivo, sacerdotale e benedettino: il lavoro era importante, i monaci scavavano canaline per lo smaltimento delle acque.
Come vivevano? Vi era chi stava solo e chi viveva in piccoli cenobi, lavoravano, digiunavano molto, stavano in preghiera e combattevano il demonio, quello delle tentazioni di ambizione, del lasciarsi andare ai desideri umani. Pietro da Morrone era un uomo molto solitario, dalla fortissima vocazione ascetica.
Come attrae i pellegrini? Questi sono luoghi angusti, immersi in una natura prepotente che mostra la grandezza del creatore. Si percepisce che è un piccolo luogo sacro, abitato di uomini che vivevano di meditazione: è impossibile sfuggire a questa sensazione. Qui davvero, l’incontro con il soprannaturale è più facile.

Come arrivare al parco: Per raggiungere il Parco nazionale della Majella in auto, provenendo da Roma, imboccare la A24 Roma L’Aquila e la A25 Torano-Pescara, uscite di Pratola Peligna, Bussi, Torre De’ Passeri, Alanno-Scafa da cui si prosegue verso i paesi del massiccio con le strade statali 17,487,614,81,84. Provenendo da nord percorrere la A14 fino a Pescara e proseguire verso l’interno con la A25. Il versante orientale della Majella si raggiunge dalla Val di Sangro proseguendo poi verso Casoli, oppure dall’uscita Pescara-Chieti proseguendo verso Guardiagrele.




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