Contrat
Social 9:
LA DEMOCRAZIA
Chi
fa la legge sa meglio di chiunque altro come essa debba essere eseguita e
interpretata. Sembrerebbe dunque che non ci potesse essere costituzione
migliore di quella in cui il potere
esecutivo è unito a quello
legislativo. Ma è proprio ciò a rendere questo governo sotto certi aspetti
insufficiente, perché le cose che devono
essere distinte non lo sono, ed il
principe (governo) e il corpo sovrano (popolo) , essendo un’unica persona,
non formano, per così dire, che un governo senza governo.
Non
è bene che chi fa le leggi le applichi, ne che il corpo del popolo distolga la
sua attenzione dai problemi generali per indirizzarla a scopi particolari.
Niente è più pericoloso dell’influenza
degli interessi privati sugli affari pubblici; e l’abuso delle leggi da parte
del governo è un male minore della corruzione del legislatore, inevitabile
conseguenza dei punti di vista
particolari. Allora, poiché lo stato si altera nella sua sostanza, qualunque
riforma diventa impossibile. Un popolo che non abusasse mai del governo, non
abuserebbe neanche dell’indipendenza; un popolo che governasse sempre bene, non
avrebbe bisogno di essere governato.
Se
si prende il termine nella sua rigorosa accezione, non è mai esistita una vera
democrazia, né mai esisterà. E’ contro l’ordine naturale che la maggioranza
governi e la minoranza sia governata.
Non
si può immaginare che il popolo resti continuamente adunato per attendere agli
affari pubblici; ed è facile capire che non potrebbe istituire commissioni a
quest’uopo senza che cambi la forma dell’amministrazione.
<in
effetti credi di poter stabilire il principio che, quando le funzioni di
governo sono divise tra parecchi organismi, i meno numerosi acquistano prima o poi la maggiore
autorità, non foss’altro che per la facilità nel disbrigo degli affari, che ad
essa li conduce naturalmente.
D’altronde,
quante cose difficili a mettere insieme non presuppone un tale governo! In
primo luogo uno Stato molto piccolo, in cui al popolo sia facile riunirsi, ed
ogni cittadino possa facilmente conoscere tutti gli altri; in secondo luogo,
una grande semplicità di costumi, che impedisca il moltiplicarsi degli affari e
le discussioni spinose; inoltre, una grande eguaglianza di condizioni e di
fortune, senza di che l’eguaglianza non
riuscirebbe a sussistere a lungo nei diritti e nell’autorità; infine, poco o
niente lusso: perché il lusso o è effetto delle ricchezze, o le rende
necessarie; corrompe allo stesso tempo il ricco ed il povero, il primo con il
possesso e l’altro con la cupidigia; vende la patria alla mollezza e alla
vanità; toglie allo stato tutti i suoi cittadini per asservirli gli uni agli
altri, e tutti alla considerazione reciproca.
Ecco
perché un celebre autore (Montesquieu) ha posto la virtù a fondamento della Repubblica: perché tutte queste
considerazioni non potrebbero sussistere
senza la virtù; ma, per non aver fatto le necessarie distinzioni, quel
bell’ingegno ha mancato spesso di esattezza, qualche volta di chiarezza, e non
ha visto che, essendo l’autorità sovrana
dovunque la stessa, lo stesso principio deve valere in ogni Stato ben
costituito, più o meno, è vero, a seconda della forma del governo.
Aggiungiamo
che non c’è governo così soggetto alle guerre civili e alle agitazioni
intestine come quello democratico o popolare, perché non ve n’è alcuno che tenda cos’ fortemente e
continuamente a cambiare di forma, né che richieda maggiore vigilanza e
coraggio per essere mantenuto nella sua forma propria. E’ soprattutto in questa
costituzione che il cittadino deve armarsi di forza e di costanza, e dirsi ogni
giorno nel profondo del cuore ciò che diceva un virtuoso Palatino alla dieta di
Polonia (Il Palatino di Posnania, padre del re di Polonia, duca di Lorena): Malo periculosam libertatem quam quietum
servitium (preferisco una
pericolosa libertà a una quieta schiavitù).
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