IL POPOLO DEI COSACCHI
I ribelli venuti dalla Steppa:
De cossaquibus, Domine, liberas nos (Liberaci, o Signore, dai Cosacchi). Secondo quanto riporta Robert Thomas Wilson, un ufficiale inglese che lottava a fianco dei russi contro le armate napoleoniche, questa era una delle invocazioni che si potevano ascoltare in mezza Europa agli inizi dell’ottocento. Temutissimi e feroci combattenti, i cosacchi ebbero un ruolo fondamentale nella storia dell’Impero russo, diedero molto filo da torcere a tatari e turchi, conquistarono il Caucaso, l’Asia centrale, la Siberia e l’estremo oriente, quindi inflissero il colpo mortale alle truppe di Napoleone durante la Campagna di Russia, passarono alla storia come indomiti difensori della propria libertà, ma anche come rozzi soldatacci indisciplinati e ubriaconi, piuttosto propensi al saccheggio e alla gozzoviglia. Ma chi erano veramente?
Di etnia slava, stanziati soprattutto in Ucraina, il loro nome proviene con ogni probabilità dal turco qazaq con il quale venivano indicati i nomadi e che significa “ uomo libero” o “avventuriero a cavallo”. In lingua Ucraina il termine kozak apparve invece per la prima volta nel 1395 per designare guerrieri mercenari esenti dagli obblighi feudali.
I Cosacchi costituirono all’inizio comunità organizzate con riti d’iniziazione molto severi, ma disposte ad accogliere tutti coloro che sfuggivano al giogo del servaggio feudale. Di solito insediati in prossimità di corsi d’acqua come il Don, il Dnepr o il Volga, questi gruppi tendevano ad essere autosufficienti e si dedicavano alla caccia, alla pesca, all’allevamento del bestiame e all’apicoltura.
Molto diversa era, invece, la vita nelle comunità stanziate tra il XVII e il XVIII secolo in Siberia, lungo la frontiera con le vaste terre dell’antico impero mongolo che, per la loro sopravvivenza, dipendevano in larga misura dalle derrate di grano inviate dal governo centrale in cambio di una sorta di servizio militare, per il quale ricevevano anche una paga. Che spesso i cosacchi siberiani arrotondavano con i bottini o i prigionieri (poi venduti come schiavi o scambiati dietro riscatto con le famiglie) conquistati e catturati durante le incursioni in villaggi nemici.
Nei dipinti che hanno alimentato il loro mito, i cosacchi sono uomini rudi dai lunghi baffi e con i capelli rasati, a parte una lunga ciocca. Il loro abbigliamento era costituito da un caftano (una sorta di casacca) o dalla cerkessa (tunica lunga con le cartucciere). Quelli che furono inquadrati nell’esercito indossavano pantaloni blu con una fascia rossa, che indicava la loro esenzione dal pagamento delle imposte.
Il loro armamento classico prevedeva il kindjal (pugnale ricurvo), la saska (sciabola) e la nagaika (frusta). Maneggiavano con molta perizia anche una lancia più lunga di quella normalmente utilizzate dagli squadroni di lancieri polacchi o francesi, che in battaglia, soprattutto a distanza ravvicinata, provocava grandi stragi.
La loro abilità nell’allevare e montare i cavalli, probabilmente ereditata dai Mongoli, fu sviluppata fino a divenire un’arte acrobatica. La stessa danza cosacca chiamata gopak o hopak (quella che nei film si vede fare accovacciati, a braccia conserte) faceva parte della preparazione militare dei giovani cosacchi: si trattava di una disciplina a metà strada tra il ballo e l’arte marziale, un po come la brasiliana capoeira. Soprattutto nella variante denominata boyovy hopak, era un metodo per allenarsi all’uso delle armi bianche e nella lotta corpo a corpo.
