RELIGIONE DEGLI ANTICHI GRECI
Gli studi sulla religione
greca sono generalmente orientati ad attribuirle due matrici fondamentali: la mediterranea e l’indeuropea. La prima
considerata geneticamente affine a quelle delle religioni dell’ambiente
mediterraneo, viene connotata come una formazione locale, di carattere agrario
imperniata sul culto di una “ grande Dea” , la Terra Madre. La
seconda attribuita agli invasori di lingua indeuropea portatori di una civiltà
nomadico-pastorale, è caratterizzata dal punto di vista religioso, dal culto di
un Essere supremo celeste, il Cielo
Padre. Su questa linea interpretativa , l’originaria Terra Madre è stata
riconosciuta soprattutto in due figure
della religione greca storica: Gaia
(terra), la madre primordiale protagonista dei miti cosmogonici, e Demetra (Demeter, Terra madre), la dea
dell’Agricoltura.
Il Cielo Padre è stato
facilmente riconosciuto nel Dio Zeus
(Zeus pater, Cielo diurno padre), sovrano degli Dei e degli uomini. Questo
schema, se rispondeva in qualche modo a
un indirizzo di studi tendente a stabilire le origini remote dei fatti
religiosi , per trovare in quelle la spiegazione storica dei fatti stessi, in
verità non serve molto per migliorare la nostra comprensione della religione greca. Non spiega, per
esempio, perché l’unica Terra madre si sarebbe scissa in almeno due figure,
Gaia e Demetra. E si aggiunga che, nel tentativo di risalire a ogni costo alla
originaria “grande dea” mediterranea, sono state interpretate quasi come sue ipostasi anche altre divinità
femminili della grecità , quali Rea,
Afrodite e persino Artemide che non è ne “madre” ne “agraria” . Per quanto
riguarda Zeus poi, la sua derivazione da un essere supremo celeste indoeuropeo ( Dyaus, da cui gr. Zeus, lat. Iu-piter, sanscrito Dyauspita, germ.
Tyr, ecc.) non spiega la sua posizione di sovrano degli dei che non trova
riscontro ne nel Dyauspità vedico, ne nel Tyr germanico, ne in altri (escluso
lo Iuppiter romano per il quale non è da
escludere un influsso greco).
Lo schema ipotesi
dell’incontro tra una religione della Terra madre con una religione del Cielo
Padre, in definitiva , non spiega la formazione politeistica greca per la quale
Terra madre e Cielo Padre non potrebbero in alcun modo monopolizzare la realtà. La realtà, invece,
come in ogni altro politeismo, era rappresentata e organizzata da una
molteplicità di dei, posti in varia relazione tra loro e raccolti in un
consenso ( pantheon) che dava
universalità e sistematicità alla religione. Se si tiene presente tutto ciò si
ridimensiona automaticamente il valore fin qui attribuito alle componenti
originarie, o “nutrici”, della religione greca e, al contempo, non si perde di
vista il carattere etnico di questa religione; vale a dire: non si dimentica
che essa è una religione che nasce e vive in funzione della cultura greca
globalmente intesa, e non per eventuali contenuti autonomi trascendenti la
grecità, o comunque sorti in funzione di altre culture (sia quelle
dell’ambiente mediterraneo, sia quelle di altri popoli di lingua indoeuropea).
