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giovedì 26 settembre 2013

Religione degli Antichi Greci

RELIGIONE DEGLI ANTICHI  GRECI
Gli studi sulla religione greca sono generalmente orientati ad attribuirle due matrici fondamentali: la mediterranea e l’indeuropea. La prima considerata geneticamente affine a quelle delle religioni dell’ambiente mediterraneo, viene connotata come una formazione locale, di carattere agrario imperniata sul culto  di una “ grande Dea” , la Terra Madre. La seconda attribuita agli invasori di lingua indeuropea portatori di una civiltà nomadico-pastorale, è caratterizzata dal punto di vista religioso, dal culto di un Essere supremo celeste, il Cielo Padre. Su questa linea interpretativa , l’originaria Terra Madre è stata riconosciuta soprattutto in due figure  della religione greca storica: Gaia (terra), la madre primordiale protagonista dei miti cosmogonici, e Demetra (Demeter, Terra madre), la dea dell’Agricoltura.
Il Cielo Padre è stato facilmente riconosciuto nel Dio Zeus (Zeus pater, Cielo diurno padre), sovrano degli Dei e degli uomini. Questo schema, se rispondeva in qualche modo a  un indirizzo di studi tendente a stabilire le origini remote dei fatti religiosi , per trovare in quelle la spiegazione storica dei fatti stessi, in verità non serve molto per migliorare la nostra comprensione  della religione greca. Non spiega, per esempio, perché l’unica Terra madre si sarebbe scissa in almeno due figure, Gaia e Demetra. E si aggiunga che, nel tentativo di risalire a ogni costo alla originaria “grande dea” mediterranea, sono state interpretate  quasi come sue ipostasi anche altre divinità femminili della grecità , quali Rea, Afrodite e persino Artemide che non è ne “madre” ne “agraria” . Per quanto riguarda Zeus poi, la sua derivazione da un essere supremo  celeste indoeuropeo ( Dyaus, da cui gr. Zeus, lat. Iu-piter, sanscrito Dyauspita, germ. Tyr, ecc.) non spiega la sua posizione di sovrano degli dei che non trova riscontro ne nel Dyauspità vedico, ne nel Tyr germanico, ne in altri (escluso lo Iuppiter romano  per il quale non è da escludere un influsso greco).
Lo schema ipotesi dell’incontro tra una religione della Terra madre con una religione del Cielo Padre, in definitiva , non spiega la formazione politeistica greca per la quale Terra madre e Cielo Padre non potrebbero in alcun modo  monopolizzare la realtà. La realtà, invece, come in ogni altro politeismo, era rappresentata e organizzata da una molteplicità di dei, posti in varia relazione tra loro e raccolti in un consenso ( pantheon)  che dava universalità e sistematicità alla religione. Se si tiene presente tutto ciò si ridimensiona automaticamente il valore fin qui attribuito alle componenti originarie, o “nutrici”, della religione greca e, al contempo, non si perde di vista il carattere etnico di questa religione; vale a dire: non si dimentica che essa è una religione che nasce e vive in funzione della cultura greca globalmente intesa, e non per eventuali contenuti autonomi trascendenti la grecità, o comunque sorti in funzione di altre culture (sia quelle dell’ambiente mediterraneo, sia quelle di altri popoli di lingua indoeuropea). Fissati questi limiti, si può anche accettare una prospettiva storica che faccia della civiltà greca una formazione sorta per influsso di civiltà medio-orientali (o mediterranee di derivazione medio-orientale) su popolazioni di lingua indeuropea stanziatesi nell’Ellade: quasi una risposta di tali popolazioni agli stimoli derivati dal contatto con culture giudicate superiori alla propria. In un processo di acculturazione così delimitato, diventa anche accettabile l’idea di un politeismo graco che si formi su modelli politeistici di derivazione mesopotamica, ma non come una copia bensì come un prodotto originale realizzato a partire  da elementi pregreci ( o non greci)o prepoliteistici (greci)  in un evoluzione che segue di pari passo l’evoluzione della civiltà greca, dalla fase “micenea” (II millennio a.C.) all’epoca della cosiddetta “invasione dorica” (inizio del