Politiche familiari, tante questioni aperte, troppe promesse non mantenute, una buona piattaforma da cui ripartire. È la sintesi di quanto realizzato per la famiglia nella legislatura che va spegnendosi. Poco, quasi nulla, se si prendono in esame alcuni punti nodali come il fisco, la conciliazione lavoro-famiglia, il tema della cura e del sostegno alla genitorialità. Ma un piccolo successo che potrebbe diventare grande se il Piano nazionale per la famiglia – il primo che l’Italia abbia mai avuto – non rimarrà un distillato di buone intenzioni ma si tradurrà in un paradigma reale su cui innestare scelte concrete. Politiche familiari cioè capaci davvero di dialogare con la famiglia riconoscendone quella centralità sociale che le spetta per statuto antropologico.
Il piano azzoppato
Nel Piano nazionale approvato dal governo Monti tutto questo è scritto nero su bianco. O meglio "era scritto". «Sì, dobbiamo purtroppo sottolineare due grandi carenze in questo documento che – sostiene Francesco Belletti, presidente del Forum delle associazioni familiari – avrebbe davvero potuto essere un piano strategico per il futuro. Purtroppo, dalla bozza finale, sono spariti due punti importanti. Il primo è il riferimento all’articolo 29 della Costituzione ("La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio"), il secondo è il "fattore famiglia" come modello base per l’imposizione fiscale». Nel primo caso sembra quasi di leggere una sorta di cedimento etico, come se il dettato costituzionale potesse offendere i sostenitori di altri modelli familiari. Per quanto riguarda la cancellazione del "fattore famiglia" sembra sia stato decisivo il fuoco di sbarramento della Conferenza Stato-Regioni, nel timore forse che una rivoluzione così profonda potesse tradursi in uno svantaggio per gli enti locali.
Emergenza fiscale«Il Forum – riprende Belletti – ha già ribadito la sua posizione. Il nuovo governo dovrà spostare un punto di Pil a favore della famiglia. E per fare questo è necessario porre mano a una riforma fiscale in chiave autenticamente familiare. Nel manifesto che stiamo sottoponendo ai candidati c’è uno slogan che mi pare riassuma bene il nostro obiettivo: "Nessuna riforma può essere giusta se non sarà a misura di famiglia". Il "fattore" potrebbe essere una formula affidabile, ma siamo aperti a considerare anche altre strategie».
Conciliazione inconciliabile?L’Incontro mondiale delle famiglie ha acceso i riflettori su un tema importante: il problema della conciliazione tra tempi del lavoro e tempi della famiglia non può rimanere un dibattito di nicchia. Anche il ministro Fornero è parso sensibile al tema. La sua decisione di mettere a disposizione 200 milioni in tre anni per le madri che, al di sotto di una certa quota di reddito, decidono di rientrare al lavoro e di avvalersi di una baby sitter, è un gesto quasi simbolico per la somma che spetterà concretamente a ciascuna famiglia, ma segna comunque una svolta culturale. «L’impegno che il futuro governo dedicherà alle misure finalizzate al sostegno ai genitori nel lavoro di cura – riprende il presidente del Forum – sarà la cartina di tornasole del reale atteggiamento verso il concetto di familiare».
Welfare e sussidiarietàSia il governo Berlusconi, sia quello Monti hanno indebolito il welfare. I tagli spaventosi alle politiche giovanili, quelli finalizzati alla cura delle persone con fragilità, dai malati agli anziani, hanno caricato le famiglie di pesi spesso insostenibili. Nessuno è sembrato davvero convinto di quello che invece è un punto fermo del principio di sussidiarietà. Per spendere meno occorre più welfare modellato sul non profit.
L’identità della famiglia
Ma tutte queste considerazioni hanno senso e - soprattutto - avranno futuro se si continua a credere che fare famiglia significa fare società. Dare forza alla famiglia secondo il dettato costituzionale significa lavorare per il bene comune. Al contrario, indebolire la famiglia fondata sul matrimonio, pretendendo di equipararla ad altre forme di unione, significa creare confusione e ingiustizia. «La famiglia come luogo di valorizzazione delle differenze maschile-femminile – conclude Belletti – è un punto fermo che il futuro governo, di qualunque colore sia, dovrà rispettare. Perché solo una famiglia in cui uomo e donna si impegnano su un piano di reciprocità con diritti e doveri ben definiti, secondo uno statuto pubblicamente riconosciuto, offre alla società quelle prospettive di futuro che diventano risorsa civile, economica e culturale».