Fissati questi limiti, si può anche accettare una prospettiva storica che
faccia della civiltà greca una formazione sorta per influsso di civiltà medio-orientali
(o mediterranee di derivazione medio-orientale) su popolazioni di lingua
indeuropea stanziatesi nell’Ellade: quasi una risposta di tali popolazioni agli
stimoli derivati dal contatto con culture giudicate superiori alla propria. In
un processo di acculturazione così delimitato, diventa anche accettabile l’idea
di un politeismo graco che si formi su modelli politeistici di derivazione
mesopotamica, ma non come una copia bensì come un prodotto originale realizzato
a partire da elementi pregreci ( o non
greci)o prepoliteistici (greci) in un
evoluzione che segue di pari passo l’evoluzione della civiltà greca, dalla fase
“micenea” (II millennio a.C.) all’epoca della cosiddetta “invasione dorica”
(inizio del I millennio) , che prelude a quella formazione culturale
sostanzialmente nuova che si svolse
appieno nella grecità classica. In questa formazione dunque, si includerà anche
la religione, non come un retaggio di epoche passate, ma come una creazione
originale. E proprio dal confronto con le epoche passate , variamente
documentate dalle religioni medio-orientali e mediterranee, o di popolazioni di
lingua indoeuropea, emerge viva e incontestabile la sua originalità. L’etnicità
della religione greca, ossia la sua immanenza all’ethnos o alla nazione greca , porta a considerare non solo la
frattura trail pregreco e la grecità storica, ma anche la sua frammentazione in
funzione della divisione politico
territoriale dei Greci. Così che, a rigore, si sarebbe portati a parlare di
tante religioni quante furono le città Stato. Il che ci darebbe conto della
funzione civica di queste “religioni” ciascuna delle quali ha come fine
l’edificazione della polis che ne è portatrice. E tuttavia è corretto parlare
di una religione greca, così come si parla di una civiltà greca, per definire
un’unità culturale panellenica da cui traggono fondamento e giustificazione le
stesse città-stato con le loro particolari tradizioni e istituzioni religiose.
Per intendere ciò in chiave specificatamente religiosa si può dire: l’uomo greco
si inserisce sacralmente in un sistema di credenze e di culti che procedeva,
senza un reale distacco, dall’ambito familiare e gentilizio (a livello di
quelle comunità claniche, che erano dette fratrie), fino all’ambito politico
sociale della polis, a organismi superordinati (sul tipo delle anfizionie,
leghe tra città vicine) e, via via, ai grandi culti panellenici (Olimpiadi,
oracolo delfico, misteri eleusini, ecc), in cui ciascuno si riconosceva come
greco, oltre che come cittadino di una certa polis, membro di una certa fratria
e di una certa famiglia, figlio di un certo padre. Ciò si comprende meglio se
si pone mente al fatto che in Grecia, come in altre civiltà arcaiche, l’impegno
religioso si esplicava soprattutto
nell’esecuzione di culti. Sul piano più propriamente familiare e gentilizio si
svolgevano i culti del ciclo di vita individuale (riti dinascita, nuziali,
funerari), i culti domestici, di antenati, ecc. variamente adattati al culto
pubblico della polis. Sul piano civico si svolgeva ogni culto destinato
all’edificazione sacrale della polis: qui si esprimeva appieno il sistema
politeistico che faceva della città un piccolo mondo a immagine del grande
mondo (cosmo) governato dagli Dei. Questi erano raggruppati nel numero canonico
di dodici, con variazioni da città a città, tranne che per una decina di divinità di cui nessuna città sembrava
poter fare a meno per esprimere la propria cosmologia. La tradizione ionica,
risalente almeno al secolo VI a.C., elencava i seguenti dei: Zeus
(il sovrano) , Era (sua sposa), Posidone, Demetra, Apollo, Artemide,
Ares , Afrodite, Ermete, Atena , Efesto, Estia.
La varietà delle tradizioni si
spiega, oltre che con la loro rispondenza alle realtà particolari delle singole
città- stato, con la Mancanza di una sistemazione teologica di tipo dogmatico
sacerdotale. L’interpretazione, o la “rivelazione”, delle figure divine era
demandata ai poeti, ai quali si attribuiva tanta autorità in materia che le
prime critiche filosofiche alle credenze religiose si rivolsero proprio contro
i poeti, accusati di averle inventate e
diffuse. Un riconoscimento, non “critico” ma “ storico” , della funzione del
poeta è quello celeberrimo di Erodoto che attribuisce ad Omero e a Esiodo la
ricognizione e la denominazione degli dei Greci. Era come se i poeti , narrando
miti, svelassero la realtà divina del
mondo. Il che spiega l’importanza del mito e dei suoi modi di espressione in
tutta la cultura greca. La realtà divina
del mondo era intesa come un cosmo , un ordine universale, a cui si opponeva dialetticamente
un anticosmo (caos), o una non realtà. Ma anche la non realtà era rappresentata
da figure divine, in perfetta coerenza con la mentalità politeistica greca..
