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venerdì 8 marzo 2013

CATTEDRALE DI OTRANTO, Puglia


(N°2) Itinerari, luoghi della fede
CATTEDRALE DI OTRANTO
Fiore del Salento, alla scoperta della porta millenaria fra Occidente e Oriente  dove centinaia di uomini sono andati incontro alla morte pur di non rinnegare la loro fede cristiana.

Circondata per tre quarti dal mare, s’innalza con le sue vecchie case oltre le mura che la disegnano come la città più a est della penisola. A guardia del canale omonimo e anello di congiunzione con le vicine Albania e Grecia, Otranto è la soglia che l’umanità ha varcato per secoli nella sua primitiva marcia verso l’Europa. La Cittadina, in provincia di Lecce, è stata dapprima centro messapico e romano, poi bizantino, più tardi aragonese.
Conta quasi sei mila abitanti . Sul Colle dei Martiri, dove ottocento otrantini, durante l’assedio del 1480, preferirono morire per mano turca anziché rinnegare la fede, oggi sorgono la chiesa di Santa maria dei Martiri e il monastero di San Niccolò.
La chiesa ferita dai Turchi: Edificata sotto la dominazione normanna nel 1088, durante il papato di Urbano II, la cattedrale, intitolata a Santa Maria Annunziata, concilia armoniosamente elementi bizantini, romanici e gotici. Sorge sui resti di un villaggio messapico, di una domus romana e di un tempio paleocristiano. E’ stata fortemente rimaneggiata in seguito alle devastazioni turche. Sulla facciata spiccano un portale barocco risalente al 1674 e un rosone di epoca rinascimentale formato da sedici colonnine in pietra leccese disposte attorno ad un nucleo in stile gotico. Il tetto è ricoperto in legno con decorazioni dorate, mentre l’interno, diviso in tre navate da colonne in granito e marmo, ospita sulle pareti affreschi in stile bizantino. La cripta dell’XI secolo, che si snoda nell’area sottostante, è una miniatura della “ basilica azzurra” di Costantinopoli. E’ accessibile tramite due scalinate.
Sulla navata destra sono conservati, in sette grandi teche, i resti degli ottocento martiri. Dietro l’altare è deposto il sasso utilizzato per la loro decapitazione.
Uno spirito moderno: Se le ossa dei martiri sono prova tangibile della consacrazione spirituale della città pugliese e dell’intero Salento, l’elemento più importante della Cattedrale, che raccoglie in se fede, storia, cultura, bellezza e mistero, è il mosaico pavimentale. Realizzato con tasselli di calcare dal monaco Pantaleone, si compone di oltre 600mila pezzi, si estende per circa sedici metri e ricopre per intero il pavimento della chiesa.
Non è solo la dimensione a renderlo unico e a promuoverlo come il più grande d’Europa: i tasselli dell’Albero della vita sono stati testimoni del massacro dei beati martiri. Esso assume un valore eccezionale per il suo messaggio universale e unitario, per la perfezione della forma a croce e per l’armonica compresenza di elementi culturali venuti dal nord Europa, dal mondo giudaico, cristiano, musulmano e buddista. Capolavoro unico dell’arte pittorica medioevale, riflette l’umanesimo  del suo autore e il pensiero di una società ancora perfettamente capace di cogliere l’unità nella verità.
Il mosaico della cattedrale sembra percorrere lo spirito del Concilio Vaticano II, rappresentando in forma visiva l’umanesimo integrale o, come amava chiamarlo papa Paolo VI, l’umanesimo planetario che favorisce lo sviluppo di tutti gli uomini.
Un curioso rapimento: All’interno della Cattedrale, nel cappellone dei martiri, è collocata una statua legnea della madonna delle Grazie risalente al XIV secolo, che fu coinvolta nella presa turca della città. Ad attestarlo, un episodio che la tradizione e la religiosità popolare tramandano da secoli: avendo un turco notato la bella statua e pensando fosse d’oro, la prese come bottino di guerra e la portò con se a Valona. Li si accorse che era semplicemente di legno e, deluso, la mise da parte come cosa di poco valore.
Nei pressi viveva una giovane schiava otrantina, che soffriva per il trattamento riservato alla Madonna proveniente dalla sua città. Quando, durante un parto, la moglie del turco era in pericolo di vita, la schiava disse all’uomo che per guarirla avrebbe dovuto liberare la statua che teneva sotto il letto e restituirla a Otranto. Guarita la donna, il turco affidò al mare la statuetta, che da alcuni pescatori fu vista giungere sulle coste salentine.
Il Monastero di Clausura: Nel luogo del martirio degli ottocento beati, una comunità di venti sorelle clarisse prega perché quella violenza non si ripeta più. Lo stesso accade al di la dello stretto canale di Otranto. Settante chilometri dividono questa comunità dalla gemella fondata nel 2003 in Albania, a Scutari, in un ex carcere del regime comunista. Le religiose si trovano al cuore di problemi d’attualità anche nei monasteri di clausura, spiega l’abadessa, suor Diana Papa.
Dove c’è fraternità che prega, che perdona e si riconcilia, che fa dono nella gratuità, lì si rende visibile la presenza di Dio nella storia del villaggio globale. L’esistenza di una religiosa che si impegna a vivere la regola di Santa Chiara è caratterizzata soprattutto dalla preghiera e dal lavoro. La vita contemplativa continua ad affascinare con la sua radicalità, dice suor Diana Papa, ammettendo la piacevole sorpresa sperimentata dai giovani che si recano in monastero per un esperienza di ritiro. “ Non avevo mai ascoltato il silenzio, ci dicono alcuni”.

