Campioni
delle urne, la Svizzera è la patria della democrazia diretta
In media, gli svizzeri vanno a votare
quattro volte l’anno. Il popolo è sovrano e può votare sulle leggi del
Parlamento e le modifiche costituzionali. Fino alle votazioni per alzata di mano
in alcuni cantoni
L’ultimo è stato il referendum sul reddito minimo per tutti,
bocciato dal 78% dei votanti. Se c’è un Paese dove il popolo è sovrano, questo
è la Svizzera. Nella
confederazione dei 26 piccoli staterelli, detti cantoni, i cittadini partecipano
direttamente al processo decisionale politico. In media, vanno a votare almeno quattro
volte l’anno sui
temi più disparati, dal raddoppio delle gallerie alla discriminazione della
famiglia tradizionale. Le consultazioni propositive o abrogative sono continue,
per questioni federali, cantonali o comunali. Le piccole dimensioni del
territorio, unite al numero ridotto degli abitanti (8 milioni) e alle grandi
differenze interne, hanno favorito questa formula detta di democrazia semidiretta o semirappresentativa.
Significa che democrazia diretta e democrazia rappresentativa
convivono. Gli svizzeri eleggono ogni quattro anni i 200 membri del Parlamento,
che ha il potere legislativo. Ma il popolo ha la sovranità delle decisioni
politiche dello Stato. Per cui può esprimersi su tutte le leggi, e deve votare
su qualsiasi revisione della Costituzione. I due strumenti a disposizione degli
svizzeri sono il referendum e l’iniziativa
popolare.
Ogni modifica della Costituzione federale e ogni adesione dello
Stato a un’organizzazione internazionale è sottoposta a referendum obbligatorio. Il quorum non esiste. Ma
per essere approvato, il testo deve avere la doppia maggioranza del popolo e
dei cantoni. Nel 2001, ad esempio, si votò a larga maggioranza per introdurre
il pareggio di bilancio in Costituzione, in modo da far fronte alla crescita
del debito pubblico. L’anno dopo, nel 2002, si votò invece per l’ingresso nelle
Nazioni Unite.
In qualità di aventi diritto di voto, se si vuole modificare la
Costituzione, ogni svizzero può lanciare un’iniziativa popolare:
basta raccogliere 100mila firme in 18 mesi. Contrariamente a quanto succede nei
Cantoni, a livello federale però con una iniziativa popolare non si può
chiedere una nuova legge o una modifica a una legge già esistente. Le iniziative
pendenti di modifica della Costituzione in fase di raccolta firme a fine giugno vanno dal congedo di paternità
“ragionevole” al divieto dissimulare il proprio viso, dallo stop
alla “dispersione degli insediamenti” all’autodeterminazione contro l‘ingerenza
dei “giudici stranieri”.
Prima
di essere sottoposta a votazione popolare, l’iniziativa passa al vaglio del
governo e del Parlamento. Se la proposta divide il Parlamento, il processo può
durare anche diversi anni. Se il Parlamento riconosce la legittimità delle
rivendicazioni dell’iniziativa, ma non condivide la soluzione, può opporle un
controprogetto. Magari più moderato. Può anche succedere però che il comitato
promotore dell’iniziativa sia soddisfatto del controprogetto e decida di
ritirare il proprio testo. In questo caso l’iniziativa non è sottoposta a
votazione popolare. Dal 1987, nelle votazioni popolari sulle iniziative è
possibile approvare sia l’iniziativa sia il controprogetto. E con una domanda
risolutiva si stabilisce poi quale dei due testi deve entrare in vigore nel
caso in cui entrambi ottengano la maggioranza dei votanti e dei cantoni.
A questi strumenti della democrazia diretta ricorrono spesso formazioni politiche e sociali che faticano a ottenere una
maggioranza nel Parlamento. Si tratta spesso della sinistra,
sui temi economico e sociale, e della desta più conservatrice, per temi legati
all’identità nazionale e agli stranieri. Che spesso assumono derive populiste.
Succede però anche che a farne uso siano piccole associazioni o privati
cittadini, che difficilmente riescono però nel loro obiettivo.
Le iniziative popolari, però, si rivelano utili per lanciare
dibattiti su argomenti che altrimenti non verrebbero trattati dal Parlamento. E
in alcuni casi i promotori riescono a veder soddisfatte parte delle loro
rivendicazioni, tramite la produzione del controprogetto parlamentare. Ma ci
sono anche casi, seppur rari, in cui le iniziative bocciate dalla maggioranza
del Parlamento ottengono la doppia maggioranza di popolo e cantoni. Un esempio:
l’iniziativa che consente agli azionisti di influire sulle
rimunerazioni dei top manager, promossa dal piccolo
imprenditore Thomas Minder, è stata approvata nella votazione federale del 3
marzo 2013, con il sì di circa il 68% dei votanti e di tutti i cantoni.
Altra cosa è il referendum facoltativo.
Se il Parlamento approva una nuova legge, la popolazione di regola non viene
chiamata alle urne. Se però vengono raccolte 50mila firme di aventi diritto al
voto, oppure otto cantoni chiedono di votare nell’arco di cento giorni, allora
si andrà a votare. Il referendum facoltativo dà la
facoltà agli oppositori del testo di farlo sottoporre a votazione popolare. Al
momento, ad esempio, sono
in fase di raccolta firme 33 referendum facoltativi,
che riguardano decreti che vanno dal lavori nei trasporti pubblici alla
registrazione delle malattie tumorali.
Ma nonostante il coinvolgimento della popolazione nelle
decisioni sia così alta, la partecipazione degli
svizzeri agli appuntamenti elettorali tutto sommato è piuttosto bassa. Certo,
varia molto in base al tema, ma raramente si supera il 40 per
cento. Ma il quorum non esiste. E il risultato del referendum è
sempre valido, a prescindere da quante persone abbiano votato.
E poi si arriva anche alle forme più spettacolari di democrazia
diretta. Nelle votazioni di piazza nei piccoli cantoni rurali dell’Appenzello
Interno e Glarona, tutti i cittadini che godono del diritto di voto si
riuniscono in assemblea in una piazza e votano per alzata di mano per
eleggere amministratori e deliberare leggi locali.
Ma
nonostante la spettacolarità di alcuni casi e le derive populistiche di altri,
la democrazia diretta resta uno dei pilastri del modello svizzero. La classe
politica sente la pressione della popolazione e procede con attenzione, sia
nella spesa del denaro pubblico sia nella produzione legislativa sui temi caldi.
I cittadini sono continui controllori della classe politica. In ogni momento
una decisione popolare può bloccare i lavori e rimettere in discussione
l’operato politico.
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