Urrà! “ Datemi 20 mila cosacchi e conquisterò l’Europa e perfino il mondo intero” avrebbe detto Napoleone. Li considerava poco meno che selvaggi, ma riconosceva la superiorità bellica degli squadroni di cavalleria cosacca, che inflissero ingenti perdite alle sue armate durante la Campagna di Russia, nel 1812. In effetti erano cavalieri formidabili, che si lanciavano all’assalto con coraggio al grido di “ Gu-Rai!”, che nella loro lingua era più o meno “Verso la beatitudine del cielo” e da cui si pensa derivi il grido di battaglia “ urrà “, diffuso nel mondo dai soldati della prima guerra mondiale che lo avrebbero sentito durante gli attacchi cosacchi.
Il giudizio di Napoleone sul popolo delle steppe rozzo ed incolto era solo un pregiudizio. I cosacchi erano piuttosto organizzati. Le comunità vivevano in accampamenti fortificati o villaggi nei quali costruivano , prima di tutto, la chiesa e la scuola, quest’ultima frequentata dai maschi e femmine (cosa che non avveniva, per esempio, tra i contadini russi). L’istruzione era considerata così importante che nel XIX secolo l’indice di analfabetismo nelle comunità cosacche sembra fosse appena del 5%, mentre in altre aree della Russia raggiungeva l’85%.
I cosacchi, al contrario di Napoleone, erano anche democratici. Le decisioni fondamentali erano prese in assemblee chiamate Krug. Inoltre sia i giudici che le massime autorità militari (gli atamani) venivano rieletti ogni anno e, aspetto ancor più importante, non provenivano da una casta economica o nobiliare, ma erano scelti tra tutti, per i loro meriti.
Sia il modello sociale “ aperto” sia l’efficacia in battaglia si possono spiegare con l’ambiente tipico dei cosacchi: la steppa. Qui le più antiche comunità erano costituite da membri senza vincoli di parentela, diverse quindi dai clan. “ In questi circoli l’unione nasceva dal bisogno di raggiungere obbiettivi comuni, e vi potevano partecipare gli uomini di qualsiasi appartenenza sociale,etnica o religiosa . Questi gruppi avevano dunque un carattere temporaneo e si scioglievano una volta raggiunto l’obbiettivo, che poteva essere una stagione di caccia o una campagna militare, per poi riunirsi per la stagione successiva.
“ Nelle instabili condizioni della frontiera siberiana queste piccole unità militari divennero l’organizzazione locale più efficiente per proteggere i trasporti delle merci preziose (come le pellicce) dagli attacchi dei predoni”.
Compiti di tutela dalle incursioni dai nomadi che non avrebbero potuto essere seguiti con altrettanta efficacia dall’esercito regolare: il gruppo cosacco era infatti composto da uomini liberi consapevoli di dovere la loro sopravvivenza all’unità e alla collaborazione. I cosacchi furono dunque una pedina importante per mantenere l’ordine nelle provincie più remote dello sterminato Impero Russo. A loro furono affidate la raccolta dello iasak (l’imposta dovuta allo Zar) e la difesa delle frontiere. Fedeli al sovrano, i cosacchi entrarono però spesso in conflitto con i rappresentanti locali del potere centrale, i voivoda, i governatori scelti tra la nobiltà militare russa. Se da un lato il codice di comportamento cosacco ammetteva il saccheggio, dall’altro puniva con la morte chi si appropriava indebitamente di risorse destinate alla comunità. Cosa che i voivoda facevano spesso. Così scoppiavano rivolte anche molto cruente contro governatori giudicati infedeli , come dimostrano le molte petizioni che i cosacchi inviavano allo Zar con le proprie rimostranze.
Alla fine del XVII secolo la dinastia Romanov riuscì ad inquadrare questi potenziali ribelli nell’esercito, ottenendo da loro il giuramento di fedeltà e convertendosi così da liberi alleati a sudditi. E nel corso del settecento i cosacchi persero gradualmente le loro prerogative e la loro autonomia, fino a quando lo Zar Pietro il Grande (1672-1725) abolì definitivamente le elezioni degli anatami, da allora in poi designati dal potere centrale.