IL FATTO STORICO
I beati ottocento martiri
E’ il 28 luglio 1480 quando un esercito di 15 mila soldati turchi su 140 navi, provenienti dalle coste albanesi per invadere la penisola italiana, assedia Otranto. Nonostante l’eroica resistenza opposta dagli abitanti, dopo tre settimane la città cade nelle mani degli invasori che la saccheggiarono e uccidono l’arcivescovo Stefano, i canonici, diversi sacerdoti e numerosi fedeli riuniti nella cattedrale. Gran parte della popolazione viene sterminata, mentre gli ottocento maschi adulti sopravvissuti sono portati sul Colle della Minerva, dove si trova l’accampamento turco. Il comandante Gedik Achmed pascià, ordina loro di rinnegare la fede cristiana.
Antonio Primaldo, umile calzolaio o cimatore di panni, a nome di tutti i cristiani prigionieri dichiara che essi ritengono Gesù Cristo il figlio di Dio e che piuttosto vogliono mille volte morire che rinnegarlo e farsi turchi.
Di fronte a questa risposta, Achmed Pascià li condanna tutti a morte. Primaldo e compagni sono subito riconosciuti martiri della popolazione.
La chiesa locale, ogni anno, il 14 agosto, celebra devotamente la loro memoria. Nel 1988, l’arcivescovo di Otranto nomina una commissione storica e negli anni 1991-1993 celebra  l’inchiesta diocesana, riconosciuta valida dalla congregazione delle cause dei santi nel 1994. Nel 2007, Benedetto XVI approva il decreto con cui si riconosce che i beati Antonio Primaldo e compagni sono stati uccisi per la loro fedeltà a Cristo. Infine il 20 dicembre 2012 , il papa autorizza la Congregazione a pubblicare il decreto riguardante un miracolo attribuito all’intercessione dei martiri di Otranto, che saranno presto canonizzati.

IL MOSAICO DELLA CATTEDRALE
Il mosaico di Otranto è la più grande opera musiva pavimentale mai eseguita in Europa, realizzata con oltre 600mila tessere calcaree. Le poche certezze rimaste immortalate in tre iscrizioni di questo enorme tappeto policromo dalla simbologia eclettica, riguardano la data di realizzazione (1165), il committente  (Gionata, arcivescovo di Otranto) e l’autore (il prete Pantaleone).
Una miscellanea difficile da decifrare: Oggetto di studi che cercano di svelarne la complessità esegetica, il mosaico è una mescolanza di elementi tratti dal Vecchio Testamento (assenti, e questo è davvero insolito per una chiesa cristiana, riferimenti neotestamentari), dai Vangeli Apocrifi, dalla Cabala ebraica, dal misticismo cristiano della gnosi, dall’esicasmo greco orientale, che rappresentano una summa rara delle conoscenze culturali e teologiche medievali. L’organizzazione della narrazione nel suo complesso è coerente e il progetto compositivo della parte centrale unitario.
Lo si comprende se si effettua una lettura dell’opera partendo non dall’ingresso verso l’altare, come sarebbe usuale, ma dall’abside, dove trovano logica collocazione le storie di Giona. Nella navata centrale la superficie è dominata da un tronco, comunemente identificato con l’Albero della Vita, ma che potrebbe essere anche un metaforico percorso di conoscenza (gnosi) . L’Albero è senza radici, per sottolinearne il carattere spirituale, e poggia su due elefanti, simbolo di forza e stabilità. Tutto intorno una progressione di scene bibliche: la costruzione della torre di Babele, il diluvio universale, la cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso Terrestre, Caino e la sua triste vicenda fratricida.
Gli elementi mistici si mescolano a quelli reali con immagini ispirate all’inesorabile scorrere della vita tra i cicli della natura e del tempo, raccontate attraverso la raffigurazione dei mesi dell’anno e dei simboli dello zodiaco, che alludono alle capacità creative dell’uomo. A simboleggiare invece la bramosia di grandezza della natura umana, compare Alessandro Magno. Nelle seminavate laterali Pantaleone riproduce da un lato il giudizio universale, dall’altro allegorie di animali mitologici e mostri, mentre nella zona presbiterale, racchiusi in 12 tondi, i vizi e le virtù.
Disorienta invece la quantità di elementi apparentemente fuori contesto, ancora oggi indecifrabili, che l’opera musiva nasconde. Tra i tanti, il gatto con gli stivali, la Dea Diana e re Artù.
Almeno così dice l’iscrizione posta accanto ad un uomo che monta un ariete e brandisce un bastone al posto della spada, circostanze che aprono discussioni sulla reale identità di quel personaggio. Ma ad avallare la bontà della scritta ci sono un centauro con una scacchiera in testa, simbolo templare, e il Santo Graal ovvero la conoscenza che rimanda a quel discusso albero centrale.
Come arrivare ad Otranto:
In auto imboccare da Lecce la tangenziale fino all’uscita Otranto, Maglie, Leuca. Giunti a Maglie, percorrere la statale 16 Maglie-Otranto per 15 chilometri.

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