Ade, fratello di Zeus
inteso quasi come uno Zeus negativo, era il dio sovrano della non realtà , come
Zeus lo era della realtà: regnava sull’inreale mondo dei morti che i Greci
concepivano in antitesi al “reale” mondo dei vivi. Dio della non realtà, in
quanto esprimeva un “divenire”, contrapposto dialetticamente all’”essere, era
anche Dioniso. E lo erano tutte
quelle divinità minori (satiri, ninfe, ecc.) che agivano nel non-abitato
(selve, monti, ecc.) o extraurbano , concepito come caotico rispetto al
microcosmo delimitato dalla città. La qualificazione negativa del caotico (o
irreale) diventava positiva quando venivano messi in crisi i valori del
cosmico: erano crisi istituzionalizzate , come le feste di fine d’anno che
realizzavano una temporanea sospensione dell’ordine per procedere quasi ad un
rinnovamento del mondo; oppure occasionali,dovute a calamità o a iniziative
(fondazioni, immissione dei giovani nella società degli adulti, eccJ che trasformavano in
qualche modo l’ordine costituito. Ma poteva trattarsi anche di crisi inerenti
alla condizione umana che dunque potevano risolversi soltanto con un
rovesciamento di valori che, significando un rifiuto della “realtà”, facesse
diventare negativo il cosmico e positivo il caotico: si avevano allora
formazioni religiose mistiche in permanente opposizione alla religione civica,
in quanto edificatrice di un universo da rifiutare per poter accedere a una salvezza extramondana.
L’uomo greco trovava nel sistema politeistico una garanzia alla
sua presenza in un mondo ordinato, in cui ciascuno aveva il proprio posto e chi
superava i propri limiti peccava di hybris (superbia, tracotanza: il peccato
per antonomasia nella cultura greca). Ma il sistema che dava la certezza di una
vita “civile”, condannava anche alla infelice condizione di “mortali”,
inesorabilmente distinta dalla felice condizione degli dei “immortali”. Per
evadere a questa condizione si doveva rinunciare al sistema e a tutti i
vantaggi civico-politici che esso offriva, e questo fu soprattutto facile per
le donne e per le classi che, come le donne, erano escluse dalla vita politica,
per rifugiarsi nell’anti sistema, ossia nel campo d’azione delle divinità
dell’irreale e del caotico. Di qui ebbero origine quelle formazioni mistiche
che fecero capo a Persefone, la regina dei morti, sposa di Ade, e a Dioniso, il dio delle trasformazioni, invocato contro una “ immutabilità” indesiderata. Il
culto mistico di Persefone, associata alla madre Demetra, si esplicò nei misteri di Eleusi, da dove si diffuse per tutta la grecità e oltre. Il culto
mistico di Dionisio si espresse soprattutto in quelle formazioni che vennero
chiamate orfiche dal mitico poeta Orfeo
che ne avrebbe rivelato i principi fondamentali.
Una vita non mistica per
sfuggire alle strette del sistema potrebbe essere considerata la concezione
dell’eroicità, una elaborazione tipicamente greca di retaggi prepoliteistici,
quali la nozione dell’eroe culturale e il culto degli antenati. L’eroe greco è
un personaggio mitico che proprio per mezzo della morte , ossia per mezzo del
marchio stesso della condizione umana , raggiungeva una condizione sovrumana
caratterizzata da poteri divinatori , guaritori e genericamente salvifici.
L’eroizzazione, oltre che un concetto, fu anche una pratica rituale
riservata a personaggi storici che
parvero ricalcare le imprese degli eroi mitici (guerrieri, agonisti, poeti,
fondatori, ecc). Le fonti del comportamento religioso greco, sia a livello
civico sia a livello individuale e mistico, furono soprattutto i santuari, di
cui si ricordano quelli che ebbero importanza panellenici: i santuari di Olimpia
e di Dodona che, sia pure diversamente (il primo con gli agoni e il secondo con
un culto oracolare), imposero la sovranità di Zeus; il santuario di Delfi che
con i suoi responsi oracolari esercitò un grandissimo influsso nella
costituzione di una religione panellenica; il santuario di Eleusi che suggerì
ai Greci le formule di una soteriologia a carattere mistico.
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