Il piano azzoppato
Nel Piano nazionale approvato dal governo Monti tutto questo è scritto nero su bianco. O meglio "era scritto". «Sì, dobbiamo purtroppo sottolineare due grandi carenze in questo documento che – sostiene Francesco Belletti, presidente del Forum delle associazioni familiari – avrebbe davvero potuto essere un piano strategico per il futuro. Purtroppo, dalla bozza finale, sono spariti due punti importanti. Il primo è il riferimento all’articolo 29 della Costituzione ("La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio"), il secondo è il "fattore famiglia" come modello base per l’imposizione fiscale». Nel primo caso sembra quasi di leggere una sorta di cedimento etico, come se il dettato costituzionale potesse offendere i sostenitori di altri modelli familiari. Per quanto riguarda la cancellazione del "fattore famiglia" sembra sia stato decisivo il fuoco di sbarramento della Conferenza Stato-Regioni, nel timore forse che una rivoluzione così profonda potesse tradursi in uno svantaggio per gli enti locali.
Emergenza fiscale«Il Forum – riprende Belletti – ha già ribadito la sua posizione. Il nuovo governo dovrà spostare un punto di Pil a favore della famiglia. E per fare questo è necessario porre mano a una riforma fiscale in chiave autenticamente familiare. Nel manifesto che stiamo sottoponendo ai candidati c’è uno slogan che mi pare riassuma bene il nostro obiettivo: "Nessuna riforma può essere giusta se non sarà a misura di famiglia". Il "fattore" potrebbe essere una formula affidabile, ma siamo aperti a considerare anche altre strategie».
Conciliazione inconciliabile?L’Incontro mondiale delle famiglie ha acceso i riflettori su un tema importante: il problema della conciliazione tra tempi del lavoro e tempi della famiglia non può rimanere un dibattito di nicchia. Anche il ministro Fornero è parso sensibile al tema. La sua decisione di mettere a disposizione 200 milioni in tre anni per le madri che, al di sotto di una certa quota di reddito, decidono di rientrare al lavoro e di avvalersi di una baby sitter, è un gesto quasi simbolico per la somma che spetterà concretamente a ciascuna famiglia, ma segna comunque una svolta culturale. «L’impegno che il futuro governo dedicherà alle misure finalizzate al sostegno ai genitori nel lavoro di cura – riprende il presidente del Forum – sarà la cartina di tornasole del reale atteggiamento verso il concetto di familiare».
Welfare e sussidiarietàSia il governo Berlusconi, sia quello Monti hanno indebolito il welfare. I tagli spaventosi alle politiche giovanili, quelli finalizzati alla cura delle persone con fragilità, dai malati agli anziani, hanno caricato le famiglie di pesi spesso insostenibili. Nessuno è sembrato davvero convinto di quello che invece è un punto fermo del principio di sussidiarietà. Per spendere meno occorre più welfare modellato sul non profit.
L’identità della famiglia
Ma tutte queste considerazioni hanno senso e - soprattutto - avranno futuro se si continua a credere che fare famiglia significa fare società. Dare forza alla famiglia secondo il dettato costituzionale significa lavorare per il bene comune. Al contrario, indebolire la famiglia fondata sul matrimonio, pretendendo di equipararla ad altre forme di unione, significa creare confusione e ingiustizia. «La famiglia come luogo di valorizzazione delle differenze maschile-femminile – conclude Belletti – è un punto fermo che il futuro governo, di qualunque colore sia, dovrà rispettare. Perché solo una famiglia in cui uomo e donna si impegnano su un piano di reciprocità con diritti e doveri ben definiti, secondo uno statuto pubblicamente riconosciuto, offre alla società quelle prospettive di futuro che diventano risorsa civile, economica e culturale».
Luciano Moia
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