Il tramonto definitivo dei cosacchi avvenne nel novecento. Già durante la prima guerra mondiale le nuove tecniche belliche avevano dimostrato come l’uso di grandi reparti di cavalleria fosse superato l’uso dei grandi reparti di cavalleria fosse superato e i signori delle steppe avevano perduto la loro gloriosa funzione di baluardo delle frontiere, ridotti spesso a soffocare le rivolte interne.
Durante la Rivoluzione d’ottobre, nel 1917, in un primo momento i cosacchi si schierarono con i bolscevichi, ma dopo la presa del potere da parte di questi ultimi, la maggioranza di loro passò al fianco delle guardie “bianche” (gli zaristi): solo il dieci per cento (i cosacchi più poveri e senza terre) militò nell’Armata Rossa.
Forse per questo già il governo bolscevico attuò una serie di misure di “decosacchizazione”, per lo più deportazioni in regioni lontane da quelle di insediamento. Il colpo di grazia venne alla fine della seconda Guerra Mondiale, durante la quale diversi reggimenti cosacchi si allearono con i nazisti e si distinsero per la crudeltà nelle operazioni antipartigiane nei Balcani e anche in Italia. I tedeschi promisero loro in cambio un territorio in cui crare, dopo la guerra, uno stato cosacco indipendente: sarebbe dovuto essere proprio la Carnia, nel Friuli, dove i cosacchi compirono diverse azioni repressive.
Nel 1945, per decisione degli Alleati, i cosacchi “d’occidente”” furono però rimpatriati in Russia, dove vennero fucilati o deportati nei gulag.
In seguito al disfacimento dell’Urss (1991) molti di loro vennero in parte riabilitati in quanto vittime dello stalinismo. Accanto alle associazioni culturali volte alla conservazione delle tradizioni, della musica, del folclore, sono nati dagli anni 90 diversi circoli il cui scopo dichiarato è rifondare antiche comunità cosacche del periodo zarista, caratterizzate però da forti tendenze scioviniste e xenofobe. E con le ultime leggi i cosacchi attuali (ridotti a circa mezzo milione) possono essere nuovamente integrati nell’esercito russo.
I Cosacchi più famosi:
Ermak Timofeevic: Condottiero delle truppe Cosacche al servizio dello zar che invasero il Khanato di Sibir, tra il 1579 e il 1585. La sua campagna diede inizio all’espansione russa in Siberia. Morì il 6 agosto 1585, in un’incursione tartara nel suo accampamento . La sua vita avventurosa fu fonte d’ispirazione per canzoni, poemi epici e dipinti.
Ivan Sirko (1610-1680). Atamano dello Zaporoze (Ucraina), si dice appartenesse al gruppo degli sciamani cosacchi, cui si attribuiva il dono della preveggenza, il potere di fermare le pallottole e curare le ferite; si dice anche che conoscessero l’ipnosi.
Stenka Razin: (1630-1671). Membro della comunità dei Cosacchi del Volga, guidò la rivolta contro lo Zar Alessio I. Proclamò la repubblica cosacca in cui furono aboliti i privilegi e la schiavitù. Organizzò un esercito popolare ed estese la rivolta alle regioni settentrionali della Russia. Nel 1671 fu tradito e consegnato alle forze dello zar, che lo giustiziarono pubblicamente dopo averlo torturato.
Ivan Mazeppa (1645-1709). Atamano cosacco che si schierò dalla parte degli svedesi di Carlo XII contro lo zar Pietro il Grande , in occasione della guerra fra il regno scandinavo e la Russia.
Emeljan Pugacev (1740-1775). Falso pretendente al trono russo (sosteneva di essere il defunto zar Pietro III) e istigatore di un’insurrezione contadina contro Caterina II, durante la quale si proclamò lui stesso Zar.
L’atamano (dal turco ata, “padre”) era il loro capo. Era eletto ogni anno tra tutti, democraticamente.
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