geronimo

martedì 4 ottobre 2011

La dura lotta per la sopravvivenza (Indiani d'America)

L’uomo bianco ha ucciso i guerrieri indiani, rubato le loro terre, violentato la loro anima. E non è finita. Le foreste muoiono, i salmoni scompaiono. Ecco perché Jim Hart, artista e capo tribù, non scolpisce più i suoi totem nel legno

La mano che mi si abbatte sulla spalla ha dita come rami di un albero centenario. Ondeggio in avanti sorridendo. Non ho bisogno di girarmi per sapere chi sta dietro alla botta improvvisa. È il capo appena eletto del clan dell’Aquila della tribù degli Haida: Jim Hart. Siamo a Masset, la capitale di Haida Gwaii (Haida Nation), nella zona settentrionale delle Isole della Regina Carlotta, al largo della costa dell’Alaska. È una notte calma e senza luna. Davanti a noi, piantato nella spiaggia, c’è il totem scolpito da Jim per la sua cerimonia d’investitura. È stato eretto a mano, usando corde tirate da tutto il villaggio. Ci sono volute sette ore. Al mattino una breve cerimonia, davanti alla tomba di Chief Edenshaw, lo zio a cui Jim succede come capo, ha dato inizio alle festività. Gli Haida sono governati da due clan: l’Aquila e il Corvo. Le loro politiche sono diverse quanto sono differenti i due volatili.

«Di alberi così ne sono rimasti pochi», mi dice rompendo il silenzio. «La lotta contro il disboscamento l’abbiamo vinta troppo tardi, adesso, quando chiedo a un albero il permesso di farlo diventare un totem, mi risponde che non ha più fratelli, che la foresta è giovane e senza storia. Ha ragione, un albero di 300 anni ha mille leggende da raccontare, è l’anima della foresta». Qualche giorno prima, sorvolando la costa canadese e le isole, avevo visto con i miei occhi lo scempio della deforestazione. Immense macchie aride come crateri di bombe in mezzo al verde. Non commento. In qualche modo mi sento colpevole. Sono l’Uomo Bianco. Che mi piaccia o no. La mia eredità è di distruttore indiscriminato. Nemico della natura. Dai Nativi di queste terre avevamo tanto da imparare. Invece, abbiamo preteso di insegnargli tutto noi. Ora i governi risarciscono e si pentono delle malefatte, ma parliamoci chiaro: le vite umane e le foreste si possono risarcire, ma non restituire. «Ho deciso di non tagliare più alberi», riprende Jim. «D’ora in poi scolpirò totem solo di bronzo. E spero che questo sia un messaggio chiaro».

Qualche anno dopo a New York. Sono le undici di sera, sto bussando alla porta del Museo di Storia Naturale che ovviamente è chiuso. Mi apre una guardia assonnata e fa cenno di entrare. Seduto di fianco allo scheletro di un dinosauro, Jim è intento a osservare la sua scultura di bronzo dei Tre Guardiani Haida. La sera dopo s’inaugura una nuova sezione del museo dedicata ai Nativi della costa occidentale del Canada. Le opere di Jim sono le protagoniste. L’ultimo totem non è ancora finito e gli do una mano. Mi taglio subito un dito e penso a tutte le gocce di sangue che ho lasciato, a diverse riprese, nelle sculture di Jim. «Ho appena parlato con mia madre, non riescono più a trovare i salmoni. Dice che l’acqua è troppo calda e le correnti sono cambiate. Nessuno sa dove siano andati. Questo, per noi, è un problema. Smettila di sanguinarmi sul totem». Sono sparite anche le api - rispondo io - nessuno ci capisce più niente. Vado in bagno a fasciarmi il dito con la carta igienica.
Devo salire un piano e percorrere i corridoi semibui del museo. La storia dell’uomo e della natura mi sfila di fianco come le pagine di un libro sfogliate rapidamente. Mi fermo davanti alla ricostruzione della vita degli uomini primitivi. La scoperta del fuoco. Un uomo tiene una torcia accesa verso il cielo come una sfida. Scavarsi un posto dentro una natura violenta ed esuberante. Sopravvivere e poi vincere una sfida invincibile. Siamo ancora così: due stracci addosso e un pianeta che può spazzarci via con uno scrollone. Questi incontri con Jim mi deprimono. Ho voglia di uscire, mangiare un Big Mac, bere una bibita chimica, buttare la carta per terra e addormentarmi guardando un programma stupido. I simboli della mia civiltà. Torno da Jim e da lontano mi sembra così sereno, così vicino agli uomini primordiali, così in armonia con il pianeta. Sono le tre del mattino. Il totem e la sua storia scolpita sono finiti. Usciamo nella notte fresca e camminiamo lentamente verso casa.

«Tutto questo cemento», dice alzando gli occhi. «Come si fa a leggere il cielo, a sentire il vento, ad ascoltare gli spiriti. Più divento vecchio e più mi preoccupo. Non si può tornare indietro. Possiamo solo tentare di cucire le ferite per arginare questa emorragia ecologica. Ma le cicatrici rimarranno per sempre».

Marzo 2011. Fonderia nello Stato di New York. Jim e suo figlio Carl stanno lavorando ai calchi di cera per una serie di aquile in bronzo. Questa è una delle fonderie preferite di Frank Stella. Jim l’ha conosciuto e si sono scambiati opinioni sulle tecniche reciproche. Jim rifinisce alcuni dettagli delle piume canticchiando una canzone Haida che racconta come il Corvo rubò la luce liberando il mondo dall’oscurità. Usciamo insieme a mangiare un panino. Il cielo è terso e fa freddo. Le opere di Frank Stella sono disseminate un po’ ovunque. Contorte, sofferte, come prigioniere di un tragico destino.
«Ieri ero a Manhattan e ho guardato fuori dalla finestra», dice Jim, tracciando un segno col braccio. «Sembrava una scultura gigante di Frank. Tutto questo dolore, il metallo bruciato e contorto. Le forme che ritornano dentro se stesse senza mai liberarsi. Questi sono i messaggi premonitori degli artisti. Che cosa vuoi che ti dica della mia gente? Ci arrangiamo, tra l’alcolismo e la povertà. Il primo regalo che ci ha fatto la civiltà sono state coperte impregnate di vaiolo: da ventimila siamo rimasti in 600. Questo è terrorismo biologico. Poi ci hanno portato via i bambini per sradicarli dalla cultura tribale. Hanno tagliato il 70 per cento delle nostre foreste. Pescato il nostro pesce fino a esaurimento. Usato le nostre riserve di acqua. Montagne di rifiuti che le correnti portano dal Giappone, arrivano sulle nostre spiagge. Ora saranno anche radioattivi. Che cosa vuoi che ti dica della mia gente?».

Un corvo passa gracchiando nel cielo. Jim e io sorridiamo. I corvi portano sempre un messaggio. Si torna a lavorare. Nella fonderia le aquile di bronzo vegliano severe.


Riflessioni:
Un grande popolo distrutto dall'ingordigia umana del profitto. E' più importante il profitto o l'uomo? Evidentemente per chi ha governato gli Stati Uniti d'America la vita umana non conta, ma contano quanti capitali si guadagnano. L'essere umano sa essere veramente spregevole. Sono riusciti a sterminare un grande popolo che chiedeva solamente di vivere in pace sulla loro terra.... Un giorno verrà la resa dei conti ed allora il popolo rosso avrà la sua rivincita......
Evy

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