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Itinerari, luoghi della Fede
ISOLA
DI SAN LAZZARO
FRAMMENTO DI Armenia, nella laguna
centrale a ridosso del Lido di Venezia, è interamente occupata da un monastero,
casa madre dell’ordine secolare dei
Mechitaristi.
Incastonata nel cuore della Laguna tra
San Marco e il Lido, si trova l’Isola di San lazzaro degli Armeni, frammento
del silenzioso Oriente a un passo dalla multiculturale Venezia. L’isola,
circondata da un immenso giardino, ospita la casa madre dell’Ordine dei
Mechitaristi, una delle più importanti comunità armene dell’Italia e del mondo
intero.
Un
po’ di storia:
L’isola è dedicata a San lazzaro, protettore dei lebbrosi, perché nel XII
secolo era adibita a lazzaretto, data la posizione ideale per lo stazionamento
in quarantena dei malati. Rimase deserta e abbandonata per qualche tempo, fino
al 1717, quando la Serenissima l’assegnò a un nobile monaco armeno di Sebaste,
Manug di Pietro, detto Mechitar, ossia 2 il consolatore”, fuggito assieme ad
alcuni confratelli dalla città greca di Modone, dove aveva fondato un
monastero, perché invasa dai Turchi. Dopo aver riedificato la chiesa e il
convento, l’abate si occupò di conservare il patrimonio culturale armeno,
servendosi anche dell’aiuto di giovani connazionali da lui accolti e istruiti.
Centro
culturale:
L’isola presto divenne uno dei primi centri del mondo di cultura armena, nonché
punto di riferimento per gli studiosi delle lingue orientali. In continuità con
il desiderio dell’abate Mechitar di accrescere la diffusione della cultura
armena, i suoi successori fondarono, nel 1786, una tipografia poliglotta, poi
chiusa nel 1995, anche se sopravvive la casa editrice. I monaci si dedicano
alla traduzione in armeno di capolavori della letteratura classica occidentale
e viceversa: fu per la sua natura simile
a un’accademia culturale, che Napoleone ritenne ragionevole non
sopprimere l’ordine . “ La missione culturale della congregazione, racconta
padre Hamazasp Kechichian, monaco mechitarista della comunità dell’isola
(2013), si realizzò attraverso un’intensa attività editoriale che investì tutti
i campi del sapere, delle scienze alla spiritualità fino alle arti, alla
storiografia e alla linguistica.
Un esempio è il Dizionario dei tre Vardapet, realizzato da tre mechitaristi tra
il 1836 e il 1837, considerato ancora oggi punto di riferimento per gli studi
linguistici armeni.
Arte tra oriente e occidente: Approdati
sull’isola, vera oasi di silenzio, si scorge il monastero, completamente
circondato dal verde di un grande giardino con piante esotiche, pini e molte
varietà di rose che vengono coltivate dai padri. Nel cortile antistante il
convento è collocato un khatchkar armeno, letteralmente
“croce-pietra , un simbolo donato alla serenissima nel 1987. Si tratta
di parallelepipedi di pietra, scolpiti a bassorilievo con, al centro, una croce
e decorazioni a intreccio. Al centro del cortile, la statua in bronzo di Mechitar, che a braccia aperte accoglie
il visitatore. Lungo il porticato del chiostro, reperti archeologici, un
ossario e una statua romana. La chiesa ha struttura trecentesca, con tre
navate, le campate a sesto acuto sorrette da colonne veneto-bizantine in marmo
rosso. Al centro dell’altare, un dipinto raffigurante la Vergine e, davanti, la
tomba in marmo dell’abate fondatore. Infine nelle arcate, mosaici con figurine
di santi. La biblioteca, di forma cilindrica, è stata ricostruita nel 1970 e
conserva circa 170mila volumi, di cui quasi 5mila manoscritti, tra i quali
alcuni creati con oro e lapislazzuli tritati. Sul suo soffitto campeggia La pace e la Giustizia di Giambattista
Tiepolo. Le collezioni del museo raccolgono ceramiche, argenti, monete, arazzi,
una grande quantità di manufatti arabi, indiani ed egiziani, tra cui la curiosa
mummia di Nehmeket, risalente al VI secolo a.C.. La pinanoteca conserva quasi
mille quadri, alcuni appartenenti ad autori del calibro di Palma il giovane,
Padovanino e Tiepolo.
