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sabato 2 luglio 2011

STORIE DI DONNE

STORIE DI DONNE

Non hanno la fama mondiale dell’eroina nazionale francese Giovanna d’Arco . Eppure nei loro paesi sono circondate da un alone semileggendario , alimentato talvolta dalla propaganda , al pari della pulzella d’Orleans : celebrate con poesie , film statue, targhe, vie e canzoni .
Si tratta di figure vissute  fra il settecento ed il novecento  in tempi in cui il cosiddetto “ sesso debole” non era certo protagonista nella politica e nella società . Ma che si sono guadagnate un posto d’onore nelle storie nazionali.
Ad accomunare queste figure furono l’entusiasmo  e il coraggio, ma soprattutto la loro dedizione ale rispettive cause nazionali  e una certa dose di malasorte . Personaggi analoghi ,in Italia,  sono state alcune patriote del Risorgimento . Come la stessa Cristina Trivulzio  Belgiojoso, che nel 1848 salpò da Napoli con un pugno di volontari per dare (inutile) manforte ai Milanesi in rivolta contro gli austriaci . O come la sfortunata Anita Garibaldi , al fianco del generale fino alla morte , avvenuta durante la fuga da Roma nel 1849, in seguito alla caduta della repubblica romana.
Da queste poche righi si capisce che, nonostante tutto, le donne sono avanti anni luce rispetto a quello che vorrebbero far credere gli uomini!!!!!!!!!!!

GRECIA: Laskarina Bouboulina
Centinaia di strade in Grecia portano il suo nome . Le monete da una dracma hanno riportato la sua effige dagli anni 80 al 2000 . E una statua campeggia nel porto dell’isola di Spetses . Laskarina Boubpulina (1771-1825) aveva lì la sua base , quando diede il suo contributo alla guerra d’indipendenza contro gli Ottomani (1821-1832) .
Figlia d’arte, nata nelle prigioni di Costantinopoli durante la visita della madre al padre , imprigionato dai Turchi come rivoluzionario, Laskarina crebbe nell’isola  di Hydra per poi trasferirsi a Spetses, dove si sposò due volte rimanendo vedova  altrettante.
Le fortune ereditate dai mariti  ed il desiderio di vedere libera la Grecia (dominata dagli Ottomani dal 1453) l’indussero ad investire tutti i suoi averi in armi ed imbarcazioni da guerra.
Ammiraglio, unica donna membro della Filiki eteria, l’organizzazione segreta che promuoveva la sollevazione greca, Laskarina finanziò la costruzione dell’Agamennone, la nave da guerra più grande degli indipendentisti. Lei stessa la comandò contro i Turchi , così abilmente che la marina russa , alleata dei greci , le riconobbe il grado di Ammiraglio. Nonostante gli sforzi , Laskarina non riuscì a vedere il suo paese  libero: morì sette anni prima del 1832, per un colpo di pistola durante un diverbio con la famiglia della fidanzata del figlio.

ISRAELE: Hannah  Szenes
Fu torturata per settimane dai Nazisti, ma non rivelò le informazioni che quelli cercavano di estorcerle e morì davanti al plotone di esecuzione rifiutandosi di essere bendata . Era il 7 novembre 1944 quando la breve vita di Hannah Szenes finì così , facendone un’eroina nazionale  per Israele.
Emigrante, nata nel 1921 in Ungheria, emigrò da adolescente in Palestina per vivere in un Kibbutz e studiare agronomia . Dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale si offrì volontaria per una pericolosa missione organizzata dai britannici : insieme ad altri 32 militari doveva paracadutarsi in Jugoslavia ed entrare in Ungheria per aiutare  gli ebrei destinati ad Auschwitz. La missione fallì e lei fu catturata .
I suoi pensieri raccolti in un diario  che aveva tenuto sin dall’infanzia  e pubblicati due anni dopo la morte , sono diventati testi esemplari in Israele . Uno dei suoi componimenti , Elì, Elì “Dio mio, Dio Mio” fu meso in musica e si ascolta nella colonna sonora del film di Spielberg Schindler’ s list (1993).