I millennio) , che prelude a quella formazione culturale sostanzialmente  nuova che si svolse appieno nella grecità classica. In questa formazione dunque, si includerà anche la religione, non come un retaggio di epoche passate, ma come una creazione originale. E proprio dal confronto con le epoche passate , variamente documentate dalle religioni medio-orientali e mediterranee, o di popolazioni di lingua indoeuropea, emerge viva e incontestabile la sua originalità. L’etnicità della religione greca, ossia la sua immanenza all’ethnos o alla nazione greca , porta a considerare non solo la frattura trail pregreco e la grecità storica, ma anche la sua frammentazione in funzione della divisione  politico territoriale dei Greci. Così che, a rigore, si sarebbe portati a parlare di tante religioni quante furono le città Stato. Il che ci darebbe conto della funzione civica di queste “religioni” ciascuna delle quali ha come fine l’edificazione della polis che ne è portatrice. E tuttavia è corretto parlare di una religione greca, così come si parla di una civiltà greca, per definire un’unità culturale panellenica da cui traggono fondamento e giustificazione le stesse città-stato con le loro particolari tradizioni e istituzioni religiose. Per intendere ciò in chiave specificatamente religiosa si può dire: l’uomo greco si inserisce sacralmente in un sistema di credenze e di culti che procedeva, senza un reale distacco, dall’ambito familiare e gentilizio (a livello di quelle comunità claniche, che erano dette fratrie), fino all’ambito politico sociale della polis, a organismi superordinati (sul tipo delle anfizionie, leghe tra città vicine) e, via via, ai grandi culti panellenici (Olimpiadi, oracolo delfico, misteri eleusini, ecc), in cui ciascuno si riconosceva come greco, oltre che come cittadino di una certa polis, membro di una certa fratria e di una certa famiglia, figlio di un certo padre. Ciò si comprende meglio se si pone mente al fatto che in Grecia, come in altre civiltà arcaiche, l’impegno religioso si esplicava  soprattutto nell’esecuzione di culti. Sul piano più propriamente familiare e gentilizio si svolgevano i culti del ciclo di vita individuale (riti dinascita, nuziali, funerari), i culti domestici, di antenati, ecc. variamente adattati al culto pubblico della polis. Sul piano civico si svolgeva ogni culto destinato all’edificazione sacrale della polis: qui si esprimeva appieno il sistema politeistico che faceva della città un piccolo mondo a immagine del grande mondo (cosmo) governato dagli Dei. Questi erano raggruppati nel numero canonico di dodici, con variazioni da città a città, tranne che per una decina  di divinità di cui nessuna città sembrava poter fare a meno per esprimere la propria cosmologia. La tradizione ionica, risalente almeno al secolo VI a.C., elencava i seguenti dei:  Zeus (il sovrano) , Era (sua sposa), Posidone, Demetra, Apollo, Artemide, Ares , Afrodite, Ermete, Atena , Efesto, Estia.
La varietà delle tradizioni si spiega, oltre che con la loro rispondenza alle realtà particolari delle singole città- stato, con la Mancanza di una sistemazione teologica di tipo dogmatico sacerdotale. L’interpretazione, o la “rivelazione”, delle figure divine era demandata ai poeti, ai quali si attribuiva tanta autorità in materia che le prime critiche filosofiche alle credenze religiose si rivolsero proprio contro i poeti, accusati di averle inventate  e diffuse. Un riconoscimento, non “critico” ma “ storico” , della funzione del poeta è quello celeberrimo di Erodoto che attribuisce ad Omero e a Esiodo la ricognizione e la denominazione degli dei Greci. Era come se i poeti , narrando miti, svelassero la realtà divina  del mondo. Il che spiega l’importanza del mito e dei suoi modi di espressione in tutta la cultura greca. La realtà divina  del mondo era intesa come un cosmo , un ordine  universale, a cui si opponeva dialetticamente un anticosmo (caos), o una non realtà. Ma anche la non realtà era rappresentata da figure divine, in perfetta coerenza con la mentalità politeistica greca..
