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mercoledì 1 maggio 2013

ISOLA DI SAN LAZZARO (Venezia)


13)  Itinerari, luoghi della Fede

ISOLA DI SAN LAZZARO
FRAMMENTO DI Armenia, nella laguna centrale a ridosso del Lido di Venezia, è interamente occupata da un monastero, casa madre dell’ordine secolare dei Mechitaristi.

Incastonata nel cuore della Laguna tra San Marco e il Lido, si trova l’Isola di San lazzaro degli Armeni, frammento del silenzioso Oriente a un passo dalla multiculturale Venezia. L’isola, circondata da un immenso giardino, ospita la casa madre dell’Ordine dei Mechitaristi, una delle più importanti comunità armene dell’Italia e del mondo intero.
Un po’ di storia: L’isola è dedicata a San lazzaro, protettore dei lebbrosi, perché nel XII secolo era adibita a lazzaretto, data la posizione ideale per lo stazionamento in quarantena dei malati. Rimase deserta e abbandonata per qualche tempo, fino al 1717, quando la Serenissima l’assegnò a un nobile monaco armeno di Sebaste, Manug di Pietro, detto Mechitar, ossia 2 il consolatore”, fuggito assieme ad alcuni confratelli dalla città greca di Modone, dove aveva fondato un monastero, perché invasa dai Turchi. Dopo aver riedificato la chiesa e il convento, l’abate si occupò di conservare il patrimonio culturale armeno, servendosi anche dell’aiuto di giovani connazionali da lui accolti e istruiti.
Centro culturale: L’isola presto divenne uno dei primi centri del mondo di cultura armena, nonché punto di riferimento per gli studiosi delle lingue orientali. In continuità con il desiderio dell’abate Mechitar di accrescere la diffusione della cultura armena, i suoi successori fondarono, nel 1786, una tipografia poliglotta, poi chiusa nel 1995, anche se sopravvive la casa editrice. I monaci si dedicano alla traduzione in armeno di capolavori della letteratura classica occidentale e viceversa: fu per la sua natura simile  a un’accademia culturale, che Napoleone ritenne ragionevole non sopprimere l’ordine . “ La missione culturale della congregazione, racconta padre Hamazasp Kechichian, monaco mechitarista della comunità dell’isola (2013), si realizzò attraverso un’intensa attività editoriale che investì tutti i campi del sapere, delle scienze alla spiritualità fino alle arti, alla storiografia e alla linguistica.
Un esempio è il Dizionario dei tre Vardapet, realizzato da tre mechitaristi tra il 1836 e il 1837, considerato ancora oggi punto di riferimento per gli studi linguistici armeni.
Arte tra oriente e occidente: Approdati sull’isola, vera oasi di silenzio, si scorge il monastero, completamente circondato dal verde di un grande giardino con piante esotiche, pini e molte varietà di rose che vengono coltivate dai padri. Nel cortile antistante il convento è collocato un khatchkar armeno, letteralmente “croce-pietra , un simbolo donato alla serenissima nel 1987. Si tratta di parallelepipedi di pietra, scolpiti a bassorilievo con, al centro, una croce e decorazioni a intreccio. Al centro del cortile, la statua in bronzo di Mechitar, che a braccia aperte accoglie il visitatore. Lungo il porticato del chiostro, reperti archeologici, un ossario e una statua romana. La chiesa ha struttura trecentesca, con tre navate, le campate a sesto acuto sorrette da colonne veneto-bizantine in marmo rosso. Al centro dell’altare, un dipinto raffigurante la Vergine e, davanti, la tomba in marmo dell’abate fondatore. Infine nelle arcate, mosaici con figurine di santi. La biblioteca, di forma cilindrica, è stata ricostruita nel 1970 e conserva circa 170mila volumi, di cui quasi 5mila manoscritti, tra i quali alcuni creati con oro e lapislazzuli tritati. Sul suo soffitto campeggia La pace e la Giustizia di Giambattista Tiepolo. Le collezioni del museo raccolgono ceramiche, argenti, monete, arazzi, una grande quantità di manufatti arabi, indiani ed egiziani, tra cui la curiosa mummia di Nehmeket, risalente al VI secolo a.C.. La pinanoteca conserva quasi mille quadri, alcuni appartenenti ad autori del calibro di Palma il giovane, Padovanino e Tiepolo.
La comunità: Nell’isola vivono 16 persone: dieci padri, due professori che frequentano l’università, quattro postulanti che si preparano al noviziato (2013) e un laico che segue gli anziani e da una mano nei lavori manuali. “ La nostra giornata, spiega padre Hamazasp, comincia con le preghiere della mattina, le lodi oppure il mattutino. Segue la messa e la colazione, dopodiché ciascun padre si dedica ai suoi impegni: ricerca, studio, lavoro in biblioteca, nell’archivio, faccende amministrative e anche visite guidate”. A mezzogiorno, tutti in chiesa per l’ora media. Dopo pranzo, riunione nella “ Dak Dun” che significa stanza calda, ovvero una sala caffè dove si conserva e si leggono i giornali locali e armeni”. Poi i più anziani si ritirano per riposarsi mentre i padri più giovani tornano alle loro attività fino alle 19, per i vespri. Dopo la cena, “prima di ritirarci nelle nostre celle, seguiamo le notizie in televisione”.
Un notevole flusso: Sull’isola di San Lazzaro si contano circa 45mila visitatori all’anno, provenienti da ogni parte del mondo, e anche se “ la maggior parte, sottolinea padre Hamazasp, sono europei, diversi pellegrini sono armeni, sia della repubblica d’Armenia che dai luoghi della diaspora”. Ogni giorno si tiene, senza bisogno di prenotazione, una visita guidata in cinque lingue: italiano, francese, inglese, armeno e spagnolo. “La visita prosegue, generalmente dura più di un ora e comprende il chiostro, la chiesa, il refettorio, il museo e la biblioteca.