CONGO: Beatrice Kimpa Vita
Morì sul rogo , arsa viva dall’inquisizione portoghese insieme al figlio ed al compagno . Prima di morire , nel 1706 a soli 24 anni, Beatrice Kimpa Vita (1682-1706) aveva però lanciato, con il suo esempio, un messaggio al suo paese: il regno del Congo , colonia portoghese dal XV secolo , non meritava il giogo del colonialismo.
Profetessa, cristiana ma convinta sostenitrice del sincretismo con le tradizioni africane , cercò di far superare al Congo le lotte intestine , denunciando il razzismo e la misoginia ( paura del nuovo) dei cattolici .
Predicò un paradiso  di santi neri (la chiesa ne prevedeva allora solo di bianchi) e con i suoi discorsi infiammò gli animi dei compatrioti , che finirono per ritenerla una profetessa. Fu questo il pretesto usato dai portoghesi per condannarla al rogo come eretica (in realtà volevano farle pagare la sua alleanza militare con un generale pretendente al trono del Portogallo.
A lei si ispirarono le rivolte degli schiavi in South Carolina (1739) e ad Haiti (1791).

INDIA: Lakshmi Bai
I suoi avversari britannici la definirono “ l’unico vero uomo tra i ribelli”. Lottando con la sua spada in sella al suo cavallo , Lakshmi Bai (1835-1858) diventò una delle figure più in vista della prima Guerra d’Indipendenza  indiana (1857) .
Regina, nata a Vanarasi (un tempo detta Benares), a quattordici anni  sposò il Raja di Jhansi, Gangadhar Rao, diventando così rani, cioè regina, del piccolo regno del Nord dell’India.
Bella e coraggiosa , Lakshmi era un’ottima cavallerizza , tirava con l’arco e sapeva combattere . Quando il marito morì , nel 1853, gli inglesi che stavano sottomettendo il subcontinente indiano le tolsero la corona estromettendo dal trono il figlio adottivo, Lakshmi non volle cedere e organizzò una rivolta stroncata nel sangue. La giovanissima regina morì combattendo a soli 23 anni , diventando in seguito uno dei simboli del movimento  per l’indipendenza dell’intera india . Negli anni le sono stati dedicati riconoscimenti  e poemi . Inoltre il reparto femminile  del’indian National army, l’esercito nazionalista indiano attivo durante la seconda guerra mondiale , fu intitolato a lei. Il cinema di Bollywood l’ha omaggiata con diverse pellicole celebrative , e lo stesso ha fatto la televisione.

La regina della tribù britannica degli Iceni, Boudicca, nel I secolo d.C. guidò una rivolta antiromana. Fu riscoperta come eroina in età vittoriana.