Ade, fratello di Zeus inteso quasi come uno Zeus negativo, era il dio sovrano della non realtà , come Zeus lo era della realtà: regnava sull’inreale mondo dei morti che i Greci concepivano in antitesi al “reale” mondo dei vivi. Dio della non realtà, in quanto esprimeva un “divenire”, contrapposto dialetticamente all’”essere, era anche Dioniso. E lo erano tutte quelle divinità minori (satiri, ninfe, ecc.) che agivano nel non-abitato (selve, monti, ecc.) o extraurbano , concepito come caotico rispetto al microcosmo delimitato dalla città. La qualificazione negativa del caotico (o irreale) diventava positiva quando venivano messi in crisi i valori del cosmico: erano crisi istituzionalizzate , come le feste di fine d’anno che realizzavano una temporanea sospensione dell’ordine per procedere quasi ad un rinnovamento del mondo; oppure occasionali,dovute a calamità o a iniziative (fondazioni, immissione dei giovani nella società degli adulti, eccJ che trasformavano in qualche modo l’ordine costituito. Ma poteva trattarsi anche di crisi inerenti alla condizione umana che dunque potevano risolversi soltanto con un rovesciamento di valori che, significando un rifiuto della “realtà”, facesse diventare negativo il cosmico e positivo il caotico: si avevano allora formazioni religiose mistiche in permanente opposizione alla religione civica, in quanto edificatrice di un universo da rifiutare per poter accedere  a una salvezza extramondana.
L’uomo greco trovava  nel sistema politeistico una garanzia alla sua presenza in un mondo ordinato, in cui ciascuno aveva il proprio posto e chi superava i propri limiti peccava di hybris (superbia, tracotanza: il peccato per antonomasia nella cultura greca). Ma il sistema che dava la certezza di una vita “civile”, condannava anche alla infelice condizione di “mortali”, inesorabilmente distinta dalla felice condizione degli dei “immortali”. Per evadere a questa condizione si doveva rinunciare al sistema e a tutti i vantaggi civico-politici che esso offriva, e questo fu soprattutto facile per le donne e per le classi che, come le donne, erano escluse dalla vita politica, per rifugiarsi nell’anti sistema, ossia nel campo d’azione delle divinità dell’irreale e del caotico. Di qui ebbero origine quelle formazioni mistiche che fecero capo a Persefone, la regina dei morti, sposa di Ade, e a Dioniso, il dio delle trasformazioni, invocato  contro una “ immutabilità” indesiderata. Il culto mistico di Persefone, associata alla madre Demetra, si esplicò nei misteri di Eleusi, da dove si diffuse per tutta la grecità e oltre. Il culto mistico di Dionisio si espresse soprattutto in quelle formazioni che vennero chiamate orfiche dal mitico poeta Orfeo che ne avrebbe rivelato i principi fondamentali.

Una vita non mistica per sfuggire alle strette del sistema potrebbe essere considerata la concezione dell’eroicità, una elaborazione tipicamente greca di retaggi prepoliteistici, quali la nozione dell’eroe culturale e il culto degli antenati. L’eroe greco è un personaggio mitico che proprio per mezzo della morte , ossia per mezzo del marchio stesso della condizione umana , raggiungeva una condizione sovrumana caratterizzata da poteri divinatori , guaritori e genericamente salvifici. L’eroizzazione, oltre che un concetto, fu anche una pratica rituale riservata  a personaggi storici che parvero ricalcare le imprese degli eroi mitici (guerrieri, agonisti, poeti, fondatori, ecc). Le fonti del comportamento religioso greco, sia a livello civico sia a livello individuale e mistico, furono soprattutto i santuari, di cui si ricordano quelli che ebbero importanza panellenici: i santuari di Olimpia e di Dodona che, sia pure diversamente (il primo con gli agoni e il secondo con un culto oracolare), imposero la sovranità di Zeus; il santuario di Delfi che con i suoi responsi oracolari esercitò un grandissimo influsso nella costituzione di una religione panellenica; il santuario di Eleusi che suggerì ai Greci le formule di una soteriologia a carattere mistico.

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