La
comunità:
Nell’isola vivono 16 persone: dieci padri, due professori che frequentano
l’università, quattro postulanti che si preparano al noviziato (2013) e un
laico che segue gli anziani e da una mano nei lavori manuali. “ La nostra
giornata, spiega padre Hamazasp, comincia con le preghiere della mattina, le
lodi oppure il mattutino. Segue la messa e la colazione, dopodiché ciascun padre
si dedica ai suoi impegni: ricerca, studio, lavoro in biblioteca,
nell’archivio, faccende amministrative e anche visite guidate”. A mezzogiorno,
tutti in chiesa per l’ora media. Dopo pranzo, riunione nella “ Dak Dun” che
significa stanza calda, ovvero una sala caffè dove si conserva e si leggono i
giornali locali e armeni”. Poi i più anziani si ritirano per riposarsi mentre i
padri più giovani tornano alle loro attività fino alle 19, per i vespri. Dopo
la cena, “prima di ritirarci nelle nostre celle, seguiamo le notizie in
televisione”.
Un
notevole flusso:
Sull’isola di San Lazzaro si contano circa 45mila visitatori all’anno,
provenienti da ogni parte del mondo, e anche se “ la maggior parte, sottolinea
padre Hamazasp, sono europei, diversi pellegrini sono armeni, sia della
repubblica d’Armenia che dai luoghi della diaspora”. Ogni giorno si tiene,
senza bisogno di prenotazione, una visita guidata in cinque lingue: italiano,
francese, inglese, armeno e spagnolo. “La visita prosegue, generalmente dura
più di un ora e comprende il chiostro, la chiesa, il refettorio, il museo e la
biblioteca.
Tipico souvenir da portare a casa, la marmellata di petali di
rose damascene, “vertanush, prodotta dai padri con le rose che loro
stessi coltivano. Luogo di pace di preghiera e di studio, l’isola ospitò, nel
1816, anche Lord George Gordon Byron che la scelse per imparare l’armeno: dal
vestibolo della biblioteca si accede alla sala che porta il suo nome, dove il
poeta inglese amava ritirarsi a studiare durante le visite a San lazzaro. Oltre
alla pace, chi giunge qui trova i reperti, i manoscritti e le reliquie
conservate dai padri con cura, che raccontano della storia millenaria del
popolo armeno: “Una storia sofferta, sintetizza padre Hamazasp, scritta con il
sangue ma comunque gloriosa grazie all’alfabeto e alla Croce di Cristo”.
Chi
sono gli armeni:
Storicamente stanziati in Anatolia, molti si trovano nello stato di origine,
l’Armenia, al confine tra la Turchia, Iran, Georgia, Azerbaigian, dove costituiscono il gruppo
etnico di maggioranza. Molte altre comunità sono sparse per il globo.
Complessivamente sono circa 8 milioni di
persone. Nel XVII secolo la società armena visse una crisi profonda per le
devastazioni mongole, le persecuzioni ottomane e la penetrazione curda. Furono
queste le ragioni che spinsero i chierici armeni a fondare tipografie in
Europa, dalle quali dare inizio alla rinascita mediante la stampa e la
diffusione della tradizione letteraria, filosofica e scientifica del popolo che
ha subito un vero e proprio genocidio da parte dei Turchi. I primi episodi, per
volere del sultano Abdul-Hamid, si sono verificati alla fine dell’800, ma si
sono ripetuti anche nei primi decenni del secolo scorso. L’anniversario del genocidio
viene commemorato il 24 aprile.