Tipico souvenir da portare a casa, la marmellata di petali di rose damascene, “vertanush, prodotta dai padri con le rose che loro stessi coltivano. Luogo di pace di preghiera e di studio, l’isola ospitò, nel 1816, anche Lord George Gordon Byron che la scelse per imparare l’armeno: dal vestibolo della biblioteca si accede alla sala che porta il suo nome, dove il poeta inglese amava ritirarsi a studiare durante le visite a San lazzaro. Oltre alla pace, chi giunge qui trova i reperti, i manoscritti e le reliquie conservate dai padri con cura, che raccontano della storia millenaria del popolo armeno: “Una storia sofferta, sintetizza padre Hamazasp, scritta con il sangue ma comunque gloriosa grazie all’alfabeto e alla Croce di Cristo”.
Chi sono gli armeni: Storicamente stanziati in Anatolia, molti si trovano nello stato di origine, l’Armenia, al confine tra la Turchia, Iran, Georgia,  Azerbaigian, dove costituiscono il gruppo etnico di maggioranza. Molte altre comunità sono sparse per il globo.
Complessivamente sono circa 8 milioni di persone. Nel XVII secolo la società armena visse una crisi profonda per le devastazioni mongole, le persecuzioni ottomane e la penetrazione curda. Furono queste le ragioni che spinsero i chierici armeni a fondare tipografie in Europa, dalle quali dare inizio alla rinascita mediante la stampa e la diffusione della tradizione letteraria, filosofica e scientifica del popolo che ha subito un vero e proprio genocidio da parte dei Turchi. I primi episodi, per volere del sultano Abdul-Hamid, si sono verificati alla fine dell’800, ma si sono ripetuti anche nei primi decenni del secolo scorso. L’anniversario del genocidio viene commemorato il 24 aprile.
L’Abate Mechitar: Originario di Sivas , città Armena nel territorio dell’impero Ottomano, nacque nel 1676 e a 15 anni entrò nel convento di Surb  Nsan, dei monaci armeni di Sant’Antonio Abate. A quel tempo, la Chiesa armena era molto ripiegata sul passato e divisa da Roma per motivi storici e teologici. Mechitar, divenuto monaco benedettino, cercò per tutta la vita di favorire il rientro dei credenti armeni nella chiesa cattolica. Nel 1700 fondò la Congregazione Mechitarista, ordine religioso cattolico riconosciuto ufficialmente dalla chiesa cattolica qualche anno dopo, che tra i voti annovera castità, povertà, obbedienza e apostolato fino all’effusione del sangue. In fuga dalla sua terra natia per le persecuzioni da parte dei turchi, il monaco nel 1715 approdò a Venezia. Sull’isola di San Lazzaro iniziò un opera di valorizzazione, restauro e ampliamento dei vecchi edifici e creò un monastero di Vartapet, ieromonaci che, lontano dalla loro patria, nella laguna veneziana, si adoperavano per trasmettere ai figli del popolo armeno i valori spirituali e culturali, salvaguardare la loro identità, la loro storia e la loro lingua. La missione di Mechitar continua ancora oggi: “ Chiunque viene nell’isola può respirare il nostro operato tra le collezioni librarie e reperti archeologici, ma soprattutto può osservare la vita monastica che svolgiamo, intenti a vivere e custodire la spiritualità armena.
Un altro contributo dei padri della congregazione riguarda l’educazione: attualmente, racconta, abbiamo sette scuole nel mondo dove i nostri padri missionari continuano ad educare le nuove generazioni esortandoli a riscoprire e conservare le loro radici vivendo da veri cristiani, armeni, avendo nel cuore la religione, la patria e le virtù umane, per fare sempre il bene trasmettendo i valori a noi tramandati dai nostri antenati.
LA MESSA RECITATA CON RITO CATTOLICO ARMENO:
La solennità, la gestualità, la ricchezza dei paramenti. Sono solo alcuni degli elementi che caratterizzano il rito cattolico armeno, che si celebra nel monastero  dell’isola di San Lazzaro. L’incenso che emana un profumo soave e i tipici canti liturgici sono, racconta padre Hamazasp monaco mechitarista della comunità dell’isola, “tutti segni che rimandano ad una profonda simbologia del Mistero Divino”. Nel rito armeno non c’è l’iconostasi bizantina ma viene utilizzata una tenda che nel tempo ordinario si chiude in alcuni momenti della celebrazione liturgica, per esempio quando il celebrante si prepara al mistero della comunione e prepara le offerte. E durante la quaresima resta chiusa a simboleggiare la penitenza che caratterizza questo periodo. Così come stabilito dal Concilio Vaticano II, “ le chiese orientali devono conservare i loro usi e le loro tradizioni liturgiche: ne è esempio, conclude, la posizione del celebrante durante la messa, rivolto all’altare e con le spalle all’assemblea.

COME RAGGIUNGERE IL COMPLESSO RELIGIOSO:
Occorre, raggiungere Venezia. In aereo, l’aeroporto Marco Polo di Tessera si trova a circa venti chilometri di distanza dal centro storico a cui è collegato dalla linea 5 dell’autobus (accessibile alle carrozzine).
Con il treno, le stazioni ferroviarie sono due: quella di Mestre e quella di Venezia Santa Lucia.
In auto, da Trieste o da Torino il capoluogo veneto è raggiungibile mediante l’A4, mediante l’A27 da Belluno e, da sud con l’A1 o con l’Adriatica, e poi l’A3. Giunti in città occorre imbarcarsi sul vaporetto numero 20 dal molo San Zaccaria.

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