Stati Uniti:  SACAJAWEA
Sacajawea nata nel 1788 e morta il  20 dicembre 1812 fu una donna nativa americana della tribù dei Shoshoni, ed accompagnò i due capitani dell’esercito americano,  Meriwether Lewis e Villiam Clarrk ,durante l’omonima spedizione atta ad esplorare l’America nord-occidentale. Viaggiò per migliaia di chilometri dal Dakota del Nord fino alla costa pacifica dell’Oregon tra il 1804 ed il 1806 e Clark la soprannominò “Jenney”.
Poche sono le fonti storiche riguardo a Sacajawea ma si guadagnò un posto importante nelle cronache dei capitani Clark e Lewis e nell’immaginario americano.. Agli inizi del XX secolo il National American Woman Suffrage Association (associazione femminista) la assunse a simbolo dell’indipendenza delle donne, erigendo a suo onore numerose statue e targhe.
Sacajawea nacque nella tribù indiana Agaidika (mangiatori di salmone nell’idioma indigeno) dei Shoshoni i quali vivevano tra i torrenti Kenney e Agency vicino a quello che oggi è Tendov , in Idaho. Quando raggiunse i 12 anni venne rapita assieme ad altre ragazze da un gruppo indiano degli Hidatsa, durante una battaglia, dove morirono numerose persone. Fù trasferita in un villaggio Hidatsa presso l’odierna Washburn, in Dakota del Nord.
All’età di 13 anni divenne moglie di un commerciante di pelli francese che viveva nel villaggio, il suo nome era Toussaint Charbonneau, il quale aveva un'altra moglie di nome Otter Woman. Si pensa che Charbonneau abbia comprato entrambe le mogli dalla tribù oppure che abbia vinto Sacajawea al gioco.
Sacajawea rimase incinta nel periodo in cui il “ Corpo di esplorazione arrivò nelle vicinanze del villaggio Hidatsa per passare il loro inverno a cavallo tra gli anni 1804 e 1805. In quel luogo i capitani Lewis e Clark costruirono il forte Mandan e si informarono tra i vari commercianti se ve ne fosse stato qualcuno in grado di aiutarli  con delle traduzioni, fungendo da interprete. I due esploratori decisero di reclutare Charbonneau ed in seguito scoprirono che sua moglie era in grado di parlare la lingua Shoshoni . Ben presto capirono che avrebbero avuto bisogno di questa coppia per raggiungere la sorgente del Missouri. Il 4 novembre 1804 Lewis registrò nel suo diario di viaggio:
“ Un francese di nome Chabonah, che parla la lingua Big Belley, ci è venuto a trovare, desidererebbe essere ingaggiato e ci ha fatto sapere che ha due donne con se che sono indiane snake, lo abbiamo ingaggiato ed abbiamo portato con noi una delle sue mogli come interprete….”
Una settimana dopo Sacajawea e Charbonneau entrarono stabilmente nel forte e Lewis stesso potè assistere al parto del loro figlio Jean-Baptiste l’11 febbraio 1805. Clark e gli altri soprannominarono il neonato “little pomp” o “ pompy” col significato di “ primogenito” . In aprile il corpo di spedizione lasciò il forte ed iniziò la risalita del fiume Missouri tramite piroghe.
Il 14 maggio 1805 Sacajawea riuscì nell’impresa di recuperare degli oggetti che erano caduti in acqua dopo il rovesciamento di una barca tra i quali vi erano anche il diario ed i rapporti dei due capitani. Questi ultimi elogiarono particolarmente l’avvenimento e nominarono il corso d’acqua “ fiume Sacagawea” in suo onore.
Nell’agosto del 1805 incontrarono una tribù Shoshoni e tentarono diproporre degli scambi per ottenere dei cavalli per poter attraversare i passi tra le Montagne Rocciose. Sacajawea, che in quell’occasione si rivelò essere la sorella del capo-tribù di nome  Cameahwait, si fece avanti nel ruolo di traduttrice. La registrazione di Lewis attesta:
“ poco dopo l’arrivo del Capitano Clark con l’interprete Charbono, e la donna indiana, la quale si dimostrò essere sorella del capo Cameahwait , i rapporti con questa gente diventarono veramente affettuosi,in particolare tra Sah-car-we-ah ed una donna indiana che era stata fatta prigioniera con lei ed in seguito scappata dai Minnetares, e si era riunita con il suo popolo”.