L’Abate
Mechitar:
Originario di Sivas , città Armena nel territorio dell’impero Ottomano, nacque
nel 1676 e a 15 anni entrò nel convento di Surb
Nsan, dei monaci armeni di Sant’Antonio Abate. A quel tempo, la Chiesa
armena era molto ripiegata sul passato e divisa da Roma per motivi storici e
teologici. Mechitar, divenuto monaco benedettino, cercò per tutta la vita di
favorire il rientro dei credenti armeni nella chiesa cattolica. Nel 1700 fondò
la Congregazione Mechitarista, ordine religioso cattolico riconosciuto
ufficialmente dalla chiesa cattolica qualche anno dopo, che tra i voti annovera
castità, povertà, obbedienza e apostolato fino all’effusione del sangue. In
fuga dalla sua terra natia per le persecuzioni da parte dei turchi, il monaco
nel 1715 approdò a Venezia. Sull’isola di San Lazzaro iniziò un opera di
valorizzazione, restauro e ampliamento dei vecchi edifici e creò un monastero di
Vartapet, ieromonaci che, lontano dalla loro patria, nella laguna
veneziana, si adoperavano per trasmettere ai figli del popolo armeno i valori
spirituali e culturali, salvaguardare la loro identità, la loro storia e la
loro lingua. La missione di Mechitar continua ancora oggi: “ Chiunque viene nell’isola
può respirare il nostro operato tra le collezioni librarie e reperti
archeologici, ma soprattutto può osservare la vita monastica che svolgiamo,
intenti a vivere e custodire la spiritualità armena.
Un altro contributo dei padri della
congregazione riguarda l’educazione: attualmente, racconta, abbiamo sette
scuole nel mondo dove i nostri padri missionari continuano ad educare le nuove
generazioni esortandoli a riscoprire e conservare le loro radici vivendo da
veri cristiani, armeni, avendo nel cuore la religione, la patria e le virtù
umane, per fare sempre il bene trasmettendo i valori a noi tramandati dai
nostri antenati.
LA MESSA RECITATA CON RITO CATTOLICO
ARMENO:
La
solennità, la gestualità, la ricchezza dei paramenti. Sono solo alcuni degli
elementi che caratterizzano il rito cattolico armeno, che si celebra nel
monastero dell’isola di San Lazzaro.
L’incenso che emana un profumo soave e i tipici canti liturgici sono, racconta
padre Hamazasp monaco mechitarista della comunità dell’isola, “tutti segni che
rimandano ad una profonda simbologia del Mistero Divino”. Nel rito armeno non
c’è l’iconostasi bizantina ma viene utilizzata una tenda che nel tempo
ordinario si chiude in alcuni momenti della celebrazione liturgica, per esempio
quando il celebrante si prepara al mistero della comunione e prepara le
offerte. E durante la quaresima resta chiusa a simboleggiare la penitenza che
caratterizza questo periodo. Così come stabilito dal Concilio Vaticano II, “ le
chiese orientali devono conservare i loro usi e le loro tradizioni liturgiche:
ne è esempio, conclude, la posizione del celebrante durante la messa, rivolto
all’altare e con le spalle all’assemblea.
COME RAGGIUNGERE IL COMPLESSO RELIGIOSO:
Occorre, raggiungere Venezia. In aereo,
l’aeroporto Marco Polo di Tessera si trova a circa venti chilometri di distanza
dal centro storico a cui è collegato dalla linea 5 dell’autobus (accessibile
alle carrozzine).
Con il treno, le stazioni ferroviarie
sono due: quella di Mestre e quella di Venezia Santa Lucia.
In auto, da Trieste o da Torino il
capoluogo veneto è raggiungibile mediante l’A4, mediante l’A27 da Belluno e, da
sud con l’A1 o con l’Adriatica, e poi l’A3. Giunti in città occorre imbarcarsi
sul vaporetto numero 20 dal molo San Zaccaria.
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