Il 20 novembre, nel momento in cui erano ormai prossimi alla foce del fiume Columbia, Sacajawea si privò della sua cintura per permettere ai capitani di poter trattare l’acquisto di una pelliccia che avrebbe dovuto essere un regalo per il presidente Jefferson.
Durante il viaggio di ritorno consigliò al capitano Clark di passare le Montagne Rocciose in quello che oggi è noto come passo Bozeman, in seguito scelto anche dalla “Northern Pacific Railway (Ferrovia del Nord Pacifico) come passaggio opzionale per attraversare la suddetta catena montuosa.
Charbonneau e Sacajawea dopo la spedizione passarono 3 anni tra gli Hidatsa prima di accettare l’invito di Clark e di stabilirsi a S. Louis nel 1809. La coppia affidò l’educazione del loro figlio a Clark il quale lo iscrisse alla Saint Louis Accademy. Poco dopo il 1810 (non si conosce la data precisa) Sacajawea diede alla luce sua figlia Lisette.
Secondo dei documenti storici Sacajawea morì nel 1812 di una malattia sconosciuta. Un rapporto di Henry Brackenridge, un commerciante di pelli, stabilisce che sia Sacajawea che suo marito vivevano a forte Manuele Lisa sul fiume Missuori nel 1811. Egli scrisse anche che l’indiana si era ammalata  e desiderava rivedere la sua terra natale.. L’anno seguente un altro rapporto redatto dal prete John Lutting, testimonia che “ la moglie di Charbonneau, una snake squaw (il termine usato per definire gli indiani Shoshoni) , morì di febbre all’età di circa 25 anni lasciando la piccola figlia.
Pochi mesi dopo il forte Lisa subì un attacco da parte dei nativi e quindici uomini persero la vita. John Lutting e la piccola Lisette sopravvissero mentre si pensa che Touissant Charbonneau fu ucciso in quest’occasione . Il fatto che fra i documenti di Clark non vi sia nessun riferimento a Lisette lascia presumere che quest’ultima non sia sopravvissuta oltre l’infanzia.
Le notizie storiche affidabili riguardanti Sacajawea sono veramente limitate. La sua partecipazione alla spedizione e la carenza di registrazioni ufficiali che la riguardano hanno portato alla creazione di un mito.
Secondo alcune storie tramandate oralmente dai nativi americani si dice che Sacajawea anziché morire nel 1812 lasciò il marito e si imbattè in una tribù nelle Grandi Pianure, durante il tragitto per il ritorno alla sua terra. Qui si sposò e lasciò in seguito la tribù, dopo l’uccisione del marito, per proseguire il suo ritorno verso i Lehmi Shoshoni nel Wyoming.
Una donna Shoshoni di nome Porivo (donna-capo) morì nella riserva indiana di Wind River nel Wyoming il 9 aprile 1884 . Il reverendo che officiò il suo funerale comunicò, dopo le esequie, che la donna in questione era la nota Sacajawea.
Nel 1925 un medico Sioux, il dottor Charles Eastman, venne incaricato dall’Ufficio degli affari indiani di localizzare i resti di Sacajwea. Eastman fece visita a varie tribù indiane interrogandole su chi avesse avuto notizie di Sacajawea. Nella ricerca tralasciò comunque la tribù dove la donna passò l’infanzia, gli Agaidika, e quella dove morì Porivo, la donna indiana creduta Sacajawea. La sua conclusione fu che l’ipotesi relativa a Porivo fosse veritiera. Nel 1963 nella riserva indiana vicino a Lander, nel Wyoming, venne eretto un monumento a “ Sacajawea degli Shoshoni sulla base di questa affermazione.
La credenza che Sacajawea sia arrivata fino all’anzianità è stata largamente diffusa negli Stati Uniti dal romanzo “Sacajawea” scritto da Grace Hebard nel 1933. Questo caso fu affrontato anche cinquant’anni dopo nel 1984, in un altro romanzo intitolato “Sacajawea”, da Anna Lee Waldo. La differenza tra i due romanzi sta nel fatto che Waldo era a conoscenza delle ricerche scientifiche del 1812 che supportavano la morte della protagonista intorno ai 25 anni, ma la scrittrice scelse volontariamente la strada del mito.
Alcune “ invenzioni” riguardo alla spedizione vorrebbero Sacajawea coinvolta sentimentalmente con i capitani Lewis e Clark. I diari mostrano in effetti che Sacajawea era molto legata al capitano Clark e spesso gli faceva dei favori, ma l’esasperazione verso un rapporto sentimentale fa parte dei romanzieri che hanno scritto in periodo molto distante da quello della spedizione . La storia del viaggio, inoltre è rappresentata nel film Western “ I due Capitani” del 1995.
Una lunga diatriba si svolge da diverso tempo riguardo l’etimologia e la corretta pronuncia del nome dell’amerinda. Sacajawea è in assoluto la versione più utilizzata e si pronuncia con la “g” dura. Gli stessi Lewis e Clark nel loro diario la chiamano in questo modo  per ben 17 volte . La scrittura “Sacagawea” fu accettata nel 1910 dall’Ufficio Etnologico degli Stati Uniti ed è stata scelta anche per essere rappresentata sul dollaro commemorativo. Naturalmente è utilizzata anche da altre fonti e da moltissimi studiosi di storia.
Sakakawea deriva dalla parola Hidatsa “tsakaka wìa” (donna-uccello) ed è il nome più usato dopo Sacajawea oltre ad essere utilizzato dalle “ Tre Tribù Affiliate”, la Hidatsa la Mandan e la Arikara. Questa scrittura è diffusa in tutto il Dakota del Nord dove ha dato anche il nome ad un lago. Non meno importante è il fatto che sia la versione più condivisa tra gli specialisti. Inoltre la società di Storia del Dakota del Nord (North Dakota State Historical Society) ha trovato dei riferimenti  questo tipo di scrittura, proprio tra le registrazioni del viaggio, secondo le quali Charbonneau spiegò ai membri della spedizione che il nome di sua moglie significava “donna-uccello) ed in aggiunta Lewis scrive di lei utilizzando due modi, tra i quali questo.
Sacajawea o Sacajevea si dice derivi dalla parola del linguaggio Shoshoni che significa “colei spinge/tira la barca” ed è l’appellativo preferito dalla tribù dei Lemhi Shoshoni  i quali sostengono che i rapitori Hidatsa avrebbero semplicemente cambiato il suo nome adattandolo al loro dialetto. Il nativo americano dell’Indaho John Rees si interessò dei fondamenti di questa etimologia nel 1920 ed in un edizione ripubblicata nel 1970 col titolo di “ Madame Charbonneau” sostenne con varie argomentazioni questa tesi.
La parola Sacajawea, usata negli insegnamenti fino a tardo XX secolo è ormai considerata errata dalle moderne accademie, il professore Liljebland dell’Università di Stato dell’Indhao sostiene che sia improbabile che la parola Sacajawea derivi dalla lingua Shoshoni in quanto potrebbe avere  delle attinenze con la parola “saiki” (barca) ma il resto del nome risulterebbe incomprensibile  a qualsiasi nativo di questa tribù.
Rozina George, lontana parente di Cameahwait (fratello di Sacajawea), sostiene che la tribù dei Lemhi non riconosce la scrittura Sacagawea e nemmeno la relativa pronuncia. La prova viene mostrata nelle scuole e dalle aree commemorative dell’area le quali riportano tutte il nome Sacajawea.
In conclusione possiamo notare come vi siano molte parole Shoshoni che possono essere legate etimologicamente a questo nome e probabilmente non si riuscirà mai ad ottenere una risposta definitiva.
La figura di Sacajawea ha ispirato il film western “ I due capitani” (1955 diretto da Rudolph Matè), con le interpretazioni di Donna Reed (Sacajawea),Fred MacMurray (Meriwether Lewis) e Chalton Heston (William Clark). La storia di Sacajawea è ripresa e raccontata, in modo romanzato  nell’episodio dei Simson Il Tour storico di Marge della quindicesima serie. Seppur in breve, la sua vicenda è narrata anche nel film con Ben Stiller, Una notte al Museo.
A lei è stata dedicata una emissione della moneta da un dollaro.

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